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LA RISPOSTA

Noi avevamo 1a certezza che ~I nostro appello sarebbe stato accolto, ma - ci scusino gli amici nostri - eravamo un po' lungi dal credere che la risposta sarebbe venuta cosi vibrante di consensi, così immediata nel tempo. la polemica coi g iornali del l ruJI clericale, e segnatamente coll'Italia di Milano e col MomenJo di Torino, è oramai sorpassata. Sono gli amici che polemizzano efficacissimamente occupando tutto lo spazio di un'intera pagina, e se dall'inizio felice può essere tratto l'augurio per il futuro, noi non dubitiamo che la vittoria sarà nostra. All'llalia, ch e vuole come patto della sfida che Je offerte siano precedute da nome e cognome, rispondono esaurientemente le colonne che seguono e dove gli anonimi - per ragioni fortissime tali e che in ogni caso sono cono, sci uti da noi e possono esserlo anche dal giornale derico<attolico milanese - non· esistono o quasi. Noi non insistiamo coi « sotterfug i pu· dichi » del Corriere d'lt.:tlia., per es.,. che ha superato le famose centomila lire con un'offerta anonima di parecchie migliaia di lire. Noi siamo uomin i di buona fede, e tale buona fede ammettiamo, salvo le dovute eccezioni, anche nei nost ri più feroci avversari. La gara - non ne dubit:i l'Italia - si svolgerà alla luce del sole. Né noi, né i nostri amici abbiamo niente da nascondere Siamo e restiamo gli uomini della strada e della piazza. Nel magaio memorabile del 191', noi non abbiamo agito per vie traverse, ma in piena luce, in comizi grandiosi che non saranno mai cancellati dalla memoria dei cittadini.

Quanto al M omento, esso ha torto di parlare di una « ritirata stra. tegica .... » per il fatto che noi vogliamo limitare questa competizione con un solo gioriiale del trwt e non con tutti gli altri giornali. Noi abbiamo parlato di centomila lire, e non ~el meno milione che i cattolici vantano. Tut to il ragionamento del Momento si basa dunque su premesse artificiose.

Comunque, ripetiamolo, non è ptr vincere in questa lotta di totali, che noi abbiamo chiamato a raccolta gli amici. No. Gli è per rea.liz:u.re un progetto, del quale non possiamo tenere parola futch~ non ci sia qualche cosa di positivo o di negativo. Ma questione di giorni. Come ringraziare, ora, gli innume revoli amici , vicini e lontani, operai e no n operai, di idee uguali aJle nostre o di idee affini e magari avverse, che - uniti tutti nei fermi propositi di resistenza che l'attuale grave m?· mento esige - si raccolgono attorno a noi e ci confortano con così vasta e tangibile attestazione di solidarietà?

Continuando a combattere . _ Non diciamo di più.

D a lJ Popolo d'I"1/ia, N. 2'.n, 16 settembre 1917, IV.

Porta Pia

Ricordiamo, per abbracciare di un colpo l'immensità del cammino percorso in cinquant'anni, 1a invettiva amara di Giosue Carducci:

Impronta Italia domandava Roma, Bùanzio eJSi I~ han dttJo.

Il 20 settembre 1870, a Porta Pia, le mura che difendevano la capitale del mondo cattolico, s i sbrecciarono con poche dozzine di cannonate. Nel breve combattimento, i morti e i f eriti n on raggiunsero il numero di duecento. Non ci fu una battaglia, perché tra i due poteri, J'ecdesiastico e il civile, l'antitesi netta mancava. I due protagonisti, il re e il papa, non andavano l'uno incontro all'altro, armati di tutte le loro forie, materiali e spirituali, pronti a giocare il tutto per tutto: no: si evitavano.

Vittorio Emanuele JI si fece precede re da una lettera, redatta da Celestino Bianchi e portata al pontefice dal conte Ponza di San Martino, nella quale egli chiedeva scusa al sommo gerarca dd passo che .stava per compiere e al quale era stato spinto dal movimento mazziniano-garibal· dino in basso e dall'opera tenace di quell'acuto merc.rtore di tele che rispo ndeva al nome di Quintino Sella, in verità troppo dimenticato da quelli che vennero poi. Il re abbassava la sua spada in atto di ossequio dinanzi al Vaticano, ma Pio IX non osò alzare il suo « pastorale » per chiamare a raccolta l'orbe cattolico. Il re entrò più tardi, nel novembre, a Roma, non da conquistatore, ma da viaggiatore, non a cavùlo, ma in una vettura qualunque, sotto una pioggia che intetrava il cielo; e Pio IX non psò di mantenere nemmeno quella città leonina, dove i bersaglieri di (adorna non erano entrati, Il papa si limitò a protestare con una specie di auto.incarcerazione, che rese superflua la successiva legge delle Guarentigie.

