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Aristide Marchetti (1920-1994
punitive che avvengono al di fuori della macchina giudiziaria partigiana, sottolinea che si è trattato di violenze contro spie e donnacce, meritevoli, quindi, di punizione:
Tutte le giovinette che hanno fatto combutta amorosa con le SS di Ron…, con grande scorno della vanità femminile, vengono rapate. Qualche fascista che si ritiene una spia viene prelevato ed ingoiato nel gorgo del mistero partigiano.349
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Come un’immagine speculare al sempre corretto partigiano, il nazifascista è sempre crudele, sempre feroce. L’immagine stereotipata del nemico – cattivo a prescindere – da un lato giustifica la necessaria violenza partigiana, dall’altro ne celebra l’importanza. Costantini non sa cogliere le sfumature, il lato umano del nemico, le contraddizioni interne del movimento: o forse, non vuole che esse
emergano. In conclusione, il testo di Costantini non esce dall’alveo delle memorie della prima ondata. Esso presenta una Resistenza eroica, concorde nel combattere il nemico, giusta nei suoi valori e nelle sue azioni, contenta anche di fronte alla morte. Non si colgono i contrasti interni e le zone d’ombra, che invece emergeranno dalla memorialistica più tarda.
Aristide Marchetti (1920-1994)
Con lo scritto di Aristide Marchetti si entra nel campo della scrittura diaristica. O almeno, le prime pagine del testo danno questa impressione, presentando una struttura cronologica a date, tipica del diario; la scansione non è giornaliera, ma ad intervalli di tre, quattro giorni. In Ribelle Marchetti racconta la propria esperienza di partigiano della “Valtoce” dall’ottobre 1943 fino all’inverno del 1944, quando finisce la sua personale “avventura”: la narrazione si conclude infatti con il protagonista colpito alla gamba durante uno scontro, che sviene dal dolore.350
Il testo non è preceduto da un’introduzione, o da una prefazione in cui l’autore avrebbe potuto presentarsi al lettore, specificando le sue intenzioni. Il sipario si apre subito con il racconto dell’organizzazione della banda partigiana.
349 Ivi, p. 104. 350 Aristide Marchetti, ferito, si rifugia in Svizzera, e da lì assiste alla Liberazione: torna in Italia solo dopo il 25 aprile.
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Le prime annotazioni sono tutte relative alle azioni compiute e all’impatto del mondo dei ribelli sul protagonista, che dice brevemente:
La vita partigiana è una cosa nuova, un misto di naja e di villeggiatura: non si sa se prenderla da un lato o dall’altro. Giacca a vento, pantaloni alla zuava, passamontagna, scarponi, come nelle gite in montagna; servizi di guardia, di corvée, di addestramento, come nelle caserme. Vita nuova. Mi ci abituerò. 351
Di primo acchito, si notano notevoli differenze rispetto al testo di Costantini. Marchetti racconta un’esperienza personale, vissuta direttamente; nessun alone eroico-leggendario a condire le sue descrizioni, così stringate e concrete da sembrare “rudi”, grezze. Come si è detto, non c’è nessun accenno ai motivi che l’hanno spinto a scrivere. Solo tra le righe si coglie un riferimento alla pratica della scrittura diaristica:
In una settimana non ho da registrare alcuna azione degna di rilievo.352
E ancora:
Stanotte finalmente posso riordinare i miei appunti. E non è impresa da poco.353
Dalle prime pagine sembra, quindi, che il testo di Marchetti sia nato con il semplice scopo di aiuto alla memoria durante i fatti: una serie di annotazioni spurie sui movimenti del gruppo, le azioni compiute, le perdite e le conquiste. In realtà, con lo scorrere del racconto il lettore si imbatte anche momenti personali di riflessione del protagonista, travolto dalla dimensione della guerriglia. In essi, la scrittura diaristica recupera anche la dimensione dell’autoconfessione, e diventa sfogo delle tensioni accumulate:
Per tanti giorni le pagine del mio diario sono rimaste intatte, bianche, a gara con la neve. Stanotte ho spezzato la malia. Adesso che ho finito, mi pare che mi manchi qualcosa. Già i bicchieri sono vuoti. E neanche un mozzicone da consumare religiosamente per riempire quella strana malinconia che mi assale stanotte.354
351 ARISTIDE MARCHETTI, Ribelle. Nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio, Milano, s.n., 1947, p. 10. Il testo è stato recentemente oggetto di una nuova edizione a cura di Marino Vigano (Milano, U. Hoepli, 2008). 352 Ibid. 353 Ivi, p. 51. 354 Ivi, p. 79.
