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CAPITOLO IV
Il Med Ioevo
All'I mp ero Romano d'Occidente, scomparso n e l 476 d.C., succedettero molti regni barbarici almeno all'inizio teoricamente federati dell'Impero Romano d'Oriente, di cui uno solo sopravviverà, quello dei Franchi a cui Cl odoveo riuscì a conferire un ass etto s tabile ne l V I seco lo.
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r on mette conto di occuparci delle guerre che quei regni combatterono tra loro e contro gli Arabi ed i Bizantini, ma occorre sapere che la frattura tra la raffinata organizzazione militare romana e quella primitiva dei popoli germanici fu radicale, sia pure con sfumature diverse nei van regru.
Il sistema militare romano era basato sulla presenza di un esercito permanente, composto da soldati professionisti, regolarmente retribuiti g razie ad una efficiente burocrazia statale e ad un avanzato sistema fiscale. Questo esercito aveva il co mpito di assicurare la difesa dei confini e di garantire la sicurezza all'interno dell'impero, per cui il ricorso alla magistratura era considerato dai popoli dell'impero il metodo normale per dirimere qualsiasi controversia.
I regni barbarici non seppero mantenere in vita l'organizzazione statale ereditata dai R omani e con la sco mparsa della burocrazia e del fisco vennero meno le condizioni per l'es istenza di un esercito permanente e di un regolar e sis tema giudiziario.
Il reclutamento degli ese rciti di quei regni fu perciò basato sull'obbligo tradizionale per ogni uomo libero di obbedire alla chiamata alle armi del re e di servire per tutta la durata della campagna .
Nel regno dei Franchi, come si è detto il r egno barbarico più longevo, ogni uomo libero era tenuto a rispondere alla chiamata reale ed a servire nell'esercito per tutta la durata della campagna, provvedendo altresì al suo equipaggiamento ed al suo mantenimento. Il re e tutti i grandi notabili del regno disponevano però di una guardia personale, vere e proprie piccole armate di mercenari.
Protetto da una bruina di maglie di ferro fino alle ginocchia e dotato di uno scudo di legno, circolare o ellittico, ricoperto cli cuoi o, il fante franco era armato di una piccola scure, la francisca, di una spada a due tagli, di lancia opp ure di arco e frecce.
L'esercito franco era un esercito di fanti ed usava una tattica molto elementare: riunito in una formazione a cuneo, si lanciava con impeto contro il nemico. G iunto ad una decina di metri dall'avversario, veniva effettuato il lancio della scure e poi iniziava il corpo a corpo con lancia e spada. Con il tempo questa tattica primitiva si evolse, la componente cavalleria aumentò di importanza e all'epoca di Carlo Magno l'esercito franco era capace di manovrare e di reiterare gli sforzi, armonizzando l'azion e dei cavalieri con quella dei fanti.
Gli eserciti dei regni barbarici continuarono ad avere le caratteristiche che da sempre avevano contraddistinto le armate dei barbari invasori: piccole dimensioni, procedimenti tattici rudimentali, apparato logistico quasi inesistente, mentre, nell'insicurezza generale, "ogni individuo, ogni gruppo sociale o familiare dovette provvedere da sé alla propria sicurezza, difendere i propri diritti ed i propri interessi con le armi" 1 .
Ed alla nec ess ità di autodifendersi si deve attribuire il permanere nei regni barbarici di milizie cittadine, incaricate di difendere le mura, nell e quali fo largamente presente l'el e mento auto cton o profondamente romanizzato, nei primi tempi escluso dall'esercito vero e proprio.
Il p er man ere di una qualche tradizione militare tra gli abitanti dell e città sarà poi alla radice, secoli dopo, de l so rgere di milizie citta din e in grado di affrontare e di battere gli eserciti della feudalità.
I Bizan tini
L' eredità militare romana si mantenne vita le e feconda invece in Oriente, dove l'impero bizantino ancora per lunghi secoli utili zzò l'esp erienza romana, natural mente con g li adeguame n ti imposti dal diverso ambiente e dalla mutata situazione politico-sociale.
Gli imperatori bizantini, m olto attenti e scrupo losi nell'esercizio della loro funzione di capi dello Stato, mantennero il controllo di tutte le istituzioni con una disciplina rigorosa e con un'organizzazione razionale e dedicarono una particolare cura all'ese r cito ed alla flotta
Prova evidente di questa attenzione sono diversi trattati di argomento militare s critti di proprio pugno da alcuni imp eratori, in particolare: lo Strategikon di Maurizio, scritto in to rno al 580 d .C., poc o prima che diventasse imperarore; la Tactica di Leone VI il Saggio, scri tto intorno al 900; il piccolo manuale d e ll 'im p eratore guerriero N ic cforo Fo cas, scritto verso il 980. Il più importante dei tre è lo Strategikon, un trattato di arte militare in tutti i suoi aspetti, no n molto dissimile dai mode rni manuali, e che si occupa di addestramento, di operazioni campa li, di amministrazione, di logistica e di diversi altri problemi militari.
A ltre notizie sull'organizzazione dell' ese rci te bizantino e sulla tattica d a esso usata si ricavano dall 'opera di Procop io da Cesarea, storico delle gu erre gotico-bizantine.
Le norme dottrinali ed orga nizzative illustrate in queste opere perrnisero ai Bizantini di adattare il lo ro sistema militare prima alla sfida persiana e poi a quella islamica e di mantenere la loro sup r emazia sui popoli confinanti per mo[ti secoli
L'unità base, sia amministra tiva sia tattica, d e ll'e se rcite biz antino, per la fanteria com e per la cavalleria, e ra i l numero o banda di 300- 400 uomin i, comandato da un drungario C inqu e o sei numeri formavano una turma, comandata da un turmarca, e due o tre turme costituivano un tema, comandato da uno stratega. Un particolare accorgimento spesso a t tuato dai Bizantini era quello di costituire le unità con organici variabili, in m o do da rendere ai loro avversari difficile va lutare l'esatta forza delle armate.
Il soldato rappre se ntativo dell'esercito bizantino no n era però una copia del legionario romano, e ra un arciere a cavallo p r otetto da una cotta di maglia.
Nel modo di combattere bizantino gli arcieri a cavallo, infatti, appoggiati dalla fanteria arma ta d i lancia e scudo e da lla cavalleria p esa n te a nch'essa armata di lanc ia, co stituiva n o l'e lemento p rincipale e d a essi era demandate quel proc e dim e nto di rapido attacco e di r e pentino sganciamento, più volte ripetu t o, che tanto aveva m esso in difficoltà gli eserciti romani nelle guerre p artiche.
Gli arcieri bizantini, sia a piedi sia a cavallo, era no m o lto temuti per la lo r o potenza di tiro, otten uta grazie ad un particolare accorgimento: p o rtavano l'a rc o all'altezza della fronte e tendeva n o la corda fino all'orec chio . Le frecce così scocca te erano in grado di perforare scudi e coraz ze. Procop io da Cesarea, lo s t orico militare bizantin o più n oto, così de scrisse gli arcieri a cavallo: "Cavalcano benissimo e sono anche capaci, facendo girare rapidam ente il cavallo, di lanciare senza difficoltà frecce in tutt e le direzioni e di ins eguire i n e mici in fuga colpendoli con grande precisione".
I Bizantin i erano anche m olto a b ili nelle t ecniche d'assedio. Durante le guerre contro i Goti per la riconquista dell'Italia i Bizantini riu sciro no a penetrare in Napoli attraverso un'apertura, praticata in un a ro ccia anni prima per la costruzione di un acquedotto, mentre r esistettero validamente all'assedio dei Goti di Vitige a Roma, difenden d o per oltre un anno la città appoggiandosi alle mura aureliane.
L'es e rci to bizantino fu poi p er lunghi secoli sostenuto da un a flotta poderosa, padrona del Mediterraneo ed in grado di trasportare rapidamente corpi di spedizione nei paesi dell'Africa m editerranea ed in Italia e di rifornirli con regolarità.
La nave d a guerra bizantina era il dromone, lung o d a 50 a 60 m e tri, bireme con 50 remi per l ato su du e ordini. Ne l dromone si alzavano due alb eri con vele q u a dre e poi triango lari , d e tte vele latine, più maneggevoli. Per i trasporti era usato il panfilo, simile al dromone ma m eno snello. I Bizantini ado tta r ono una misce la liquida incendiaria - il fuoco greco - che era lanciata sulle navi avversarie mediante dei sifoni di rame co ll o cati a prua.
Dopo le invasioni arabe, che sconvo ls ero la v ecchia organizzazione provincia le d ell'impero, l' ese rc ito operativo venn e integrato in una organizzazione territoriale di distretti militari
Questo sistema e bb e inizio q uand o ven nero ri occ upate le provincie dell'Anato lia e l'autorità locale dovette essere necessariamente esercitata dal comandante militare, responsabile della difesa della r egione. Di fronte alla continua minaccia delle incurs ioni nemiche, gli imperatori adottarono permanentemente que s to sistema ammi ni strativo civile-militar e, ad o gni distretto fu assegnato un tema agli o rdini di uno stratega: il tema costituiva la guarnigion e del distretto, articolato in unità amministrative e militari più piccole, alle dip e nd enze dei turma r c hi e dei drungari. Il tema era affiancato da una milizia, ch e oggi si potrebbe chiamare guardia nazional e, costituita da tutti gli abitanti abili d el distretto e che assisteva con successo i reparti regolari, con azioni di guerriglia, nel respingere e distruggere gli invasori.
Il servizio militar e era teoricamente obbligatorio per tutti gli uomi1ù atti alle armi, in pratica l'esercito permanente era mantenuto a numero mediante un reclutam ento selettivo degli elementi migliori. Non mancavano nell'esercito anche unità di mercenari, reclutati tra le popolazioni barbare che premevano sui confini.
Tra i mercenari assoldati da Bisanzio vi furono anche i Vareghi, scandinavi come i Vichinghi, che disce ndendo i grandi fiumi russi dalle regioni attorno al lago Ladoga, dove si erano stabiliti, giunsero nel X secolo al Mar Nero.
Durante la maggior parte della sua esistenza, l'impero bizantino non se ntì la necessità cli conquiste o di aggressioni: il tenore di vita era alto, la nazione era la più prospera del mondo, ulteriori conquiste sarebbero state troppo dispendiose, soprattutto in vite uman e, ed ~vrebbero incrementato, inoltre, i già alti costi dell'amministrazione statale e della difesa.
Il concetto strategico di fondo che ispirò sia la politica bizantina sia i trattati militari degli imp eratori guerrieri fu essenzialmente difensivo, la vittoria più remun erativa , e quindi più desiderabile, era quella conseguita con il minor spargimento di sangue possibile e, prima di venire a battaglia, un esperto generale avrebbe dovuto tentare le vie della diplomazia ed anche qu elle della corruzione e dell'inganno.
Gli storici canadesi Preston e Wise nella loro Storia sociale deiia guerra hanno significativamente intitolato il capitolo relativo all'arte militare bizantina: Bisanzio, La tecnica della sopravvivenza, riconoscendo così esp licitamente la marcata caratterizzazione orientale del modo di guerreggiare bizantino, sostanzialmente contrario a qu ella prassi dello scontro frontale e decisivo tanto in onore nel mondo occidentale.
L'obiettivo della politica bizantina fu la conservazione del territorio e delle risorse e la strategia militare fu, di norma, un sofisticato concetto medievale di deterr enza, basato sul d es iderio di evitare la guerra se possibile ma, se necessario, sulla possibilità di combattere per respinger e e punire gli aggressori con le minori perdite di uomini e di risorse. Il m etodo era, usualmente, quello di una difensiva- offensiva elastica, nella quale i Bizantini cercavano di spingere gli invasori verso i passi di montagna e/ o i guadi dei fiumi, già predisposti a difesa, e poi distruggerli con coordinati e concentrici attacchi di due o più temi.
Una gu erra economica, politica e psicologica aiutò - e spesso evitòl'uso della forza bruta: furono abilmente fomentati dissens i fr a gli ir requieti vicini , furono, di volta in volta, stipulate opportune alleanze per ridurre la peri co los ità dei vicini più forti, furono elargiti sussidi agli alleati e ai capi barbari se mi-indip e nd e nti lungo le frontiere. L 'azione dell'autorità centrale fu facilitata, infin e, da un'efficiente r ete informativa, costituita da mercanti bi zantini e da spie situate in posizi on i c hi ave n egli organi di govern o nemici.
L' imp ero b iza ntino non fu in grado p erò di respingere l'attacco dei Turchi selgiuch idi. Ne ll'agos to del 1071 a Manzikert l'esercito bizantino, violando un canone fondamentale dei suoi procedimenti tattici, si disunì duran te l'i nseguimento e fu travo lto dal contrattacco turco. La sconfitta ebbe come conseguenza la perdita di quasi tutta l'Anatolia, la regione che fo rniva all'e se rcito la maggior pa rte d elle su e r eclute , e l'impero di Bisanzio non si risollevò più. Sopravvisse fino al 1452, riducendo a mano a mano il suo territorio e perdendo progressivamente influ e nza e potere.
Il feudalesim o
Nella seco nda metà dell 'VII I secolo nel regno dei Franchi la dinas tia pipinide si sostituì a quella m erovingia e pro ced ette ad una larga ridistribuzione di t erre a favore d ei suoi seguaci, assicurand ose n e la fe deltà e mettendoli in g rado di provv edere al prop r io equipaggiam e n to ed al cavallo, or m ai divenuto, con il generalizzars i dell'uso della staffa, u n importante arn ese di gue rra .
La staffa, infatti, offre un appoggio stabile al cava li ere e gli consen t e di c aric a re a fondo con la lanci a senza correre il perico lo di perdere l'equilibrio e di esser e di sarci o nato.
L'accresciuta efficienza de lla cavalleria e la necessità di conferire grande m o bilità all'esercito per m eglio fronteggiare le incursioni dei Saraceni, de i Vichinghi e dei Magiari, che iniziavano a farsi pericolose, determinaron o in bre ve tempo il prevalere della cavalleria stilla fanteria
La crescente imp orta nz a della cavall eria può essere valutata dal fatto che, atcorno al 750, i F ranchi trasfo rmaro n o il tributo a nnuale dei Sassoni da 500 mucche in 300 cavalli.
I nuovi procedim e nti tattici e bb ero grandi cons eguenz e anche nel campo sociale.
Per divenire un valido combattente a cavall o occo rrevano "anni di addestramento, di familiarità con l'animal e da sella e col p e ricolo, d'indurim e nto del cara tt,ere attrave rso l' esercizi o, la caccia, il tirocinio militare, la consuetudine nei confronti di una fatica fisica che non è meno dura , per quanto qualitativam e nte diversa, rispe t to a q uella dei campi, e che ric hiede una di ffe r ente alim enta zion e e perfino un tipo di efficienza fisica diverso" 2 .
A nch e il cavallo, in oltre, doveva ave re par ti co lari caratteristiche fisiche e doveva essere lun gam e nte addestrato.
In pratica solo i proprietari terrieri erano in gra do di addestrarsi, di equipaggiars i e di po sse dere un cavallo di battaglia.
All'epoca di Carlo Magno l' equipaggiam e n to del cavaliere comprendeva scudo, lancia, spada, arco e faretra e la brnina, una tunica di feltro o di cuoio, ricop erta d i pias tre di ferro, oltre naturalmente al cavallo Il tutto valeva 40 solidi, ovvero il prezzo di 20 buo i o di 40 mucche da latte.
Iniz iò così una ripartizione funzionale della società in tre classi, gli oratores, ch e avevano il compito di pregare e di inte r cede r e presso l'Altissimo, i bellatores, che dovevano garantire la sicurezza es te rna ed inte rn a, e, infine, i laboratores, che dovevano produrre quan to era necessario p e r il sos t e ntamen to loro e, soprattutto, d el cl e ro e de i guerri eri.
Da questa concezione trifunzionale d ella so cietà derivò anche la triplice funzio n e d el re: e nunciare le leggi in n o m e de l ci elo, co s tringere con le armi i sudditi riottosi all'obbedienza, assolvere i n pace il compico di assicurare il necessari.o nutrimento al popolo.
Il feuda lesimo nacqu e quand o al beneficio, cioè alla concession e te mporanea di terre della corona al suddito fede le, si accomunò un altro istituto giuridico, 1'immunità, la delega cioè di alcuni poteri, tra cui quello giudiziario e quello fiscale, al titolare del beneficio, d elega re sa n ecessaria dalla vasti t à de i t e rritori e dalla prec arietà delle comunicazioni . L'imponente rete stradale romana e l'organizza to servizio postale imperiale era n o o rm ai soltanto un ricord o letterari o, le stra de dell'alto medio evo erano piste fan gose appena tracciate e l 'is o lame nto d ei piccoli centri e r a quasi tota le.
Tra il sovrano concedente ed il tito lare d el bene ficio con annessa immunità si originò quel complesso rapp o rto, detto di vassallaggio, cui conseguì in termini militari l'obbligo del vassallo di servire in ar mi il suo benefattore e di accorrere con proprie truppe ad ogni chiamata di questi che rinunciò così al potere diretto cli reclutamento.
Il feudalesimo raggiunse il suo pieno sviluppo con Carlo Magno (783 - 814), che divise il territorio dell'impero in distretti detti contee, se all'interno del territorio, e marche, se ai confini e quindi, per ragioni di s icurezza, più vasti e più fo rti, governati risp ettivamente da conti e da marchesi. Questi funzionari, a loro volta, concedev ano a persone di loro fiducia un piccolo territorio nell'interno del lo r o più vasto dominio, creando così una vasta cat ego ria di piccoli feudatari. I feudi, originariamente non ereditari, lo divennero quando, con i succ essori di Carlo Mag no, l'autorità regia si andò indebolendo ed i rapporti s tatuali furono perciò r ego lati da una gerarchia di pot eri che aveva a capo l'imperatore. Il feudalesimo si identificò quindi nell'assunzione della difesa e dell'ordine da parte di maggiorenti locali, per ovviare alla mancanza di un'autorità centralizzata. U na forma di gove rn o fun zionale per i t empi e del tutto legittima e che in molti casi contri buì a preservare l'eredità religiosa e culturale europea dall'assalto di popolazioni ancora paga n e e primitive.
