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5.5. Conclusione dei lavori della commissione confini

trovò a dover lottare contro il dinaro jugoslavo, rimasto sempre quotato, ed il buono di cassa tedesco stampato dalle truppe ed emesso come valuta d’occupazione. La richiesta continua che si faceva al tesoro per l’amministrazione dello Stato, le spese straordinarie e le esigenze propagandistiche del regime, non potevano essere coperte dalle entrate, che per effetto della contrazione delle attività economiche andavano sempre più diminuendo. Si continuò a stampare moneta e alla fine del primo anno di vita dello Stato croato la circolazione ammontava ad oltre dieci miliardi di kune, superando i limiti del possibile, tanto che si ricorse all’emissione di buoni del Tesoro; alla fine del secondo anno la circolazione di kune era salita per un valore di oltre ventiquattro miliardi. La continua svalutazione della kuna, derivato naturale dell’inflazione, ebbe una ripercussione sulla formazione dei prezzi, la quale a sua volta, ove determinata da cause estranee alla valuta, aiutò la moneta a precipitare ulteriormente, come dimostravano le quotazioni raggiunte dalla borsa nera (con quella ufficiale che non dettava più quotazioni reali era questa praticamente la vera borsa), nella quale la lira veniva correntemente pagata tra le sei e le otto kune, mentre il cambio ufficiale era di 2,6315. Il marco tedesco invece era quotato a venti kune ma sul mercato nero lo si poteva acquistare con quattordici e anche dodici kune, a tutto vantaggio tedesco; il deprezzamento del cambio aumentò, insieme al movimento delle valute, anche a causa delle leggi create per controllare il valore delle merci. Il mercato interno divenne preda delle speculazioni, con poca merce e grande guadagno, mentre gli affari con l’estero andarono diminuendo progressivamente, fino a diventare del tutto sporadici, sia per deficienza di merce sia per difficoltà di pagamento. Il problema del cambio, a circa due anni dalla proclamazione dello Stato Indipendente Croato, persisteva dunque come uno dei principali ostacoli allo svolgimento degli affari e dell’economia nei territori occupati.

982

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5.5. Conclusione dei lavori della commissione confini

All’inizio del 1943 la Commissione regionale per la delimitazione dei confini italo-croati continuava gli studi relativi al tracciamento della linea di confine in Dalmazia, nonostante nella zona confinaria, come nel territorio annesso e in quello occupato dalle truppe italiane, perdurasse la condizione di profonda insicurezza dovuta alle azioni partigiane.983 Dalle relazioni mensili della delegazione italiana non solo

982 Ibidem. 983 A metà febbraio le commissioni regionali Croazia, Montenegro e Albania, in ottemperanza alle disposizioni del Comando Supremo, subirono l’ennesimo ridimensionamento, a cinque elementi più il presidente. AUSSME, N. 1-11, b. 962, Commissione regionale per la delimitazione

risultava che nelle zone annesse ed occupate la propaganda partigiana era sempre più insistente, con la diffusione di manifestini e scritte sovversive, ma anche che aumentavano le azioni contro i presidi italiani e croati, contro le ferrovie e le formazioni volontarie anti-comuniste. I partigiani avevano occupato Ravna Gora, Livno e Tomislavgrad, e premevano su Žumberak, Lovinac, Raduč e Imotski; nell’Erzegovina sud-orientale la situazione non era migliore, come nel retroterra di Zara e di Sebenico (più limitate, invece, le azioni nella provincia di Fiume). In Dalmazia si erano verificati numerosi attacchi contro presidi e linee di comunicazione nella Bukovizza e numerosi atti di sabotaggio alle linee telegrafiche ad ovest di Traù ed ai tratti ferroviari dello spalatino e della limitrofa zona dei Castelli. La condizione complessiva della Croazia e dei territori dalmati italiani appariva ogni giorno più drastica: il movimento insurrezionale, mosso da un irriducibile senso di avversione verso l’occupante italiano e convinto di un prossimo crollo dell’Asse, si dimostrava sempre più agguerrito e battagliero; ovunque imperversavano consistenti nuclei partigiani, nelle vicinanze di Sušak come tra Karlovac e Jastrebarsko, con incursioni nei centri abitati allo scopo di reclutare giovani atti alle armi ed effettuare azioni contro i militari italiani.984

A gennaio la Legazione croata a Roma poneva all’attenzione della commissione centrale e di conseguenza della delegazione del generale Mugnai la questione dell’arbitraria annessione dei villaggi di Kuna e Pridvorje (presso Trebinje) alla provincia di Cattaro. Le autorità militari italiane in vicinanza del confine tra la provincia annessa ed il territorio croato della Velika Župa Dubrava (il distretto di Ragusa), infatti, eseguivano già da tempo i preparativi per l’annessione dei due villaggi, che il governo di Zagabria riteneva invece parte della župa croata. Secondo la delegazione italiana i due villaggi risultavano nettamente compresi nella provincia di Cattaro e la loro occupazione appariva pienamente giustificata. A marzo iniziavano inoltre i primi studi relativi al confine fra la suddetta provincia e il Montenegro, mentre ad aprile veniva terminata la compilazione della Memoria di confinazione n. 2 relativa al confine italo-croato nel fiumano –tratto fra la confluenza torrente Rački Potok-fiume Kupa e la Baia di Buccari – con l’esame particolareggiato delle varianti e delle compensazioni da offrire a Zagabria.985