Nella sua fase estrema, il nostro dramma nazionale ebbe dei prota• gonisti mediocri e degli episodi -n elle loro manifestazioni esteriori - appena degni di cronaca. Il potere temporale dei papi si spense per esaurimento senile, senza violenze, senza sangue, in un grigio crepu· scolo. La monarchia si affermò in Roma, sul principio, più da ospite che da dominatrice. Ma· fo svolgimento apparentemente scialbo e modesto delle vicende del quinquennio 1865-'70 - culminanti nell'entrata a Roma - non dimin uisce l'enorme significazione storica della 6ne del potere temporale dei papi. 11 XX Settembre segna la morte deUa più grande monarchia mondiale.

Ma i responsabili bisognava cercarli nel secolo precedente. Il giorno in cui da Parigi partl la dichiaruione dei diritti dell 'uomo, il Vaticano -come potenza. profana - ebbe gli anni contati. Un secolo, appena. L'ultima affermazione monarch ica del Vaticano ebbe luogo nel concilio ecumenico del 1869 che proclamò l'infallibilità del papa. Protesta d i un agonizzante. Poi giunse Cadorna. Le conseguenze di quella strana paradossale situazione che venne detenninandosi in Roma nel 1870-'71, non sono ancora completamente scomparse. La nostra vita nazionale è stata mortificata - per quasi un cinquantennio - all'esterno dalla g uerra del 1866, all'intemo da questo dualismo di poteri, che crea per i catto lici militanti infiniti casi di coscienza.

Ma durante meuo secolo, questo Paese adorabile e d ivino, andava sviluppando e maturando le forze segrete e potenti che lo avrebbero lanciato alla testa delle Nazioni. Molti popoli antichi, che assursero a un regime di civiltà altissimo, decaddero e perirono e del loro passaggio nel mondo non rimangono che ruderi mate riali e reliquie spirituali. L' Italia può decadere, ma non può morire. Non c'è nella sua storia una notte, per quanto fonda, che non sia seguita da un'aurora luminosa. Come il gigante antico, questo popolo può essere gettato a terra, ma il contatto con la gran madre lo fa ribalzare in piedi

Dopo diciotto secoli, l'Italia, esiliata da Roma, torna a Roma. D avanti a questo popolo che grandeggia.nella più vasta conflagrazione di tutti i tempi e di tutte le stirpi , il Vaticano ci appare, nello sfondo di questa epoca calamitosa, straordinariamente rimpicc iolito . La voce del Vicario di Dio è soverchiata dai cannoni che tuonano sul Carso per infrangere un altro « giammai ». Quello del 1870 fu p ronu nciato a Parigi, dal fu ministro Rouher, che poi doveva essere miseramente travo lto, insieme con la sua dinastia, nell'uragano scatenato da Bismarck; il secondo «giammai» è stato pronunciato a Vienna da un imperatore. Ma l'Italia andò a Roma, l'Italia" andrà. a Trieste.

Come per giungere a Roma fu necessario passare per Novara nel 1S49, per la Crimea nel 18,,, per S. Martino nel 1859, per Custoza nel 1866; come per giungere a Roma fu. necessario che Garibaldi e i suoi volontari riporta..ssero, con quaranta bat ta.glie, la leggenda nella storia; come fu necessario il sacrificio dei martiri, le insurrezioni dei popolani, l'anticipazione tragica di Pisacane, cosl per giungere a Trieste e completare l'Italia nella materialità dei suoi confini e nella sua alta personalità mora.le, fu ed è necessario rigettare il nemico al di Il delle

Alpi nostre, varcare un fiume nuovamente sacro, incalzare l'Austria sul Carso, al dì là di Trieste e al di là del mare.

Prima del '70 ci sono state le forche di Milano e di Belfiore, dopo il '70 quelle di Oberdan, di Battisti, e di Sauro. L'Italia non incomincia, continua....

Oggi la prova è più aspra. :E. l'ultimo tratto di salita che richiede la massima tensione delle forze. Ma l'Italia ha già superato la sua prova. I cafoni che assassinarono i solitari idealisti di Sapri, sono oggi emigrati verso il nord d'Italia e - ironia delle ironie! - molti di essi si fregiano del tricolore al braccio. I sanfedisti si chiamano, oggi, socialisti ufficiali . Hanno la stessa anima, con un raffinamento, una esaltaziòne di bestialità. Credono di fermare il corso coi bastoncelli dei loro dogmi tarlati, col loro digrignare di denti, col loro ricatto continuo, e non si accorgono che si separano dalla Nazione e si esil iano dalla storia.

