4 minute read

Il dibattito Quazza-Dionisotti

più contro il fascismo, ma contro una sorta di paternalismo di destra, che ai loro occhi viene interpretato come neofascismo. Ecco perché il movimento del ’68, per molti antifascisti, è un risveglio chiaro dei valori resistenziali.

Il dibattito Quazza-Dionisotti

Advertisement

A sottolineare i legami tra protesta giovanile e movimento resistenziale interviene, tra i tanti, Guido Quazza, con un articolo comparso sulla rivista “Resistenza”, in cui afferma:

Non ci si può non richiamare almeno a quanto costituisce l’innegabile continuità, pur nel mutare della situazione storica, fra la rivolta partigiana e la rivolta studentesca. Soltanto in questa continuità, infatti, il discorso sui giovani e la Resistenza ritrova la sua ragion d’essere, e non per la riabilitazione – che in ogni caso è uno pseudo problema – della Resistenza agli occhi della nuova protesta, ma per la possibilità di evitare un’incomprensione della nostra generazione verso i giovani, che sarebbe fatale ad ogni speranza di progresso verso una meno limitata e precaria libertà e giustizia. […] Certo, non è il fascismo brutale e primitivo che noi combattemmo, ma chi sia convinto che il fascismo non è l’opera di uno o pochi mostri, ma la conseguenza di un sistema, non può appagarsi di questo confronto. L’esperienza che i giovani hanno di fronte a sé nell’orizzonte internazionale – non occorre citare esempi che sono presenti a tutti – convalida il timore che possa ripetersi, magari con metodi più complessi e sfumati, praticabili con l’enorme capacità di manipolazione delle coscienze che il possesso dei mass media più perfezionati consente, un ricorso alla più recisa reazione repressiva da parte dei pochi detentori del potere se appena preoccupati di perderlo.274

Ovviamente, tra gli studiosi non c’è una totale condivisione delle idee appena esposte da Quazza; la tesi di un legame tra proteste studentesche e Resistenza ha dato vita ad un florido dibattito. Quazza – ex partigiano, storico della Resistenza e difensore dei suoi valori – ha risposto con l’articolo citato ad una lettera di Claudio Pavone – precedentemente pubblicata su “Resistenza” – in cui lo studioso afferma:

La resistenza si concluse con un compromesso […]. In questa situazione è accaduto che i giovani abbiano cominciato a guardare con qualche sospetto a una resistenza dalla quale tutti si affannano ad affermare che è scaturita l’Italia in cui oggi viviamo, che è l’Italia contro la quale si ribellano i giovani protagonisti dei movimenti di questi ultimi mesi. I giovani hanno cioè intuito che la resistenza è

274 GUIDO QUAZZA, Nella protesta dei giovani lo spirito della Resistenza, in “Resistenza. Giustizia e Libertà”, XXI, n. 9, sett. 1968, p. 3.

158

venuta assumendo una fisionomia conservatrice, conservatrice ovviamente non dell’Italia fascista, ma dell’Italia post fascista nella figurazione attuale.275

Le affermazioni provocatorie di Pavone sono appositamente finalizzate a dare vita al dibattito, che non tarda a venire innescato; all’articolo di Quazza, infatti, risponderà con chiarezza Carlo Dionisotti. Dionisotti non vede alcuna continuità tra lotte studentesche e Resistenza, perché non esiste nessuna somiglianza tra i nemici di oggi e i nemici di allora. Egli pone la questione sul livello delle differenze tra generazioni: ogni generazione deve vivere il suo tempo, può imparare dal passato ma non cercare di riviverlo. Nella sua lettera, indirizzata al direttore del periodico, Dionisotti scrive:

Ipotetiche e approssimative discendenze o ascendenze non sono mai servite a cavare un ragno dal buco, né per chi fa politica, né per chi fa storia. La rivolta studentesca non ha bisogno di appellarsi alla resistenza per giustificare se stessa, e di fatto non si appella: non ci pensa neppure. Quanto a noi, ci mancherebbe altro che dovessimo giudicare e decidere in base a dubbi criteri genetici. Quand’anche si trattasse dei nostri figli, non potremmo esimerci dal dovere di distinguere il bianco dal nero e di agire conseguentemente, secondo coscienza […]. Pare a me che il Quazza esageri l’importanza della nostra generazione, anzi di quella porzione di essa che ancora fa capo alla resistenza […]. Se, come egli crede indubitabile, esiste un rapporto di continuità fra la lotta partigiana e la rivolta tedesca, esiste dunque un parallelo rapporto di continuità tra il regime nazifascista e il presente assetto politico dell’Italia? […] Inutile continuare: tocca ai giovani il compito di guardare le cose con occhi nuovi, e di mutarle con lo sforzo di energie ancora intatte […]. Può giovare anche a loro di ripercorrere il passato prossimo o remoto, ma non è essenziale. I vecchi hanno altri compiti cui non possono esimersi se non quando vadano in congedo, come grazie a Dio tutti, anche i resistenti, devono un bel giorno andare. 276

Alle provocazioni di Dionisotti, Quazza risponde immediatamente, sempre dalle pagine del periodico. È comprensibile che egli – da ex partigiano ancora legato alle idee resistenziali – si senta attaccato nel profondo, e legga l’invito di Dionisotti a lasciare che il movimento studentesco si sviluppi autonomamente come un consiglio a farsi da parte. Nella sua risposta, egli parla a nome di tutti gli ex partigiani:

275 CLAUDIO PAVONE, I giovani e la Resistenza, in “Resistenza. Giustizia e Libertà”, XXI, n. 7, luglio 1968, p. 3. 276 CARLO DIONISOTTI, A ciascuno il suo, in ID., Scritti sul fascismo e sulla Resistenza, cit., pp. 236-239. La lettera viene pubblicata per la prima volta in “Resistenza. Giustizia e Libertà”, a. XXI, n. 11, nov. 1968, p. 2.

159

This article is from: