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3.3. Tito, Mihailović e la resistenza

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Le milizie sarebbero rimaste inattive in tutte le loro formazioni, fino alla nuova nomina dei capi, che sarebbe avvenuta quanto prima. Dovevano cessare immediatamente le proprie attività anche le formazioni di ustaša selvaggi; la disposizione non riguardava invece la milizia posta sotto un comando regolare, le formazioni in servizio presso la Direzione statale per il rinnovamento e lungo la frontiera e quelle stanziate in importanti nodi di comunicazioni, edifici statali o addette al servizio di vigilanza.486 Iniziò a prospettarsi la necessità che le milizie croate fossero poste sotto il comando italiano.

La situazione dello Stato Indipendente Croato si ripercuoteva inoltre nei territori dalmati annessi, con grande preoccupazione di Bastianini. Ripetuti attentati alla linea ferroviaria Sebenico-Spalato e alle linee telegrafiche, ed il crescente ingresso clandestino di centinaia di profughi, in prevalenza donne e bambini, rendevano difficile il controllo del litorale e necessario il rafforzamento dei dispositivi militari. Su istruzione di Ciano, Casertano fece presente al governo croato la situazione d’emergenza. Gli atti di sabotaggio compiuti nel territorio del Governatorato si dimostravano chiaramente in funzione anti-italiana e le azioni non erano riconducibili esclusivamente ai partigiani ma anche ai četnici residui dell’esercito jugoslavo. Bastianini segnalava la presenza ai confini del Governatorato – tra Knin e Dernis – di forti concentramenti di insorti, migliaia di armati. Era interesse del governo di Roma assicurare la più solida difesa della fascia costiera con l’occupazione delle posizioni antistanti al territorio annesso, che meglio si prestavano a controllare e ribattere le ribellioni.

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3.3. Tito, Mihailović e la resistenza

La resistenza più o meno spontanea contro invasori e collaborazionisti assunse il carattere di ribellione diffusa soprattutto grazie al movimento serbo-nazionalista dei četnici di Dragoljub Draža Mihailović e quello comunista di Tito, che avrebbe formato un vero e proprio esercito popolare di liberazione nazionale. Ufficiale dell’esercito regio, ostile agli ustaša e anti-comunista, il colonnello Mihailović rifiutandosi di accettare la resa dell’armata jugoslava all’invasore aveva avviato fin da aprile una forma di resistenza all’occupante, rifugiandosi nella Ravna Gora, altopiano della Serbia. I suoi uomini, come le bande serbe sorte spontaneamente nella Jugoslavia occupata, furono comunemente denominati četnici, termine usato prima per le formazioni irregolari serbe che avevano mantenuto viva la ribellione al dominio turco, poi per quelle che avevano combattuto nella prima guerra

486 AUSSME, H-1, b. 16, fasc. 1, Allegato n. 1 al foglio n. 1283/A.C. Segr. del 12 agosto 1941XIX, Traduzione del decreto del Poglavnik in merito alla destituzione di tutti i Capi degli Ustasci dalle loro cariche, il Poglavnik Pavelić, 1 agosto 1941.

mondiale e successivamente attribuito alle associazioni di veterani alle quali Belgrado ricorreva come forza di polizia ausiliaria nelle regioni a prevalenza croata e musulmana.

Mihailović, devoto alla monarchia e convinto assertore dell’ideale grandeserbo, diede al movimento un preciso indirizzo politico-militare: fedeltà al re e al governo jugoslavo in esilio a Londra, liberazione del Paese dall’invasore, ricostituzione su nuove basi della Jugoslavia monarchica nell’orbita delle potenze democratiche occidentali.487 In un proclama del 1942 ai comandi dei reparti četnici (trovato presso un comandante serbo caduto) Mihailović annoverava tra gli scopi da perseguire la creazione di una Grande Serbia etnicamente pura, sgombera delle minoranze e degli elementi a-nazionali, musulmani e croati; la punizione degli ustaša e dei musulmani colpevoli della distruzione del popolo serbo; la lotta agli occupanti.488 Il governo regio in esilio (riconosciuto come potere ufficiale dalle potenze alleate fino al marzo del 1945) nominò il colonnello serbo, promosso generale, ministro della Guerra e comandante dell’Esercito jugoslavo in Patria (Jugoslovenska vojska u otadžbini, 22 gennaio 1942), riconoscendolo formalmente leader delle varie bande ribelli sorte nei territori abitati da serbi e montenegrini. Re Petar rivolse un appello via radio al popolo jugoslavo incoraggiando ad una resistenza compatta ai suoi ordini.489