Non riusci ranno, certo, a far« disertare» l'Italia dall'alleanza di tutto il mondo civile, contro i ba rbari.

Milano, celebrando oggi la data del XX Settembre, farà vibrare la sua anima grande e lancerà al resto d 'Italia l'incitamento solenne a resistere. Raccogliamoci in attesa di fede.

Ricordiamo Porta Pia e guardiamo a S. Giusto.

Camminiamo!

Verso La Meta

Ancora una volta, con una unanimità impressionante, con una immediateu.a spontanea, il generoso popolo di Milano ha raccolto l'appello per la celebrazione della festa nazionale , Ieri, tutto il popolo di Milano - intesa la parola nel suo bel significato romano e mazziniano - oc~u· pava le strade e ]e piazze, s'addensava attorno alle bandiere, gremiva l'Arena vastissima. Spettacolo indescrivibile, immenso. A volte, un groppo di commozione saliva alla gola e negli occhi inariditi brillava una lacrima. Quando il popolo di Milano esce dalle sue case, voi sentite che la città non è più un mucchio di sassi allineati secondo certe regole dell'arte, ma è un'anima. Quell'anima stessa che infiammava Alberto da Giussano e il Parlamento convocato cont ro il Barbarossa; queJl'anima che spinse l'umile gente del '48 contro le orde croate di Radetzky e le molti• tudini del 1915 contro una neutraliti che ci avrebbe infamato per tutti i secoli: quell'anima stessa vibrava ieri, dopo due anni, collo stesso fervore, colla stessa passione, resa ancora più alta e profonda dal sacrificio. Milano continua'ad essere il cuore pulsante d'Italia.

La Vandea rossa e nera, nei villaggi oscuri e nelle grandi città, può tentare di vibrare altri colpi sinistri, ma finch~ Milano tiene, fin ché questo ,uore batte, il resto d'Italia, volente o nolente, segui ta, Eppure Milano è stata duramente provata dalla guerra. Migliaia dei suoi figli sono caduti e quando tutti gli elenchi sàranno noti si vedrà che Milano non ha dato soltanto denari e strumenti alla causa della Patria, ma il sangue migliore. Centinaia di mutilati che passarono ieri t~ la plaudente e commossa venerazione della folla, diecimila feriti, tutti i volontari morti o feriti nelle prime avanzate:, una lunga teoria di decorati al valore ; ecco ciò che ha dato Milano, in fatto · di uomini, alla guerra. E ogni giorno che passa la cronaca registra i molti nomi dei conosciuti e quelli degli ignoti che immolano la loro siovinezza all'Italia. Anche qui la guerra ha disseminato i suoi inevitU>iH dolori e disagi. Milano non è pri• vi.legìata. Ma Milano non disonora se stessa e non disonora l'Italia. 2 ge• Josa. fieramente, consapévolmente gelosa della sua tradizione antiaustriaca e anti·sermanica Milano è conscia della sua funzione nella vita politica italiana e sa che un suo momento di debolezza avrebbe ripercussioni enormi all'interno ed all'estero.

Se i tedeschi del Berliner TagesblatJ si fossero trovati ieri all'Arena, mentre gli inni della Patria venivano cantati in coro da c·entomila persone, avrebbero capito tutta l'inanità e la stupidità delle loro spe ranze. Se quei poveri bizantini del parlamentarismo che ci governano da Roma

· prendessero più di frequente contatto colle grandi anonime masse, capirebbero che l'ltalia di 40 milioni di abitanti non è alla mercé di quarantà medagliettati burattini del socialismo ufficiale. Infine, se i vincitori della Bainsizza fossero venuti a Milano, sarebbero tornati al fronte a t~timoniare presso il popolo delle trincee che qui nessuno vuole una pace di menzogna, ma una pace di giustizia, quindi anti-tedesca. Le sa.lve di applausi che salutarono le bandiere abbrunate di Trieste, di Trento, di Fiume, di Pola, della Dalmazia, significano che il popolo milanese è pronto e deciso a resistere sino al giorno che quelle terre e quel mare siano tornati di Roma, significano che il popolo milanese non sosterà se non a opera compiuta.

11 20 settembre del 1870 fu una tappa , il 24 maggio 1915 fu r i• presa la marcia; ora la meta non è più lontana e sarà a qualunque costo raggiunta.

Da li Popolo d'llafia, N. 262, 21 settèmbre 1917, JV.