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dell’URSS, 1939-41

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Bibliografia

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ma la sua causa iniziò a pericolare nella primavera successiva, in seguito alla firma del Patto d’acciaio italo-tedesco. Si trattava di un’alleanza rivolta proprio contro la Polonia, le cui frontiere erano garantite – sulla carta – dagli anglo-francesi, dall’Ungheria (con la quale la Polonia condivideva ora la frontiera meridionale) e, infine, dall’Unione Sovietica. Proprio quest’ultimo alleato avrebbe dato il colpo definitivo al sistema di Versailles e all’illusione di poter preservare la pace europea.

2.2 Dal patto Molotov-Ribbentrop all’invasione tedesca dell’URSS, 1939-41

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2.2.1. ILMECCANISMODELL’ALLEANZA

Nella sua monumentale storia dell’Europa, Norman Davies scrive che «l’invasione della Polonia, iniziata il primo settembre 1939, non segnò l’inizio dei combattimenti in Europa. Era stata preceduta dall’occupazione di Memel in Lituania nel marzo del 1939 e dall’invasione italiana dell’Albania. Ma trasformò una serie di guerre essenzialmente locali in un conflitto di proporzioni mondiali» 3. Il patto di non aggressione sovietico-tedesco, firmato il 23 agosto 1939 dai ministri degli Esteri Joachim von Ribbentrop e Vjaˇceslav M. Molotov, rese possibile l’invasione nazista e sovietica della Polonia e, subito dopo, l’incorporamento nell’URSS del Baltico e delle regioni romene della Bessarabia e della Bucovina settentrionale. Per decenni l’esistenza di un protocollo segreto al riguardo, negata sino al 1991 dal governo sovietico (ma rivelata dal governo americano già nel 1948) 4, e soprattutto il problema se il patto avesse carattere temporaneo o strategico sono stati al centro di un aspro dibattito storico che implica anche la questione delle responsabilità sovietiche per lo scoppio del conflitto.

Il patto, che prevedeva una ripartizione delle sfere di influenza e prefigurava una stretta collaborazione politica e militare, ribaltò l’immagine diffusa nell’opinione pubblica occidentale di un’irriducibile contrapposizione fra i regimi totalitari. Nel febbraio 1940 i due regimi stipularono trattati commerciali di ampia portata che contribuirono ai rispettivi sforzi bellici, mentre colloqui riservati sostenuti dalle due diplomazie nel 1940-41 sondarono addirittura la possibilità di estendere all’URSS il patto tripartito sottoscritto il 27 settembre 1940 da Germania, Giappone e Italia 5. Sarebbe tuttavia improprio considerare il patto del 1939 come la meccanica dimostrazione di un’equi-

valenza ideologica fra i due regimi. Come sostiene Silvio Pons, le sue basi stavano, piuttosto, in un calcolo politico preciso e nello scioglimento di una contrapposizione interna alla stessa diplomazia sovietica. Dal 1933 il commissario agli Esteri Maksim Litvinov si era fatto portavoce della linea di sicurezza collettiva in Europa attraverso un avvicinamento con la Francia e la Gran Bretagna; mentre Molotov, allora a capo del Consiglio dei commissari del popolo, premeva per lasciare aperto un canale di comunicazione con la Germania 6. La svolta ci fu dopo Monaco, quando i sovietici interpretarono il consenso britannico e francese allo smembramento della Cecoslovacchia come un tacito via libera alle aspirazioni tedesche sull’Europa orientale, che in campo economico dipendeva già dalla Germania nazista. Subentrato agli Esteri il 3 maggio 1939 al posto di Litvinov, ora considerato troppo filo-occidentale, Molotov perseguì una linea di doppio binario, nella quale contatti formali con le potenze occidentali non impedivano un dialogo a distanza con Berlino. I due regimi intravvedevano nella temporanea collaborazione importanti vantaggi reciproci: la Germania, la possibilità di una rapida campagna a ovest; Stalin, la creazione di una vasta sfera d’influenza sovietica in Europa orientale, anche mediante l’acquisto di nuovi territori. Secondo Andrea Graziosi, questa dimensione imperialistica era incarnata dal protocollo segreto 7 .