Molto presto però l'assenza di un forte potere centrale d ete rminò una completa anarchia ed ogni feudatario di fatto si rese indipendente dal potere regio, arrogandosi il diritto di innalzare una bandiera e di muovere guerra ad al tri feudatari per ampliare il proprio dominio.
Le incursioni dei Vichinghi nel IX e d ei Magiari n el X seco lo accrebb ero nell'impero carolingio le condizioni di generale insicurezza e favorirono il processo di frammentazione del potere determinando anche l'incastellamento del tem"torio, la dissemina zio ne cioè di luoghi fortificati, rifugi sicuri all'apparire dei terribili s corridori ma anche centri autonomi di potere 3.
I successo ri di Carlo Mag no non riuscirono a respingere le incursioni dei Vi chinghi, pirati scandinavi ancora pagani, dotati di g rand e mobilità p erché in grado non solo di attravers are il Mar e d el Nord ma anche di risalire i fiumi a bordo dell e loro navi 4 È proprio nella possibilità di colpire all'improvviso, e di fuggire rapidamente con il bottino, si deve vedere la ragione del successo delle bande vichinghe e non certo n elle lo r o armi, per quanto la grande as cia danese, impug nata a due mani, fosse di grande rendimento nel combattimento corpo a corpo Nel 911 l'imperatore Carlo il Semplice abbandonò a Rollane, cap o di una r o busta banda di Vichinghi, alcune contee che costituirono il fulcro del ducato di Normandia, così chiamato perché dominio dei Normanni, gli uomini venuti dal nord.
Trasformatisi in accorti amministratori, senza perdere però il gusto dell'avventura, e convertitisi al cristianesimo, i Norman ni conquistarono l'Inghilterra, tolsero la Sicilia ai mu ssu lmani e l'Italia meridionale ai Bizantini stabilizzandosi definitivamente.
I Magiari, popolo affine agli Unni installatosi all'inizio del X secolo nella pianura pannonica, iniziarono presto a lanciare numerose incursioni verso Occidente, devastando soprattutto le terre tedesche. La loro tattica era quella sempre praticata dai popoli a cavallo delle steppe: un attacco improvviso accompagnato da una pioggia di frecce, poi una fuga simulata per indurre l'avversario ad inseguirli scompaginando i ranghi, infine un rapido dietro-front che sorprend eva l'avversario in pieno disordine e rendeva facile la mattanza.
A lla fine Ottone il Grande di Sassonia riuscì ad avere ragione della loro mobilità, intrappolandoli nel 955 tra le mura di Augusta, che i Magiari stavano assediando, ed il fiume Lechfeld. I Magiari, privi di scudo e di armatura, non ressero l'attacco a fondo dei cavalieri di Ottone e furono massac rati.
Terminate le invasioni dei Vichinghi, allontanato il pericolo magiaro, affievolitesi anche le incursioni sara cene, l'Occidente conobbe un periodo di relativa tranquillità e di sviluppo economico.
Il rinnovamento economico -sociale dell'XI secolo fu dovuto esse nzialmente al miglioramento delle tecniche agricole, ma interessò anche le città, stimolando il commercio e l'artigianato.
Il fenom e no della rinascita cittadina, particolarmente sensibile nell'Italia padana ed in Toscana, interessò anche la Francia settentrionale, le Fiandre e più tardi, le città tedesche che si affacciavano sul mare del Nord, collegate tra loro nella Lega Anseatica.
Le migliorate condizioni economiche determinarono naturalmente maggiori possibilità anche per la difesa, le città restaurarono la cinta muraria e i feudatari trasformarono i loro primitivi castelli in grandi complessi fortificati, isolati dalla campagna circostante da ùn grande e profondo fossato, valicabile soltanto su un ponte levatoio. Lungo il fossato correva un poderoso muro merlato di cinta, sul quale correva il cammino cli ronda, che non era continuo, ma interrotto da torri d'angolo con le quali era collegato da ponti leva toi che avevano la funzione cli evitare che il nemico, eventualmente arrampicatosi su un tratto di muro, clilagasse l ungo tutta la cinta. Al riparo dei merli si dislocavano, in casi cli attacco, g li arcieri, pronti a respinge re gli assalitori. Le torri d'angolo erano invece i punti di forza della cinta ed in esse era no situate le armi da getto ed i pentoloni pieni d'olio bollente da rove sciare sugli eventuali disturbatori.
Accanto alle porte di accesso - la cui impenetrabilità era assicurata oltre che dal ponte levatoio e da l massiccio portone anche da una robusta grata di ferro - si trovava il pos to cli guardia. Dietro alla cinta abitazioni, stalle e botteghe addossate alla torre principale detta maschiodimora del Signore e cuore dell'intero castello - che con il tempo crebbe in altezza, per estendere il campo cli vista, e sulla quale spiccava un'alta'na in cui vigilava, giorno e notte, una sentinella e sventolava la bandiera . L'architettura classica de l maschio comprendeva una grande sala a vo lta al piano terreno, con funzione cli deposito; un'altra, di pari dimensioni, al primo piano, adibita ad abitazione vera e propria; un vano superiore per la servitù e, sopra ancora, locali vari per i più disparati usi. La torre culminava poi con una piattaforma ove si organizzava l'estrema difesa.
Tu tto il complesso era concepito con criteri strettamente militari, persino le finestre erano costruite a bocca di leone, con accentuata strombatu ra verso l' esterno cioè, per consentire l'uso dell'arco in condizioni di sicurezza.
Nel castello, dove in caso di necessità potevano trovare rifugio anche i contadini dei dintorni, era conservato l'occorrente per sostenere anche prolungati assedi: pozzi per l'acqua, depositi di viveri, armerie ed officine.
L'assal to ad un castello era perciò un'impresa molto difficile, occorreva prima di tutto co lmar e il fossato con terra e fascine, diroccare le mura per aprire una b r ecc ia o ppure scalarle con lunghe scale, infin e ave r ragione dei difensori.
La poliorcetica medievale in fatto di macchine e di t ecn ich e era rimasta quella antica, l' unica innovazione nel se ttore fu l'invenzione d e l trabucco, grande fionda che funzionava mediante la spinta di un contrappeso di piombo o di sabbia.
Le artiglierie 5 neuro -balistiche medievali con l'invenzione del trabucco com presero perciò due tipi di ma cchine con proprietà balistiche divers e e complementari: il trabucco con tiro prevalentemente curvo e di maggiore gittata rispetto alle ve cchie macchine a torsione ed a flessione; catapulte e balliste, il cui tiro era teso e di gittata più modesta. Quanto al peso del proietto i cronisti medievali riferiscono di trabucchi in g rado di lanciare pietre del pes o di trecento chilogrammi.
Gli eserciti feudali, costi tuiti da un nucleo centrale di cavalieri e da un'accozzaglia di ser vitori e di contadini so mmari amente armati, non erano in grad o di condurre lunghi assedi. U n castello ben costruito, ben approvvigionato e ris olutamente difeso era in prati ca imprendibile, p er lunghi secoli la difesa quindi ebbe la supremazia sull'attacco. Anche in campo aperto i procedimenti di azione degli eserciti m edi evali erano molto elem entari.
L'esercito, per l'impiego in guerra, veniva generalme nte suddiviso in tre parti: avanguardia, corpo di battaglia e retroguardia.
L'ordine n or male di combatùmento per il grosso dell'esercito era su una sola line a, divisa in centro e due ali. Alla de stra si spiegava l'avanguardia, a sinistra la r etroguardia . Si poneva di n or ma la cavalleria al centro e la fante ria alle ali o dietro, per quanto alle volte (spec ialm ente all'inizio d e l comb attim ento) si mettessero avanti gli arcieri e i balestrieri . La balestra, comparsa in E ur opa nell'XI secolo e ra costituita da un arco metallico sovrapposto ad un fusto di legno, con la co rda tesa da un verricello e liberata da una leva di sgancio. Lanciava piccole frec ce metalliche, chiamate verrctto ni , in g r ado di perforare u n a cotta di maglia. Aveva una gittata utile inferiore a qu ella dell'arco ma era più precisa. Per contro aveva una minore cele rità di intervento: un ve rre tton e al minu to contro cinque o se i frec ce. La seconda e la terza lin ea erano costituite da sola cavalleria. In battagli.a ogni frazione e ra autonoma ed il combattimento si rid uceva ad una mischia disordinata.
L'atto tattic o fondamenta le era la carica, cond ott a con i cavali eri disposti su una sola riga, spalla a sp alla , passando dal trotto al galoppo non trop po veloce sia per non perde re l'allineamento sia perché i cavalli, molto app e santiti, n o n p oteva no far e di p iù. Ogni cavali ere si sc eg li eva un avversario e quindi la battaglia si frazionava in can ti combatcimen ti sing oli, impossibile p erciò il ricorso alla manovra e all'impiego della riserva.
L'organizzazione logistica degli eserciti feudali era poi quanto mai primitiva: ogni cavaliere doveva provvedere al vettovagliamento proprio ed a quello d el s uo se guito.
La necessità per il cavali ere di essere aiutato, almeno per indo ssare l'armatura e per governare il cavallo, d e t erminò infatti la nascita di una singolare squadra di armigeri che fu den o minata lancia fornita e che consisteva nel cavaliere, la lancia appunto, e ne l suo seguito: uno scudiero, due combattenti ausiliari spesso forniti di arco o di balestra, un vall e tto. La compo s izione della lancia fornita non e r a uniforme, i ricchi gentiluomini france si e borgognoni tendevano ad aumentarne la consiste nza , i cavalieri italiani in genere si accontentavano di un seguito ridotto, un o scudiero ed un paggio.
Con il termine lancia spezzata si indicava, invece, il cavaliere senza seguito mentre il cavaliere della lancia fornita e ra spesso denominato caporale.
L a guerra medieval e e ra perciò caratterizzata da due elementi, il timore della battaglia campale risolutiva e la t endenza a rispondere all'attacc o rinchiudendosi in qualche robusto cas te llo ben munito di truppe e di vettovaglie.
Come ha ica s ticame nte notato uno storico belga, la guerra medievale era fatta "prima di tutto di saccheggi, spesso di assedi, talvolta di battaglie" 6 , una gu e rra d'usura, quindi, tesa alla ricerca del vantaggio immediato, condotta senza un rigoroso disegno strategico, spesso interrotta per il finire delle r isorse, conseguenz e d el tutto naturali dello s carso sviluppo d egli apparati s tatali, del frazionam e nto dei centri di potere, della precarietà delle risorse intese come disponibilità d i uomini e di denaro.
Le crociate furono, per un verso, la dimostrazione palmare d ell'incapacità europea di concepire un razionale disegno strat egico e di pers is tere negli sforz i fino al conseguim e nto dell'obiettivo prefissaco, per l'altro una feconda occasione per apprend e r e nuove tecniche di guerra.
I crociati dovettero confrontarsi, infatti, con le tattiche e vasive di attacco d ei cavalieri della steppa ed ancora una vo lta la carica a fondo della cavalleria feuda le si dimostrò d el tutto insufficiente.
I crociati si resero conto pr esto che la cavalleria catafratta non era in grad o di competere con un avversari o tanto mob ile, a b ilissimo ne l rifiutare il combattimento fronta le ed a colpire a distanza con le armi da lancio, e trovarono la contromisura nell'appoggio della fanteria
Agli arcieri ed ai balestrieri fu chiesto di contrapporsi al tiro dei saraceni ed alla fanteria pesante fu affidato il compito di offrire riparo alla cavalleria dopo la carica.
E fu proprio la combinazione dell'azione dei fanti con quella dei cavalieri la chiave del successo crociato stù saraceni.
Anche nel campo dell'architettura militare i c r ociati, a contatto con una poliorcetica che aveva sviluppato la grande tradizione tecnologica ellen isti ca, dovettero imparare non poco, arricchendo così le tecniche forti ficato rie europee.
I Comuni
Contemporaneamente alle crociate anche nel continente e uropeo fu ad otta to con successo l'impiego di robuste formazioni di fanteria per opporsi alle cariche della cavalleria feudale.
Soprattutto nell'Italia centro-settentrionale l'affermazione di un nuovo ordinamento politico, quello comunale, determin ò anche una profonda evoluz ione d e lle istituzioni militari.
Nell'ambito del Comune tutti i cittadini atti alle armi furono chiamati alla difesa dello Stato e, non avendo la maggior parte di essi i mezzi finan ziari per mantenere un cavallo, la massa dell'esercito fu nuovamente costituita da fanti, divi si in fanteria grave, armata di picca o alabarda e s pada, e in fanteria leggera armata di arco o balestra e fionda. La cavalle ria, scarsissima, fu fornita dai n otabili o dai cittadini più ricchi ed armata come quella feudale.
La tattica impiegata dalle milizie comunali era estremamente semplice in quanto limitata ad una concezione passiva e difensiva dello scontro e della gue rra. Per i Comuni italiani l'obiettivo prioritario era non essere sconfitti, resistendo alla pressione offensiva imperiale.
Un esercito comunale si componeva di norma di tre parti: un'avanguardia di cavalleria, il g rosso d ella cavalleria, la fanteria La cavall eria e ra la prima ad essere impiegata, mentre la fanteria, lasciata in seconda linea, aveva il compito di appoggio e di copertura dei cavalieri, quando questi ripiegavano per riordinarsi. Cominciò in quel periodo la suddivisione della fanteria in tre catego rie : le lance di fanteria, gli armati di pavese, i ba lestrieri. I fanti armati di lancia e quelli ch e imbracciav ano il pav ese costituivano una specie di muro dietro il quale i balestrieri potevano ricaricare la ba lestra e la cavalleria riordinarsi. La massa della fanteria si stringeva in quadrato attorno al carroccio 7 e cer cava di resis t e r e il più a lungo possibile ai ripetuti attacchi della cavalleria nemica, per dare tempo ai propri cavalieri di ricostituire le fùe per gettarsi sui fianchi dei nemici impegnati nel corpo a corpo con i pedoni. Quando questa tattica riusciva la vittoria era assicurata, come a Legnano; quando invece la fanteria restava isolata, senza l'aiuto della cavalleria, come a Cortenuova, era solo questione di tempo prima ch e dovesse cedere e spezzarsi sotto i colpi di maglio dei cavalieri.
L ' azione esercitata dalla fanteria era comunque sempre statica, mai dinamica. Essa non era ancora in grado, p er l'insufficiente addestramento, per l'armamento di cui era dotata e per la concezione stessa del proprio impiego, di prendere l'iniziativa contro il nemico, pur rappresentando un notevole progresso rispetto ai pedoni feudali.
Il tentativo dei Comuni italiani n on ebbe lunga fortuna; e co l seco lo XIV gli eserciti della penisola da eserciti di cittadini diventarono eserciti di mercenari.
La guerra dei Cent'Anni tra Inglesi e Francesi confermò la difficoltà della cavalleria ad aver ragione di fanterie d ete rminate e ricch e di arcieri e ba lestrieri.
I cavalieri non vollero però rassegnarsi al loro declino e tentarono di superare l'impasse con du e accorgimenti, un rafforzamento, e quindi un appesantimento, delle loro armature 8 per r e nderl e imp e n e trabili alle frecce e d ai verrettoni, e un aumento d ella velocità di carica, per diminuire il te mp o di es posizio n e al tiro dell ' avversario.
Ma le du e es ige nz e erano in contrasto tra loro, l'appe santirsi dell'armatura riduceva la velocità d el cavaUo!
A Crécy nel 1346, a Poitiers nel 1356 e ad Az inc o urt n el 141 5 ''l' o rgogliosa cavalleria francese venne umiliata dagli arcieri inglesi e dai suoi stessi colleghi, i cavalieri d'Oltre Manica, che si erano adattati ai tempi nu ovi e combattevano a piedi come una fanteria pesante di lancieri, schierati sulla difensiva a pié fermo aspettando che l'ondata nemica si abbatte sse sulle loro lance" 9
Le tre ba ttagli e dimostrarono, infatti, quanto fosse efficace l'impiego dell'arco lungo quando gli arcieri, p r otetti da un robusto schermo difensivo di armigieri, potevano prolungare la loro azione .
A Crécy l'eser,cito inglese si schierò su tre linee, ciascuna delle quali aveva al centro gli armigieri a piedi ed alle ali arcieri e fanti legge ri armati di giavellotti.
I Francesi mandarono avanti un contingente di bale s trieri genovesi che presto fu messo in rotta dalla maggiore ce le rità di tiro degli arcieri inglesi, la cavalleria francese allora ruppe gli indugi ed avanzò, travolgendo gli indifesi balestrieri che s i stavano ritirando, ma arrestandosi davanti al solido muro costituito dai cavalieri inglesi appiedati mentre dai fianchi una pioggia incessante di frecce e di giavellotti si rivelava esiziale. "Quando, al ca lar della notte, i Francesi scon fitti si ritirarono, rimasero sul terr eno più di un terzo dei loro uomini, uccisi per la maggior parte con frecce e giavellotti" 10
A Poitiers gli Ingles i si schierarono ancora su tre linee, con i cavalieri corazzati appiedati al centro e con gli arcier i ed i fanti leggeri alle ali , al riparo di una fitta siepe. I Frances i, ricordandosi di Crécy ma ricordando male, appiedarono anch'essi e si lanciarono in tre ondate contro lo schieramento inglese. Prima che i cavalieri appiedati francesi giungessero a contatto con i loro "coll eghi " inglesi, la solita pioggia di frecce e di giavellotti li aveva decimati. Un attacco sul fianco di fanti, in contemporan e ità con quello di un piccolo distaccamento di cavalleria, tenuto in riser va fino a quel momento, determinò la comple ta di s fatta dei Francesi.
A Azincourt, m e zzo secolo dopo, l' orgogliosa cavalleria nobiliare francese dimostrò ancora di non ave r apprezzato nel giusto modo quan t o fossero micidiali le frecce degli arcieri plebei.