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Lo scritto di Marchetti propone una continua alternanza tra le annotazioni tecnico-militari relative alla conduzione della guerriglia – in cui si mantiene la scansione cronologica tipica del diario – e i momenti di riflessione, quando l’impostazione per date viene abbandonata. Visivamente, le parti introspettive si possono facilmente individuare poiché sono separate dalla narrazione più fattuale, come se fossero capitoli a sé. Sull’origine diaristica del testo sono utili alcune precisazioni. È fuor di dubbio che le sezioni relative al lato concreto della guerriglia siano frutto di annotazioni prese a ridosso degli eventi. Per le parti più profonde – in cui si affrontano tematiche relative alla morte, alla scelta partigiana, all’uso della violenza, alla dimensione della guerriglia – ho ragione di credere che una fase di rielaborazione successiva ci sia stata. Questi momenti di riflessione sono troppo elaborati per poter essere ricondotti ad un’origine esclusivamente e autenticamente diaristica: anche se la loro nascita è avvenuta
contemporaneamente agli eventi, prima della pubblicazione l’autore stesso è intervenuto sulla loro resa narrativa finale. Andando a compromettere, seppur inconsapevolmente, la natura diretta di quelle note. Un elemento che indirettamente contribuisce a sostenere questa tesi è legato alla biografia di Marchetti, e ai tempi di pubblicazione del testo di memoria. Aristide Marchetti all’alba dell’8 settembre è ufficiale dell’esercito in
licenza per malattia: per la chiamata alle armi ha dovuto abbandonare anche gli studi universitari, che sono indice di una preparazione culturale medio-alta. Entra a far parte della Resistenza come partigiano della “Valtoce” – formazione autonoma d’ispirazione cattolica – diventandone in seguito commissario politico. Vive l’esperienza partigiana a contatto con i grandi comandanti dell’Ossola – Beltrami e i fratelli Di Dio, che nel testo hanno il loro spazio – prendendo parte a tutti i momenti salienti della guerriglia ossolana: la battaglia di Megolo, la Repubblica, e la successiva sconfitta. Dopo la Liberazione è attivo nella vita civile del paese: tra i vari incarichi, figurano quelli di deputato democristiano dal 1968 al 1976, e poi di senatore dal 1976 fino al 1983. Si impegna poi nella creazione dell’Anpi di Laveno Mombello, e cura una serie d’iniziative editoriali legate alle tematiche resistenziali; un
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esempio è l’antologia La resistenza nella letteratura. 355 La pubblicazione di Ribelle si può considerare il primo tassello di un progetto unitario: dare rilevanza culturale al tema della Resistenza. Egli stesso si occupa della revisione del proprio testo, che esce due anni dopo la Liberazione, nel 1947. Marchetti ha avuto quindi tempo e modo di enfatizzare, riscrivere, precisare, arricchire: sue, per esempio, sono le note inserite qua e là nella narrazione, a chiarire luoghi, date e personaggi. Alla luce di tutte queste considerazioni, si può ritenere il testo di Marchetti un diario retrospettivo, che prende le mosse da annotazioni contemporanee ai fatti sulla cui forma l’autore è poi intervenuto a mente fredda. Ribelle si apre in modo emblematico: al posto di una normale e prevedibile prefazione, il lettore trova una lunga preghiera a Dio. Da ciò si può comprendere il retroterra culturale ed esistenziale dell’autore; egli infatti è un fervente cattolico. L’elemento religioso è presente lungo tutto il testo. Per il protagonista esso rimane l’unico punto di riferimento che sia esterno alla realtà provvisoria della guerriglia, e che lo mantenga legato, in qualche modo, al vivere civile, alla percezione della vita “normale” della comunità, ad una dimensione di “umanità”:
A messa ci siamo ritrovati tutti. Ci sono anche il Capitano, Alfredo, Antonio. Nel silenzio della Chiesa, rotto appena dal mormorio del prete officiante, più intimi e vicini risuonano gli echi della vita che abbiamo appena lasciato; ed han la voce dell’organo. Ritornano i pensieri malinconici del Natale: la casa, l’infanzia, i regali… La neve e il freddo, all’uscita, mi riportano bruscamente alla realtà. Siamo a Campello e in guerra.356
Il tempo della storia è rimarcato, oltre che dalle date che scandiscono la narrazione, dai continui riferimenti al tempo religioso, alle scadenze del calendario cattolico. Anche questi sono momenti in cui si ritrova il contatto con la realtà della vita che continua il suo normale corso, al di fuori della guerra:
Un suono dolcissimo mi giunge a tratti, tremulo, festante e in un soffio. Gli echi delle campane dei villaggi danno il loro saluto di pace agli uomini di buona volontà. È Pasqua. Giorno di pace, giorno di gioia. 357
355 ARISTIDE MARCHETTI, GUIDO TASSINARI (a c. di), La resistenza nella letteratura: antologia, pref. di Giovanni Gronchi, Milano, Associazione partigiani A. Di Dio, 1955, riedito nel 1975 ( La resistenza nella letteratura, Roma, Ebe, 1975) 356 A.MARCHETTI, Ribelle. Nell’Ossola liberata con Beltrami e Di Dio, cit., p. 34. 357 Ivi, p. 83.
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La preghiera introduttiva, oltre che ribadire un elemento fondamentale per la cultura dell’autore, sembrerebbe suggerire al lettore un’impostazione stilistica altamente retorica. In realtà, non è così. Marchetti adotta uno stile concreto, stringato ed essenziale per le parti relative agli eventi della guerriglia. Lo schema è ricorrente: luogo, evento cardinale di quella giornata, breve commento. Si vedano questi esempi:
1 Luglio Ornavasso. Compleanno di Marco. Ci rechiamo in macchina ad Omegna […]. 7 luglio. Mottarone. Peppino è morto in un’imboscata. Tom Mix assume il comando gruppo della difesa radio. È arrivato il figlio di «Maurizio», Giorgio Parri. Giovanissimo studente, ha preferito venire in montagna che «lavorare» al piano. […] La brigata «Valtoce» diventa sempre più forte, importante.358
Nella descrizione delle battaglie più importanti lo stile si fa ancor più telegrafico. Continue pause, punti fermi, ad aumentare una tensione – dovuta al pericolo incombente della morte – che è già di per sé in crescendo:
La volante rientra. Calma. Il sole riesce a vincere le nubi, che si dissolvono rapidamente. Uno schianto fragoroso. Una nuvola rossastra sospesa sopra il pilone dell’alta tensione, cento metri più a monte di noi. Shrapnel dell’88 tedesco. Tocca a noi adesso. Un minuto. Schianto terribile. Quasi nello stesso punto di prima: preciso sul crinale. Laggiù c’è la S. Etienne, l’ultimo fortino della linea. A pochi minuti di distanza i colpi si susseguono. Estremamente precisi discendono, colpo per colpo, lungo il crinale, sempre mantenendosi a pochi metri dal terreno.359
Come si può notare, in questo stralcio ogni elemento è indispensabile a descrivere la dinamica della situazione. Niente è inserito per puro gusto estetico, per abbellimento: i riferimenti al clima sono funzionali a capire lo svolgimento dello scontro. Nell’economia della descrizione, si sopprimono persino i verbi, riducendo quelli che potrebbero essere lunghi ed elaborati periodi a delle frecciate di senso improvvise e istantanee. Ed in effetti, il combattente coinvolto in uno scontro a fuoco ha solo quel modo per vivere la battaglia: attimo per attimo, sospeso come su un filo – lui ed i compagni – al destino di un secondo. Senza poter sapere come andrà a finire. In sostanza, niente eroismi, niente gesti leggendari, ma la provvisorietà, la paura, il senso dell’agguato. È solo in un
358 Ivi, p. 106. 359 Ivi, p. 161.
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secondo momento che le esperienze dei guerriglieri si trasformano in racconto mitico, di cui le pagine di Costantini viste in precedenza sono esempio. Marchetti riesce a mantenere il racconto al di qua della sua trasfigurazione “epica”, che è invece caratteristica di molti altri memorialisti, evitando quasi sempre le cadute magniloquenti. Egli attinge alla retorica solo quando sente di non poterne fare a meno: questo avviene nelle parti “in memoria di”. Si è detto che Marchetti ha combattuto a stretto contatto con i fratelli Di Dio, con Filippo Maria Beltrami, gli eroi dell’Ossola. Ricordarli diventa un obbligo. Alle morti di Beltrami e di Antonio di Dio, avvenute durante la battaglia di Megolo, egli assiste direttamente: e le descrive creando un climax prima ascendente e poi discendente. All’inizio della battaglia, il Capitano è lì, in prima linea a motivare i suoi:
Il Capitano, sigaretta in bocca, in piedi dietro un albero, spara con un fucile 91. È un vecchio cacciatore, per lui vale il detto «ogni colpo va nel carniere». Accanto, appoggiato al tronco, sta il fedele mitra, in attesa del combattimento ravvicinato […] «Coraggio, che oggi mangiamo la pastasciutta» ci grida il Capitano […].360
La battaglia prosegue accanita, fino al momento culminante, in cui le pause e i continui “a capo” spezzano anche il fiato della lettura, così da far comprendere l’impatto che la perdita del leader deve aver avuto sull’animo dei suoi:
Il Capitano organizza una nuova linea difensiva. Vuol meglio osservare le nostre posizioni. È ritto, accanto ad un ippocastano. Una raffica di mitragliatrice. Il Capitano si appoggia al tronco. Scivola giù. Il Capitano è ferito. Sdraiato per terra, perde sangue dal collo e dal petto. Antonio vuol farlo portare su alle baite. Il Capitano si rifiuta.361
Stesse movenze stilistiche anche per descrivere la morte di Antonio e di tutti gli altri compagni, che lasciano un vuoto incolmabile:
Antibo non si muove più. E Gaspare. Anche Antonio è colpito da una raffica, cade. Antonio è morto. Anche Antonio è morto. È un inferno. Il Capitano non si può più raggiungere. Lo vedo laggiù, lo guardo per l’ultima volta. Il viso al cielo, il collo e il petto di sangue.362
Qui non c’è spinta retorica: il pathos tragico che si respira è dovuto semplicemente alla scena di morte, alla disperazione palpabile dei compagni
360 Ivi, p. 64. 361 Ivi. pp. 64-65. 362 Ivi, p. 66.
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