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Un nuovo modello di società

punti di forza. Il divertimento provato nell’orchestrare e attuare queste azioni deriva anche dalla riscoperta della propria individualità, dell’inventiva personale e libera di agire di fronte al nemico. È per questo che, nella narrazione di quei momenti, l’emozione predominante nell’animo dei protagonisti è la soddisfazione, il godimento personale piuttosto che la paura.

Un nuovo modello di società

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La riscoperta della libertà personale e della responsabilità nella scelta delle proprie azioni è uno degli elementi che distinguono il mondo partigiano dalla realtà repubblichina, ancora sottomessa alle gerarchie e all’ubbidienza passiva. «Fummo svincolati, restituiti a scelte e responsabilità elementari, personali, fuori da ogni influsso di autorità costituite»,537 dice Adriano Bianchi. Di fronte a questo vuoto istituzionale, la positiva realtà partigiana si propone come un nuovo sistema di valori, di leggi e gerarchie che nascono prima di tutto negando o rovesciando quelle precedenti, per poi assumere una propria articolazione precisa, fondata sul principio della sovranità popolare. Costantini – nell’esagerazione dei toni che caratterizza il suo dettato – lo definisce addirittura «mondo al di là della legge»:538 una realtà in cui sono accolti coloro che nella società fascista erano considerati ladri, delinquenti e malfattori. La «legge» a cui fa riferimento è ovviamente quella di regime; ma anche il mondo partigiano stabilisce le proprie “norme” interne che si applicano contro i repubblichini ma che anche i civili sono tenuti a rispettare. Per fare un esempio, Mario Manzoni descrive un processo partigiano contro due repubblichini, usando i precisi termini forensi e seguendo il normale iter burocratico:

Il tribunale è stato allestito nella sala dell’albergo ed è composto da ufficiali della “Battisti” e della “Perotti”, che si sono suddivisi i compiti di giudici, di accusatore e di difensore. Per la verità pochi civili si sono presentati a testimoniare, ancora condizionati dalla paura di rappresaglie, ma la requisitoria dell’accusa, anche se in alcuni momenti teatrale, è stata molto efficace. […] Tutti vengono riconosciuti colpevoli di violenze verso i civili e di resistenza ad oltranza, per cui il tribunale emette due condanne a morte per i

537 A.BIANCHI, Il ponte di Falmenta 1944, cit., p. 28. 538 V.COSTANTINI, Partigiani della terza banda, cit., p. 37.

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responsabili della morte di Giordano, e sette condanne ai lavori forzati.539

In sostanza, la realtà partigiana si preoccupa di creare le proprie serie istituzioni di riferimento. Anche Elsa Oliva descrive un processo in cui ad essere giudice è lei stessa; il procedimento è questa volta contro un civile che si è finto medico sfruttando la confusione della guerra per arricchirsi. Come prima, si rispettano tutte le tappe processuali:

Siamo al processo contro il sedicente dottor Mettica. Nega decisamente. Allora gli leggo i fatti addebitatigli corredati di date e luoghi. A questo punto cade e confessa, dando una spiegazione dettagliata di come andarono le cose […]. Gli facciamo firmare gli atti e togliamo la seduta. Mandiamo i documenti al comando di divisione e dopo due giorni giunge l’ordine di condanna a morte.540

La Oliva fa riferimento a documenti relativi al processo: tutto fa pensare ad una organizzazione precisa e dettagliata. Nella realtà dei fatti, la maggior parte di questi procedimenti sono atti dell’ultima ora, organizzati per dare l’impressione – agli altri ma soprattutto ai partigiani stessi – di un movimento saldo, funzionale e capace di sostituirsi all’ordine statale fascista con le proprie leggi e i propri valori; un codice di regole partigiane scritto, nella realtà dei fatti, non è mai stato stilato. Nonostante questi punti deboli, i memorialisti raccontano quei momenti – in cui si rifondavano le istituzioni, la giustizia e la società – con tutta la serietà e la solennità che devono aver provato vivendoli. In sostanza, il partigianato non significa distruzione di ogni forma del vivere civile perché corrotta dal fascismo. Oltre all’amministrazione della giustizia, la dimensione partigiana fa proprie anche altre istituzioni ordinarie: tra queste, il matrimonio. Don Vandoni descrive la celebrazione di un matrimonio tra un partigiano e una staffetta, che nonostante avvenga fuori dalla legge di regime ancora in vigore, è riconosciuto come valido proprio dall’improvvisata e parallela società partigiana:

