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III.5 - Raffronti
evidenzia almeno la possibilità che i vari gruppi partigiani abbiano sviluppato alcune singole espressioni gergali riferite a momenti del vivere partigiano, che si sono poi conservate nel ricordo dei memorialisti.
III.5 - Raffronti
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L’analisi qui tentata è giunta al termine. Seppur condotta su scritti non considerati opere “letterarie” nel pieno senso del termine – e prese raramente in considerazione dagli studiosi – ha permesso di evidenziare che esiste un binario condiviso su cui i memorialisti hanno sviluppato la narrazione degli eventi resistenziali portando la loro riflessione al di là della semplice cronaca. Sono quindi emerse una serie di tematiche comuni: può essere interessante un veloce raffronto tra lo sviluppo di queste attuato dai memorialisti e quello scelto da uno tra i più noti romanzieri resistenziali, Beppe Fenoglio. Beppe Fenoglio (si prenda come esempio Il partigiano Johnny, che, pur partendo da un’esperienza autobiografica, assume le forme del romanzo a tutti gli effetti) tocca alcune tematiche della realtà partigiana evidenziate anche dai memorialisti. È ovvio che il romanziere ha molti più strumenti per organizzare il tessuto narrativo – e quindi è molto più libero di piegare il racconto secondo le proprie esigenze – mentre lo scrittore di memoria deve rispettare alcune regole fisse: la narrazione in prima persona, la coincidenza tra voce narrante e protagonista. Inoltre, lo scrittore “di mestiere” ha obiettivi letterari e estetici che al memorialista sono estranei, e risorse stilistiche per questo più raffinate; da qui, la collocazione del romanzo resistenziale nell’alveo della letteratura, mentre la memorialistica resta semplice testimonianza cronachistica. Per verificare ciò che si è finora detto con dei veloci esempi, si considerino alcune pagine emblematiche del Partigiano Johnny, in cui la consonanza tematica è più evidente. Non rimarcando l’origine autobiografica dei fatti raccontati con la coincidenza tra narratore e protagonista – la voce narrante, seppur sondando i pensieri dei personaggi, mantiene una constante impersonalità – Fenoglio ha un ampio margine d’invenzione, per cui non deve necessariamente seguire il filo del ricordo come i memorialisti. Eppure, anche lo scrittore racconta il partigianato con alcune delle sfumature tematiche che si sono riscontrate nei memorialisti, in
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questo caso ossolani. Ovviamente, nell’approfondire i vari significati che il partigianato può assumere, Fenoglio opera delle scelte che non è il caso di considerare qui in modo approfondito; non si sta tentando un’analisi critica del Partigiano Johnny, ma solo una breve veloce panoramica orientata alla ricerca dei temi già peculiari nei memorialisti. Nella costruzione del romanzo, Fenoglio predilige le tematiche legate alla violenza umana, alla metamorfosi bestiale dell’uomo nel contesto bellico; per questa ragione, sono meno i riferimenti alla dimensione allegra della Resistenza rispetto alle scene di morte, di sangue, di regressione animale dei personaggi. Ciò nonostante, rimandi anche solo lessicali all’allegria partigiana, alla presa in giro dei fascisti si evidenziano. Ecco “Tito” che descrive a “Johnny” la sua concezione del partigianato:
Ora vedrai che carnevale di divise. Dobbiamo dare la puntura alle spalle e svanire, polverizzarci e tornare alla carica alla stessa misteriosa maniera. I fascisti superstiti devono avere l’impressione che i loro morti sono stati provocati da un albero, da una frana, da…un’influenza dell’aria, debbono impazzire e suicidarsi per non vederci mai.668
Si ritrovano qui i riferimenti all’eroico partigiano invisibile che raggira i fascisti. Ecco il cugino di “Johnny” che racconta l’attacco tedesco dell’8 settembre alla Stazione Centrale di Milano:
– Io ero di servizio alla Stazione Centrale l’8 settembre, e i primi due tedeschi arrivati in camionetta li abbiamo ben fatti fuori, – diceva il cugino. – Fu semplicissimo, quasi la punizione di una incredibile sfacciataggine, presentarsi in due a conquistare la stazione di Milano. C’erano borghesi con noi, fra i quali un avvocato. Davvero, un’atmosfera sognosa, inebriante da Cinque Giornate. E nota che l’avvocato era tutt’altro che giovane, un vecchierello, s’era messo ai miei ordini declamando «Cedant togae armis», e sparava, lui personalmente, e tutto mi pareva un domino di carnevale.669
Di nuovo, la guerra che sconvolge i ruoli sociali, armando un avvocato, ma che viene descritta come circondata da un’atmosfera «sognosa, inebriante» nonostante la gravità della situazione. L’ebbrezza di cui si parla è in realtà l’eccitazione per lo scontro a fuoco, uno degli elementi che pesano di più sulla metamorfosi animalesca del combattente negli scritti di memoria.
