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La crisi della Resistenza

pubblicazioni, che continua negli anni successivi. I motivi di questa frenata possono essere ricercati nel clima politico di quegli anni. Solo il primo governo di unità nazionale dimostra un vivo interessamento per la questione resistenziale, fondando il Ministero per l’Italia occupata. Dopo il referendum del 2 giugno, già in seno all’Assemblea Costituente emergono forze politiche diverse da quelle che hanno portato alla Liberazione. Con le elezioni del 1948 – vinte dalla Democrazia Cristiana – viene avviata una sotterranea e indiretta

opera di allontanamento e di demonizzazione delle sinistre. Emblema ben noto di questo propaganda contro il Fronte Popolare è la campagna elettorale del 1948. In pieno clima da Guerra Fredda, il partito al governo cerca un avvicinamento alle posizioni americane, per poter approfittare dei finanziamenti per la ricostruzione messi a disposizione dal Piano Marshall. Questo violenta propaganda contro le sinistre e il comunismo – motivata dal clima internazionale ostile all’URSS – indirettamente tocca anche il

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movimento partigiano, che da comunisti e socialisti era stato organizzato. Seguendo l’onda maccartista americana, anche in Italia, dopo le elezioni del 1948 si diffonde una certa diffidenza nei confronti dei comunisti: si ha il sospetto che dietro di loro si nascondano spie sovietiche. Questo astio coinvolge anche gli ex partigiani, e alimenta la paura – mai sopita – che gli ex resistenti comunisti preparino una nuova guerra civile: l’opinione pubblica li dipinge infatti come ancora armati e in agguato in ogni angolo del paese. Il timore delle masse diventa ancor più concreto e palpabile dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, che infiamma il fronte di sinistra.

La crisi della Resistenza

Così, a soli due anni dalla chiusura della parentesi resistenziale, i partigiani si trovano ad essere in qualche modo rinnegati e attaccati dal paese per cui hanno combattuto.

Anche gli intellettuali di sinistra parlano a questo proposito di una “crisi della Resistenza”, indicando con questo termine il fallimento totale degli obiettivi e dei valori resistenziali, che sembrano del tutto dimenticati. Proprio La crisi della

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Resistenza188 è il titolo del numero speciale della rivista “Il Ponte”, in cui vari intellettuali189 ex partigiani di sinistra spiegano i motivi sulla base dei quali si può affermare che la Resistenza abbia fallito il suo compito. Può essere interessante, a mio avviso, riassumere in breve alcuni di questi interventi, per comprendere meglio il clima di scontento che aleggiava in quegli anni e che ha sicuramente avuto un’influenza sulla scarsa produzione dei memorialisti alla fine degli anni ’40.

Il numero speciale si apre con il saluto di Gaetano Salvemini che enuclea il tema centrale a cui è dedicata la rivista, appunto l’idea che la Resistenza non abbia raggiunto gli obiettivi che si era prefissata. L’articolo si chiude però con una ventata di ottimismo, poiché Salvemini è convinto che ci sia ancora possibilità d’intervento. Il pezzo seguente vede un futuro molto meno roseo. In Restaurazione clandestina, Piero Calamandrei espone l’idea – condivisa anche da molti memorialisti – che in Italia dopo la Liberazione sia stato restaurato uno stato di cose precedente, e che quindi la rivoluzione democratica sognata dai partigiani non sia stata, nei fatti, attuata. Calamandrei sostiene:

A dire oggi, in certi ceti e in certi ambienti, che in Italia c’è stata (e forse non è finita) una rivoluzione, c’è da farsi maltrattare o, nell’ipotesi più benigna, compatire: perfino alla Costituente […] la parola rivoluzione dà un suono falso: ed è regola di buona creanza non pronunciarla. C’è ancora nei nostri visceri lo schifo di un rivoluzione falsa che per vent’anni ha vociferato a vuoto per le piazze d’Italia: e ogni eco di quello stile abietto ci dà il mal di mare. Ma c’è sopra tutto, soverchiante ogni altro sentimento, una mortale stanchezza, un imperioso bisogno di immobilità e di oblio, che si avvicina al collasso. […] Far meglio di quel che c’era prima, sembra uno sforzo di immaginazione troppo dispendioso per chi cerca di ripigliar fiato: si fatica meno e si fa più presto a rimettere in piedi quel che c’era, secondo i vecchi modelli, […].190

Calamandrei riconosce che, con la creazione in Italia di una repubblica, la Resistenza abbia già ottenuto un importante risultato. La rivoluzione non deve essere solo istituzionale, ma deve coinvolgere anche le strutture economiche, sociali e politiche del paese:

188 La crisi della Resistenza, numero speciale di “Il Ponte”, anno III, n. 11-12, nov-dic 1947. 189 Hanno collaborato al numero speciale Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Arturo Carlo Jemolo, Vittorio Foa, Riccardo Levi, Roberto Battaglia, Alberto Pedrieri, Dante Livio Bianco, Carlo Galante Garrone, Paolo Barile, Domenico Riccardo Peretti Griva, Giovanni Ravagli, Mario Bracci, Luigi Bianchi d’Espinosa, Mario Vinciguerra. 190 PIERO CALAMANDREI, Restaurazione clandestina, in La crisi della Resistenza, cit., p. 959.