A nche in quell'occasione gli Inglesi si mantennero fedeli al loro collaudato schieram e nto difensivo e, per di p i ù, appoggiarono le ali al bosco mentre la fronte era protetta da campi inzuppati di pioggia ed arati di fresco. I Francesi appiedarono e, frammisti ai balestrieri, iniziarono una faticosa avanzata, ritardati dal peso dell'armatura e dal fango. Gli arcieri inglesi non ebbero così difficoltà a sfo ltire le linee francesi e quando fina lmente i superstiti cavalieri giunsero a contatto erano talmente stanchi che furono agevolmente sopraffatti. Più di quattromila nobili cavalieri francesi cadder o ad Azinco urt, a conferma ch e la cavalleria aveva perduto la veloci tà e l'efficacia dell'urto frontale, i du e fattori che ne avevano nel passato sempre d e terminato il successo. D ovranno però trascorre r e ancora molti d ecenni prima che il giudizio del campo di ba ttaglia potesse sancire la fine del pregiudizio aristocratico che voleva combattente solo l'uomo a cavallo.
I mercenari
Le caus e dell'avvento del m ercen arismo furono molteplici, non ultima la riluttanza d ei borghesi delle città, m erc anti, artigiani, ecc., ad abbandonare le proprie lucros e occupazioni per "muovere ad oste" , come si diceva allora. Altra causa fu la riluttanza della parte d elle élites che detenevano il governo d ei Comuni ad armare il p opolo minuto.
Le annose e g r andi lott e fra p apato e impero e la conquista angioina del regno di Napoli avevano condotto poi in Italia un gran numero di uomini di guerra di altri paesi. Sciolto l' eserc ito in cui si trovavano o crollata la dinastia al cui servizio erano ven uti, questi uomini cercarono lavoro offrendosi a città e s ignori.
Ben presto i m ercenari preferirono raggrupparsi intorno ad un capo, che li gu id asse al se rvizio di chi meglio pagava e sorsero così le compagnie di ventura.
Il contratto stipulato tra la compagnia di ve ntura ed il potentato che l'assumeva si chiamava condotta, da qui il termine condottiero ch e presto indicò il coma nd an t e d ella compagnia e che passò poi ad indi ca r e genericament e il comandante di trupp e.
La prima compagnia di ve ntu ra apparsa in Italia fu quella spagnola degli A lmovar i (1303), seguirono poi compagnie francesi, tedesche, miste. Ultime a sorgere, in ordine di tempo, furono le compagnie italiane, di cui la prima fu la compagnia di S. Giorgio del romagn o lo Alberico di Barbiano (137 0)
Differenza fondamentale fra le co mpagnie straniere e quelle italiane fu che in quelle si eleggeva il capo, mentre in qu este era il capo che sceglieva i gregari; quindi nelle prim e il p otere era nella massa, n ella seconda nel capo. Quelle italiane prevalsero per disciplina, compattezza, istruzione ed abilità tecnica; fu per merito dei loro capi che iniz iò i.I risorgim ento dell'arte militare, a tal pu nto che la storia d elle guerre italiane d el sec. XV si ide n tifica con quella d ei capitani di ventura.
Nel periodo di maggior sviluppo di esse, prevalsero du e modi di combattere: la scuola degli Sforzeschi, da M uzio Attendalo detto lo Sforza, condottiero prudente, p ersevera n te, ch e agiva con dire t trice unica e combatteva con ma sse profonde ten end o t ruppe in riserva; la scuola d ei Bracc eschi, da Braccio da Mo n to ne , comandante audace, impetuoso, procliv e all e operazioni simul tan ee in varie direzioni e agli attacchi violenti e decisi.
Entrambe le scuole erano però rigorosamente sostenitrici di una strategia di logoramento, la battaglia d ecisiva era, infatti, possibilmente sempre evitata, perch é n ess un condottiero poteva correre a cuor leggero il rischio di perdere, in uno scontro troppo cruento, truppe e cavalli non facilmente rinnovabili e che rappresentavano tutto il suo capitale. Come ha scritto il Pieri "in tutto il Medioevo domina la guerra di logorio, nella quale scopo del capitano non è senz'altro di cercare il nemico e batterlo, e inseguirlo senza tregua, nella convinzione che la vittoria decisiva ne l punto principale trascinerà nel suo vortice l'azione dei settori secondari; ma la vera battaglia è data di rado, in condizioni particolarmente favorevoli, e non è quasi mai decisiva; e la guerra si perde in scorrerie, assedi, e s'accompagna a tutti g li altri mezzi volti ad ind eb o lire il nemico che la politica può offrire" 11 Io realtà lo scopo della guerra non è la distruzione del nemico di oggi che potrà essere l'alleato di domani, ma di alterare a proprio vantaggio l'equilibrio delle forze contrapposte. E sono proprio i governi ad essere contrari alle azioni strategiche risolutive, più che di fallimento dell'arte militare si trattava di fallimento dell'azione politica.
Tuttavia l'accusa di Machiavelli, secondo la quale i condottieri av rebbero iniziato le guerre se n za timore alcuno, le avrebbero continuate senza pericolo e le avrebbero concluse senza perdite di vite umane, è profondamente ingiusta, e la storia militare mode rna ha dato di quelle guerre un ben div erso g iudizio 12 . All'occorrenza anche i condottieri sap evano affrontare battaglie sanguinose e d e cisive, come ad Arbedo nel 1422 dov e il Carmagnola, alla testa di un eserci to milanese di cinquemila fanti e tre mi la cavalieri, fece letteralmente a pezzi un grosso quadrato svizze r o di quattromila picchieri, incautam ente scesi dal pas so del Gottardo per attaccare Bellinzona e D omodossola.
Ai condottieri italiani deve essere riconosciuto il m e rito di aver fatto progredire l 'arte d e lla guerra e di aver rimesso in onore la fortificazione campale. Il camp o fortificato fu, infatti, un elemento fondamentale della tattica accorta e prudente messa in atto dai condottieri e fu un superamento del campo r ettangolare e simmetrico delle legioni romane.
Esso consisteva in una sistemazione difensiva provvisoria che utilizzava sapi e nt e m e n te un os tacolo naturale - fiume, palude, scarpatamunendolo ai lati , dove era più probabile ch e si manifestasse l'attacc o della cavall eria avversaria, di un fosso con terrapieno.
L'imp iego di forze mercenarie presentava anche un lato positivo: non arrecava intralci alla vita econorrùca, come sarebbe avvenuto se gli Sta ti avessero dovuto ri correre all'arruolamento di milizie locali che avrebbero sottratto braccia al lavoro de i campi e d alle botteghe artigiane.
Accanto alle compagnie di ventura a poco a poco corrùnciarono a formarsi anche reparti di provvisionali o di lance spez::z,ate, di soldati cioè arruo lati singolarmente dallo Stato e messi alle dip e nd enze di ufficiali profe ss ionisti, primo nucleo degli eserciti permanenti.
Il vantaggio per lo Stato di disporre di un esercito permanente, addestrato e fedele, liberandosi così dalla equivoca dipendenza de ll e compagnie, spinse il re di Francia Carlo VII a creare nel 1445 le basi del primo esercito perm anente e urop eo dell'età moderna.
Carlo VII costituì quindici compagnies d'ordonnance, ciascuna di cento lance di sei uorrùni e comandate da capitani designati dalla corona. Ogni compagnia contava quindi 100 uomin i d'arme, 200 arcieri, 100 ar mati di spada, 100 paggi e 100 valletti, tutti a cavallo. Contemporaneamente fu proibito arruolare soldati a chiun que non fosse il re, realizzando così un duplice scopo: facilitare il mante nim ento a numero delle compagnie e privare i grandi feudata r i della possibilità di ribellarsi a l sovrano. Le 1500 lance fornite erano disseminate in piccole ~nità per tutto il regno, alloggiate e mantenute dalle città.
Meno felice fu il tentativo di creare nel 1448 anche reparti di fanteria, re clu ta nd o parrocchia per pa r rocchia un corpo di arcieri che, in cambio di un piccolo compenso e dell'esenzione delle imposte, da cui il nome di francs archers, avrebbero dovuto tenersi a disposizione della corona .
L'equipaggiamento dell'arciere era a carico della parrocchia, l'addestramento doveva essere fatto nei giorni festivi. In realtà l'iniziativa fu boicottata, le parrocchie tendevano a fornire gli e lemen ti peggiori ed il rendimento dei Jrancs-archers, impiegati nell'ultima fase della guerr a dei Cento An ni , fu m olto m ediocre.
Quasi un secolo dopo, nel 1534, Francesco I istituì 7 legioni di 6000 fa n ti con reclutamento regionale, di cui 12.000 archibugieri e 30.000 picchieri e a labardie ri. Al comando della legione un co lonnello, coadiu va t o da 5 capitani, 12 luogotenenti, 12 alfieri, 12 centurioni, 234 comandanti di squadra Ogni legione disponeva a ltresi di un prevosto e 4 sergenti per la giustizia militare, di 24 tamburini e di 12 pifferai.
Il risultato fu inizialmente buono, nel 1536 e nel 153 7 il re riuscì a mobilitare 12 000 legionari ed a condurli in Italia, ma presto venne meno la fiducia n ella nuova istituzione e già nel 1542 l'ambasciatore veneziano Matteo Dandolo informava la Serenissima sulla scarsa affidabilità della fanteria francese, ben presto sostit uita da mercenari svizzeri e tedesc h i.
Indubbiamente l e compagnies d'ordonnance furono il primo eser cita mod e rno permanente, costituito da personale professionista, inquadrato in reparti omogenei di consistenza numerica uguale e ben definita, armato in modo uniforme, comandato da ufficiali direttamente al servizio dello Stato.