668 B.FENOGLIO, Il partigiano Johnny, cit., p. 66. 669 Ivi, pp. 8-9.
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Anche il divertimento, la risata ritornano nel romanzo di Fenoglio, come nei memorialisti. A volte, identificano i momenti di pace e di giovanile libertà vissuti dai protagonisti:
I partigiani sciamavano per le colline, la primavera trapassante nell’estate eccitava e garantiva quel loro lungo, ebbro errare […]. Di sera i partigiani sung and feasted, tentando di attrarre fuori le ragazze del paese. Le strade asciutte e soffici facevano tutti impazzire per procurarsi autoveicoli e guidarli ebbramente. 670
E ancora:
– Ora ridiamo, ridiamo troppo. Ma verrà fatalmente il momento che piangeremo. Se no è troppo facile, innaturalmente, astoricamente facile. Poi naturalmente ritornerà il momento che rideremo, il grande ultimo riso. Ma io sarò di quelli che attraverseranno il grande pianto per approdare al grande riso?671
In questa pagine, la risata estemporanea identifica la definitiva Liberazione. Il «grande riso» giunge – nella profezia che “Johnny” sta costruendo – a chiudere ed esorcizzare una fase di «grande pianto» che si deve necessariamente attraversare; riso e disperazione, quindi, diventano due elementi contrapposti ma indissolubilmente complementari, ciclici. La risata liberatoria e immotivata interviene non tanto come soluzione conclusiva di un episodio allegro, quanto come valvola di sfogo delle tensioni accumulate ed elemento catalizzatore dell’eccitazione provata dal partigiano nelle battaglie; dinamiche molto simili a quelle già evidenziate nei memorialisti. Questa la reazione di “Johnny” dopo aver preso parte alla dimostrazione di forza del popolo di Alba per liberare i prigionieri politici dalle carceri:
Andò verso casa, così lentamente come non aveva mai camminato, con un languore addosso che gli imponeva di sorridere, abbandonatamente, stupidamente.672
E ancora, il ridere festoso di “Johnny” e i compagni durante la riuscita fuga da un rastrellamento:
Il macchione che orlava il grande rittano a est di Mango stava a un centinaio di passi, facendoli Johnny li contava udibilmente uno dopo l’altro. E niente intanto succedeva, né un grido né uno sparo, né il cieco scattare degli altri tre dietro di lui. Al novantesimo passo cominciò a sorridere, al novantacinquesimo a ridere, piombando
670 Ivi, p. 52. 671 Ivi, p. 199. 672 Ivi, p. 48.
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dentro l’ombra cieca della macchia rantolò di gioia. Allora si voltò e tutti gli altri tre lo abbracciarono per le spalle e insieme chinarono le teste in quel pozzo di braccia, come giocatori di rugby.673
Oltre ad esorcizzare la paura della morte, il riso qualche volta accompagna grottescamente la morte stessa. Un esempio è la risata di “Kira” caduto in battaglia, a cui “Johnny” risponde con un uguale sorriso:
Egli sorrideva, d’un sorriso ombrale. E allora Johnny gli sorrise. Michele urged al suo fianco, gli soffiò con la sua voce fessa e adultissima: – Sorridi, Johnny? Sei disgraziato a sorridere in faccia ad un morto?674
Il binomio grottesco risata-morte si ripresenta spesso nel romanzo. In questo passaggio la battaglia stessa risuona di una grottesca risata che annuncia i corpi di due morti partigiani:
Da laggiù, nel silenzio delle armi, sentirono dalla cresta scendere un ridere grasso e profondo, poi un gemito collettivo come per scaricarsi di un peso comune ed il pendio riprese a suonare sotto un nuovo rotolamento. Dopo un minuto approdarono al felceto due morti.675
La risata che riecheggia nel romanzo di fronte alla presenza dei corpi dei caduti contribuisce a spogliare l’idea della morte di tutti i suoi significati esistenziali e astratti, pietosi, trasformandola nella semplice e cruda fine di una vita fisica, come è la morte nel mondo animale. Dice bene Falaschi:
Definire la morte come una sconfitta o una vittoria dell’individuo è un privarla della sua realtà fisica e attribuirle un significato tutto umano: è una concezione umanistica della morte. Fenoglio invece ne ha una concezione fisica: che avvenga per suicidio o per omicidio (non naturalmente, perché allora non fa cronaca) essa è la conclusione di una vicenda nella quale gli avvenimenti trascorrono in modo tale da distruggere l’individuo come entità materiale dotata di vitalità.676
La morte dell’uomo è così equiparata alla morte di un animale, e affrontata nello stesso modo in cui una bestia affronta la morte di un suo simile, cioè senza emozione, come la semplice conseguenza fisica di un evento violento che si verifica d’abitudine nello scenario partigiano. Anche di fronte alla morte di “Tito”, a cui era affezionato, “Johnny” non lascia trasparire emozioni:
673 Ivi, p. 371. 674 Ivi, p. 223. 675 Ivi, p. 344. 676 G.FALASCHI, La resistenza armata nella narrativa italiana, cit., pp. 164-165.
