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5.2. Continuità e rottura negli anni di Chruˇsˇcëv

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spaziavano dal socialismo antistalinista alla restaurazione della democrazia capitalistica, passando per la “terza via” dei populisti agrari. Il ruolo di Nagy, frettolosamente trasformato in martire e padre della patria dopo il 1989, viene discusso in modo riflessivo, evidenziando le contraddizioni del suo approccio alla rivoluzione o addirittura sottolineando la sua incapacità di frenare una rivolta temeraria destinata al fallimento o, al contrario, la scelta di non chiedere all’esercito ungherese di intervenire in favore della rivoluzione dopo il secondo intervento sovietico del 4 novembre. Nelle analisi acquista inoltre un’importanza sempre maggiore il contesto internazionale nel quale va collocata la rivolta (l’indecisione sovietica, il ruolo ambiguo della Jugoslavia, l’impatto sui paesi confinanti e i movimenti comunisti occidentali).

Il fallimento della rivoluzione avviò un processo di destrutturazione sociale in cui la memoria pubblica imposta sul 1956 tentava di schiacciare quelle private. Resistere non aveva più senso; una vita normale sembrava valere più di una morte eroica. Per decenni, la sfera privata restò l’unica sede depositaria della memoria soggettiva di una verità ufficialmente negata e umiliata. Il ricordo “segreto” del 1956 si trasmise non solo nell’emigrazione, ma clandestinamente anche in Ungheria 23. La memoria alternativa del 1956 perse tuttavia gran parte della base sociale originaria (erano milioni gli ungheresi che ancora all’indomani della rivoluzione erano depositari di un ricordo positivo delle giornate di ottobre), per divenire patrimonio quasi esclusivo di piccoli gruppi di intellettuali.

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5.2 Continuità e rottura negli anni di Chruˇsˇcëv

Il 1956 viene spesso presentato come una spia della crisi che più tardi, nel 1989-91, avrebbe determinato il crollo dei sistemi di tipo sovietico in Europa orientale. In una prospettiva di lungo periodo, depurata dai fattori locali ed emotivi che caratterizzano la sterminata memorialistica, la portata storica del XX Congresso del PCUS, dell’ottobre polacco e soprattutto della rivolta ungherese esce fortemente ridimensionata. Secondo Kramer, il 1956 non anticipò affatto la crisi degli anni settanta e ottanta, mentre è vero l’esatto contrario: la decisione presa da Chruˇsˇcëv, il 31 ottobre, di invadere nuovamente l’Ungheria, ricompattò i regimi comunisti e garantì al blocco sovietico oltre tre decenni di sopravvivenza 24. L’URSS e i suoi satelliti superarono

la crisi del 1956 e fino alla prima metà degli anni settanta vissero il periodo di maggiore vitalità economica e stabilità sociale.

A partire dal 1956 diversi fattori, a iniziare da quelli strategico e militare, incoraggiarono nel blocco orientale una politica di sviluppo che, senza rinnegare il primato dell’industria pesante, prestasse maggiore attenzione alle esigenze fondamentali della popolazione. La tiepida reazione americana alle crisi polacca e ungherese rassicurò la leadership sovietica sull’accettazione, da parte di Washington, degli equilibri della guerra fredda in Europa. Negli anni di Chruˇsˇcëv (1953-64) l’Unione Sovietica uscì dalla dimensione eurocentrica propria dello stalinismo e acquisì i tratti di un impero in espansione, votato all’offensiva nei paesi asiatici e africani di recente decolonizzazione, fra i quali riuscì a stabilire la propria influenza nel nome della formazione di un “campo del progresso e della pace” e della competizione economica e tecnologica con l’Occidente. L’URSS poté presto esibire significativi successi: il lancio del satellite Sputnik, avvenuto il 4 ottobre 1957 per celebrare il quarantennale della rivoluzione d’Ottobre, fu seguito nel 1961 dal lancio del primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin. Con la sua ruvida giovialità e i suoi impolitici ma – tutto sommato – innocui scatti d’ira, Chruˇsˇcëv offriva al mondo un’immagine dell’Unione Sovietica e del blocco orientale assai diversa da quella, decisamente lugubre, irradiata da Stalin 25 .

