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CAPITOLO VIII

Le Guerre Limitate

La rovina e la desola zi one nelle quali la guerra dei Trent'Anni lasciò gran parte d ell 'Europa, d eter minarono nella so cietà più evoluta una benefica azione morale e la consapevolezza che occorresse limitare il modo di combattere e gli o bi e ttivi d ella guerra, altrimen ti le conseguenze dei conflitti sulle riso r se umane e materiali degli Stati sarebbero state disastrose tanto p e r i vi n ti quanto per i vincitori.

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Già durant e il co nflitto Hugo Grotius aveva d ato alle stampe il suo De Jure Belli ac Pacis, ma n essu n o espose tali concetti più chiaram e n te dello svizzero Emme rich de Vattel. Ne l suo libr o Le Droit des Gens egli fo rmul ò chiaram e nte il prin cip io d el iustum bellum e co minciò con il chiedersi: posto che "ogn i danno arrecato al nemico se nza necessità, ogni atto di o stili tà che non te n da ad assicurare la vittoria ed a condurre la guerra ad una conclus ione, è una licenza condannata dal diri tto naturale.. ., come p ossia m o n oi ... determinare con precisione fino a qual punto è necessario condurre le ostilità per portare la guerra ad una conclusion e p os itiva?" E la sua risposta fu che solo la moderazione e la rice rca d el compromesso, nonc hé la netta separazione tra combattenti e non combatte nti, avrebb e r o potuto imp edire la degenerazione della gue rra.

L' esercito e la m ari na costituivano una pesante nec essità per le risorse limitate de i govern i e dovevano perciò essere impieg ati con grande prudenza, m e n tre i ce ti prod uttivi della na zi one non dove vano in t errompere, a causa de lla g uerra, la loro attività ma continuare a produrre ricch e zza.

Gli obiettivi della guer ra , dinastici o commerciali, n o n interessavano, inoltre, la maggior parte d ella p o polazion e, priva di diritti politici ed ancora dedita io maggioranza all'agricoltura. La guerra e ra divenuta perciò una questione p e rsonale del sovrano e , come tale, non poteva nece ssariame n te coin volgere tutta la popola zione d e ll o Stato , ma solt anto quella parte che attingeva dire ttament e d al sovrano onori e mezzi di soste n tamento.

La massa del popolo nella seconda metà del secolo XVII e per quasi tutto il XVIII rimase perciò estranea alla guerra e gli eserciti vennero formati arruolando "elementi ch e appartenevano alle classi non produttive della società: al vertice gli ufficiali, reclutati tra la nobiltà, ed alla base i so ldati ed i marinai, reclutati tra i disoccupati, i vagabondi ed i mendicanti. Era anche questa una manifestazione d ella volontà dei sovrani settecenteschi di mantenere l'equilibrio tipico dell'epoca, utilizzando nel modo migliore le risorse uman e a loro disposizione" 1

In e ffetti l'equilibri o politico fu la caratteristica del XVIII se colo e, di cons eguenza , nelle lunghe ma poco intense guerre dell'epoca i governi cercarono sempre di e vitare battaglie risolutive che potessero turbare quell'equilibrio 2 . Le guerre furono condotte con il proposito di non annientare l'avversario, ma di sottrargli una provincia. Le preoccupazioni dei generali erano pertanto rivolte non a battere le forz e nemiche ma a tagliare loro le linee di rifornim e nto ed a privarle dei preziosi depositi. Una guerra le nta e m eto dica, co nd otta so ltanto nella buona stagi~ n e perché, anche n el secolo dei lumi, era praticamente impossibile condurre una campagna durante l'inverno: le s trade fangose o ghiacciate impedivano il m ovim ento delle artiglierie e dei convogli di rifornimento e paralizzavano le operazioni militari. "Le guerre combattute in Europ a prima della rivol uzione francese non furono per lo più portate a termine con una strategia di sterminio, ma (per usare la terminologia di Hans Delbruck) attraverso una strategia di log o ram e nto, per mezzo di una paziente accumulazion e di vittorie secondarie e la lenta erosione della base economica de l nemico" ha scri t to a ragione il Parker

G uerre perciò /imitate, limitate per gli obiettivi che si prefiggevano e limitate per la ridotta partec ipazio n e d ei popoli interessati. Con es pressione più colorita le guerre dell'epoca sono state anche chiamate guerres en dente/les, guerre in m e rle tti .

In r ealtà le operazioni condotte in quegli anni non furono "minuetti militari", le battaglie furono num erose e spesso cruente, da Blenheim a Malplaquet, a Flurus, a Font e noy. In compenso gli or r ori della guerra rimasero limitati; le popolazion i civili vi furono coinvolte il m e no po s sibile, il solc o tra combattenti e non co mbatte nti fu se mpre ne tt o e chiaro. Guglielmo Ferrero n el suo pr~gevole volume Paix et Guerre così ha giudicato l'arte. della guerra dell'epoca: "La guer ra limitata fu una tra le più elevate realizzazioni del diciottesimo secolo. E ssa appartiene ad una classe di fior i di serra che possono solo prosperare in una civiltà aristocratica e qualitativa. Noi non siamo p iù capaci di condurla. È una dell e cose prez iose c h e abbiamo perso a seguito della Rivoluzione francese" . l aturalm e nte la pesante dipendenza dai magazzini e dalle vie di rifornimento limitava la velocità degli eserciti e ne condizionava le scelte operative. L'esigenza di consentire ad ufficiali e solda ti un certo benessere contribuiva ancora ad intralciarn e il movim e nto, si tenga presente, i nfatti, che nel pur ordinatissimo esercito prussiano ogni tenente aveva un cavallo da sella ed uno per il bagaglio, e il capitano per il bagaglio da tre a cinque quad rup edi, mentre le tende di un reggimento richied evano sessanta cavalli per il trasporto.

Come si è già detto, p iù c h e alla distruzione del nemico, la guerra mirava all'occupazione e alla difesa del territorio. La n ecessità di risparmiare l'esercito, ed il sistema di rifornire le truppe m ediante una catena di magazz ini, comportavano come logica conseguenza l'adozi one di una strategia mirante non a battere il n e mico ma a logorar lo, in n etto contrasta con i princ ip i de ll' offe n siva, d ella ricerca della battaglia, della mass a.

A nche la ta ttica d el periodo n on fu brillante, anche se trasse partito da molti miglioram e nti organici e tecnici introdotti nei sett ori dell'armam ento e della fortificazione.

A partire dall'ultimo q uarto del se co lo XVII, e soprattutto in qu ello successivo, gli Stati. europei riuscirono ad eliminare ogni resid u o di legislazione feudale e acquis iron o il contro llo cap il lare ed organico delle risorse disponibili dando v i ta ad una amministrazione rigorosamente centralizzata.