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Tito cadde fulminato, con fucile imbracciato, fu forse quel ferroligneo supporto a farlo cadere giù così interito, come un palo. Johnny seguì il suo crollo con attenzione, mentre la scia della raffica fluttered il suo vestito. […] Bisognava resistere strenuamente al contagio di quella marcia cerimoniale di resa, era ipnotizzante almeno quanto la stesa massiva di Tito.677
A volte è la morte stessa a trasfigurare in animale ciò che prima era uomo:
I tre uomini, due di Némega ed uno del viola, sedevano e ancora ondulavano, senza gemere. Sanguinavano furiosamente, ed uno era stato colpito alla bocca e sfigurato tutto, con indenni gli occhi enormi e stupefatti, scoloriti dal dolore. Non morti, ma moribondi, stupendamente al di là d’ogni salvezza. Johnny gli vedeva la precipite miseria della carne morente, la pelle già argillosa, L’ispido della barba già paurosamente vile ed animale, il pregio di ogni loro parte di carne decadendo vertiginosamente.678
Parlando del mondo animale, viene facile il passaggio a un altro tema che emerge fortemente dalla memorialistica ossolana: la guerriglia partigiana come processo di bestializzazione dell’uomo. Questo è uno dei significati della Resistenza più sfruttati da Fenoglio. Oltre a vivere la morte con le stesse nonemozioni di un animale, negli scontri i partigiani di Fenoglio diventano animali eccitati alla caccia e guidati dall’istinto:
Johnny si sistemò a sparare agli scoperti, ai balzanti, ma dopo che due suoi spari staffilarono l’innocente terra, dietro il mimetico fantasma d’un nemico leaping, cessò, si fissò nell’attesa estenuante del colpo sicuro. Era spossante, come astenersi sempre dal gioco alla roulette indefessamente rotante… Tito non aveva ancora sparato. Quando poi sparò, lo fece con un sussulto e una precipitazione che congelarono il sangue a Johnny […]. Il ragazzo danzava a trenta metri, accecato dal suo stesso coraggio: magro ed elastico, inebriato del suo coraggio, della sua astuzia bellica e della natura boschiva. Johnny gli sparò senza affanno, senza ferocia, ed il ragazzo cadde, lentamente, così come Johnny lentamente si aderse sui gomiti, nell’ascensionale sospensione davanti al suo primo morto. Stranito ed invasato, testa e petto scoperto, seguiva l’ultimo spiralarsi dell’ucciso sull’erba acquosa. 679
Gli esempi di bestializzazione dell’uomo durante la battaglia sono infiniti: si va dall’orgasmo del partigiano pronto a sparare («sparavano da fermi, con un orgasmo eppure un disimpegno come da tiratore a bersaglio mobile in fiera»680)