Anche nello Stato Indipendente Croato le bande serbe finirono per confluire nel movimento di Mihailović, non senza rendersi a loro volta protagonisti di efferati crimini contro la popolazione croata e musulmana: alla loro guida s’imposero soprattutto ufficiali serbi fuggiti alla cattura, ma sorsero anche numerose formazioni guidate da leader civili e politici e in alcuni casi da pope ortodossi, che grazie alla particolare influenza sulla popolazione operarono quasi in completa autonomia.

I četnici si distinguevano per la loro caratterizzazione locale, per essere un movimento frammentato e variegato: ne facevano parte tanto i nazionalisti

487 AUSSME, M-3, b. 20, fasc. 11, Carteggio Comando Supremo, Rapporti trasmessi Reale Missione Militare in Croazia circa l’atteggiamento di cetnici in Jugoslavia e situazione in Croazia dopo il 25 luglio, Stato Maggiore R. Esercito, Servizio Informazioni Esercito (S.I.E.), prot. n. Z/P33551, Promemoria, oggetto: Ex Jugoslavia – Atteggiamento dei cetnici, 20 marzo 1943-XXI; ibidem, fasc. 10, Carteggio Comando Supremo, Comando Gruppo Armate Est Stato Maggiore, al Comando Supremo, prot. n. 875/inf., segreto, oggetto: Questione cetnica, f.to il Generale d’Armata Comandante Ezio Rosi, P.M.76, 1 settembre 1943. 488 Ibidem, Stato Maggiore dei reparti cetnici dell’esercito jugoslavo, Comando di montagna (segretissimo), n. 370 del 20 dicembre 1942, al maggiore di S.M. sig. Djordjic-Lasic, comandante dei reparti cetnici dell’esercito jugoslavo nel Montenegro, al capitano Pavle Djurisic, comandante dei reparti dell’esercito jugoslavo del Lim, il Comandante generale di S.M. Drag. Mihajlovic. 489 Ibidem, b. 6, 4383, Notiziari del generale Pièche, Nuova fase dell’attività dei ribelli nella Serbia, 30 giugno 1942.

serbi illuminati e liberali, quanto le masse contadine terrorizzate che aspiravano esclusivamente al ritorno alla semplice vita rurale, quanto i fautori della Grande Serbia imbevuti di tradizione mitico-religiosa, di martirio e folclore.490

A differenza di Tito, tuttavia, Mihailović non ebbe mai l’effettivo controllo su una realtà complessa e indisciplinata, unita soprattutto dalla comune fede nella Chiesa ortodossa e nella legittimità del potere di Belgrado sull’intero territorio jugoslavo: egli rappresentò al massimo un punto di riferimento politicoideologico, senza essere in grado di costituire un ampio seguito personale ed una compatta struttura militare. La sua fu un’autorità più vicina a un modello feudale che moderno, fondata su giuramenti di lealtà facilmente eludibili e trattative con le varie bande attive nei territori ex jugoslavi. I četnici intendevano organizzare una rivolta generale contemporaneamente allo sbarco anglo-americano nei Balcani –mai avvenuto – e le loro azioni contro le truppe dell’Asse furono generalmente limitate a piccoli atti di sabotaggio, nell’attesa di condizioni più favorevoli per una più vasta insurrezione.491