L'iniziativa avrà un seguito in tutti gli Stati d'Europa, anche se per il momento rimase isolata n el variopinto panorama degli eserciti medievali.
Anche le legioni di Francesco I ebbero molti imitatori, ma i risultati furono dovunqu e mo lto mediocri.
I tempi per gli eserciti nazionali non erano ancora maturi.
L etteratu ra milita re
L'età di mezzo non produsse opere originali di arte militare di qualche rilievo. Gli studiosi del settore si limitarono per la maggior parte a citare nelle loro opere ampi estratti del de re militari di Vegezio, l'autore più conosciuto e più considerato, oggetto di molte traduzioni in francese ed in i taliano. Anche Frontino godette di una buona notorietà ed il suo De stratagematibus be/licis fu largamente citato.
Meritano comunque di essere ricordati: Giraud de Barri, autore alla fine del XII se colo di un trattatello, Ex.pugnatio hibernica, sul mod o di combattere gli Irlandesi; Fidenzio da Padova e Marino Sanuto Torsello di Venezia, amori rispettivame nte, tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, del Liber recuperationis Terrae Sanctae e del Liber secretorum ft· delium Crucis, che intendevano fornire ai principi cristiani le necessarie informazioni di natura geografica, logistica, o rganica e tattica per intrapr e ndere con successo la guerra contro i Saraceni per riconquistare il Santo Sepolcro.
Sul finire del Medioevo comparvero alcuni trattati di arte militare n o n privi di originalità: un trattato sul modo di reclutare, addestrare ed impiegare le milizie di Teodoro Paleologo, marchese d el Monferrato.
Scritto in greco, il trattato fu presto tradotto in francese da Jean de Vignai e intitolato Einsegnemens et ordenances pour un seigneur qui a guerres et grans gouvernemens à /aire; il Uvre des fais d'armes et de chevalerie di Cristina de Pizan; Le Jouvencel di Jean de Bueil, un romanzo-trattato sulla cavalleria; il De re militari di Roberto Valturio, un compendio dove, accanto ad elementi classici non sempre corr e ttamente intesi, erano presenti nuovi problemi e nuove forme tattich e; il Governo et exercitis de la militia di Orso degli Orsini nel quale è riprodotta la prassi militare del t e mp o ed è vigorosamente affermata l'utilità della fortificazione campale e d e l conseguente principio della difensiva-controffensiva.
Da ricordare ancora Giovanni da Legnano autore di un trattato giuridico, De bello, de represalzis et de duello, molto utilizz ato dal giurista benedettino Honoré Bove t nel suo manuale di diritto bellico L 'A rbre de Batailles, e Mariano Taccola, autore di uno scritto tecnico sul le artiglierie neurobalistiche, il De machinis.
Note Al Capitolo Iv
1 CONTAMINE, I\ LagHerra nel Medioevo , Bologn a, Il M11/i110, 1986, p ag. 33.
2 CARDI N I, F.,Quell'anlicafesta m1dele, Firenze, Sansoni, 1982, pag. 16.
3 Inizi almente i castelli (il termine deriva d al latin o castrum) ebbero forme primitive e m o lto sem pli ci: un ter ra pieno circolare, ta lvolta circondato da un fossato, rafforza to da una palizzata di travi, nel cui centr o si e rgeva u na t0rre roto nda di legno Il passaggio a costruzio ni in murarura ed a corri quadra ngo la ri avve nn e a partire dall'Xl secolo.
4 Le navi viching he, i drakkar, costruite c o n tavole di quercia, e rano lung h e 20 -25 m etri e largh e da 3 a 6 metri Erano spinte da 16 rematori per lato e da u n'amp ia vela quadrata appesa ad un al bero alto 13 metri. A causa del lo ro ri dotto pescaggio, 1 m etro circa, erano in grad o di trasportare da 40 a 80 soldati. Le navi viching he e rano escre mamence man eggevo li anche in acque bas se e s ui fium i e potevano, inoltre, essere facilmente messe in secco.
5 L'etim ologia del vo cabolo artigliena è incerta. Second o m ol ti a u tori il termine d erivere bb e dall'antico francese ali//er, usa to nel significa to di abb ig liare, adornare Ati l sign ifica , infatti, arm a m e n to, arma tura, equipaggia m ento e attìlemmt significa armamen co. La forma artìllìer s arebbe u na co n taminazione co n la parola art, arte Altri autori preferiscono far derivare il termine artiglieria dal latin o, de riv ereb b e da ars tolle11di o da ars telomm.
6 GAIER, C., Art et organisalio11 n,ilitaìre dtim le principauté de Uége a11 M()J en Age, B ruxelles, 1968, pag. 216.
7 Il ca rroccio era un e:arro di legno, traina to da b uoi, sul q uale era collocaco il vessillo della ci ttà e spesso a nch e un altare per la celebraz io ne della messa prima della b attaglia Il carr occio, simb olo delle libertà comun ali, costituiva il punto di riferimento della difesa
8 Le armature a piastra si adattavano al corpo cd assicuravan o una dis creta m obilità e d una b uona d ifesa. T u ttavia il loro peso, circa ventici nq ue chili , e l'ostacolo a ll 'ae razi o ne del corpo fac evan o sì che, sp ecie nei p eriodi caldi, non potessero essere indossate a lu ngo.
9 CARD I NI, F., op. dt, pag. 50.
1O PRESTON E WISE, Storia sodale della gHe"a, J\1ilano, Mondadori, 1973, p ag. 109 .
1 1 PT E RT, P. , A!fo 11so V d'Aragona e le armi italiane, co municazion e presenrata al IV C o ngresso d i s toria d ella corona .Aragonese, M a jorca, 1955.
12 Vds'. a l riguardo il volume di MICHAEL MALLET, Sig11on· e mercenari, e di to da li M Hlino nel 1983
Capitolo V
LE ARMI DA FUOCO. ASPETII TECNICI
La comparsa delle armi da fuoco sui camp i di battaglia europei trasformò radicalmente sia la condotta dell e operazioni belliche sia l'o r ganizzazione militare e determinò conseguenze di enorme rilievo anche nell'economia e negli ordinamenti degli Stati.
La rapida scomparsa del feuda lesimo, la definitiva affermazione del potere unificante dello Stato, il formarsi degli imperi coloniali, persino la trasformazione urbanistica di molte città so no tutti effetti, diretti o collaterali, di que ll'even t o straordinario.
Il timido debutto
La scoperta della polvere pirica è avvolta nella leggenda. Gli antichi cronisti hanno favoleggiato di un monaco alchimista tedesco, un certo Berthold Schwartz, che a metà de l secolo XIII avrebbe scoperto la magica formu la. È certo, comunque, che la prima menzione della formula della polvere da sparo s i trova in un'opera cinese del 1040, il W,gung zongyao e che le prime notizie di tale inv enzione giunsero in Occidente ne l secolo XI II per il tramite de l mondo mussulmano. Ruggero Bacone ne svelò la ricetta in un'opera datata 1249, De secretis operibus artis et naturae.
Secondo il dotto francescano era un miscuglio "che produceva un lampo accecante ed un fragore di tuono".
Nella stessa epoca anche l'insigne scolastico Alberto Magno di Colonia sc risse di un portentoso miscuglio di salnitro (nitrato di potassio), zo lfo e carbone di legno. I contemporanei si rese ro rapidamente conto che la scoperta aveva un'importanza militare e in un documento fiorentin o dell'11 febbraio 1326 compare la parola cannone, la cui etimologia rimanda sia al greco Kannu sia al latino canna nel senso di tubo : ': .. pilas seu pallectas ftrreas et canones de metallo ".
Già nel secolo XIV nelle operaz ioni di guerra ossidionale fur o no impiegate armi da fuoco con il prec iso compito di sostituire le tradizionali artiglierie neuro - balistich e.
Le primitive bombarde impiegate erano di ferro, costituite da du e parti ben distinte, una anteriore e più grande e di forma alquanto svasata che chiamavasi tromba ed una posteriore, più stretta e di lungh ezza doppia, chiamata cannone. Nella parte posteriore si metteva, costipata con un tappo di legn o, la carica di polvere nera, nella parte superiore il proiettile, una palla di pi e tra .
Presto a bombarde di questo tipo, ad anima cioè piuttosto corta, fu dato il nome di mortaio, termine che si spiega facilmente con la forma delle bombarde stesse, simili appunto al tradizionale recipiente usato per pestare e ridurre in polvere le sostanze più varie.
Tra il 1350 ed il 1450 i cannoni, costruiti in genere in ferro colato, si caratterizzarono per le dimensioni della camera di scoppio e della vo lata e per il sistema di caricamento. Alcuni cannoni di calibro non eccessivo e rano, infatti, a retrocarica: la camera di scoppio e la volata erano avvitate insieme dopo il caricamento, ma tale sis tema fu presto abbandonato perché la tecno logia dell ' epoca non assicurava una tenuta ermetica della camera di scoppio p e r cui i gas, prodotti dalla combustione d ella p olve re, fuoriuscivano dalla culatta del pezzo con notevole pericolo per i serventi.
