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L’uso politico e mediatico della storia

per cercare una nuovo modo d’interpretare il fatto storico avvenuto, ma per giustificare il presente.

L’uso politico e mediatico della storia

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Si è detto che anche le nuove destre cercano nella storia un modo per rafforzare se stesse e per indebolire le forze di sinistra, che hanno sempre fatto della Resistenza il proprio cavallo di battaglia. Per raggiungere questi scopi, le nuove personalità politiche si appellano al revisionismo. Le teorie revisioniste diventano oggetto di talk show, interviste televisive che ne aumentano la diffusione e l’impatto mediatico. Le tesi di De Felice si rivelano le più adatte per questi scopi: vengono riadattate, semplificate per diventare prodotto giornalistico e televisivo. La sua ricerca, in definitiva, viene privata dei fondamenti storiografici e trasformata in una vulgata che non ha più le proprie giustificazioni documentarie ma è adatta ad essere soggetto di talk show. 297 Lo stesso De Felice trarrà un certo profitto in termini di fama televisiva da questa “spettacolarizzazione” delle sue tesi, e alimenterà gli scontri con interviste e articoli polemici. In un dibattito di questo genere il giornalismo e la televisione hanno un ruolo forte. Sono loro a puntare i riflettori su discussioni che invece resterebbero interne alla disciplina; questo a spese della verità storica, ma, si sa, in televisione l’importante è fare audience. Il pubblico a cui si punta non è un destinatario fatto di studiosi, di storici, di spettatori specializzati nella materia; non è più necessario attingere agli strumenti storiografici disponibili, fonti, documenti e ricerche. Il destinatario medio – sia esso lettore di quotidiani o spettatore di trasmissioni televisive – non ha né la cultura né gli strumenti indispensabili per filtrare o per vagliare le nozioni storiche contenute in queste “lezioni di storia in pillole”. In questo modo, senza il riscontro scientifico, diventa facile convincere e plasmare una teoria ad hoc con i pochi dati che il pubblico conosce. La storia diventa non più un passato marmoreo e intoccabile da cui si può solo imparare, ma un bacino di spunti a cui attingere in base al bisogno, per

297 Per approfondire il processo di “spettacolarizzazione” degli studi di De Felice, si veda l’interessante articolo di GIANPASQUALE SANTOMASSIMO, Il ruolo di Renzo De Felice, in Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, cit., pp. 416-423.

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giustificare qualsiasi tesi possibile: niente è più certo, tutto, anzi, è possibile e giustificabile con le armi del sofisma. Giovanni De Luna, nel recente volume La passione e la ragione, spiega proprio questa pericolosa deriva. Nel capitolo polemicamente intitolato Il supermarket della storia, egli delinea un quadro inquietante:

Nel Novecento, i media da un lato e l’universo della politica dall’altro sono dunque le transenne che delimitano la grande arena dell’uso pubblico della storia e da cui derivano le sollecitazioni più ingombranti nei confronti degli storici. In particolare quelle che vengono dalla politica sono profondamente segnate dal tentativo di utilizzare le immagini del passato per influire sugli atteggiamenti e le azioni dei contemporanei […]. Come in grande magazzino di scena a Hollywood, alla storia ci si rivolge come «al più ricco deposito di anticaglie del mondo»: il bravo storico diventa colui che, conoscendo bene le risorse del magazzino, capta al volo le intenzioni del regista e fornisce la merce richiesta». Senza ironia, occorre ricordare che la posta in gioco è molto alta. In questa fase le immagini del passato, proprio per la loro capacità di influenzare efficacemente gli atteggiamenti e le azioni dei contemporanei fanno parte integralmente dei meccanismi delle decisioni politiche […].298