Fattore essenziale dell’affermazione di Mihailović la certezza, radicata tra i serbi e in gran parte della popolazione jugoslava, che la guerra sarebbe terminata con la vittoria degli Alleati e la ricostituzione dello Stato jugoslavo. Nell’ottobre del 1942 uno dei suoi quartieri generali – spostati di frequente – era segnalato sulla Čemerna Planina (Serbia centrale), insieme alla presenza di un suo aiutante, il tenente colonnello Pavlović. Le bande serbe vestivano in parte l’uniforme jugoslava in parte il costume serbo ed erano in possesso di armamento automatico serbo ed inglese: sembra si accompagnassero a due ufficiali inglesi in uniforme. Campi di fortuna per l’atterraggio degli apparecchi inglesi erano stati disposti nella zona di Zlatibor ed in altre località, così che non solo lo scambio della corrispondenza ma anche l’apporto di aiuti specie in munizioni, materiale sanitario, mezzi di collegamento e generi di conforto era assicurato dagli inglesi.492

Dopo l’attacco nazista all’Unione Sovietica alla resistenza di Mihailović si affiancò rapidamente quella animata dai comunisti jugoslavi guidati da Tito. Ancora nell’ottobre del 1940, in una conferenza clandestina del partito, Tito aveva dichiarato che il dovere dei comunisti era di lottare con tutte le forze contro la partecipazione della Jugoslavia alla guerra imperialista che si delineava in Europa; in seguito non aveva perso tempo a recepire le direttive del Comintern, dando il via alla resistenza al nazi-fascismo. Il movimento partigiano colse i primi significativi

490 H. J. Burgwyn, op. cit., p. 91. 491 AUSSME, L-10, b. 38, fasc. 3, Croazia – Notizie politiche e militari dal 1° gennaio al 5 maggio 1943, Stato Maggiore R. Esercito, Servizio Informazioni Esercito S.I.E., prot. n. Z/P-35231, Promemoria, oggetto: Ex Jugoslavia – Movimento cetnico, atteggiamento inglese, 14 aprile 1943-XXI. 492 Ibidem, M-3, b. 6, 4383, Notiziari del generale Pièche, a Ministero Affari Esteri-Gab.A.P., oggetto: Draza Mihajlovic, f.to il Generale Pièche, P.M.10, 28 ottobre 1942-XX.

successi proprio in Serbia e nel Montenegro, con un alto numero di adesioni dovute più alla volontà di riscatto dell’orgoglio nazionale ferito e ad un romantico panslavismo che alla propaganda comunista strictu sensu.

Nonostante le differenze ideologiche, partigiani e četnici in un primo tempo collaborarono contro forze occupanti e collaborazioniste, con tentativi di accordo tra i due leader:493 per alcuni mesi, tra l’estate e il dicembre del 1941, il movimento di Mihailović si associò a gruppi di comunisti e ribelli in genere, imponendosi in diverse zone del Montenegro, della Bosnia e della Serbia; četnici e comunisti erano avvicinati dalla comune idea panslavista – sebbene concepita su diverse basi ideologiche – e dalla guerra al regime di Zagabria. Tuttavia le posizioni antimonarchiche dei primi ed i sentimenti anti-comunisti dei secondi resero impossibile la collaborazione, portando presto al conflitto, con sommo vantaggio per l’Asse. I četnici considerarono i partigiani, in lotta contro la dinastia reale e aspiranti alla realizzazione di una rivoluzione sociale, il principale nemico e collaborarono prima con gli italiani e poi con i tedeschi, diventando una sorta di milizia di supporto dell’Asse al fine di prevenire una vittoria comunista e rimandando quindi ad un secondo tempo l’estromissione delle forze d’occupazione dal territorio nazionale jugoslavo. Mihailović sostanzialmente finì con lo stabilire due programmi: il primo, minimo, da realizzare in caso di vittoria dell’Asse, la creazione di una Grande Serbia; il secondo, massimo, sostenuto dagli inglesi, la ricostituzione della Jugoslavia. L’attrito tra partigiani e četnici crebbe ovunque fino ad arrivare allo scontro aperto e dal gennaio del 1942 la lotta proseguì per tutta la durata della guerra. Mihailović impartì in Serbia gli ordini di annientamento ad oltranza dei comunisti in connessione con le operazioni svolte dalle formazioni di četnici in Bosnia ed in Erzegovina. Inizialmente, comunque, i tedeschi continuarono a combattere sia contro gli uomini di Tito sia contro quelli di Mihailović, considerando entrambi nemici senza distinzioni e usando spesso il termine partigiani in un ampio senso, anche per i nazionalisti serbi.494

493 Mihailović e Tito s’incontrarono più volte nei mesi di settembre e ottobre del 1941: il 19 settembre nel villaggio di Struganik nei pressi di Valjevo (Serbia occidentale), il 26 e 27 dello stesso mese a Stolice ed il 26 e 27 ottobre nel villaggio di Brajici. Nell’ultimo incontro le divergenze risultarono incolmabili: il mancato raggiungimento di un accordo decretò di lì a poco il verificarsi in Serbia di incidenti di particolare gravità che portarono la definitiva fine dei tentativi di collaborazione tra četnici e partigiani. Una volta catturato dai reparti titini nel marzo del 1946, Mihailović fu processato e giustiziato come traditore. 494 AUSSME, M-3, b. 20, fasc. 11, R. Missione Militare Italiana in Croazia, a Comando Supremo, a Stato Maggiore R. Esercito (S.I.E.), a Comando Superiore FF.AA. Slovenia-Dalmazia, prot. n. 1115, segreto, oggetto: Impiego dei cetnici in Croazia da parte militare tedesca, f.to il Generale di Brigata Capo Missione Gian Carlo Re, Zagabria 2 marzo 1943-XXI, in allegato Relazione, f.to il Commissario di P.S. Dattilo Gustavo, Zagabria 13 febbraio 1943-XXI; ibidem, L-10, b. 38, fasc. 3, Stato Maggiore R. Esercito, Ufficio Operazioni I-3ª Sezione, Promemoria, oggetto: Atteggiamento

Nella complessa situazione s’inserirono gli interessi di Unione Sovietica e Gran Bretagna, in minor parte degli Stati Uniti. Come accennato Londra inizialmente sostenne la resistenza nazionalista serba per contenere l’influenza bolscevica nei Balcani, ma successivamente riconobbe al movimento partigiano un ruolo più importante nella guerra di liberazione nazionale e gli Alleati finirono con il supportare Tito. Conseguenza del fondamentale indirizzo temporeggiatore di Mihailović, fu la progressiva perdita di terreno e di prestigio da parte sua nei confronti del movimento partigiano. Dinanzi alla vitalità della propaganda comunista e alla risoluta e instancabile attività dell’esercito popolare di Tito, i četnici, in crisi permanente d’organizzazione, rivelarono la mancanza di direttive politico-militari d’azione aderenti alla reale situazione e all’obiettivo prefissato. Londra di conseguenza preferì sfruttare la vivace forza dei partigiani per scardinare il dispositivo militare dell’Asse nei territori jugoslavi ed i četnici non esclusero l’avvicinamento e la collaborazione con i tedeschi, pur nella paventata possibilità di poter esser disarmati.495

Verso la fine del 1941 gli scontri con i četnici e la maggiore pressione tedesca indebolirono le posizioni di Tito, che in tutta fretta fu costretto con i suoi uomini ad evacuare Užice, sede del loro quartier generale in Serbia, per spingersi nel Sangiaccato. I četnici generalmente erano riusciti a sfuggire alle rappresaglie tedesche accordandosi con Nedić, guida dell’amministrazione collaborazionista serba; di rado avrebbero rivolto ancora le armi contro i tedeschi e il loro compito principale in Serbia divenne combattere i partigiani in collaborazione con truppe di Nedić e reparti volontari irregolari del filo-tedesco Dimitrije Ljotić, permettendo a Tito di riuscire a stabilire il proprio controllo sulla Serbia solamente nelle ultime fasi della guerra. I partigiani portarono la guerriglia – già avviata peraltro dai comunisti croati – nei territori dello Stato Indipendente Croato e Tito stabilì un nuovo quartier generale prima a Foča, nella Bosnia orientale, e successivamente a Bihać, consegnata dalle truppe del V Corpo d’Armata nel giugno del 1942 alle forze croate, nel quadro di due finalità concordanti, l’italiana di contrarre la dislocazione delle forze e la croata di riprendere i poteri nella terza zona. I croati tennero Bihać fino all’inizio di novembre, quando fu conquistata dai partigiani.496