Anche g li esercì ti n o n s fuggirono a tale processo di razionalizzazione e di accentramento, furono sottoposti al controllo di una buro crazia statale occhiu t a e c o mpetente, riordinati ed ammodernati anc h e contro la volontà, talvo lta, d i illustri ge n erali.

A poco a poco sparì anche il ricordo di quelle pittoresche e picaresc h e masnade di mercenari insolenti e sfrenati che ta nto avevano imperversato n ella gue r ra dei Tre n t'Anni. Gli eserciti si trasfor m aro n o i n un perfetto congegno ad orologeria, in grado di eseguire con geometrica elega nza, al suo n o di pifferi e di tambu r i, complicate evoluzioni sulle piazze d'armi e clii resistere senza cedimenti alle m ortali scariche di moschetteria sul campo di battaglia.

Il fattore principe di tale opera di trasformazio n e fu la restaurazione di una rigidissima disciplina, una disciplina capace di annullare ogni individualità e di rendere omogenei reparti reclutati tra gli strati più infimi della popolazione e financo nelle carceri.

La separazion e tra l 'elemento civile e qu ello militar e nacque allora, proprio per il rifiuto d ella nascente b orghe sia e del ceto merca ntile a s tringe re rapporti con elementi tanto roz zi e poco fidati .

, Il sorge r e delle caserme alla fine del Seicento deve essere v isto, infa tti, come una necessità per estendere il controllo amministrativo e disciplinare delle truppe ma anche come risposta statale alla sempre maggiore insofferenza della popolazione alla antica consuetudine di acquartierare i soldati n elle ab itazioni dei civili.

A ltro passo importante sulla via d ella progressiva normalizzazione disciplinare fu l'app r ovvigionamento da parte dello s t ato di ves tiario ugua le per tutti, dell'uniforme, la livrea del re.

Ancora nella prima metà del Seicento i comandanti per distinguere le proprie truppe da quelle d el nemico dovevano ricorrere a contrassegni co lorati, una sciarpa o un nastro o una piuma Oe truppe imperiali e quelle spagnole usavano il rosso, quelle svedesi il giallo, quelle olandes i l'ara ncione e quelle frances i il b lu) ma già all'inizio del Settecento ogni esercito si distingueva per la foggia ed il colore dell'uniforme, rigorosa m e nte stabili ci da accurati regolamenti che, dal copricapo alle calzature, tutto disciplinavano e tutto uniformavano.

I governi si fecero carico anche del vettovagliamento, sia pure appaltando a fornitori civili l'approvvigionamento nonché il trasporto di viveri e di foraggi. Tutti gli eserciti basarono la loro organizzazione logistica su una rete di magazzini estesa sul territorio na zionale, soprattu tto in prossimità delle frontiere, magazzini che erano spostati in avanti quando si avanzava in territo ri o s traniero. L'autonomia così r ealizzata rispondeva .a due distinte ma ugualmente pressanti esigenze, evitare alle popolazioni gli indiscriminati saccheggi de l passato ed impedire le diserzioni, che si sarebbero verificate certamente nume ros e se la truppa si fosse dispersa alla ricerca di cibo.

Un cenno, infine, alle gra ndi innovazioni organiche. Gli artiglieri furono militarizzati e divennero soldati come i fanti ed i cavalieri, fu creato il corpo del genio, limitatam e nte p e rò agli ufficiali Zapp atori e minatori furono assegnati all ' artiglieria. Si moltiplicarono le scuole militari, soprattutto per preparare gli ufficiali del genio e di artiglieria, fu iniziata la regolamentazione delle carriere, ancora però molto dipendenti dal favore reale e, infine, fu creata una nuova unità organica, la divisione, in gra do di operare autonomamente.

Anche nel particolare settore dell'assistenza ai militari anziani furono compiuti passi significativi. Già nel 1670 era stato aperto a Parigi l'Hotel rqyal des Invalzdes, con il duplice scopo di offrire un dignitoso ricovero ai soldati mutilati e di diminuire il vagabondaggio e la mendicità; nel 1692 il governo inglese aveva autorizzato i soldati invalidi ospitati a Chelsea a congedarsi, fruendo di una modesta pensione; qualche anno dopo, nel 1707, la Prussia aveva adottato un analogo provvedimento. Ora i governi fecero un passo avanti. In Francia dopo 24 anni di servizio il soldato era congedato mantenendo per 8 anni la paga e l'uniforme, poco alla volta anche gli altri Stati si adeguarono e, in alcuni casi, furono previste provvidenze economiche anche per le vedove e gli orfani. Nello stesso periodo si generalizzò l'istituzione degli ospedali militari per la cura dei feriti e degli ammalati anche n e l t e mpo di pace.

Al progressivo razionalizzarsi d elle strutture ordinative e dell'organizzazione logistica si accompagnò un costante migliorame nto d elle armi e delle modalità di impiego.

Nell'ultimo quarto del secolo XVII si generalizzò l'uso del moschetto con l'accension e a facile, a pietra focaia ci o è 3 , e qualche anno dopo l'uso della baionetta 4, inizialmente sotto forma di pugnale con il manico di legno che si introduceva nella canna del moschetto e poi nella versione a ghiera, che non impediva l'azion e di fuoco. In seguito all'adozione della baionetta a ghiera sco mpar vero dalle formaz ioni di fanteria i picchieri in quanto lo s tesso fante era in gra do di sviluppare l'azione a distanza con il fuoco e di effettuare quella vicina con l 'arma bianca.

Nello stesso periodo cominciarono ad essere largamente impiegati nel combattimento ravvicinato le granate a mano 5 , lanciate da fanti di alta statura, i granatieri appunto, per otten ere un lancio più lungo.

Alla fine d el secolo nei reggim enti cli fanteria di tutti gli eserciti europei era presente una compagnia di granatieri, scelti per coraggio ed abilità oltre che per prestanza fisica.

Alla metà de l secolo XVIII il moschetto fece un ulteriore progresso. La bacchetta di legno che serviva a costipare la carica s i deformava spesso sia per l'uso prol~ngato sia per l'umidità, rendendo il caricamento dell'arma difficoltoso. L'adozione della bacchetta di ferro eliminò l'inconveniente e consenti un aumento della celerità di tiro .

Notevoli ne l periodo in esame anche i miglioramenti conseguiti dall'artiglieria Si gen e ralizzò la costruzion e delle bocche da fuoco per alesatura di un massello e questa nuova tecnica ne consentì un ulterior e alleggerimento e, quindi, una maggiore mobilità.

Al cannone si affiancò l'obice, una bocca da fuoco con caratteristiche balistiche intermedie tra quelle de l mortaio e quelle del cannone e che si dimostrò molto adatta a battere obiettivi in contropendenza. Si generalizzò, inoltre, nel periodo, l'usanza di classificare i cannoni dal peso, espresso in libbre, del proietto ed i mortai dal calibro, esp r esso in pollici.

