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Tutte le strade conducono a Roma

controllo questa nuova è farne parte, ma senza farsene assorbire completamente, mantenendo le proprie idee e la fedeltà ai propri valori, e contribuendo per le proprie capacità alla causa comune, che a suo modo Cadorna ha condiviso, nonostante non sia stato spinto verso il partigianato da una sua scelta volontaria, come al contrario successe per gli altri memorialisti.

Tutte le strade conducono a Roma

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A completare la “triade conclusiva”, Battaglia ricorda il testo di Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, uno scritto di memoria della lotta di Liberazione dall’8 settembre al 25 aprile, steso di getto nel 1946 sulla base di ricordi e brevi annotazioni. In questo testo l’autore – azionista molto vicino a Parri – racconta come ha vissuto la lotta partigiana dagli spalti della dirigenza del Pd’A, di cui faceva parte. Valiani è segretario del Partito d’Azione nel Nord Italia, membro del Clnai, incaricato di tenere i contatti con il governo stabilitosi in Italia meridionale. Egli è ben cosciente di non aver preso parte direttamente agli eventi bellici, alla lotta vera:

Questo è solo il racconto di uno che a quella guerra ha partecipato, ha combattuto, ha odiato, ha ordinato di sparare sui nemici e ha mandato a morte degli amici, che il caso o la selezione della lotta avevano posto alle sue dipendenze, ma che non perciò ha cessato di amare e di ridere. È un diario, nel quale si danno più dettagli della battaglia contro la Gestapo e dei lunghi preparativi dell’insurrezione, che non della lotta militare vera e propria. I Comandi e i Comitati centrali della Resistenza sono lumeggiati meglio delle assai più gloriose bande di montagna. Ciò è inevitabile, nel diario di uno che viveva in città. 178

Nonostante l’appartenenza politica, la sua memoria non vuole essere una rivendicazione ideologica:

Ma, malgrado qualche inevitabile apparenza in contrario, non intende essere questo scritto una rivendicazione politica di quel partito, che oggi non è più, del resto, quella forza determinante che era stata nel periodo rivoluzionario […]. Vi si narrano le vicende, le passioni, i ricordi, i propositi, ed anche degli episodi della vita privata dell’autore e dei suoi compagni, principalmente militanti delle “Giustizia e Libertà”, ma se fossero stati, invece, prevalentemente, garibaldini o matteottini, non ci sarebbe da dire gran che di diverso sulla loro psicologia, e sulle loro azioni, cambierebbero gli schemi teorici e programmatici, ma non l’intima fede del popolo, nella libertà, nel

178 LEO VALIANI, Tutte le strade conducono a Roma: diario di un uomo nella guerra di un popolo (I ed.: Firenze, La Nuova Italia, 1947) che cito dall’ed. Bologna, Il Mulino, 1983, p. 17.

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valore della Resistenza all’oppressione e del sacrificio, che era quel che li animava e li rendeva di corpulenta e sanguinante attualità.179

Da questi stralci emerge un clima del tutto diverso rispetto al testo di Cadorna, e anche un differente predisposizione dell’autore ai fatti. Tanto Cadorna assolve al suo compito di supervisore e consigliere militare senza farsi coinvolgere emotivamente, quanto Valiani partecipa con calore alla lotta, seppur da una posizione sopraelevata. Valiani è un antifascista di vecchia data: arrestato giovanissimo nel 1928 all’età di diciannove anni, sconta sei anni di carcere, uno di confino e un anno in campo di concentramento. Nel 1936 è esule in Francia, dove lavora come giornalista; è anche corrispondente di guerra della Spagna repubblicana. Nel 1940, dopo l’occupazione tedesca della Francia, è costretto a fuggire in Messico, ma rientra in Italia nel 1943. Il primo capitolo della sua memoria si apre con il ritorno in Europa dal Sud America e lo sbarco a Londra pochi giorni dopo il 25 luglio; Valiani è richiamato in Italia dalla dirigenza di “Giustizia e Libertà” che lo vuole in patria per partecipare alla lotta clandestina contro i Tedeschi. In quei momenti critici, tutti i partiti antifascisti richiamavano i propri esuli, in modo da poter avere già persone fidate e collaudate in un momento di grande confusione. Durante il viaggio di rientro, Valiani sbarca in Sicilia, camuffato da soldato britannico. È interessante vedere come il protagonista – assente dall’Italia dal 1936 – si stupisca di non trovare una società completamente fascistizzata; nota in particolare le vetrine delle librerie in cui sono esposti i testi della cultura liberale e democratica che il fascismo aveva censurato. Nel frattempo, l’8 settembre, la liberazione di Mussolini da parte dei Tedeschi; questi eventi sono solo accennati poiché il succo del racconto verte sul viaggio di Valiani in clandestinità verso il Nord Italia – dove la lotta partigiana si sta organizzando – e sui suoi contatti con i primi antifascisti in territorio italiano, tra i quali la moglie di Emilio Lussu, che li informa della situazione. Il racconto del viaggio rende bene l’idea di quanto sia confusa la situazione nelle varie zone d’Italia che il protagonista attraversa: l’accoglienza di certi luoghi, il rifiuto ricevuto altrove, i paesi completamente spopolati, distrutti, segno del passaggio dei Tedeschi. E