dei cetnici, 22 marzo 1943-XXI; id., Stato Maggiore R. Esercito, Servizio Informazioni Esercito (S.I.E.), a Capo 1° Reparto dello S.M.R.E., prot. n. Z/P-33872, Promemoria, oggetto: Serbia –Organizzazioni di Draza Mihajlovic, f.to il Colonnello di S.M. Capo Servizio Edmondo de Renzi, il Colonnello di S.M. Vice Capo Servizio V. Pasquale, 22 marzo 1943-XXI. 495 Ibidem, L-10, b. 38, fasc. 3, Stato Maggiore R. Esercito, Servizio Informazioni Esercito S.I.E., prot. n. Z/P-35231, Promemoria, oggetto: Ex Jugoslavia – Movimento cetnico, atteggiamento inglese, 14 aprile 1943-XXI. 496 S. Loi, op. cit., p. 210.

Anche nei territori croati e bosniaci il movimento popolare di liberazione conobbe una partecipazione frastagliata, con diverse componenti destinate ad essere superate dai partigiani; la lotta degli uomini di Tito fu un susseguirsi di assalti a elementi isolati o esigui presidi, di imboscate a piccole colonne, di sabotaggi, attentati, di scontri di portata locale agevolati dalla natura del luogo favorevole alle azioni di guerriglia. Alla fine del 1941, nell’ambito dei preparativi per l’occupazione dell’intero Stato Indipendente Croato da parte italiana – mai avvenuta a causa del ripensamento tedesco (vedi infra) – il generale Dalmazzo (VI Corpo d’Armata) calcolava tra i quindici e i ventimila uomini gli effettivi dell’esercito di liberazione, in continuo perfezionamento di organizzazione e potenza, e affermava

Abbiamo di fronte un nemico che sfugge la battaglia contro forze superiori; che si cela sui monti a lui familiari per attaccare colonne di rifornimento per vivere, o piccoli reparti per catturare armi; inafferrabile, ma sempre pronto a farci danno e ad infliggerci perdite; capace ed abile in distruzioni sempre più ardite ed ingenti che vietano o interrompono per lungo tempo le operazioni; che si inorgoglisce di piccoli successi e parteggia sempre più attivamente al movimento che si va estendendo, sotto l’impulso di capi capaci ed abili a fruttare le cause di qualsiasi malcontento; che isola i nostri presidi e ci costringe ad operazioni di notevole entità senza ottenere che risultati minimi, con grande dispendio di mezzi e forze.

Nel 1942 determinate aree (Bosnia, Lika, Slavonia, Sirmio) erano sotto l’influenza dei partigiani, che non disdegnavano un inasprimento del conflitto ed un più duro coinvolgimento della popolazione civile. Non mancarono tentativi di concludere particolari accordi con ustaša e tedeschi, per combattere contro i četnici; tuttavia, al contrario degli italiani, Hitler non ne volle sapere di fare distinzioni tra i vari gruppi armati, propenso ad annientare tutti i ribelli annidati nei Balcani. Le bande partigiane in Croazia vedevano la partecipazione di comunisti, ebrei, contadini mačekiani, intellettuali panslavisti o jugoslavisti, fuoriusciti dalmati e della Venezia Giulia.497 Pavelić tentò di paralizzare le attività dell’organizzazione comunista croata con l’esecuzione dei capi del partito catturati a Zagabria, ma ciò non impedì l’avvio di un movimento di resistenza diretto da Vladimir Popović, Rade Končar (in Dalmazia, preso e condannato a morte nel maggio 1942 da un tribunale speciale militare italiano)498 e Andrija Hebrang (conoscerà anche la prigionia a Jasenovac). Il 26 e 27 novembre 1942 a Bihać Tito convocò la prima