677 B.FENOGLIO, Il partigiano Johnny, cit., pp. 103-104. 678 Ivi, pp. 126-127. 679 Ivi, p. 96. 680 Ivi, p. 104.
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alla sensazione del «selvaggio rimbalzo delle pallottole».681 Come se la battaglia e le armi esercitassero sui ribelli un richiamo istintivo e animalesco:
Gli venne una frenesia di sparare, anche sapendo che dopo un primo caricatore si sarebbe trovato sazio alla nausea, ma ora era in una vera e propria frenesia di quel caricatore.682
Non è solo il vivere le battaglie dal loro interno a trasformare il partigiano in un essere bestiale, che perde il suo animo razionale e umano. Anche in Fenoglio la vita di banda rafforza l’immagine di una realtà animalesca, così dipendente dal territorio e dalla natura da far dimenticare ai ribelli le norme del vivere comune e da trasfigurarne la figura. Ecco le impressioni di Johnny appena arrivato al campo partigiano:
E mangiando osservò gli altri, per trovarsi confermato e peggiorato in quella scoperta che nessuno era lontanamente della sua classe, fisica e non, a meno che un giorno o poco più di quella disperata vita animalegiunglare non imprimesse su tutti, anche su un genio d’imminente sbocciatura, quel marchio bestiale. Gli altri non gli badarono più, dopo che si furono voltati a esaminare l’indifferentemente annunciato nuovo, con un bovino giro della testa e un lento lampo negli occhi.683
La dimensione selvatica del partigiano, quindi, si origina nei modi di vita della banda per poi complicarsi attraverso l’esperienza della battaglia e il contatto con la morte. La riflessione – espressione peculiare dell’umanità che resta nei partigiani al di là della eccitazione animale – ritorna solo in un secondo momento a rendere il partigiano consapevole degli orrori compiuti e della paura che avrebbe dovuto provare se l’euforia selvaggia non avesse sorpassato ogni altra emozione:
La stanchezza l’aggredì, subdola e dolce, e poi una rigidità. Poi nella sua spina dorsale si spiralò, lunga e lenta, l’onda della paura della battaglia ripensata. Anche agli altri doveva succedere lo stesso, perché tutti erano un po’ chini, e assorti, come a seguire quella stessa onda nella loro spina dorsale. Una battaglia è una cosa terribile, dopo ti fa dire, come a certe puerpere primipare: mai più, non mai più. Un’esperienza terribile, bastante, da non potersi ripetere, e ti dà insieme l’umiliante persuasione di aver già fatto troppo, tutta la tua parte con una battaglia.684
La metamorfosi bestiale del partigiano, quindi, è un tema su cui Fenoglio – così focalizzato a cogliere la violenza dell’uomo sull’uomo – indugia molto. Nel
681 Ivi, p. 269. 682 Ivi, p. 269. 683 Ivi, p. 59. 684 Ivi, p. 100.
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romanzo il movimento che più contraddistingue Il partigiano Johnny è quello della regressione dall’umano all’animale piuttosto che la maturazione dei memorialisti dall’inconsapevole adolescenza verso la responsabile maturità. Nel romanzo non si racconta di momenti didattici di discussione interna al gruppo partigiano. “Johnny” non è un partigiano politicamente schierato; anche se si unisce ai garibaldini – «in the wrong sector of the right side»685 – il suo obiettivo non è costruire il socialismo ma semplicemente combattere i nazifascisti. Per queste divergenze con il comando – soprattutto con il commissario politico “Nèmega” – egli lascia i garibaldini, preferendo gli apolitici azzurri di “Nord”. Quindi, per Johnny nessuna maturazione politica o ideologica. Se di una maturazione si più parlare, essa è legata ad altri contesti. All’alba dell’ascesa in collina, è la coscienza di tornare ad essere uomo dopo l’inattività dell’imboscamento, di fare finalmente la cosa giusta:
Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito – nor death itself would have been divestiture – in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo […]. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.686
Ma il partigiano è superuomo solo finché non entra nel gorgo partigiano, nella regressione bestiale di cui si è parlato prima. E paradossalmente, proprio la dimensione animalesca permette a Fenoglio di esplorare le reazioni umane nei momenti più drammatici: nel pericolo, nel furore dello scontro, nella fuga, nella solitudine. La riscoperta dei comportamenti umani di fronte alle situazioni estreme della guerriglia contribuisce ad affinare il livello di conoscenza che Johnny poteva avere dell’”umanità” attorno e dentro di lui; questo grado di comprensione si eleva scontro dopo scontro, morti dopo morti. Ecco le riflessioni del protagonista dopo un’imboscata:
E andando, ripensando all’agguato, fogli di carne e fogli di opinione si addizionavano perfettamente al suo corpo e mente, al punto da renderlo un grosso uomo, così grosso da dover pensare di non poter sfuggire a una raffica, una delle prossime volte. Aveva fatto