A poco a poco, sempre a prezzo di dolorose esperienze, gli artiglieri impararono a dosare la carica di polvere in modo da ottenere il lancio del proie ttil e ad una distanza militarmente utile senza far esplodere il cannone.
La nuova arma divenne così un eccellente arnese da assedio, ma non poteva ancora essere impiegata sul campo di battaglia perché troppo ingombrante e poco maneggevole. Il trasporto di queste prime artiglie rie avveniva su gran di carri trainati da buoi, giunte sul luogo dell'impiego erano scaricate e sistemate su assi orizzontali o su grosse travi. Questi rudimentali "cavalle tti" e rano poi bloccati posteriormente da altre grosse tavole che dovevano ammortizzare il rinculo.
Contemporaneamente esordivan o le prime armi da fuoco portatili o manesche, come allora si diceva. L 'antenato del fucile si chiamava scoppietto ed e ra costituito da un cilindro di ferro o di rame n el quale era inserita, come manico, una bacchetta di ferro. Per l'impi ego d e ll'arma lo scoppettiere ten e va stre tta la bacchetta sotto l'ascella sinistra e lo sparo veniva provocato m edi ante l'accensione, per mezzo di una miccia 1 tenuta con la mano destra, d ella polvere da innesco collocata in una piccola cavità, lo s codellino, in corrispondenza di un foro praticato nel cilindro metallico ed attraverso il quale l'acce n sione si comunicava alla carica.
U n'arma poco maneggevole, di difficile puntamento, di scarsa gittata e di scarsissima celerità di tir o, tuttavia suscettibile di grandi miglioramenti.
La progressiva affermazione
Alla fine del secolo XIV fu compiuto un ulteriore passo avanti, luogo la non facile via della mobilità delle artiglierie, con la realizzaz ion e dei primi affusti di legno sui quali la bocca da fuoco era stabilmente sistemata. L'invenzione più straordinaria fu, comunque, quella degli orecchioni, avvenuta nella prima metà del secolo XV ad opera di artigiani fiammi nghi. Gli orecchioni, robusti perni fusi con la bocca da fuoco v e rso la metà della sua lunghezza, permettevano di ruotare la bocca da fuoco attorno ad un asse trasversale e di imporle, con l'aiuto di un cuneo di legno posto sull'asse stesso, l'elevazion e desiderata p e r il pun tamen t o in gittata .
Nello s te sso periodo il bronzo sostituì il ferro n ella costruzion e dei cannoni, fu così possibile ottenere bocche da fuoco di sp es sore costante, con conseguente diminu zio n e dei casi di scoppio.
I cannoni, inoltre, si allunga r ono, accorgim e nto che consenti di imprimere al proietto una migliore direz ione. Anche le gittate ebbero un piccolo increme nto p e rch é la polvere in grani, che sostituì la polv ere fine nelle cariche di lancio, permise un aumento della potenza esplosiva oltre ad una riduzi o n e d ell e accensioni fortuite 2
A nc h e gli scoppietti furono perfez ionati e cambiarono nome, divenn e r o archibugi 3 . Il cilindro, allungandosi ed assottigliandosi, si era tras formato in canna ed il foro per l'accensione si era spostato dalla parte ce ntral e superiore della canna al lato destro, facilitando l' accensione , m e ntre la bacchetta si era irrobustita fino a divenire un qualche cosa ch e ass omigliava già al moderno calcio.
Tutte queste innovazioni ebbero subit o un ri flesso pratico sul campo di battaglia, dove i cannoni cominciarono, sia pure timidamente , ad essere impiegati anche contro o bi e ttivi mobili. I Borgognoni furono tra i primi a trainare sui campi di battaglia rudimentali cannoni, i cortaldi, che erano già installati su a ffusti a ru ote, ma la prima comparsa di artiglierie sul campo di battaglia risale al 1346 (battaglia di Crecy).
Anche gli archibugi cominciarono a prender e il posto d elle balestre e degli archi.
Nei decennj iniziali del secolo XV un primo esempio di impiego tattico delle nuove armi venne dalla Boemia, dove il condottie ro ussita Jean Zizka sconfisse ripetutamente la cavalleria pesante imperiale con l'impiego coordinato di archibugi e cannoni.
Di estrazione rurale ed alla testa di un esercito di contadini, lo Zizka incentrò la sua manovra difensiva sull'utilizzazione d ei p es anti carri agricoli dell 'ep oca come ostacoli campali s p editivi
I carri, sulle cui fiancate adegua tame nte irrobustite erano state praticate num erose fe ritoie, v enivano disposti a circolo in una posizione non aggirabile e collegati tra loro con robuste catene di ferro. All'interno dei carri si disponevano gli archibugie ri, dietro i carri prendevano posto picchieri ed alabardieri, una piccola aliquota di bal es trieri, qualche squadrone di cavalleria leggera ed alcuni canno ni che, utilizzando gli spazi tra carro e carro, battevano il terreno sul davanti. Protetti dalle fiancate dei carri, gli arc hibug ieri ussiti attend evano con calma l'attacco della orgogliosa cavalleria imperiale, già danneggiata dal fuoco d ell'ar tiglieria, che veniva arres ta to da una scarica micidiale ad un centinaio di metri dalla linea dei carri A que l punto picchieri ed alabardieri s i p recipit.avano s ui cavalieri decimati e frastornati e li ponevano in fuga.
Nonos tante g li indubbi prog ress i t ecnici le grosse armi da fuoco avevano però ancora un'influenza trascurabile sullo svo lgim e nto dei combattime nti in campo ap e rto a causa della lenta cad enza di tiro, d ella scarsa gittata e della difficoltà a s postar e i pezzi. "Una vo lta s parata la prima salva, ba stava all'avversario avanzare rapidamente , impadronirsi dei pe zzi e, secondo una pratica attestata fin dall'inizi o del XV secolo, inchiodarli" 4
N ella guerra ossidionale, invece, le artiglierie, già di calib ro notevo le, rappresentav ano ]'ele mento principale della lotta, tanto che s i deve es clusivam e nt e al lo ro impiego la rapida ric o nquista da part e dei Francesi d e lla Bretagna e della Normandia che segnò la fine della guerra dei Cent'Anni.
P er quanto riguarda l'Italia, il definitivo affermarsi d elle artiglierie fu dovuto all' ese r cito di Carlo VIII , ricco di cannoni ch e ag li Italiani dell' epoca apparvero straordinariamente potenti e mobili 5 Il Guicciardini, infatti, n ella Storia d'Italia così ne parl a con evidente ammirazione: "Ma i Franc es i, fabbricando pezzi molto p iù espediti, né d'altro che di bronzo, i quali si chiamano cannoni, e usando palle di ferro, dove prima di pietra e se nza comparazione più grosse e di peso graviss im e s i u savano , gli conducevano ivi sulle carrette tirate non da buoi, come in Italia si costumava, ma con cavalli, con agilità tale di uomini e d'inscrumenti deputati a quesco servizio, che quasi sempre al pari degli eserciti camminavano, e condotte alle muraglie erano piantate con prestezza incredibile; e interpon e ndosi dall'un colpo all'altro piccolissimo inte rvallo di tempo, si spesso e con impeto si gagliardo percuotevano, che quello che prima in Italia fare in molti giorni si so leva, da loro in pochissime ore si faceva...".
Con il secolo XVI le artiglierie cessarono perciò di essere considerate un ele mento sussidiario ed aleatorio del combattime nto ed entrarono a pieno titolo sul campo di battaglia, anche se ancora per un secolo almeno fant e ria e cavalleria godranno di maggior prestigio, anche perché il personale addetto al funzionamento delle bocche da fuoco non aveva rango militare.
Già a Ravenna, 1'11 aprile 1512, per la prima volta fu attuata una manovra di artiglieria.
In quella battaglia, infatti, l'eccellente artiglieria d e l duca di Ferrara non si limitò ad un'azion e ini ziale contro lo schieramento avversario, ma continuò ad intervenire, con grande efficacia, per tutta la durata d ella battaglia, cambiand o persino di schieramento e coordinando i propri interventi con l'azione della fanteria e della cavalleria.
Il seco lo XVI vide anche la nascita della balistica, la scienza che indaga sul moto dei proietti. Niccolò Tartaglia iniziò lo srudio teorico della traiettoria e dimostrò errata l'opini o ne, allora comun e, che i proiettili dei cannoni d escrivessero una r e tta e quelli dei mortai i due lati omologhi di un triangolo isosc e le. Secondo Tartaglia la traiettoria era composta da due tratti rettilinei raccordati tra loro con un arco di c erchio, uno secondo la linea di proiezione e l'altro, quello final e , verticale. Con una s erie di esperie nze pratiche, il grande matematico bresciano scoprì che l'ang olo di massima gittata era di 45° e dedusse il principio, dimostratosi in seguito esat to, che og ni gittata poteva essere raggiunta con due angoli di proiezion e , purché fossero tra loro complementari.
Tartaglia realizzò, inoltre, il quadrante, un rustico e pratico congegno di legno che permetteva di far assu m ere alle bombarde la giusta inclinazione per battere un det e rminato obiettivo. Nel secolo successivo un altro italiano illustre, Galileo Galilei, dimostrò che, qualunque foss e la direzion e iniziale del proie tto, la sua traiettoria era sempre parabolica. Astrae ndo dalla resistenza d e ll'aria, Galileo comprese che il moto del proietto era la risultante di due m oti: uno orizzontale e d uniforme ed uno verticale uniformemente vario, deducendone che la tra ietto ri a è una parabola d i secondo gra do.