497 AUSSME, M-3, b. 6, fasc. 1, Comando Supremo, Ufficio Operativo, Notiziari del generale Pièche 1942 (situazione in Croazia; movimenti cetnici), Rapporti del generale Pièche al Ministero degli Esteri (notizie dalla Serbia), a Ministero Affari Esteri-Gab.A.P., oggetto: Relazione sulla Croazia, f.to il generale Pièche, P.M.10, 5 agosto 1942-XX. 498 D. Gizdić, Dalmacija 1942. Prilozi historiji Narodnooslobodilačke borbe, Zagreb, Izdavačko odjeljenje glavnog odbora saveza boraca Hrvatske, 1959, pp. 248-252.

sessione del “Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia” (Antifašističko Vijeće Narodnog Oslobođenja Jugoslavije, AVNOJ), organismo di rappresentanza politica e nazionale del movimento di liberazione.499 Il Comando Supremo partigiano costituì ufficialmente l’Esercito di Liberazione Nazionale, nel quale inquadrò gran parte delle principali formazioni partigiane preesistenti. All’inizio dell’anno successivo risultavano formate otto divisioni, di cui cinque raggruppate in due corpi d’armata.500 La forza complessiva era valutata a circa trentamila combattenti, armati di fucili, mitragliatrici, mortai, obici e cannoni da montagna. Andavano poi aggiunte le rimanenti formazioni partigiane, ancora autonome, composte da circa altri trentamila uomini.501

Alla fine del 1943 il generale Oxilia, comandante la Divisione Venezia passata a combattere con i partigiani dopo l’armistizio dell’8 settembre, trasmetteva al Comando Supremo una relazione sulla situazione generale del Montenegro fornendo una serie di informazioni sull’organizzazione dell’Esercito di liberazione nazionale: era costituito da un numero relativamente ristretto di iscritti al Partito comunista, da forti aliquote di simpatizzanti, ma ne facevano parte anche non pochi elementi non comunisti (nazionalisti, democratici, ufficiali dell’ex esercito jugoslavo): nel complesso l’organizzazione era buona, di tipo russo, con ottima capacità e volontà combattiva, espressa essenzialmente con guerriglia ed imboscate, agilità e rapidità di movimento. Era ripartito in corpi d’armata (Korpus, presumibilmente dodici) comprendenti in genere due o tre divisioni su tre o quattro brigate: complessivamente tra i centocinquantamila e i centosettantamila uomini, oltre gli odred locali non mobili, operanti nelle zone territoriali di reclutamento. Quest’ultimi, bande locali più o meno ben armate, risultavano meno disciplinati ma costituivano pericolosi elementi d’imboscata. I singoli corpi d’armata erano collegati al Comando Supremo partigiano, a sua volta collegato con Mosca ed il comando anglo-americano. Ogni brigata oltre al comandante aveva un commissario politico, con importanti compiti nel campo della

499 I verbali della prima e della seconda sessione dell’AVNOJ sono riportati in M. Pijade, S. Nešović (a cura di), Prvo i drugo zasjedanje Avnoj-a, 26. i 27. novembra 1942. u Bihaću, 29. i 30. novembra 1943 u Jaicu, Zagreb, Stvarnost, 1963. 500 1ª Divisione: III Brigata Krajiska, III Brigata Sangiaccato, I Brigata serba. 2ª Divisione: II Brigata dalmata, IV Brigata montenegrina, II Brigata serba. 3ª Divisione: I Brigata dalmata, X Brigata Erzegovina, V Brigata montenegrina. 1° Corpo bosniaco: 4ª Divisione (VI, V e II Brigata Krajiska), 5ª Divisione (VII, IV e I Brigata Krajiska), VI Brigata, unità territoriali bosniache (unità popolare Sejkovcki; VI, V e III Reparto Krajiski). 1° Corpo croato: 6ª Divisione (I, II e III Brigata), 7ª Divisione (VII, VIII e XIII Brigata), 8ª Divisione (IV, V e VI Brigata). AUSSME, L-10, b. 38, fasc. 3, Stato Maggiore R. Esercito, Servizio Informazioni Esercito S.I.E., prot. n. Z/P-32561, Promemoria, oggetto: Croazia – Costituzione dell’Esercito popolare liberatore e delle unità partigiane jugoslave, f.to il Ten.Col. di S.M. Vice Capo Servizio V. Pasquale, 25 febbraio 1943-XXI. 501 Ibidem.

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