685 Ivi, p. 71. 686 Ivi, p. 52.
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un’imboscata ed aveva sicuramente ucciso: era un passo in avanti e un rimerito verso e della sua propria morte. 687
Queste esperienze tragiche acuiscono la sua conoscenza dell’altro e di se stesso. Johnny si riscopre anche fisicamente diverso, indurito dalla guerra, proprio come molti memorialisti di cui si è parlato:
Mai come in quel momento era stato tratto, forzato a pensare, vedere la sua propria realtà fisica, la sua carnale sostanza e forma. Era persino miracoloso il constatare, realizzare appieno, per la prima volta, le facoltà, gli usi e le forme specifiche ed irripetibili di ogni parte. Le mani, per esempio, avevano sofferto del partigianato: non il dorso, sempre asciutto e fine, con ricamo distinto e potente delle vene elated; ma sulle palme aveva pesato, fino all’incisione, la guerra. – Dr. Jekill e Mr. Hide – poté pensare Johnny, confrontando dorso e mano.688
Nello studio delle reazioni umane articolato da Fenoglio, il fascista non si distingue dalle azioni del partigiano. Come muore il partigiano, così muore il fascista; come si animalizza il partigiano negli scontri, così il fascista. La realtà repubblichina non viene indagata nelle sue peculiarità: i fascisti sono presentati semplicemente come il nemico collettivo da combattere. Si è detto che i memorialisti partono da un’immagine del nemico che anche fisicamente esprime rabbia e ferocia; in Fenoglio non è così. Quando un fascista in particolare esce dall’ombra del “branco”, viene descritto – evitando in toto i giudizi morali – come se si trattasse di una maschera da commedia, con termini degradanti, avvilenti che ne abbassano la figura e suscitano più il riso che la paura:
A una delle finestre strette s’affacciò un ometto, e quanto di lui spuntava dal davanzale era perfettamente rivestito della divisa messa in moda dai fascisti. C’era da rischiare un arresto cardiaco ad alzar gli occhi a caso e veder di colpo prominere quel berretto fascista fregiato del gladio, ma il viso sotto di esso era così pulcinellescamente arrendevole e furbesco, così tremolante e nel contempo così conscio che quella stessa tremolantezza gli faceva da usbergo, che il moto d’orgasmica stupefazione si spegneva, come avvenne per Johnny, in una semicomica censura personale per quell’impossibile orgasmo. […] e la sua apparenza era così marchianamente inferiore, le circostanze della cattura state così vergognosamente facili, la fame così evidente ispiratrice del suo allineamento che era parso contrario ad ogni legge virile procedere ad una esecuzione.689
Il repubblichino è quindi descritto, in questo caso, come una macchietta da circo, incapace di incutere quel terrore che di solito accompagna la comparsa del
687 Ivi, p. 185. 688 Ivi, p. 220. 689 Ivi, p. 68.
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fascista nei testi di memoria. L’abbassamento della figura del repubblichino continua nelle narrazioni degli scontri a fuoco, gli unici momenti in cui i nemici acquistano una qualche caratterizzazione descrittiva. Durante gli scontri, essi appaiono come «nanizzati dalla distanza, ridicolizzati da quel loro scattinare senza meta»,690 la loro stessa presenza fisica miniaturizzata finché di loro rimangono solo gli «elmetti fascisti»;691 altrove sono descritti come «un consolidato manto d’insettacci».692 In queste pagine si perde la loro stessa corporeità di uomini: la loro presenza viene identificata da sezioni di corpo, da «mezze gambe fasciate delle vecchie luride fasce dell’esercito»,693 elmetti, «scarpe zavorrate pestanti»,694 e per ultimo «delusiva carne di fascisti».695 Si è detto che i memorialisti riscoprono poco per volta l’umanità di un nemico prima immaginato come lontano, completamente negativo, e diventano così consapevoli della guerra civile in cui sono coinvolti. In Fenoglio, invece, il nemico è sin dall’inizio un uomo simile al partigiano, che combatte con lo schieramento avversario perché ha fatto una scelta inversa ma ugualmente vincolante, senza attenuanti, che lo allontana definitivamente. Tra i partigiani di Fenoglio non nasce il moto di comprensione che invece si evidenzia nei memorialisti, e permette loro di cogliere il lato umano dei repubblichini. Le due realtà restano distanti una dall’altra, entrando in contatto solo attraverso le dinamiche della guerriglia – scontri, rastrellamenti – che sono poi i momenti più interessanti per cogliere i comportamenti umani. Anche in queste occasioni, il fascista resta una figura lontana, divisa dai partigiani da una distanza che è prima di tutto fisica. Come si è visto, la figura del fascista si rimpicciolisce, si parcellizza e nel contempo si allontana da una qualsivoglia comprensione, sia del partigiano sia del lettore. Fenoglio lascia che la dimensione della guerra civile emerga, più che da una presa di coscienza dei protagonisti, dalle situazioni stesse, senza sottolinearne esplicitamente la tragicità. Non è un caso se il termine stesso di “guerra civile” nel testo non compare, mentre sono presenti le realizzazioni pratiche di ciò che esso