Anche nel settore del munizionamento furono compiuti notevoli progressi, in particolare si diffuse l'impiego della granata. Per la verità il proietto scoppiante era state id eato molto tempo prima, secondo alcuni nel 1400 dal condottiero romagnolo Pandolfo Malatesta, secondo altri nel seco lo successivo dall'ingegnere militare fiorentino Bernardo Buontalenti.

Questi p r oietti erano costituiti da due semisfere cave di ferro, strettamente unite con alcune piccole chiavarde. In una semisfera era praticato un foro per l'introduzione della polvere costituente la carica di scoppio, foro che veniva poi otturato da un cilindretto di legno riempito di polvere fine da innesco e nel quale era annegato uno stoppino. All'atto del caricamento l'emisfero del proietto dal quale sporgeva lo scoppino era rivolto vers o la carica di lancio, in modo che la deflagraz ione di quest'ultima provocava l'accensione dello s toppino e po i della polvere conte nuta nel cilindretto ed infine di quella contenuta nel proietto, che esplodeva proiettando tutt'atcorno mor tali frammenti di metallo. Il sistema era pericoloso per i se rve n ti dell'arma: spesso il proietto esp lod e va n ella canna o appena fuori e perciò n o n era molto usato.

Ne l secolo XVII le migliorate conoscenze sul tempo di combustione di micce e di polve r e resero il tiro meno pericoloso ed il proietto esplod e nte, ribattezzaco granata in guanto l'emisfera riempita di polvere in grani ricordava una melagrana s paccata a metà, costituì il munizionamento più usato dai ca nn oni e soprattuttO dagli ob ici contro truppe allo scoperto.

D opo la prima me.tà del secolo XVIII si diffuse poi nei maggiori eserciti europei l'impiego di reparti di artiglieria a cavallo, unità di cannoni e di obici di piccolo calibro nelle quali anche i serventi erano montati. La grande mobilità di queste artiglierie non solo ne permise un rapido spostamento sul campo di bat taglia ma assicurò finalmente alla cavalleria quel sostegno di f1L1oco aderente e potente di cui da almeno un secolo avvertiva la nece ssità.

Un completo riordinamento dell'artiglieria fu poi compiuto in Francia, ad opera di Jean Baptiste Vaqu e tte de Gribeauval.

Questo valente artigliere , che aveva servito durante la guerra dei Sette Anni nell'esercito imperiale, fu richiamato in patria nel 1766 dal ministro della guerra Choiseul ed incaricato di riordi nare l'artiglieria Anche sulla bas e de lle esperienze fatte in guerra con l'ottima artiglieria austriaca, de Gribeauval rivo luzionò l'ordinamento di quella francese, partendo dal principio che l'artiglieria dovesse avere tanti materiali quanti erano i suoi speciali imp ieghi , cioè da campagna, da fortezza e da costa. Le qualità d el materia le da campagna dovevano essere la leggerezza, la precisione nel tiro, la fac ili tà della manovra; per questa specie di artiglieria adottò tre soli calibri pe r i cannoni (4, 8 e 12 libbre), ed uno (da 6 pollici) per gli obici; introd us se utili modifiche nei particolari di costruzione allo scopo di aumentarne la resistenza e diminuire il tormento dell'affusto nello sparo. I pezzi vennero allegger iti ed i carriaggi rinforzati; i cavalli vennero attaccati in pariglie anziché in fila, con tiro a timone anziché a stanghe, i conducenti - che fino ad allora erano civili sa lariati - divennero soldati; si adottarono i cassoni e gli ava n treni; nel puntamento de Grib eauval imp iegò per primo l'a lzo verticale fissato alla culata de l pezzo ed applicò agli affusti la vite di mira, già in uso in Germania.

La n ecess ità di difendere i confin i, sentita soprattutto in Francia dopo le acquisizioni te rr itoriali ottenute con i trattati di Westfalia (1648), dei P ir enei (1659) e di Aix - la - Chapelle (1668), d e tt e un nuo vo impulso all'arte fortificatoria, n ella quale eccelse Sébastien Le Preste, marchese di Vauban . Egli portò all'estremo perfezionamento il sistema del baluardo e della difesa bastionata, aumentando le opere di difesa davanti al fossato per tenere l ontane le artiglierie nemiche dalla cinta e per consentire di far fuoco alle spalle di un attaccante che avesse praticato una breccia nella cortina e si acc ingesse a penetrarvi. Il perimetro del forte divenne un susseguirs i di salie nti e r ien tranti con postazioni e feritoie che consentivano il fuoco ficcante dall'alto d ei bastioni e quello ra d ente al livello del fondo del fossato 6 .

Vauban si distinse anche n ella co ndotta degli assedi, p er i guaii codific ò la co struzione di tre successive trincee, parallele al tratto di cortina c he si voleva investire, raccordate da camminamenti a zig -zag, ed il tiro a rimbalzo (à ricochet) con iJ quale, facendo as s umere al proietto un angolo di caduta inferiore a venticinque g radi, e ra possibile battere d'infilata la fronte della fortificazione, fac e nd o sup erare dalla pall a il parap et to e pr o lungandone altresì la traiettoria.

Altro g rand e ingegnere nùlitare del periodo fu l' oland ese Menno van Coe hoorn, fautore dell'uso del mortaio per battere l'attaccante e strenuo as se rtore de lla neces sità di protegge re soprattutto i fian chi dei ba stioni. Verso la fine del Settecento emerse un altro g rande, il Moncalembert. Convinto che un ass edio non fosse altro che un du e ll o tra le opposte artiglierie, il Mo n talemb ert propos e di sistemare le artiglierie de l forte in casama tta, per metterle al riparo dall e offese del nemico.

P er con se ntire p oi un maggiore dominio di fuoco e di osservazio n e, egli avrebbe voluto sist e mare le artiglierie su appositi torrioni a più piani, da cui il n ome di fortificazione perpendicolare per indicare il s u o siste ma dife n sivo.

La grande importanza attribuita al fuoco e d alla fortificazione determinò una scarsa attenzion e ai probl e mi tattici , risolti in modo con venzio nale e sc h e matic o.

A nche la battaglia assunse forme geometriche.

L'introduzione d el fuc ile con l 'accension e a pietra focaia aveva n otevolmente ridotto il numero dei colpi man cati e resa poss ibile una maggiore cel e rità di tiro. Nella convinzione che il migli orato sviluppo d el fuoco fosse s u ffic ie nte a ri so lv ere il comb attimento , s i assottig liarono ancora le forma zio ni e s i gi un se così all'ordine lineare, costituito da due linee di battaglion i, distan ti l' una d all'altra 200 metri e pr otette s ui fia nchi dalla cavalleria.