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Ora c’è stato in Italia un momento in cui è sembrato che il crollo del fascismo potesse aprire la strada, oltre che alla rivoluzione istituzionale, anche ad una più profonda rivoluzione in senso economico e sociale […]. Certe iniziative dei comitati di liberazione nazionale nel campo economico e sociale avevano carattere schiettamente rivoluzionario […]. L’epurazione, se doveva avere un significato, doveva servire a far salire ai posti di comando forze nuove e rinnovatrici […]. La disinfezione dal fascismo doveva, nelle speranze, essere insieme avviamento di trasformazione economica, cioè di trasformazione del sistema economico che lo aveva generato, rinnovamento della classe dirigente, risanamento morale e purificazione del costume politico. Ma proprio qui le speranze hanno fatto fallimento: proprio qui si può a buon diritto parlare di restaurazione. 191

Dopo aver approfondito e motivato la tesi di una restaurazione nelle strutture sociali ed economiche italiane, Calamandrei chiude il suo articolo addolcendo in po’ i toni:

Questo ritorno quasi pendolare delle forze della restaurazione era prevedibile e previsto: in tutte le convalescenze che vengono dopo le grandi crisi, si manifestano queste alternative e queste oscillazioni. Ma la resistenza non è finita lì: è stato un punto d’arrivo, ma anche un punto di partenza; è stata il frutto di quello che pochi precursori avevano seminato durante un ventennio, ma anche è stata una più vasta sementa per l’avvenire. E non scoraggiamoci se la nuova messe spunterà quando questi nostri occhi mortali saranno già chiusi. 192

Le speranze di rinnovamento sono presto destinate a spegnersi, per lasciare spazio alla disillusione più totale. A proposito del trattamento riservato agli ex partigiani da parte delle forze governative e dell’opinione pubblica, sono illuminanti gli interventi di Roberto Battaglia e di Dante Livio Bianco. In Il riconoscimento dei partigiani, Battaglia affronta un tema molto dibattuto. Nei confronti dei partigiani lo Stato ha assunto, subito dopo la Liberazione, un atteggiamento di solo tiepida riconoscenza, senza dare all’esercito dei ribelli nessun riconoscimento ufficiale di corpo armato, come era stato chiesto dai dirigenti del Cvl. Si è preferito, al contrario, disperdere le forze, invece di cementarle in un organismo che potesse avere un potere politico futuro, o anche solo un’influenza all’interno dell’opinione pubblica. Il contributo partigiano è stato in questo modo ammesso ma successivamente del tutto eclissato, e con esso anche la possibilità per gli ex combattenti di avere ancora voce in capitolo nella gestione della cosa pubblica.

191 Ivi, p. 963. 192 Ivi, p. 968.

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Battaglia descrive bene come questo atteggiamento d’indifferenza generale colpisca nel profondo i partigiani:

A due anni dalla fine della guerra di liberazione è facile constatare nella generalità dei partigiani, a qualunque corrente politica oggi appartengano, un diffuso senso d’insoddisfazione e d’irrequietezza, per cui ogni loro convegno si trasforma in un atto di protesta più o meno violento e prende fuoco a ogni occasione. […] Come è altrettanto facile constatare in non ristretti settori dell’opinione pubblica una malcelata diffidenza verso tutto ciò che porti il nome di partigiano, diffidenza che è da distinguersi dalla deliberata e ovvia ostilità degli avversari della democrazia di ieri e di oggi.193

Anche Dante Livio Bianco è molto vicino al pensiero di Battaglia. Con l’intervento dall’eloquente titolo Partigiani e CLN davanti ai tribunali civili, descrive una situazione che ha del grottesco. Nell’immediato dopoguerra gli ex partigiani sono processati per gli atti illeciti compiuti durante la Resistenza, mentre agli ex fascisti viene risparmiata l’epurazione:

Sembrerà un rilievo banale, ma pure vien voglia di cominciare da lì: se qualcuno, quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana, fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto essere chiamati davanti ai tribunali per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso francamente in faccia. […] Poi, si sa cosa è capitato […]: giunta quasi a lambire il limite estremo, e incapace di superarlo, l’onda della rivoluzione democratica si ritraeva, lasciando riaffiorare, come rami secchi piantati nella sabbia, principi e valori che credevamo di aver lasciato, per sempre, alle nostre spalle. Così cominciava a delinearsi […] la strana situazione per cui, a liberazione compiuta, gli atti di coloro che ne erano stati gli artefici venivano ricacciati in quella medesima ombra di illegalità, nella quale s’erano sforzati di tenerli i nazifascisti.194

Ecco la riprova del clima generale di ostilità che opinione pubblica e Stato insieme offrono agli ex partigiani. Questo fenomeno è deleterio poiché assume le caratteristiche del circolo vizioso. L’indifferenza iniziale della gente comune crea insoddisfazione nei partigiani, che diventa protesta, la quale ottiene come unico risultato altra ostilità dalle masse; a lungo andare, si genera paura e odio da entrambe le parti, sentimenti che non predispongono i due soggetti al dialogo. Questo climax di negatività ha portato effettivamente a sfiorare la minaccia di una nuova guerra civile, soprattutto dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948.

193 Ivi, p. 1001. 194 Ivi, p. 1034.

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