690 Ivi, p. 98. 691 Ibid. 692 Ivi, p. 105. 693 Ivi, p. 106. 694 Ibid. 695 Ivi, p. 176.
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rappresenta. Si veda il caso del partigiano “Kyra”, la cui famiglia è dilaniata proprio dal dramma della guerra civile:
Kyra aveva un fratello maggiore, e ufficiale del presidio fascista di Asti. E, disse Pierre, era buono per i fascisti come Kyra era buono per loro. – Prova a spiare Kyra quando trasportano al comando un fascista catturato o passa per la fucilazione. Lo vedi agonizzare e seguire da lontano e lateralmente la processione che sempre l’accompagna. E se si trattasse di suo fratello, puoi star certo, Johnny che Kyra non intercederà per lui, sebbene noi non lo giustizieremmo mai, proprio perché è il fratello di Kyra […]. Tragicamente per Kyra, la fraternità, sempre formidabile, era per lui l’upmost and utmost. Come se non bastasse che egli nutrisse per il fratello maggiore l’amore riverenziale classico ed antico, l’altro era il suo eroe, il suo modello inattingibile per rispetto eppure sempre presente per amore: era il suo ispiratore, il suo comandante, il suo ingegnere, per cui Kyra semplicemente gioiva di essere l’operaio, che religiosamente compiva i suoi piani […] Finché la guerra durò, i due fratelli non ebbero modo di urtarsi, ma il 25 luglio prima e più l’8 settembre essi si lacerarono […]. Tiranneggiava lo sconvolto Kyra, fanatizzandolo invano finché questo salì nei partigiani piangendo, lasciando i genitori con l’angoscia di quei due gettoni, l’uno sul rosso e l’altro sul nero, nell’avviata, frizzante roulette […]. La vittoria d’un figlio è la perdizione dell’altro. C’è quasi da sperare, per loro, che nessuno dei due arrivi alla fine, alla discriminazione. E loro vecchi con loro.696
La storia di “Kyra” è un perfetto esempio della forza dilaniante che la Resistenza ha avuto sul tessuto sociale delle famiglie italiane. Fenoglio ce la racconta come un dato di fatto tra i tanti: un conflitto individuale e insignificante all’interno del grande mosaico della Seconda Guerra Mondiale che non può risolversi se non con la morte di uno dei due fratelli. La possibilità del dialogo, della riconciliazione non è contemplata, realizzabile, nemmeno alla fine della
guerra. Ultimo elemento di riflessione in questo confronto tematico tra romanzo e memorialistica ossolana è il significato del paesaggio della montagna; o meglio, nel caso del Partigiano Johnny, il valore del contesto collinare. L’uso che Fenoglio fa del paesaggio ha permesso ai critici una vasta gamma di letture, che non è il caso di ripercorrere ora nel dettaglio. Come la montagna per i memorialisti, la collina è naturale scenografia su cui si staglia il partigiano. È la postazione visiva elevata da cui i ribelli guardano, che contribuisce a rimpicciolire ancor di più i nemici fascisti:
696 Ivi, pp. 166-167.
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Così per un rittano perpendicolare guadagnò la mezzacosta della piramidale collina e di lassú scoccò un’ultima lunga occhiata ai lillipuziani fascisti insediati sul pontegiocattolo.697
La collina è anche elemento dotato di una vita propria. Come la montagna, essa vive al ritmo delle stagioni, con i suoi suoni caratteristici, nulla concedendo alla guerra che costantemente irrompe in un paesaggio di pace:
Saliva nel fresco cuore del bosco, per sentieri inizialmente scivolosi, ma d’una piacevole sportiva scivolosità, il furore evaporandogli nel fresco, umido alitare del bosco. Poi guadagnò una radura dalla quale volgendosi appena scorse la potente mole della langa di Mango, e pensò a quel così place di battaglia e rivolta, ed agli uomini suoi compagni che vi stavano, Pierre il primo, di così gran mole la sua discrezione: ci pensò fugacemente, ma a pieno volume d’anima. Con lui e dietro lui parevano muovere tutti i rumori dell’ammantata collina, tutti i brisk rumori della previta autunnale. Solo ad un momento percepì il volo rapinoso di un veicolo partigiano lanciato in discesa a chissà che meta.698
Il paesaggio collinare viene umanizzato, e descritto usando termini del lessico anatomico umano come «mammella»,699 «mammellone»,700 «gobba»,701 «seno», 702 «armonica e funzionale come un membro umano». 703 Si tratta di un paesaggio a volte estremamente concreto e palpabile, reale, a volte fumoso, tenebroso, aereo, come se le colline fossero «enormi nubi di tempesta ancorate alla terra».704 Anche per Johnny la collina è isolamento, solitudine, soprattutto nei mesi invernali, quando è solo con la natura circostante come unica compagna. Ecco quali impressioni suscita la neve appena caduta:
Tutto il mondo collinare candeva di abbondantissima neve che esso reggeva come una piuma. Assolutamente non sopravviveva traccia di strada, viottolo sentiero e gli alberi del bosco sorgevano bianchi a testa e piede, nerissimo il tronco, quasi estrosamente mutilati. E le case tutt’intorno indossavano un funny look, di lieta accettazione del blocco dell’isolamento. Pareva un giorno del tutto estraneo, stralciato alla guerra, di prima o dopo essa.705
697 Ivi, pp. 419-420. 698 Ivi, p. 310. 699 Ivi, p. 97. 700 Ivi, p. 98. 701 Ivi, p. 344. 702 Ivi, p. 346. 703 Ivi, p. 174. 704 Ivi, p. 379. 705 Ivi, p. 431.