Disporr e l' ese rcito in o rdin e di battaglia era p erciò un'opera zione comp lessa e sop r attutto lunga; la g ra nde estensione frontale di un esercito in linea richied eva inoltre , p er dare battaglia, la di spo nibilità di un terre no ampi o e pianeggia nte.

E ra perciò molto diffici le obbliga r e alla battaglia un avv e r sa ri o riluttante.

Il battaglione in linea, su tre righe, si articolava di solito in otto p lotoni . I p lotoni aprivano il fuoco a comando, uno dopo l'altro, ma alternativamente: il primo, il terzo, il quinto, il settimo; il secondo, il quarto, il sesto e l' ottavo In ogni plotone faceva fuoco la prima riga, poi la seconda, i nfin e la terza.

I battaglioni avanzavano molto lentamente, specie quando il te rreno rotto rendeva difficile mantenere l'allineamento: a 200 metri ed anche meno dal nemico effettuavano l'azione di fuoco, poi attaccavano alla baionetta. Occorrevano due anni per addestrare il soldato a compiere correttamente tutti i movimenti prescritti ed i ri sultati, molto brillanti in piazza d'armi , sul campo erano naturalmente p iutto sto deludenti.

La cavalleria, dalla quale si pretendeva l'urto sfondante, attaccava al ga loppo con la sc iabola, ma, opposta ad una fanteria ormai tutta di fucilieri, non sempre poteva essere impi egata con efficacia.

Quanto all'artiglieria, essa apriva il fuoco sulla fanteria avve rsaria, con munizionamento a mitraglia, a circa quattrocento metri di distanza e se non era subito n e utralizzata dalla cavalleria produceva n elle fil e dell'attaccante notevolissime perdite.

D i solito non si giungeva all'urto finale con baione tta inastata, la schiera che aveva riportato i danni maggiori dall'azione di fuoc o, o che era m eno agguerrita, si ritirava prima d el contatto.

Era molto difficile , quindi, che la vittoria fosse decisiva perché il rigido schieramento lineare non consentiva un inseguimento v igoroso, accuratamente evitato, del resto, da mo lti gener ali pe r ché la confus ione provocata da un ins eguimento avrebbe favorito le dis e rzioni.

L a mancanza dli riserve s ubito di spo nibili, dato che di norm a tu tto l'esercito ve niva schierato, non consentiva al comandante né il tempestivo sfr uttamento di una breccia aperta nel dispositivo avversario né la tempestiva chiusura di una falla verificatasi nel proprio di spositivo. Una tattica, dunque , che privilegiava la difesa, specie se questa era appoggiata ad un ostacolo di un certo valore impeditivo, spesso sufficiente da solo a scompaginare le rigide formazio ni dell'attaccante.

N onostante le molte limitazi o ni imposte dal razionalism o sette centesco all'arte della guerra, in quel periodo, che è stato definito come quello delle piccole guerre e dei grandi capitani, vi furono molti eccellenti ge n e ra li: M o nt ecucco li, Tu r e nn e, Marlborough , il principe E ug e ni o,

Maurizio di Sassonia, Federico II di Prussia. Quest'ultimo fu indubbiamente il migliore perché si rese conto che la manovra da sola non poteva portare ad un risult ato decisivo. "La guerra - scrisse - è decisa solo dalle battagli e e non si d ec ide senza di esse". Federico, perciò, si impegnò risolutamente in battaglia ogni volta che ritenne di trovarsi in condizioni favorevoli, aiutato dal fatto di essere generale e re nello stesso tempo, quindi in condizioni di decidere senza dover chiede r e alc un a a u torizzaz ione

Il comando dell'esercito era tenuto effettivamente dal re, coadiuvato da un commissario generale, che riuniva in sé le funzioni di capo di stato maggiore e d'intend ente generale dell ' esercito, e che provvedeva al funzionamento d ei servizi. Federico II costituì un corpo di 12 ufficiali scelti, un vero e proprio Stato Maggiore, che istruì partico larmente in lavori topografici, nello studio del terreno, nell'impiego delle varie armi; ad essi affidò inoltre gli incarichi di riconoscere le pos izioni nemiche, di compilare gli ordini di battaglia e di provvede re ai rifornimenti.

Le innovazioni tattiche introdotte da Federico II furono di poco rilievo prese ad una ad una ma, nell'insieme, migliorarono notevolmente il r en dim ento dell e sue truppe nel combattimento.

La fanteria fu addestrata a sparare con una ce leri tà di tiro di tre-quattr o colpi al minuto, ed is tnùta ad eseguire attacchi alla baionetta. Per armonizzare l'impiego del fuoco e d e ll'urto, Federico II addestrò la fant eria ad effettuare numerosi camb iamenti di formazione e di posizione. Le formazioni che i battaglioni di fanteria potevano assumere erano: a) la colonna aperta per marciare fuori dalla portata del tiro nemico e per lo spiegamento in battaglia; b) la linea su tre righe, usata principalmente per il fuoco; c) la colonna doppia o serrata, per l'attacco; d) il quadrato contro la cavalleria.

I cambiamenti di for m azione avvenivano per conversione e dovevano essere eseguiti con precisione geometrica.

Federico II cons id erò la cavalleria co m e arma d'urto; le tolse le armi da fuoco e add estrò gli squadroni a caricare al galoppo , sciabola in pugno, su ampie fronti, limitando la profondità degli squadroni a tre, e talvolta anc h e a du e righe.

L'impieg o spr eg iudicato e vincente d e lla cavalleria federiciana fu dovuto anch e a due eccellenti generali di cui è doveroso ricordare il nome, Ziethen e Seydlitz .

Federico Il fu anc he un grande artigliere e fu un maestro nell'impiegare l'artiglie ria a diretto sostegno d e ll a fanteria e della cavalleria Con i cannoni pesanti era solito batter e in breccia i trinceramenti campali del nemico, riservando all'azione di accompagnamento i cannon i da se i libbre in grado d i tirare sulle fanterie n emich e con efficacia sino a quattrocento metri con proietto a palla e sino a trecento con proie tto a mitraglia. Uguale sostegno di fuoco garantì alla cavalle ria con l'impi ego di batterie a cavallo in grado di seguire gli squa droni su tutti i t erreni e c on la stessa v elocità . II gran d e r e fu, in oltre, un estimatore delle possibilità di tiro offerte dall'obic e di cui si servì per battere le riser ve austriache, solitamente tenute al riparo di qualche modesto rilievo per sottrarle al tiro diretto .