«Fino a quando non potremo tornare a sposarci in santa pace?» mi va ripetendo tra le lagrime. «Sposatevi qui» dico io. «Si può, senza carte, senza nulla?» «Sì che si può». «Ma sposarci così lontani dai parenti, senza nulla…nulla…» e va ripetendo quel nulla, che la schiaccia come un macigno. «Pazienza! Ci siamo noi, ci sono tutti i partigiani a farvi

539 M.MANZONI, Partigiani nel Verbano, cit., p. 104. 540 E.OLIVA, Ragazza partigiana, cit., p. 172.

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festa. E poi non è vero che non avete nulla: avete l’unica cosa veramente necessaria per sposarvi, l’amore».541

In questo caso, a garantire la validità del rito vi è la presenza del sacerdote, che rappresenta l’autorità riconosciuta della Chiesa. Anche il “potere” della Chiesa sulle anime non è esclusivo del sacerdote, bensì può essere assunto dal mondo dei ribelli. A questo proposito, Vandoni racconta di un partigiano che si improvvisa all’occorrenza confessore: e il racconto s’intitola proprio La predica di un capobanda. 542 In sostanza, la realtà partigiana si organizza dapprima distruggendo l’articolazione sociale ordinaria per poi applicare, nel vuoto così creato, le proprie istituzioni, e recuperare quelle ancora valide: ladri e malfattori diventano eroi, impiegati municipali divengono giudici di tribunale, ribelli comunisti si trasformano in confessori. Anche la realtà stessa della guerra contribuisce a rimettere in gioco la società pre-esistente, mescolando di continuo i ruoli. Adriano Bianchi descrive una divertente scena di scambio delle parti: un gruppo di fieri e impavidi Tedeschi armati viene catturato dai partigiani che, si ricordi, sono per la maggior parte ragazzi giovani, male armati e male addestrati. Bianchi nota:

La scena è drammatica, un po’ teatrale: un gruppo di uomini dignitosi e impauriti, i rappresentanti della più efficiente macchina da guerra mai vista sono portati via da un gruppo di ragazzini, che si sono gravati dei loro pesanti fucili […]. Il dramma si scioglie in commedia, le sbarre si aprono, i tedeschi entrano, rompono le file, si abbracciano e si lasciano andare a scene fanciullesche di gioia. Uno fa il ballo dell’orso, tutti salutano: ciao! ciao! Auf Wiedersehen!543

Anche Ester Maimeri sottolinea come la guerra – e la penuria alimentare che porta con sé – sia un evidente momento di rovesciamento della normale condizione sociale. La sua famiglia, appartenente alla borghesia benestante locale, durante la carestia di Domodossola dipende dalla beneficenza dei contadini:

Ora le cose si sovvertono, sono i contadini a stare meno peggio; loro hanno l’orto che ancora dà qualcosa, hanno le galline, che tengono ben nascoste, nessuno li controlla. Noi abbiamo le mani legate, mille occhi sorvegliano cosa fanno, cosa mangiano i sciuri. 544

541 A.VANDONI, La vita per l’Italia (vita partigiana), cit., pp. 136-137. 542 Ivi, p. 109. 543 A.BIANCHI, Il ponte di Falmenta 1944, cit., pp. 135-136. 544 E. MAIMERI PAOLETTI, La staffetta azzurra. Una ragazza nella Resistenza. Ossola 1944-1945, cit., p. 38.

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