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Vecchi partigiani miei
vecchio, ancora legato alle cadenze del secondo ‘800. A tutto questo si aggiunga che il popolo era ormai abituato ad una lingua pubblica solo retorica e altisonante. Sebbene la lingua parlata fosse il dialetto locale, quando la gente comune doveva scrivere ricalcava l’italiano obsoleto imparato a scuola oppure la lingua del regime, della propaganda, dei discorsi di Mussolini. Questo avviene soprattutto nel caso di memorialisti non colti: già i titoli (Brigate Garibaldi baciate dalla gloria le prime nella lotta le prime nella vittoria,153 Vivano sempre i partigiani patrioti della Val d’Arda154) ci fanno intendere la carica retorica racchiusa nei loro scritti. Falaschi nota che l’uso di una lingua “vecchia” si riscontra anche nel caso di autori più colti:
I meno colti fecero ovviamente peggio e più retoricamente degli altri, perché usarono la lingua come uno strumento astratto e lontano, rifiutarono e selezionarono i loro stessi sentimenti personali esprimibili col linguaggio materno, salirono sui trampoli e accostarono contenuti nuovi a una lingua vecchia e retorica: da qui toni patetici e ingenuamente goffi, parole che suonano come raffiche di sten. Comunque una lingua retorica di origine risorgimentale non manca neppure in memorie di autori più colti, questo sia per ragioni di formazione culturale, sia per una tensione sentimentale – fenomeno comune a tutti – che invade gli autori a contatto con una materia ancora incandescente.155
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Ci vorrà un po’ di tempo prima che la cultura italiana si liberi dal fardello impostogli dai vent’anni di immobilismo e clausura in cui il regime l’ha costretta. Solo dal contatto con le novità europee e soprattutto con la cultura americana, gli intellettuali italiani guadagneranno la linfa vitale necessaria al rinnovamento; i temi resistenziali potranno giovarsene solo anni dopo. Per il momento, le nuove esperienze e i nuovi concetti di libertà e democrazia continueranno a essere espressi con una lingua di principio non adatta a loro.
Vecchi partigiani miei
Tornando a riflettere sulle memorie della prima ondata, inaspettatamente si incontrano – tra gli scritti che uniscono cronaca, celebrazione dei caduti e
153 ITALO BUSETTO, Brigate Garibaldi baciate dalla gloria, le prime nella lotta, le prime alla vittoria: cronache milanesi di lotta partigiana, a c. della Federazione milanese del Pci, Milano, 1951. 154 FERDJ JERIO FERRERO, Vivano sempre i partigiani patrioti della Val d’Arda, - Epopea della divisione garibaldina Wladimiro Bersani, Piacenza, Porta, s.d. 155 G.FALASCHI, La resistenza armata nella narrativa italiana, cit., p. 29.
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racconto di vita partigiana – anche testi di un certo pregio, che riescono a narrare in modo più originale e vivo l’esperienza della Resistenza. In essi si trovano momenti più intensi e personali, in cui la retorica e il sentimentalismo spicciolo vengono abbandonati per l’espressione sincera delle emozioni umane provate in un contesto così fuori dall’ordinario. E non c’è bisogno di cercare i grandi autori per avere scritti di memoria letterariamente più pregevoli. Un esempio è Piero Carmagnola che con Vecchi partigiani miei ha saputo raggiungere, in certi frangenti, risultati degni di nota. Carmagnola è un giovanissimo militare fuggito da un campo di prigionia tedesco, che riesce a unirsi ai garibaldini della Val di Lanzo, diventando in seguito commissario politico della XIX Brigata attiva sulle colline del Monferrato. Nel suo scritto di memoria ‒ edito nel 1945 ‒ egli racconta appunto la propria esperienza, iniziando dalla fuga dal campo tedesco a cui segue la scelta partigiana. La struttura del testo è organizzata in capitoli che scandiscono i movimenti del gruppo, dei combattimenti, dei rastrellamenti e delle perdite di uomini: si sottolineano così i momenti importanti per la banda, che hanno significato un cambiamento concreto della situazione. Seguire i titoli dei capitoli permette di capire le esperienze storicamente documentabili della brigata, dal momento che spesso sono corredati da date: Dall’attacco di Lanzo (26 giugno 1944) al rastrellamento del 3 luglio, combattimento del passo della Crocetta (15 agosto 1944), oppure La fucilazione del nostro commissario di brigata Adolfo Praiotti. I ragazzi della Barca, Il duro periodo invernale. Combattimento a Serravalle d’Asti (26 gennaio 1945). Come per la memoria di Canessa, il soggetto principale delle vicende è sempre la collettività partigiana, il “noi”, i “nostri”:
E avanti, avanti. Ora siamo nella neve e nella nebbia, e camminiamo senza aver neppur più la forza di pensare a qualcosa, qualunque cosa, purché ci distragga dall’incubo che ci opprime. Oh, se avessimo un sorso d’acqua, un morso di pane, per calmare gli spasimi del nostro corpo! Ci chiniamo quasi furtivamente a raccogliere un po’ di neve. La comprimiamo con le mani gelate. Com’è buona, la neve! […]. Tremiamo di freddo e di debolezza, nelle vesti bagnate, avvolti nelle coperte fradice d’acqua che gelano anch’esse e diventano dure. Un gran torpore ci invade, lottiamo disperatamente per non addormentarci, per non morire. Ognuno di noi fissa le stelle del cielo d’Italia, e rievoca tante cose care, e invoca la mamma.156
156 P.CARMAGNOLA, Vecchi partigiani miei, cit., p. 60.
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Possiamo notare che Carmagnola parla al plurale non solo quando descrive una situazione effettivamente corale, come può essere il resoconto di una battaglia o uno spostamento in massa. Il soggetto è collettivo anche quando si riportano sensazioni e emozioni personali, che vengono così estese a tutto il gruppo, in un dimensione di condivisione anche degli stati d’animo. A volte, poi, Carmagnola si scava un momento per sé, per le riflessioni più profonde e segrete, dalle quali emerge effettivamente la sua personalità di protagonista scrivente:
Non voglio andarmene anch’io come disertore, ma voglio andarmene. Qui non resisto più. Rimango per ore e ore, con la mia sporca coperta addosso a mo’ di mantellina, seduto su una pietra a sognare. Tra la nebbia mi sembra di vedere casa mia, a Piovà, dove il sole inonda le colline e l’uva nei vigneti rosseggia. Da mesi non vedo più i miei cari. Laggiù ho la mia casa, un letto con le lenzuola, ho indumenti puliti e odorosi di bucato…No, non voglio disertare anch’io, non voglio rinunciare alla lotta.157
I momenti d’introspezione personale ricorrono ogni volta che il protagonista si trova davanti ad un momento di paura, o di sconforto, quando la dimensione collettiva e l’atmosfera di euforia e speranza che si respira non bastano a sostenere i frangenti più difficili. Dal testo di Carmagnola si ha l’idea non di una Resistenza sempre eroica e vittoriosa anche nella sconfitta, ma di un’esperienza tipicamente umana, con i suoi momenti di allegria e gli attimi più tragici, con gli atti di eroismo ma anche di debolezza. Carmagnola diventa partigiano garibaldino, ma, per lui, militare nelle Brigate Garibaldi non rappresenta una scelta legata all’ideologia: dalle sue parole emerge chiaramente che egli non è un convinto comunista. In tutta la memoria non c’è un solo accenno alla Russia, a Stalin, come invece ci si potrebbe aspettare essendo l’autore un commissario politico. Gli ideali che lo animano e che trasmette ai giovani partigiani sono molto più astratti, e indipendenti dalle direttive del Pci clandestino: egli parla di generica libertà, di amor di patria. E l’immunità ideologica gli permette di analizzare lucidamente la situazione dell’immediato dopoguerra come appare ai suoi occhi di contemporaneo. Le sue parole illustrano perfettamente il clima di disillusione e sconforto che ha circondato gli ex partigiani dopo la Liberazione:
Non importa, garibaldini della diciannovesima. Quel che pensiamo noi, quel che soffriamo nel nostro cuore non importa alla gran massa
157 Ivi, p. 63.
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