Anche le armi portatili progre d irono nello s t esso periodo con la realizza zione di più progrediti sistemi di accensione.
Il primo passo fu otten uto con il co ngegn o a serpentino, costituito da una barretta metallica a forma di S inc e rnierata al centro su un fianco del calcio. Tirando l'estremità inferiore della barretta quella superior e, che recava una miccia accesa, veniva a contatto con lo scodellino pieno di polvere da innesco. L'accensione si trasmetteva come al solito a ll a carica di lancio attraverso il focone .
L'innovazione p er quanto rudimentale non era priva di e fficacia, consente nd o di r eggere l' archibugio con due mani e dì mante n erlo puntato sul bersaglio fino a s paro avvenuto.
Il pa sso s ucc essivo fu l'introduzione del m ec canismo di accensione a ruota, co sti tuito da una ru ota di ferro con il bordo zigrinato, imperniata su un asse a cui e ra fissato il capo dì una robusta catena. L'altro capo era collegato ad una m olla molto robusta. Girando la ruota con u na chiave la catena si avvolgeva sul perno e tendeva la molla. Az ionand o il grill e tto la molla si rilasciava, trascinandosi appresso la catena che provocava, a sua volta, la rotazi one della ruota che così andava ad urtare un pezzo di pirite provocando alcune scintille che incendiavan o la polve r e contenuta nello scodellin o Il so lito focone permetteva che la acc e nsione si trasmette sse alla carica di lancio.
Un meccanismo complicato, più d a oro logiaio che da armaiolo, ma che aveva il grande vantaggio di permettere l'impiego dell'arma anche a cavallo, dove una miccia accesa sarebb e stata improponibile. L ' innovazione fu particolarmente appre zzata perciò dalla cavalleria, che prese ad impi egare la pistola da arcione 6 , un corto archibugio ch e poteva esse r e azionato con una so la man o e trasporta to in una apposi ta custodia fi s sata all'arcio ne d e lla sella.
U n ult e riore migliorame nto dell'archibugio fu l'introduzione del calcio ricurvo, sagomato per essere appoggiato agevolmente alla spa lla del tiratore e re nd e r e più facile il p untam ento . Attorno al secondo decennio d el XVI secolo gli Spagnoli introdussero l'uso del moschetto 7 , lungo circa un metro e ottanta centimetri, tanto pesante da richiede re l'uso di una forcella ad Y per l'impiego, ma in grado di lanciare una palla di trenta grammi a duecento metri. L'efficacia della nuova arma d ec r etò r apidamente la scomparsa degli arcieri e dei balestrieri.
Le nuove fortificazioni
La potenza distruttiva del cannone di bron zo con proiettili di ferro contro le mura alte e relativamente sottili, dei cast e lli medi evali, fu r ecepita con immediatezza e con altrettanta tempestività furono studiate e r ealizzate nuove struttu r e fortificatorie in grado d i r es ister e alla nuova offesa 8
Per consentire alle mura di una fortezza di resistere efficacemente al fuoco dei cannoni era n ecessario diminuirne l'altezza e d aumentarne lo spesso re, in modo da ridurre le dimensioni del bersaglio e, n e l conte mpo, ren derlo più resistente. Questa intuitiva risposta alla nuova offesa presentava due inconvenienti: abbassando le mura il difenso re avrebb e perso il dominio d el campo di vis ta e di tiro e facilitato la scalata dell'attaccante; aumentando lo spessore delle mura il cosco della costruzione sarebbe divenuto proibitivo.
Gli architetti dlell'epoca si dimostrarono all'altezza del compito loro affidato : il muro pieno fu sos ti tuito dal muro t e rrapi e nato, in grado di assorbire egregiamente l' impatto dei colpi, l'obsoleta torre angolare fu sostituita da una nuova struttura, il bastione, ugua lm en t e in grado di assicurare il fiancheggiam e nto d ella cinta.
Le mura delle nuove fortezze furono intervallate quindi da bastioni angolati, sporgenti rispetto alle mura e dominanti il fossato, vere e proprie piattaforme per le artiglierie della difesa . Il modello di bastione che presto si impose fu quello a quattro lati, i due lati maggiori formavano un cuneo ch e si prote ndeva verso la campagna circostante, in modo da pre se ntar e al fuoco nemico una superficie o bliqua, m e ntre i due lati minori, che si collegavano perpendicolarmente alle mura, offrivano ampie possibilità al tiro radente e fiancheggiante che doveva impedire la scalata delle mura.
Per impedire poi il tiro diretto contro il piede delle mura, si adottò il s iste ma di ammonticchiare o ltre la sponda esterna d el fossa to il materiale di sterro del fossato stesso, realizzando un terrapieno inclinato verso la campagna, un gigantesco piano inclinato, chiamato spalto, completamente dominato dal tiro d ei cannoni piazzati sui bastioni. La sistemazione difensiva era completata da due muri obliqui di sostegno del fos s ato, di scarpa quello dalla parte delle mura, di controscarpa quello verso la campagna, e da una strada coperta, una versione aggiornata dell'antico cammino di ronda, che correva dietro lo spalto e che si dic eva coperta perché nascosta alla vista d ell'a ttaccante.
Note Al Capitolo V
La miccia , denominata anch e miccio, era costituita da una cordicella imbevuta di saln itro.
2 Inizialmente il salnitro, il carb one e lo zolfo e rano macinati in un mortaio e poi mes co lati a mano. Il prodotto così o ttenuto aveva una combustio ne piuttosto le nta a causa della d ifficoltà di pro pagazione della fiamma in una massa non omogenea A ttorn o al 1425 il processo di lavo razione migliorò notevolmente, gli ingredienti furo n o mescolati umidi in modo da otte nere dei "pa ni", passati poi al setacc io così da ottenere grani di polvere da sparo omogenei e di grandezza costante. La maggio re velo cità di combustione dell a polve re in grani aumentò naturalmen te il s uo potere p rop ul sivo.
3 L' etimologia del termine archibugio è controversa, seco ndo alcuni au tor i der iverebbe da arco brrso, cioè bucato, secon do altri dal tedesco T-lake11biich se giun to in lta.lia dicettam e nte o tramite il termine francese ha«p1eb11sse.
4 I nchiodare le artiglierie voleva dire otturare il focone caccian dovi dentro a fo rza un grosso ch iodo. Lo sch iodamemo richiedeva molto tempo e non poteva essere attua to durante la battaglia. La citazione è tratta dal volume di Philippe Concamine, La guerra ~I Medio Evo, Bologna, Il Mulino, 1986, pag. 2 78.
5 Forse non è inutile n otare che i g ran di p rogress i delle artiglierie del re francese furono opera de l vice n tino Basilio della Sc uola. Questo gen iale inventore sostituì al ferro il bronzo, più facile da lavorare, ed eliminò le ingo m b ra nti e pesa nti palle di pietra sostituen dole con quelle di ferro fuso, co nsentendo così di ri du rre ca libro e peso dei cannon i senza diminuirne l'efficacia. li della Scuola fu pure l'inve nto re deU'affusto, ch e tan to a umentò h mobili tà dell 'artiglie ria.
6 Pistola non deriva da Pistoia, città nell a quale si sarebbero costruite le p ri me pistole, come vuole u na radicata credenza ma dal tedesco pistole! che, a s ua vol ta , deriva dal termi ne ceco pista! "canna, mbo". Prima di assumere la sua forma definitiva la pistola era, infatti, un tipo di archibugio corto.
7 Ad una specie di sparviero che, per avere il petto macchiet tato di nero a guisa di mosc he, fu ch iamaco moschetto, deve forse essere amibuica la denominazione del nu ovo e più poten te arch ibugio. Altri sostengono che il termine moschetto voglia invece riferirsi al ronzio del proietto d ura nte la traieccori a. La consuetudine di deno minare le nuove e terribili acmi facendo rife rimen to al mondo a nimale era molto di ffusa, basti pensare al nome di molte artigli erie: col11bri11a, dal latino colubra, se rpente;falcone,falconeflo, 111ezzo falcone, dalla voce cardo-latina falco che designa un g ro~so rapac e; sugro, dall'ara bo saqr, de nomin azione d i altro grosso rapace
8 Sul finire del secolo 1.'V l'Italia fu all'avanguardia nel campo d ell'ac hitcttura militare. Già Leo n Battis ta Alberti nel trattato De re ued[/ìcatoria aveva soste nu tO, attorno al 1440, che le fortificaz ioni difensive sarebbero state p iù efficaci "se costruite con linee icrego laci come i denti di una sega", Francesco di Giorgio Martini poi, con il suo Trattato di ,irchitettt,ra civile e militare del 1480, pose le basi per lo sviluppo della fortificazione bastio na ta ch e una miriade di architetti, di cui in questa sede è su fficience ricordare i Sangallo, il Sanmich eli e Paciotto da Urb in o, realizzò con eccell enti risultati in E uropa cd anche in America, tan to che il tracc iato bastionato era den ominato trace italienne.