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I testi della seconda ondata
orienta ora verso la tematica politica, che, a distanza di anni, può essere analizzata con una prospettiva più aperta e obiettiva. Da questi studi emergono i contrasti del movimento resistenziale, gli screzi tra i partiti politici della dirigenza: si infrange quindi l’idea della Resistenza come movimento unitario e coeso. Il tema politico è anche al centro del secondo congresso nazionale organizzato dall’Istituto Storico per il Movimento di Liberazione ‒ dal titolo La crisi italiana del 1943 e gli inizi della Resistenza ‒ tenutosi a Milano il 5 dicembre 1954.
Tutte queste iniziative di ricerca e di studio servono a dimostrare come sia cambiato – nel periodo compreso tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 – il modo di considerare la Resistenza da parte del mondo della cultura e anche della politica. Se prima vi era, nei confronti delle tematiche resistenziali, una sorta di diffidenza legata al clima politico torbido dell’immediato dopoguerra e della guerra fredda, una volta superate le paure di nuovi scontri si torna ad affrontare l’argomento con maggior lucidità, permettendo a studiosi e testimoni di uscire dal clima di clandestinità o semiclandestinità in cui erano stati involontariamente
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confinati. E appunto, in coincidenza con un clima politico più disteso nei confronti dei temi legati alla Resistenza, i memorialisti tornano a scrivere.
I testi della seconda ondata
La seconda ondata di memorie, di cui fanno parte generalmente i testi pubblicati negli anni ’50, si caratterizza per un approccio più distaccato e più personale, allo stesso tempo, verso i fatti raccontati. Gli anni intercorsi, le esperienze fatte dopo il partigianato – personali e collettive – contribuiscono a raffreddare gli animi e permettono agli autori di memorie di affrontare la narrazione degli eventi resistenziali con minor veemenza, seppur mantenendo invariato il livello di partecipazione emotiva. Dal momento che esistono già ricerche storiche e opere documentarie complessive sulla Resistenza, non è più strettamente necessario che i memorialisti si occupino di pura ricostruzione storica. Venuta a mancare l’esigenza pseudo-storiografica che aveva mosso verso la scrittura i primi testimoni, lo spazio lasciato vuoto dai fatti può essere occupato
Lotta”, e di Pietro Secchia, i cui scritti clandestini vengono pubblicati in I comunisti e l’insurrezione (Roma, Edizioni di cultura sociale, 1954).
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