Ma è soprattutto nel campo strategico che Federico II si distinse dagli altri generali dell'epoca

Ne i s u oi primi anni di regno egli po se a base d ella sua condotta della guerra l'offensiva , acce ttando la dife nsiva solo in via temporanea, per risolvere particolari situazioni occasionali. Lo scopo dell'offens iva per Federico II era l'annientamento materiale dell e forze avversa ri e, n on la conquis ta di obiettivi terri toriali, come era, invece, per i cond ottieri suoi contemporane i.

Coerente al concetto generale di guerra offensiva ed al suo scopo fu l'esplicazione del concetto offens ivo, cio è il disegno di manovra Trovandosi Federico II con il suo esercito, tutto unito sotto i suo i o rdini , in posizione centrale rispetto ai suoi avversari, irrompenti da varie direzioni, ma materialmente separati fra loro e privi di un u n ico concetto operativo, egli, la s ciate poche forze ad osservare le varie direz ioni di attacco avve rsari e , co n il grosso d e ll' esercito si rivolgeva contro l'armata nemica più p ericolosa, la sco nfiggeva, quindi, si spostava contro il più minaccioso dei rimanenti avversari. In sintesi: contro ogni singo la massa avversaria Fe derico II marciò con il suo esercito riunito, anch e se articolato in più colonne, su un'unica direzione (marcia diretta al nemico).

Per quanto attiene al modo di condurre la battaglia di F ederico II, rip o rtiamo guanto ha scri tto sull'argo mento un ormai dimenticato maestro d ella s toria militare italia n a, il g e n e rale Arturo Vac ca -Maggiolini 7 .

"Federico II non rinunciò alla rigida tattica lineare, ma, sfruttandola sagacemente e traendo partito dall'abilità manovriera delle proprie truppe, si propose di ottenere la superiorità num erica sopra un punto della linea del nemico ove risultasse a questo difficile concentrare in tempo le forze per contrastare l'a ttacco. Particolarmente propizia a tale man ovra apparivano le ali nemiche, poiché esse, per la mancanza quasi assoluta di riserve insita nel sistema lineare, non avevano modo d'essere sostenute e risultavano perciò vulnerabilissìme. Che se il nemico tentava, per fronteggiar e l'attacco d'ala di Federico, di mutare lo schieramento faticosamente raggiunto, l'e ffetto non risultava meno disastroso, poiché quelle truppe non abituate alla manovra, persuase che le rigide fronti lineari fossero sufficienti, anzi indispensabili, per ottener la vittoria, si disaminavano subito non appena erano costrette, sul campo di battaglia, a muovere, a rompere le loro ben disposte ordinanze.

E d'ordinario, prima ancora ch'esse riu sc is sero a raggiungere il nuovo schieramento, rigidamente foggiato anch'esso a muro dì fuoco, sopravvenivan o i man ovrieri battaglioni di Federico ed i suoi impetuosi squadroni a mutare il disordin e e lo scoraggiamento iniziali in decisa sconfitta.

Contro l'ala prescelta - e prefe ribilmente contro la sua parte estrema - Federico II schierava dunque e poi faceva avanzare il proprio esercito su una fronte obliqua rispetto allo schieramento nemico. Ciò gli permetteva di impegnare le proprie forze gradualmente e successivamente in proporzione alla resis tenza incontrata, talché, pur senza costituirsi una vera riserva, gli restava sempre disponibile, e perciò pronta a proteggere la ritirata in caso di insucce sso, una parte della propria linea: quella più arretrata al nemico.

Notevo le vantaggio di un tal genere d'attacco era poi anche questo: che esso, contrariamente ad una azione frontale, non esigeva né assoluta continuità della linea , né una vera marcia "in ba ttaglia", visto che i reparti dovevano, in ogni modo, venire ad urtare successivamente contro il nemico. E Federico II, infatti, negli attacchi d'ala fece sempre muovere le proprie truppe a scaglioni (spingendo cioè innanzi per primi i reparti che, per la posizione obliqua delle due linee opposte, risultavano più vicini al nemico e trattenendo via via più indietro gli altri) riuscendo così a rendere più agevole ed elastica l'avanzata, se nza nulla togliere con ciò alla potenza d 'urto.

Era insomma l'ordine obliquo, vecchio quanto la guerra (la s ua prima apparizione è attribuita ad Epaminonda) che rinasc eva o meglio si adattava alle nec essità mome ntan ee d ella guerra".

La manovra rapida e decisa, essenziale nella strategia federi ciana, doveva essere sostenuta da una adeguata organizzazione lo gistica Federico II diminuì la consistenza dei magazzini riducendoli a soli depositi di farina e cercò anche di nasconderne il più possibile l'esiste nza; prescrisse che il rifornimento dei magazzini stessi fosse fatto preferibilmente con incette in località circostanti anziché con invii dall'interno del paese. I magazzini rifornivano i forni di campagna, dai quali le truppe prelevavano il pane. Il soldato portava con sé tre giornate di pan e e altre sei n e portavano i carri dei reggimenti; nove in totale. Ne veniva che quando le truppe dovevano scostarsi più di cinque giornate di marcia dai forni (cinque giorni di andata e quattro di ritorno) questi dovevano essere portati innanzi. Il sistema fu chiamato "delle cinque marce", rappresentando qu este il grado di autonomia delle truppe rispetto ai magazzini e ai forni.

Questo sistema comportò l'impiego di trenta carri ogni mille uomini; la rigida disciplina dell'esercito fed eric iano permise che tale carreggio non intralciasse il movimento delle truppe.

Anche Federic o II tuttavia, una volta ottenuta la Slesia, divenne fautore d i una strategia cauta e prudente e le sue ultime campagne fur o n o ricche di manovre ma povere di battaglie.

In definiti va il ·monarca pru ss ian o fu l'e spress ion e più alta della guerra settecentesca e n o n l'iniziatore di un nuovo modo di risolvere i conflitti.

Il secolo XVIII rappresentò quindi "il trionfo dell'azione tattica distruttiva coll'arma da getto sopra l'azione tattica risolutiva all'arma bianca: il che significa poi il trionfo della difensiva sull'offensiva e di conseguenza una strategia mal servita dalla tattica, guerre lunghe e lente, in cui spesso il fattore politico predomina su quello strettamente militare" 8

Le ultim e riforme se tt ecen tesche

Le "guerre limitate" furono messe in discussione nell'ultima parte del secolo XVIII sia dla studiosi civili sia da studiosi militari e, specie nella Francia, sco nfitta nella guerra dei Sette Anni, l'argomento fu vivacemente dibattuto. Tutti, ormai, avevano compreso che il principio di origine mercantilistica 9 di abbandonare la difesa dello Stato a personale militare di professione era conveniente, perché consentiva una migliore efficienza dell'apparato militare senza toccare le categorie produttive, ma era tuttavia una fonte di debolezza, in quanto non utilizzava interamente le risorse offerte dal potenzia le umano ed economico della nazione.

Alcuni pensatori, inoltre, avevano individuato nell'esercito mercenario al soldo della corona un possibile strumento di oppressione. Anche Voltaire criticò il sistema militare del suo tempo, ironizzando sul fatto che i difensori dello Stato fossero reclutati fra le categorie sociali più rozze ed ignoranti. Montesquieu riteneva che un esercito di cittadini potesse rappresentare una limitazione al dispotismo d ei governi In uno Stato ben ordina to, sc riveva, l' esercito deve esser costituito dal popolo, come nella Roma repubblicana . Rou ssea u, poi, si spinse ancora più avanti, oltre il comune pensiero del seco lo, ed affermò che tutti i cittadini avevano il dovere di combattere in difesa de l proprio paese.

Nell'ambito militare francese, impressionato dall e campagne di Federico II, s i sviluppò un n otevole contrasto intellettuale tra coloro che propendevano per l'integrale applicazione d ei m etodi prussiani con i relativi ordini, lineare ed obliquo, e coloro che soste n eva no la necessità di introdurre l'ordin e profondo o perpendicolare, che comportava l'urto finale alla baione tta ed escludeva lo spiegamento dei battaglioni, se non in casi eccezionali e solo per l'esecuzione del fuoco.

Tra le due correnti di pensiero, quella fautrice del fuoco, e quindi dell'ordine lineare o sottile e quella propugnatrice dell' urto, e quindi dell'ordine perpendicolare o profondo, si fece strada una terza sol u zio n e, l'ordine misto che prevedeva l' ordine lineare per il fuoco e quello perpendicolare per l'urto, con rapidi passaggi dalla linea alla colonna non più per conversione ma con semplici movimenti per fianco e per fila.

Notevo li miglioramenti furono cons eguiti, inve ce, per quanto riguarda i servizi logistici, la preparazione professionale dei Quadri, gli ordinamenti. Sotto la guida lungimirante ed intelligente dei ministri D'Argenson, Choiseul e Saint-Germain furono riorganizzati i vari servizi tecnici e amministrativi e migliorata notevolmente la condizione material e e morale del soldato. In particolare si deve al D'Argenson il riordinamento del servizio sanitario, l'unione della direzione delle fortificazioni al ministero della Guerra, la fondazione della scuola rea le militare di Parigi e cli quella del genio di Mézières. Choiseul determinò il numero delle unità nella composizione dei corpi fino ad allora variabile, avocò allo Stato il reclutamento e il mantenimento delle compagnie, regolò con norme fisse gli avanzamenti, determinò le pensioni dei soldati, fondò la scuola veterinaria di d'Al fort e la scuola per gli ufficiali cli stato maggiore a Grenoble, affidandone il comando al Bourcet. Il programma didattico di tale scuola era veramente moderno: "ogni frequentatore doveva partecipare a quattro campagne tattiche, al t er mine di ognuna delle quali veniva esami nato . La prima campagna consisteva in ricognizioni locali sulla frontiera; nella seconda si dovevano individuare gli sbocchi offe nsivi e le posizioni da sistemare a difesa; la terza era dedicata all'organizzazione delle marce e dei rifornime nti; la quarta aveva per argomento la stesura dei pian i di operazione.

Per facilitare il lavoro degli ufficiali allievi erano messi a loro disposizione disegnatori e guide e, alla fine di ciascun anno accademico, sulla base delle note val utative compilate dal Bourcet, veniva loro aumentato lo stipendio" 10.

Nel 1766 il Saint-Germain istituì dodici scuole per l'istruzione primaria dei Quadri. Queste scuole, affidate ad ordini religiosi, erano autonome per quanto rig uard ava materie e metodi di insegnamento, tuttavia erano obbligatoriamente insegnate: l'attacco e la difesa delle piazzeforti , le evol uzio ni d ella truppa, il maneggio delle armi e qualche nozione di topografi.a e di impiego di artiglieria. Gli allievi migliori era no poi ammessi a frequentare l'Ecole Militaire di Parigi.

Il Saint- Germain fu il creator e d e l Consiglio della guerra, un supremo comitato consultivo costituito dai generali più anziani che ebbe, tra gli altri, anche il compito di determinare le tabelle organiche delle grandi unità. Infine il grande ministro soppresse definitivamente l'assegnazione delle compagnie come proprietà ad personam e pose fine alla vendita dei gradi inferiori.

Le riforme adottate dall'esercito francese furono, almeno in parte, adottate anche da molti altri eserc iti europei e contribuirono quindi ad un generale progresso dell'arte militare.

La guerra sul mare

Nel corso del Settecento il combattimento navale fu sempre più condizionato dal fuoco e le flotte impararono a combattere as sumendo rigorose formazioni in linea di fila, per utilizzare al massimo il fuoco di bordata diretto quasi sempre contro la linea di galleggiamento delle nav i avversarie e, soltanto eccezionalmente, impiegando palle incatenate contro l'alberatura. La definitiva vittoria delle formazioni in linea di fila su quelle in linea di fronte determinò la generale adozione del termine nave di linea per indicare la nave da guerra. E per rendere le bordate più nutrite e quindi più devastanti, poiché non era possibile allungare gli scafi oltre i 70 metr i per non perdere rigidità e solidità longitudinali, si sfruttò l'altezza, costruendo vascelli anche con tre ponti di batteria, uno sopra l'altro.

Le dimensioni medie dei vascelli erano di 50- 60 metri di lunghezza al galleggiamento, di 15 metri di larghezza massima, con un pescaggio di circa 6 metri ed un dislocamento di 3000-4000 tonnellate.

La velatura era ripartita fra quattro alberi, da prora a poppa: bompresso, trinchetto, maestra e mezzana. L'armamento principe era costituito da cannoni, da 40 o da 32 nel ponte inferiore, da 24 o da 18 in quello intermedio.

L'Inghilterra fu la prima nazione a creare una marina militare ben distinta da quella mercanti le ed a servirsene per difendere il suo rigoglioso traffico commerciale, ma Francia ed Olanda non persero tempo ad imitarla e le guerre europee cominciarono ad essere combattute anche sul mare ed i trattati di pace a sancire il passaggio di possedimenti d'oltremare da una nazione all'altra.