Nel 1940 il successo tedesco nella campagna a ovest, con la capitolazione della Francia e l’attacco alla Gran Bretagna, mise in allarme le autorità sovietiche ma, per un anno ancora, Stalin sembrò non comprendere, o sottovalutare, le reali intenzioni di Hitler. Anche dopo il fallimento dei negoziati bilaterali condotti a Berlino da Molotov, nel novembre 1940, quando questi aveva già deciso l’invasione dell’URSS per l’anno successivo e anche dopo la rapida espansione nazista nei Balcani, Stalin coltivò la speranza che Hitler non avrebbe aperto un secondo fronte. Secondo diversi autori, fu l’ingenua fiducia nel proprio alleato a indurlo a ignorare gli avvertimenti del suo controspionaggio e di un agente segreto di raro talento, Richard Sorge, che dall’ambasciata tedesca in Giappone comunicò a Mosca la data esatta dell’invasione con oltre un mese di anticipo 8. Secondo altri, l’errore strategico era invece motivato dal piano di un attacco “preventivo” da muovere alla Germania, un’ipotesi a sostegno della quale sono emersi numerosi indizi ma non ancora prove inoppugnabili 9 . Resta il fatto che l’esercito sovietico, disposto in una postura offensiva e privo di linee di difesa efficaci, si ritrovò del tutto impreparato all’attacco del 22 giugno 1941.

2.2.2. CONSEGUENZEINPOLONIA, NELBALTICO EIN ROMANIA

In base all’accordo con l’URSS, la Germania attaccò la Polonia con una fulminante campagna lanciata il primo settembre 1939. In appena due settimane conquistò il cuore industriale e tecnologico del paese, inclusa la città di Cracovia e la capitale Varsavia. Il 17 settembre, dopo il collasso militare della Polonia, Stalin ordinò l’invasione della sua parte orientale, come previsto dal patto di agosto. Il 28 settembre i due paesi stipularono un ulteriore trattato di amicizia, integrato da un accordo sulle frontiere che, oltre a sancire la spartizione della Polonia, ampliava ulteriormente il controllo sovietico sulla regione esteuropea. Oltre all’Estonia e alla Lettonia, nella sfera d’influenza sovietica venne compresa anche la Lituania, che l’alleato tedesco accettò fosse scambiata con alcune province occidentali della Polonia. Nel frattempo l’URSS attaccava la Finlandia, la cui accanita resistenza costrinse l’Armata rossa a stipulare, il 13 marzo 1940, un accordo di pace che ne confermava l’indipendenza a eccezione della regione della Carelia, ceduta agli aggressori.

Fra il settembre 1939 e il giugno 1941 la Germania e l’Unione Sovietica provvidero a riorganizzare gli ex territori polacchi. Il nucleo conquistato dalla Germania venne spogliato di ogni carattere nazionale e denominato Generalgouvernement (Governatorato generale). Nell’ampia regione, che comprendeva anche Varsavia ma la cui capitale venne fissata a Cracovia, abitavano circa 13 milioni di persone, in maggioranza polacchi ed ebrei. Questi ultimi vennero progressivamente concentrati in enormi ghetti cittadini governati dai cosiddetti “consigli ebraici”: nel novembre 1940 quello di Varsavia ospitava oltre 400.000 persone, rinchiuse in appena 5 ettari; quello di / Lód´z, quasi 200.000. Sebbene lo sterminio sistematico della popolazione ebraica prendesse avvio nel 1941, nei primi due anni di occupazione decine di migliaia di ebrei polacchi restarono comunque vittime della persecuzione (molti di essi nel campo di concentramento di Auschwitz, allestito nel 1940), insieme ad anziani, disabili mentali e oppositori politici. Nella zona direttamente annessa alla Germania (94.000 km2, con 10 milioni di abitanti) la dittatura nazista introdusse un regime di selezione razziale e germanizzazione. Quasi un milione di polacchi venne deportato dai territori conquistati dai tedeschi all’interno del Governatorato. Qui gli stabilimenti industriali furono smantellati e trasferiti a ovest, con l’obiettivo di fiaccare la resistenza della popolazione attraverso una combinazione di spoliazione economica e sovrappopolazione 10 .

I sovietici occuparono l’area orientale della Polonia fino all’estate 1941 e poi nuovamente dopo la primavera 1944, prestando formalmente più attenzione all’applicazione del principio di autodeterminazione delle popolazioni polacche e ucraine che abitavano i territori polacchi situati a est della linea “etnica”. Il pretesto dell’intervento sovietico fu la difesa delle popolazioni ucraine e bielorusse che, pur costituendo qui la maggioranza assoluta, subivano angherie e discriminazioni da parte del governo nazionalista polacco. Il 22 ottobre 1939 vennero convocati plebisciti per sancire l’annessione all’URSS, mentre il 29 ottobre giunse in tal senso una richiesta formale dalle stesse popolazioni ucraine e bielorusse, accolta qualche giorno dopo dal Soviet Supremo.