Sul piano interno, il periodo di Chruˇsˇcëv fu tuttavia segnato da una frenetica serie di iniziative improvvisate e fallimentari. L’apparato di partito rimase scosso dal XX Congresso e dai disordini interni ed esterni ad esso seguiti, tanto da suscitare una congiura di palazzo per allontanare il primo segretario (giugno 1957). Il colpo, sventato grazie all’intervento del ministro della Difesa ˇ Zukov e dei segretari regionali, offrì a Chruˇsˇcëv l’occasione per liberarsi di avversari scomodi (Malenkov, Molotov, Kaganoviˇc – il “gruppo antipartito” – oltre allo stesso ˇ Zukov) e di avviare una seconda svolta progressista, soprattutto in campo ideologico 26. Egli consentì a scienziati, scrittori, artisti e comuni cittadini di intensificare i contatti con il mondo esterno; incoraggiò il ritorno della sperimentazione artistica bandita durante lo stalinismo, almeno fino al notorio attacco rivolto nel 1962 alla pittura d’avanguardia; ispirò lo scrittore Boris Pasternak, il cui Dottor ˇ Zivago venne pubblicato in anteprima mondiale dall’editore italiano Feltrinelli nel 1958; autorizzò, infine, la pubblicazione (1962) del primo romanzo dell’ex detenuto politico Aleksandr Solˇzenicyn, Una giornata di Ivan Denisoviˇc, che svelava al pubblico la tremenda quotidianità del sistema concentrazionario staliniano. Lo stesso Chruˇsˇcëv pronun-

ciò nell’ottobre 1961, al XXII Congresso del PCUS, una nuova denuncia dei crimini di Stalin, più approfondita e circostanziata di quella del 1956.

Dalla fine degli anni cinquanta al disgelo e alla critica del passato recente Chruˇsˇcëv accompagnò quello che Graziosi ha definito un «piccolo balzo in avanti» 27, un’offensiva ideologica e sociale che si ispirava – in forme assai meno radicali – al modello maoista cinese. Dal 1958 alla sua caduta, le autorità sovietiche posero un rinnovato accento sui temi ideologici (condanna del “revisionismo”, persecuzione giudiziaria dei primi intellettuali dissidenti, come lo storico Aleksandr Ginzburg) e intensificarono la lotta alla religione (chiusura e demolizione di chiese e monasteri, arresto di religiosi, intimidazione dei fedeli, propaganda ateista ed evoluzionista nelle scuole e sui luoghi di lavoro). Lo Stato prese a interferire sugli aspetti più intimi della vita privata dei cittadini, promuovendo cerimonie laiche per i momenti decisivi dell’esistenza: la nascita, il matrimonio, la sepoltura. La Chiesa ortodossa, che durante la Seconda guerra mondiale aveva scelto l’integrazione piena nel sistema politico sovietico, si ritrovò nuovamente estraniata dalla vita nazionale 28. Non è chiaro a che cosa mirasse l’ambiziosa campagna del leader sovietico, che dopo il 1956 aveva utilizzato il Patriarcato di Mosca come interlocutore privilegiato dei primi passi verso il dialogo ecumenico con il Vaticano. Secondo Andrea Riccardi, Chruˇsˇcëv vagheggiava un ritorno al “leninismo”, un bolscevismo modernizzatore depurato dai compromessi con il tradizionalismo russo e dagli eccessi stalinisti, cercando di replicare alla strategia vaticana (e occidentale) di ferma opposizione al comunismo 29 .