Nel corso del Settecento, nella sua lunga lotta contro la Fra ncia, l'Inghilte rra adottò costantemente la strategia del blocco, costringendo le flotte francesi nei porti di Brest e di Tolone e provocando, come reazione, un intensificarsi della guerra di corsa 11 . Con la pace di Utrecht del 1713 i governi si impegnarono a non concedere più autorizzazioni a condurre tale tipo d i guerra, ma sia nella guerra dei Sette Anni sia durante le guerre d'indipendenza americana la guerra corsara riprese vigore, senza peraltro scalfire il dominio navale ingles e. La caccia ai corsari provocò, peraltro, la costruzione di un nuovo tipo di nave da guerra, la fregata, di tonnellaggio più ridotto rispetto ai maestosi "tre ponti", con un minor numero di cannoni, ma con uno sviluppo velico maggiore e quindi dotata di una maggiore ve locità. La versatilità d'impiego della fregata e della sua sorella minore, la corvetta, determinarono una graduale diminuzione dei grossi vasce lli di linea ed una maggiore scioltezza nelle evoluzioni, con indubbi vantaggi per le qualità nautiche delle navi e d egli equipaggi.

Letteratu ra mili t are

Antoine de Pas, marchese di Feuquières (1648 - 1711). Militare cli car riera, caduto in disgrazia quando ricopriva il grado di tenente generale, occupò il tempo compilando i Memoires sur la guerre, pubblicato ad A msterda m per sfiuggire alla censura francese. L'opera è divisa in due parti, una dedicata alla tattica l'altra all'amministrazione. Fautore cli un'energica offensiva da intraprendere immediatamente all'inizio della guerra per disorganizzare l'avversario, il F e uquière s è indubbiamen t e un rinnovatore dell'arte militare del suo tempo, da lui g iudicata troppo metodica e prudente.

Gian Carlo de Folard (1669-1752). Militare cli professione e studioso degli antichi scrittori di argomenti militari, si rese conto delle limitazioni che l'ordine lineare imponeva alla tattica e ritenne cli superare il problema privilegiando l' urto.

Nel suo trattato Découvertes sur la guerre del 1724 propose di effettuare l'azione decisiva dell'urto con l'impiego della colonna, un r e ttangolo compatto d i fanti - fino a 6 ba t taglioni serrati uno di etro l'altro - che avrebbe sfondato qualsiasi schieramento e che l'artiglieria non avrebbe potuto contrastare con e ffic ac ia.

Ne l 1727 pubblicò i Commentaires sur Polibe, opera di grande erudizione, v iziata dalla pretesa cli collegare ogni atto tattico alla colonna. Le sue teorie furono molto discusse, indubbiamente mo lti avve r tivano la necessità di s uperare l'ordine sottile per ridare flessibilità e slancio al movimento, ma pochi erano d'accordo sul fatto che il fuoco dovesse essere consid e rato un fattore cli scarso peso nell'andamento della battaglia.

Jean Baptiste Vaquette de Gribeauval (1715 - 1789), uffic iale d'artiglieria prestato dalla Francia all'Austria durante la guerra dei Sette Anni, contribuì al ri o rdinamento dell'artiglieria austriaca e, tornato in Francia, riorganizzò quella francese, come abbiamo d etto in prece d enza. Nel 1792, a spese dello Stato, il risultato degli studi del Gribeauval fu riunito in un libro intitolato Tables des costructions des principaux attirails de l'artillerie che fu utilizzato dagli artiglieri e urop ei per circa un se colo.

Al tro valente artigliere fu Jean du Teil de Baumont (1738-1820). Insegnante alla Scuola di Artiglieria di Auxonne, diretta da l fratello Jean Pierre, scrisse Usage de /'arti/ferie nouvelle nel 1778 e Manouvres d'infanterie pour résister à la cavalerie et attacquer avec succés n el 1782.

Ispirandosi agli sc ri tti del Guibert il du Teil diede norme precise per la difesa delle coste, per la guerra d'assedio , per i combattimenti in campo aperto, prescrivendo sempre la concentrazione del fuoco d'artiglieria, la mobilità delle batterie, la rapidità del tiro. Il buon senso, la chiarezza dell'esposizione, l' equilibrio delle idee rendono il du Teil superiore agli altri scrittori militari.

Giacomo Antonio Ippolito Guibert (1743-1790), ufficiale e letterato prese parte alla guerra d ei Sette Anni con il grado di capitano e poi alla campagna in Corsica.

Nel 1772 fece pubblicare, anonimo, a Londra, il suo trattato E ssai générai de tactique, preceduto da un Discours sur l'état actuel de la politique et de la science militaire en Europe. Nel volume il Guibert analizzò con acume il clima dell'epoca: governi paurosi di armare i sudditi, popolazioni non più avvezze alla guerra, eserciti costituiti da elementi di scarto, guerre poco ri so lutive perché condotte fiaccamente.

Secondo il giovane autore la nazione che, per prima, avesse saputo creare un esercito d i popolo, capace di condurre una guerra rapida e vigorosa perché libero dalla servitù dei magazz ini e permeato di forti idealità, avr ebbe conseguito il predominio europeo.

Meno felice nell'ideazione del nuovo esercito, il Guibert soste nne la necessità di d emolire molte fortezze e di diminuire il numero dei magazzini. Il suo esercito di ridotte din1ensioni, con poca artiglieria e poca cavalleria, si sarebbe schierato s u tre righe e solo eccezionalmente per colonna perché se è vero che l'ordine sottile non si presta ai terreni rotti è anche vero che l'ordine profondo n on consente l'impiego de l fuoco . Guibert, ino ltre, sos t enne l'opportunità di passare dalla linea alla co lonna e viceversa non più per conversione, manovra lenta e laboriosa, ma con i semplicissimi movimenti per fianco e per fila e suggerì l'adozione di p iccole colonne di compagnia a d ista nza intera.

Nel 1779 il Guibert pubblicò La défense du système de guerre moderne per ampliare i concetti tattici espressi nel suo primo lavoro. Anche in questo trattato però la sua prassi guerresca non andò oltre quella federiciana, ricercando la v ittoria non attraverso la battaglia ma esclusivam e nte con la manovra, dimostrandos i convinto della superiorità della difensiva sul1 'offensiva a causa della prevalenza de l fuoco s ull ' urto. Chiamato a far parte del Consiglio di Amministrazione della Guerra, il Guibert partecipò alle discussioni per le riforme attuate dal ministro Saint-Germain e compilò in gran parte i regolamenti provvisori per la fanteria del 1776, del 1788 e del 1791 che privilegiarono ancora, sia pure con qualche attenuazione, l'ordine lineare.

G i useppe Palmieri (1721 - 1793), ufficia le nell'eserc it o de l re cli Napoli in g ioventù, nel 17 61 dette alle s t ampe le Riflessioni critiche sull'Arte della Guerra. L'opera contiene mo lte va lide osservazioni circa l'importanza del t erreno ai fini d ella manovra, s ulla v alidità della for ti ficazi o ne campale, sull'efficacia della sorpresa, sulla correlazione tra armi e ordini, in quanto le armi non valgono solo in funz io ne dell 'individuo m a soprattutto della massa che le adopera, quindi ordine sottile per gli armati di fucile, ordine profondo per g li armati di picca. Anche il Palmieri n on sep p e uscire dalle pastoie settecentesche e finì con l' appoggiare la cons ueta tattica dell'a tta cco frontale esercitata da una sottile linea di tiratori. Anche il Palmieri, quindi, n on comprese il fondamentale rapporto tra ar te mili tare e conclizioni economico -politico -socia li.