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Il paesaggio collinare innevato ha la forza di cancellare la guerra che si sta combattendo, proiettando il partigiano in un mondo irreale, «in uno stagno di sicurezza ed isolamento».706
Come avviene nei memorialisti, anche per Johnny la popolazione contadina è espressione della continuità che già si legge nella vita dalla natura collinare. Seppur coinvolta nella guerra, nei rastrellamenti, la gente comune è per Johnny immagine pacifica della vita “di prima” e insieme promessa per quel mondo “di dopo” a cui spera di prendere parte:
Un costante fruscio ed un acuto e liberato stridere di bambini punteggiante tutto il volo di quel fruscio, lo fece voltare al pendio più vicino. I marmocchi dei casali stavano scivolando a volontà sulle rudimentali slitte da fieno […]. Da lassú poteva nettamente vedere il gigantesco anelare dei loro minuscoli toraci, l’esaltata roseità delle guance, la formidabile nervità delle loro gambette in cimento con la neve e l’erta. E li amò come bambini, accettò quel loro esser tanto giovani e così fuori della guerra e sperò che essi dimenticassero poi rapidamente e totalmente quella guerra in cui avevano marginalmente scalpicciato coi loro piedi innocenti, augurò loro bene e fortuna in quel mondo di dopo che egli aveva tanto poche probabilità di dividere con loro. Il giorno era di tanta pace che i contadini avevano pensato di liberare i cani di guardia, ed eccoli incrociare in beata furia i loro padroni marmocchi, con pari inventiva e capacità di divertimento.707
Gli abitanti della collina rappresentano poi la continuità del tessuto sociale che mantiene nei ribelli il senso della comunità:
Avevano perduto coscienza e conto del tempo ed approssimativamente li recuperavano per il parlare che faceva la gente del Natale.708
Scegliendo la collina, i partigiani ovviamente abbandonano il contesto urbano. Come già nei memorialisti, anche nel Partigiano Johnny si ricrea la dualità collina-partigiani e città-fascisti. Alba – la città più importante delle Langhe, come Domodossola per le valli ossolane – rappresenta la vita cittadina positiva con i suoi agi, ma allo stesso tempo negativa perché contaminata dal fascismo, che la trasforma in un covo tetro di pericoli e di spie, di «fascisti tanto più insidiosi quanto più mascherati»,709 «brutta e infelice come una ragazza
706 Ibid. 707 Ivi, pp. 431-432. 708 Ivi, p. 406. 709 Ivi, p. 216.
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rapata».710 È la presenza fascista, sottolineata sin dall’inizio del romanzo, a contaminare la città come una malattia:
E come credi che si viva in città, per volerci tanto scendere? In città viviamo come topi, quasi non abbiamo più amici, nessuno si fida più dell’altro. Non ci fidiamo più degli stessi carabinieri in servizio, tremiamo d’incontrarli. E se facciamo un discorso, contaci che c’è un argomento di spie. I fascisti rialzano la testa.711
E ancora:
La città era inabitabile, la città era un’anticamera della scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi di Graziani affissi a tutte le cantonate, attraversata pochi giorni fa da fiumane di sbandati dell’Armata in Francia, la città con un drappello tedesco nel primario albergo, e continue irruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette che riempivano di terrifici sibili le strade deserte e grige, proditoriate.712
Il paesaggio collinare entra subito nel racconto contrapponendosi all’immagine della città corrotta dal fascismo:
Le colline incombevano tutt’intorno, serravano tutt’intorno, in un musicale vorticare di lenti vapori, talvolta le stesse colline nulla più che vapori. Le colline incombevano sulla pianura fluviale e sulla città, malsanamente rilucenti sotto un sole guasto. Spiccavano le moli della cattedrale e della caserma, cotta l’una, fumosa l’altra, e all’osservante Johnny parevano entrambe due monumenti insensati.713
All’inizio del romanzo “Johnny”, cresciuto in città, sente un’irresistibile attrazione verso la vita cittadina, che rappresenta per lui la civiltà, gli affetti familiari:
La nostalgia della città lo travagliava ferocemente. Ne era via da poco più di tre mesi, statole lontano forse trenta chilometri in linea d’aria […]. Il senso dell’esilio era opprimente, soffocante, tale da farlo scattare in piedi come per sottrarsi ad un livello asfittico. Doveva assolutamente accertare se era ancora libera o se già i fascisti ne avevano fatto una loro guarnigione. Gli sorrideva fino allo spasimo l’idea di entrarvi nottetempo, guadagnare casa sua per vicoli tenebrosi e ben noti, svegliare i suoi, soffocare in un abbraccio il loro allarme e recriminazione, cambiarsi, dire dov’era stato e dove andava, e risparire, verso le basse colline, alle prime luci.714
Dopo un primo periodo di vita partigiana, “Johnny” si scopre inadatto al vivere cittadino, a cui prima così tanto anelava. Il partigiano sente un vero e