Il nazionalismo russo costituì l’altro tema sul quale il leader sovietico impresse nuovo vigore alle politiche staliniane. Nel dicembre 1958 fu varata su iniziativa di Chruˇsˇcëv una riforma dell’istruzione che mirava a ridurre la distanza fra scuola e lavoro. L’accesso all’università era subordinato a un “servizio civile” pluriennale, successivo al compimento degli studi superiori: un provvedimento che suscitò vaste proteste fra le classi medie urbane. L’importanza della riforma, tuttavia, stava soprattutto nella soppressione del bilinguismo nelle scuole situate in repubbliche abitate in maggioranza da non russi, l’affermazione del russo a ogni livello della comunicazione come lingua franca dell’impero e, in ultima istanza, la promozione di un senso di appartenenza al popolo sovietico svuotato di contenuto etnico. Sin dai primi anni trenta, Stalin si era convinto che la conoscenza del russo rappresentasse uno strumento di acculturazione e promozione sociale 30. La russificazione “dolce” promossa da Chruˇsˇcëv generò

tuttavia in Ucraina, nelle repubbliche baltiche, nel Caucaso e in Asia centrale un’ondata di proteste che innescarono un inedito conflitto centro-periferia 31. Negli anni sessanta la torsione nazionalista dell’integrazionismo culturale avrebbe ispirato anche in Europa orientale l’avvio della promozione di un’identità nazionale standardizzata (la «nazione socialista») che le minoranze etniche ritenevano lesiva dei loro diritti 32 .

Anche la politica estera di Chruˇsˇcëv fu segnata da contraddizioni sconcertanti. Alle aperture simboliche verso l’Occidente (la visita negli Stati Uniti nel 1959, l’incontro a Vienna con il presidente Kennedy nel 1961, il cortese scambio epistolare con papa Giovanni XXIII e la visita del genero di Chruˇsˇcëv a Roma nel 1963) si contrapposero iniziative diplomatiche fallimentari e, anzi, controproducenti. Il tentativo di siglare un trattato di pace che regolasse lo status della Germania e della sua capitale, Berlino, si risolse nel 1961 in uno scontro diplomatico che indusse le autorità tedesco-orientali, esasperate dall’emigrazione di 3 milioni di propri cittadini in poco più di dieci anni, a erigere con il decisivo sostegno sovietico, a partire dal 13 agosto 1961, una barriera definita «di protezione antifascista» lunga quasi 150 chilometri. Il Muro, che fino al novembre 1989 avrebbe impedito alla popolazione di Berlino Est e delle zone circostanti di accedere all’area occidentale della città, divenne la perfetta iconografia della divisione dell’Europa e della mancanza di libertà di movimento dei cittadini della sua metà orientale 33. Un anno più tardi, nell’ottobre 1962, il tentativo di saggiare la reazione statunitense all’estensione della sfera d’influenza sovietica a Cuba innescò una grave crisi diplomatico-militare. Per contrastare la supremazia strategica americana fuori del continente europeo, Chruˇsˇcëv fece installare sull’isola missili balistici nucleari a corto e medio raggio in grado di colpire gli Stati Uniti. La dura reazione americana, culminata con la concreta minaccia di un attacco atomico all’Unione Sovietica, costrinse Chruˇsˇcëv a un’umiliante ritirata e allo smantellamento delle postazioni missilistiche. Gli insuccessi approfondirono i conflitti ideologici all’interno del movimento comunista internazionale: il partito cinese, con il quale i rapporti erano tesi da anni, colse l’occasione per accusare Chruˇsˇcëv di aver ceduto all’imperialismo e trovò un alleato europeo nell’Albania di Hoxha.

La posizione del leader sovietico si indebolì nel 1962-63 anche a causa della sua ambizione, del tutto velleitaria alla luce delle condizioni del paese, di “raggiungere e superare” entro vent’anni lo stadio di sviluppo degli Stati Uniti. Nei primi anni sessanta i piani industriali subirono una forte accelerazione: soprattutto nel settore milita-

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