Mentre a molti nuovi cittadini di nazionalità ucraina, bielorussa o ebraica il biennio di dominazione sovietica sulla Polonia orientale offrì la liberazione dalla stretta del nazionalismo polacco e l’opportunità di partecipare alle strutture amministrative e militari, inclusa la polizia politica 11, per i polacchi la “rivoluzione portata dall’esterno” costituì una catastrofe nazionale senza precedenti. Alla violazione dei diritti di proprietà, con gli espropri di case, negozi, laboratori e terreni seguiti alla nazionalizzazione, si unì la brutalità della repressione sistematica, categoriale e preventiva che i cittadini sovietici avevano già sperimentato nel decennio precedente. Secondo Jan T. Gross, se nei primi due anni di occupazione i tedeschi uccisero circa 100.000 ebrei e 20.000 polacchi, le forze di sicurezza sovietiche raggiunsero tale “quota” con due sole operazioni: l’eccidio di 21.000 prigionieri di guerra polacchi (soprattutto ufficiali di riserva, ma anche intellettuali, politici e funzionari), perpetrato nell’aprile-maggio 1940 nella foresta di Katyn, mirato alla distruzione dell’élite polacca, e la sanguinosa evacuazione dei detenuti delle zone occidentali di Ucraina e Belarus nei giorni della ritirata del giugno-luglio 1941 12. Nei territori occupati le forze di sicurezza sovietiche condussero in tutto quattro grandi operazioni di deportazione: il 10 febbraio 1940 (140.000 tra contadini – per la colonizzazione della Siberia orientale – e guardie forestali – trasferite in Siberia occidentale); il 2 marzo (80.000 parenti dei militari prigionieri e altri “elementi socialmente pericolosi”); il 28-29 agosto (80.000 deportati al gulag, soprattutto ebrei in fuga dal Governatorato generale); e, infine, il 22 maggio 1941 (86.000 “elementi indesiderabili” rastrellati dalle repubbliche baltiche). In totale oltre 1,2 milioni di ex cittadini polacchi e baltici (quasi il 10% dell’intera popolazione locale) vennero deportati in varie regioni dell’URSS e un quarto di essi non sopravvisse alle privazioni 13 .

Nel settembre-ottobre 1939 le repubbliche baltiche vennero costrette a sottoscrivere con l’URSS patti di mutuo soccorso, che consentivano lo stazionamento di truppe sovietiche sul loro territorio. Nel frattempo, nell’osservanza del patto di amicizia tedesco-sovietico del 28 settembre 1939, la popolazione tedesca fu incoraggiata da Berlino a lasciare regioni che abitava da secoli. Circa 100.000 persone furono reinsediate sui territori polacchi appena annessi dall’URSS come coloni e “civilizzatori”. La possibilità di conservare ogni apparenza di indipendenza svanì nell’estate 1940. Dopo aver concluso la “guerra d’inverno” e assistito alla capitolazione della Francia, l’URSS avviò l’annessione e la sovietizzazione dei tre Stati baltici. Alla Lituania venne restituita la regione di Vilnius, sottrattale nel 1923 dalla Polonia, mentre i tre governi erano costretti a tenere elezioni parlamentari truccate. Il 21 luglio 1940 le nuove assemblee parlamentari proclamarono l’istituzione delle repubbliche sovietiche di Estonia, Lettonia e Lituania, mentre prendeva avvio la rapida nazionalizzazione di industrie, banche e proprietà terriere. L’incorporamento formale avvenne il 5 agosto in Lettonia e il 6 in Estonia e Lituania. Nel 1940-41 i nuovi governi instaurarono dittature monopartitiche, sul modello sovietico, e avviarono una campagna di repressione contro gli oppositori che culminò con la loro deportazione in massa il 14 giugno 1941, a pochi giorni dall’attacco tedesco all’Unione Sovietica 14 .

Il patto Ribbentrop-Molotov ebbe, infine, effetti dirompenti sulla stabilità politica e territoriale della Romania, che il 6 settembre 1939 aveva proclamato la neutralità e cercato di garantire i confini, invocando il patto balcanico nel 1934 e proponendo all’URSS un patto di non aggressione. I sovietici intendevano inizialmente imporre alle regioni orientali della Romania una sorta di “modello baltico” (trattati di mutua assistenza e occupazione non violenta), ma nell’inverno 1939-40 la resistenza opposta dalla Finlandia li convinse a mutare tattica 15. Dopo aver saggiato la reazione romena attraverso una prova di forza dimostrativa – la mobilitazione delle truppe ai confini –, il 27 giugno Mosca fece pervenire al governo romeno un ultimatum nel quale intimava la cessione della Bessarabia, con capitale Chi¸sin˘au, e della Bucovina settentrionale ex asburgica, con al centro la città di Czernowitz (Cernau, ti). Il giorno dopo, il regime di Bucarest, dopo essersi consultato con le principali capitali europee, aderì alla richiesta. La Bessarabia, con i suoi quasi 4 milioni di abitanti (53% romeni, 15% ucraini, 10% russi, 7% ebrei), fu unita alla repubblica autonoma sovietica di Moldavia (l’attuale Transnistria) per formare la nuova repubblica sovietica di Moldavia. La fascia costiera sul Mar

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