179 Ivi, pp. 17-18.

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durante questo viaggio, Valiani ripensa al passato, quando, in Italia, lui giovane ribelle veniva istruito alla lotta da personalità d’eccezione:

Ce n’è uno, che si dà la pena di discutere con me, malgrado la differenza d’età. È un bel giovane, alto, robusto, dalla faccia che irradia gentilezza, fantasia e curiosità. Si chiama Carlo Rosselli, dirige un nuovo giornale “ Il Quarto Stato”; a differenza di tutti gli altri è ottimista. Non c’è che da combattere, passare all’offensiva, e il fascismo crollerà. Ci metteremo qualche anno, ma se prendiamo l’offensiva lo faremo mollare.180

Il ricordo di Carlo Rosselli è rievocato con commozione, come se fosse il suo mentore. È Rosselli che gli consiglia le letture più importanti, ed è tramite lui che Valiani incontra Treves, Turati. Attraverso la propria storia personale, Valiani ripercorre velocemente tutta la genesi dell’antifascismo clandestino e degli sforzi fatti dal regime per sopprimerlo. Questa parte è seguita dal racconto della sua esperienza in carcere e al confino: un flashback abbastanza consistente che fa per un momento dimenticare il viaggio di risalita della penisola. Ogni tanto il narratore vi accenna velocemente, creando un continuo saltare dal presente ad una vita precedente, importante poiché motiva le sue scelte e spiega il suo percorso di maturazione. Anche il carcere e il confino sono per Valiani luoghi di incontri importanti e formativi con Pietro Secchia, Umberto Terracini, Altiero Spinelli. Valiani prosegue la lunga marcia tra i ricordi. A Roma si mette subito in contatto con il Partito d’Azione, che aveva assorbito il movimento di “Giustizia e Libertà”. Egli dà una breve e acuta descrizione dell’organizzazione del partito:

Il partito d’azione, pur nella comunanza della maggior parte dei dirigenti, che in “Giustizia e Libertà” avevano militato all’inizio della lotta clandestina antifascista, era nel fondo altra cosa. Esso conservava l’audace, spesso eroica combattività, l’intransigente spirito di sacrificio di “Giustizia e Libertà”, ma aveva in gran parte abbandonato la forte posizione critica e l’inquietudine spirituale che caratterizzava questa e ne aveva ristretto la volontà di rinnovamento, europeo ed anzi intercontinentale, ad alcuni pochi problemi specificatamente italiani, alla lotta contro la monarchia sabauda per l’instaurazione di una repubblica democratica, articolata in autonomie locali, alla polemica contro la parte parassitaria, monopolistica, artificiosa […] del capitalismo italiano, per il risanamento della nostra economia.181

Dopo queste osservazioni, che mostrano quanto Valiani aderisca ai progetti del Pd’A ma sappia mantenere la sua individualità critica, il racconto procede con il protagonista che si stabilisce a Roma e lavora con i dirigenti del

180 Ivi, p. 47. 181 Ivi, pp. 65-66.

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Pd’A lì attivi, cioè Ugo La Malfa, Emilio Lussu e Leone Ginzburg. Nella capitale ha la possibilità di mantenere i contatti anche con il Pci, nella persona di Giorgio Amendola, e con i socialisti, essendo a Roma anche Pietro Nenni. Molto presto viene inviato nel Nord Italia per portare al comando partigiano informazioni sull’andamento della lotta nell’Italia centrale e soprattutto la notizia della sospensione dei poteri della monarchia, che lasciava il comando e i poteri straordinari al Cln. È così che Valiani entra in contatto con Parri, e con la vera realtà partigiana del Nord Italia. Come Cadorna, anche Valiani mette in evidenza che la Resistenza al Nord è quasi del tutto controllata dai comunisti; il suo resoconto però è condotto con toni decisamente diversi rispetto a quelli del generale. Senza essere prevenuto, Valiani considera seriamente le idee dei comunisti, prima di giudicarle:

Sarà una realtà, sarà un’illusione: ma se c’è una sia pur piccola speranza di un movimento popolare autonomo per il rinnovamento completo della società italiana (che è quel che si chiama rivoluzione) ad esso bisogna dare tutte le nostre forze. Seduta stante, butto giù un esame critico del tradizionale modo marxistico di concepire la rivoluzione e alcune tesi sul nuovo metodo di rinnovamento democratico, che si dovrebbe applicare a questo […].182

Valiani cerca il compromesso tra le forze antifasciste, soprattutto per risolvere i contrasti ideologici, che egli certo vede e riconosce come esistenti:

Ma è un fatto, che lo stesso Parri riconosce, che i comunisti sono alla testa della lotta antifascista; le loro bande sono tra le più numerose e combattive. Per me è chiaro, perciò, che bisogna collaborare con i comunisti, come solo chi vede in tale collaborazione la chiave del successo finale della guerra partigiana stessa e della rivoluzione repubblicana antifascista, che ne deve scaturire. Il popolo italiano non potrà mai camminare con le proprie gambe […] se i partiti democratici non sapranno collaborare – coraggiosamente e senza lasciarsi soverchiare da esso – con quello comunista, che già raggruppa la parte più combattiva delle grandi masse operaie.183

Su tutte le personalità che egli incontra, svetta la figura del comandante Parri, con cui Valiani compie un viaggio in Svizzera per entrare in contatto con il comando alleato lì stanziato. Valiani è molto affascinato dalla personalità di Parri:

Dico a Parri che lui deve diventare il primo presidente del governo dell’Italia liberata ed egli mi prende in giro, e siccome io insisto, si

182 Ivi, p. 83. 183 Ivi, pp. 93-94.

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arrabbia e allora gli predico che faremo di tutto perché così avvenga e che ci riusciremo.184

Il racconto di Valiani non descrive mai la vera guerriglia: è una Resistenza che vive sulle grandi personalità piuttosto che sulle masse combattenti. Egli passa da un grande nome ad un altro, descrive i loro arresti, i loro rapporti con gli Alleati, e anche i contatti con la monarchia e con i fascisti che cercano il compromesso, da Valiani rifiutato senza indugio. Parla di azioni di guerriglia solo quando sono coinvolti nomi noti, come nel caso di Edgardo Sogno, comandante della banda autonoma “Franchi”, che si è distinto come eroe partigiano per le sue imprese avventurose. La narrazione di Valiani si concentra più ampiamente sui movimenti delle bande di montagna solo nei giorni cruciali della Liberazione:

Ai primi di aprile, Alba è riconquistata dai volontari della libertà. La Val Pellice è riconquistata, il Pinerolese è invaso. Le formazioni del Monferrato bloccano ogni trasporto fascista tra Asti, Alessandria e Torino, occupano quella rete ferroviaria, giungono fino sulle colline intorno a Torino. La cittadina di Chieri è nelle loro mani. Anche la ferrovia Cuneo-Torino passa sotto il controllo della XX brigata. Dalla Val Trebbia fino al Piacentino si ristabilisce il dominio delle formazioni delle dell’Oltrepò Pavese. In tutta l’Italia le nostre formazioni sono pronte ad affrontare quelle tedesche.185

Come un fiume in piena, le bande partigiane si riversano in pianura: i partiti gestiscono gli operai in città, gli scioperi, e preparano l’insurrezione nazionale. Essi ricevono la resa di Mussolini: Valiani descrive tutto l’incontro tra

il duce e i rappresentanti della Resistenza, ricostruendo anche le battute precise di Mussolini, sulla base del racconto dei presenti. Anche la memoria di Valiani si conclude con la percezione della delusione per il mancato raggiungimento degli obiettivi per cui si era lottato. Soprattutto, è sconfortato dal comportamento delle grandi potenze, a cui la Resistenza si era gioco forza dovuta appoggiare. Ad ogni modo, egli non si pente del cammino percorso e vede ancora un futuro:

Così abbiamo il diritto di resistere al presente di queste potenze, in nome di un futuro più profondamente democratico, che non apparterrà più ai vincitori soltanto ma ai vincitori e ai vinti, insomma ai popoli.186

184 Ivi, p. 92. 185 Ivi, p.241. 186 Ivi, p. 262.

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