710 Ivi, p. 445. 711 Ivi, p. 13. 712 Ivi, pp. 5-6. 713 Ivi, p. 6. 714 Ivi, p. 147.
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proprio rifiuto corporeo per gli agi borghesi: la tensione del suo spirito ora non è più verso la città, ma verso la cruda collina. Egli se ne rende conto solo quando è a contatto diretto con quella borghesia a cui credeva di appartenere prima che l’essere partigiano lo cambiasse svelandogli realtà di cui non era consapevole:
Tutto ciò era così assurdo, piombato in una vasca irreale: proprio non poteva più comunicare con quel tipo umano, nessun ulteriore rapporto, se non un muto sorriso, sfingico. Si sentiva irresistibilmente trascinato a serrar gli occhi in una comoda numbness […]. No, non c’era più nessun possibile rapporto, tra quella gente e se stesso, il suo breve ed enorme passato, Tito e il Biondo, le vedette notturne le corvées di rifornimento, le uccisioni. Di colpo, affondato nella pushy poltrona, fronteggiato da belle e giovani donne, alitanti civiltà come un profumo di cui ci si spruzza normalmente alla mattina, Johnny rammemorava, rimpiangeva la tetra, sporca monotonia di Mombarcaro penuriosa.715
Le stesse dinamiche di rifiuto verso la città emergono anche dai testi di memoria, in coincidenza con la calata partigiana a Domodossola; corrispettivamente, nel romanzo di Fenoglio il disagio dei combattenti trapiantati in città è evidente nei capitoli della discesa su Alba, che come Domodossola ha vissuto un breve periodo di libertà. La felicità per la liberazione della città non riesce a occultare il senso di smarrimento dei partigiani:
I partigiani calarono, i loro semplici passi detonanti come spari. Senz’occhio per le bandiere che apparivano alle prime case, sordi agli evviva delle genti prima liberate, il maroso si arrestò soltanto al limite dell’asfalto della circonvallazione. Quasi rantolavano, dopo mesi di hillwilderness l’occupazione di una vera città era intossicante, alltaking.716
E ancora, i partigiani chiusi nelle caserme sono descritti come presi da un senso di soffocamento:
Gli uomini si avvertivano chiusi e morosi, il tempo passava in un hush nevrotico, disagiato cambiar di fianchi e libertino fumare. Johnny capiva: gli uomini risentivano la città, il chiuso, la coordinazione. Giacevano sulle brandine con lo stesso senso d’intrappolamento con cui i soldati fascisti avevano pernottato nei boschi o sulle colline. Forse tutti gli uomini non sognavano di meglio che uscire di servizio, di sentinella o meglio di ronda, per liberarsi da quel senso (spell) di trappola.717
Al disagio provato dai partigiani in una città chiusa, asfittica si oppone la nostalgia per le colline grandi, materne e protettive:
715 Ivi, pp. 151-152. 716 Ivi, p. 246. 717 Ivi, p. 255.
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Poi alzarono gli occhi all’enorme, immoto seno della grande collina del giorno prima e ne sentirono una straziante nostalgia.718
E ancora:
[…] altri, per i quali la città era una posizione come un’altra, si ammalarono di nostalgia per le alte colline, i cui primi contrafforti incombevano proprio alle loro spalle, in maestoso nitore, nelle ore favorevoli, contrapponendosi alla ballonzolante vaporosità che saliva dal fiume.719
In sostanza, anche la tematica del paesaggio così come è stata affrontata dai memorialisti trova un certo riscontro nel romanzo di Fenoglio: nella continuità garantita dalla collina di fronte al contesto distruttivo della guerra e nel binomio montagna-partigianato che contrasta con quello città-fascismo. È ovvio che poi nel Partigiano Johnny la collina venga sfruttata anche in altri sensi: la mia analisi però – volendo evidenziare soltanto le consonanze tra romanzo e memorialistica a proposito di questa come delle altre tematiche individuate – raggiunti i propri scopi, si ferma qui.
718 Ivi, p. 359. 719 Ivi, p. 266.
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