I media, quindi, come i nuovi “agenti di storia”, con cui gli storici di mestiere devono fare i conti. Il nuovo pubblico a cui ci si deve rivolgere è molto più vasto, e comprende meglio un linguaggio fatto d’immagini rispetto a quello libresco dei “vecchi” storici, a cui, in verità, neanche si accosta. La duttilità degli strumenti mediatici trasforma, quindi, tv e giornali nel veicolo ideale usato dai partiti politici per parlare alle masse anche di storia, prescindendo dagli strumenti di ricerca della storiografia scientifica e attingendo a piene mani al bacino dei revisionismi, che acquisiscono un’immagine negativa proprio dopo la semplificazione che su di loro operano i media in base al contesto politico. De Luna fa alcuni esempi di dibattito revisionista in cui si applicano questi meccanismi. Descrive in particolare le discussioni intorno ai “ragazzi di Salò”. Egli cita approfonditamente gli studi di Pansa sugli arbitrari omicidi di fascisti compiuti dai partigiani dopo la Liberazione, rilevandone alcune inesattezze storiografiche e metodologiche. In seguito, approfondisce la questione della rivalutazione storica e politica della Rsi avviata, forse involontariamente, da queste ricerche:

298 GIOVANNI DE LUNA, La passione e la ragione, Milano, Paravia Bruno Mondadori editori, 2004, pp. 74-75.

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Ma la vicenda italiana in assoluto più emblematicamente efficace per analizzare le coordinate politiche al cui interno si è sviluppata da un lato l’offensiva contro l’antifascismo, dall’altro il rapporto tra la ricerca e “l’uso pubblico della storia” è certamente quella legata ai ragazzi di Salò. Nel settembre del 1995, ricordiamolo, Paolo Mazzantini pubblicò I balilla andarono a Salò. L’armata degli adolescenti che pagò il conto con la storia. Il libro era dedicato appunto ai ragazzi di Salò, «mossi soprattutto dalla volontà di preservare l’onore della patria e la propria dignità di uomini». Un anno dopo, il nuovo presidente della Camera, Luciano Violante, appena insediato, si rivolse ancora ai fascisti che avevano militato nella RSI chiamandoli “ragazzi di Salò”. Il termine faceva così il suo ingresso trionfale sulla ribalta mediatica, trovando una propria legittimazione sia sul piano editoriale che su quello politicoistituzionale. Quella definizione, oltre ad avere una fortissima valenza emotiva, esplicitava anche una precisa opzione storiografica […]: il mantello assolutorio dell’adolescenza veniva disteso sui protagonisti di quella oscura vicenda; e l’adolescenza evoca sempre l’irresponsabilità o meglio la deresponsabilizzazione, spalancando la strada ad una visione completamente assolutoria dell’esperienza.299

La spiegazione di De Luna mostra quali conseguenze può avere sull’immaginario collettivo soltanto l’uso di una definizione diversa per indicare i repubblichini. A prima vista sembra banale, eppure l’impatto mediatico della definizione di “ragazzi di Salò” ha un’importanza che non deve essere trascurata, soprattutto perché rincorre una temperie politica in atto:

In una sorta di fanciullesca ingenuità precipitavano gli eventi tragici che scandirono il percorso della militanza nella RSI (la complicità nella deportazione degli ebrei, la partecipazione diretta alle stragi dei civili), depotenziati di tutta la loro carica di orrore. Il passo successivo fu la considerazione non solo della loro buona fede soggettiva, ma anche delle loro ragioni ideali: l’amor di patria, l’onore, la fedeltà all’alleato tedesco ecc. Era evidente il nesso tra questa rivalutazione esplicita del neofascismo di Salò con la presenza al governo […] di una forza politica come Alleanza Nazionale che comunque a quell’esperienza continuava a rifarsi con nostalgica condiscendenza.300

Si noti che De Luna non è contrario allo studio del fascismo in sé. Molti

storici di destra hanno da sempre accusato la sinistra di aver manipolato tutta la storiografia italiana a partire dalla Resistenza per esagerare il proprio contributo e, allo stesso tempo, occultare le proprie malefatte. Come in tutti i campi, anche in quello della storiografia ci sono le personalità più ortodosse ed estreme, sia a destra che a sinistra. In generale, però, anche gli storici di sinistra si sono avvicinati alla Resistenza con l’occhio critico necessario per vederne i lati oscuri. Claudio Pavone, per fare un esempio, è storico di sinistra che ha proposto una

299 Ivi, p. 92. 300 Ibid.

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