François Jean <le Graindorye , barone Mesnil Durand (1729 - 1 799) prese parte alla guerra per la successione d'Austria ed a quella dei Sette

A n ni.

E logiatore della baionetta, sprezzatore del fuoco, fautore d ell'urto per mezzo dell'o r dine profondo, sc r is se nel 1732 il Prqjet d'un ordrefrançais en tactique e nel 1755 il Traité des plésions. Il Mesnil Durand propose l'impiego di una co lo nna (plésion) di 32 uomini di fronte e 24 righe di profo ndità, 768 uomini in totale, che per il movim e nt o poteva suddivi d ersi in formazioni minori ma ch e per l'azione d'urto avrebbe agito riun ita.

E in effe tti il duca di Broglie, del qua le l' au tore era aiutante di campo, nella vitto r iosa battaglia di Bergen, fece combattere la fanteria schiera ta in colonne. Tuttavia le idee del Mes nil Durand furono molto criticate, soprattutto dal Guib e rt, e non eb b ero cittadinanza nella rego lamentazione dell'esercito francese .

Pierre Joseph de Bourcet (17 11 -1 775) ufficiale del corpo d egli ingegneri , fu consigliere a p prezzato di molti generali dura nt e le gue rre di successione austriaca e dei Se tte A n n i. Topografo di eccez ionale valore e spec iali sta d ella guerra in montagna, scrisse i Principes de la guerre de montagne ed alcune Mémoires, destinate agli ufficiali frequentatori della sc uola di Grenoble. Fu il primo valido teorico della guer r a sulle Alpi, co n sultato e seguito per tutto l'Otto cento.

Evans Henry Lloyd (1729 -1783), generale ing lese al servizio francese, autore nel 1781 dei Military Memon·es, ampio trattato di arte della guerra che chiude l'epoca dei grandi teor ici militari del Settecento e nel quale si rive lò fautore d i una strategia cauta e manovriera che privilegiava la difensiva .

Sulla base di un accurato studio della guerra dei Sette Anni, il Llo yd affermò la necessità per un generale di fondare la propria az ione su ll a conoscenza de l t err itorio, lo studio delle posizioni, degli accampamenti, d egli itinerari. Detto studio avrebbe consentito di agire con rigore geometrico senza essere mai obbligato ad accettare il combattimento . Infine uno scrittore di arte militare nava le: il gesuita Paul Hoste , capp e llano sulle navi di Luigi XIV. Nel 1697 Hoste pubblicò il Trattato delle evoluzioni navali che compendiava i progressi compiuti dalle marin e d ell' epoca nella tecnica v elica e che, naturalment e, prescriveva la formazion e in linea per il combattimento, la sola che permettess e l'azion e di fuoc o senza limitazioni.

NOTE AL CAPITOLO vm

1 ROBSON, E., L'arte della guerra, in AA.W., Storie del nto!ldo n1oder110, voi. VII, Milano, Mondadori, 1968, pag. 227.

2 Al riguardo è sin tomatico u n pa sso di u na lertera di Luigi XIV a l grande Turenne: " Benché vi abbia detto che vi lasci o libertà di andare ad attaccare il nemico, reputo c he sia sempre meglio non cercare l'occasione di un combartimento".

3 Tl moschert0 a focile era più efficicnre di quello a miccia e meno costoso di queUo a ruota. Azionando il grille tto il cane, c h e racchi u deva nell e sue gan asce una pietra focaia, si abbatteva su una piastra di ferro, detta batteria, p rovocando alcune scintille che accendevano la p o lvere d'innesco contenuta nello scodellino sottostante. li nome del congegno d'accensione è passato poi a designare tutta l'arm a l l La guerra di corsa era esercitata da privati imprendi tori-capitani che attaccavano le navi dei paesi in guerra co n il loro sulla base di un'a u torizzazione d e l proprio governo. Non sempre era però facile distin guere il corsaro dal p irata.

4 Sembra c h e il termine baio n etta derivi da Bayonne, città nella quale l'arma era fabbricata in gran numero e che il merito deU'invenzione spetti a Vauban (1682).

5 Le granate a mano, di forma sferica e di peso co m preso era i cinquecenro e gli ottocen to gra mmi, era n o lanciati ad una disranza di venticinqu e-trenta me tti in m odo da non coinvolgere il lanciatore nel raggio di proiezione delle schegge. La granata era una sfera metallica ripiena di polvere nera cd era chiusa da un tappo forato dal quale fuoriusciva una miccia, regolata in lun g h ezza secondo la durata della traie ttoria cd accesa dal lanciatore al mome nto del lancio.

6 Il tiro dall'alto, chiamato ficcante, anche quando non è esano di poco manca completamente il bersaglio ed affonda nel terreno, senza causa re apprezzabili danni. Il tiro teso effettuato rad ente al terreno, invece percorre g ra n parte della sua traiettoria in mezzo aUe schiere awersarie e può perciò colpire un a ltro bersaglio se non ha raggiunto quello mirato.

7 VACCA-i\lAGGTOLTNI, A., La g11e"a 11ei uro/i XVT/1 e XIX, Torino, Tipografia Editrice Enrico Schio ppo, 1927.

8 PlElU, P., op. cit., pag. t 1 1 .

9 Mercantilismo è il termine con il quale si indica la politica di espansione e di sviluppo economico intrapresa dai grandi stati europei nci secoli XVJ, XVTT e }.'Vl JI Secondo il pe ns ie ro m erca n tilista, il commerci o internaz io nale è il m ezzo p i ù imp o rtante per accrescere la ricchezza nazionale. Uno stato, infatti, se riesce a vendere aU'cstero più di quanto è costretto a comperare realizza un saldo attivo. Il commercio arricchisce uno stato neUa mis ura in cui ne impoverisce u n altro, di qui la ne cessità, p er i mercantilisti, di a d o t tare provve dime n ti capaci d.i a um entare le esportazioni e ridurre le imporcazioni, quali il sussidio aUe industrie nazionali, il divieto della vendita aU'cstero di materie prime, l'adozione di un sistema protezionistico, il divieto di esportare metalli p reziosi.

1O BOV10, O., Un 11.fficiale di staio 11111ggiore dinttnlicalo: Pierre B011rcet, in Studi storiro 111ilita1i 1988, Roma, Ufficio Storic o dello Stato Maggiore dell'Esercito, 1990 .

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