La relazione in gran parte ripeteva ciò che la delegazione aveva già riportato negli studi precedenti, ma aggiungeva di nuovo le varianti definitive che potevano essere apportate alla linea di confine del 18 maggio 1941: in questo tratto si è più

dei confini italo-croati. Diario storico-militare bimestre gennaio-febbraio 1943-XXI, Allegato n. 23, Riduzione del personale delle Commissioni regionali, Roma, 18 febbraio 1943-XXI. 984 Ibidem, Diario storico-militare bimestre marzo-aprile 1943-XXI, Allegato n. 5, Relazione mensile, P.M.10, 5 marzo 1943-XXI. 985 Ibidem, Allegato n. 18, Memoria di confinazione n. 2, 20 aprile 1943-XXI.

volte ripetuto che la demarcazione confinaria, su uno sviluppo lineare di circa cinquanta km, si appoggiava ad un terreno topograficamente definito solamente dalla confluenza Rački Potok-Kupa al Monte Tomac e cioè lungo l’alto corso del fiume Kupa, lungo il torrente Krašićevica e lungo la spalla settentrionale e orientale della conca di Crni Lug; nel rimanente tratto, invece, la corrispondenza non si notava che per brevi tratti, senza soddisfare le esigenze difensive italiane. Con la Memoria di confinazione n. 2, quindi, la delegazione italiana metteva in evidenza a Roma l’esistenza di due zone confinarie particolarmente delicate per l’Italia. La prima era situata a nord, nell’ansa forzata dell’alto corso del Kupa – fra Guce Selo, Guati Laz e l’altura del Toricek – dove il confine, nonostante seguisse un terreno topograficamente ben delineato, si accompagnava ad un pronunciato e stretto saliente croato, con vertice quasi a Osilnica, che si incuneava profondamente fra i territori sloveno e fiumano annessi all’Italia, in corrispondenza della nota direttrice d’invasione del territorio italiano, formata dall’alta valle della Kupa e servita dalla rotabile Brod na Kupi-Osilnica-ČabarPrezid. Nella parte sud-occidentale del saliente, lo stesso confine passava a poche centinaia di metri dalla strada per Crni Lug-Gerovo-Prezid, che consentiva, in ogni stagione, il collegamento più breve tra Fiume e Lubiana: se l’area fosse rimasta allo Stato croato, in caso di future ostilità con quest’ultimo, l’Italia non avrebbe potuto fare pieno affidamento sulla suddetta via di comunicazione, poiché sarebbe bastato un colpo di mano effettuato nei pressi di Biljevina, per interrompere il traffico fra la zona del fiumano e quella di Osilnica-Čabar. La seconda zona delicata, invece, era situata a sud, fra Jelenčić e il mare, o, più esattamente, fra il Meć e la Baia di Buccari, importante per l’Italia poiché le alture croate, disposte a semicerchio e dominanti direttamente la baia, permettevano di tenere sotto osservazione l’importante centro logistico di Fiume-Sušak e consentivano di affacciarsi sul Carnaro, complicando il dominio italiano sul Canale di Maltempo e il più facile accesso all’isola di Veglia.

In conseguenza di tali considerazioni e delle richieste di varianti della linea di confine fra la zona di Biljevina ed il mare formulati dalla delegazione croata, fin dal primo incontro con la parte italiana a Zagabria, erano state individuate alcune modifiche di confinazione a favore dell’Italia, con l’annessione del saliente croato di Osilnica ed il vantaggio di incamerare vaste aree boschive intorno alle frazioni di Razloge, Turke e Crni Lug (comune amministrativo di Brod na Kupi), l’annessione della zona di Mosnov Laz adiacente al torrente Krašićevica (per allontanare la linea di confine dalla rotabile Sušak-Prezid, nel tratto Crni LugGerovo), dell’intero Golfo del Carnaro compresi la Baia di Buccari e l’abitato di Porto Re con il circondario, del limite orientale dell’ex distretto di Sušak, della zona dello Jelenčić (parte meridionale del territorio fiumano) e di quella del Bitoraj (altezza di Delnice), chiudendo così la possibile linea d’invasione aperta nel confine italiano orientale e assicurando il completo dominio del Golfo del Carnaro – lago italiano – e del Porto di Fiume, nonché un facile accesso all’isola di Veglia. A

favore della Croazia, invece, era stata individuata l’annessione degli abitati di Mrzla Vodica e di Crni Lug (gravitanti su Delnice), della zona boschiva ad ovest dell’Oštrac (necessaria all’economia del comune di Lokve, distretto di Delnice), del bacino idrico dell’impianto elettrico Fužine-Cirquenizza (in costante carenza di combustibile) e del limite amministrativo occidentale del comune di Hreljin.

La delegazione italiana ritenne che alcune rettifiche fossero di lieve entità e facilmente risolvibili nell’ambito della stessa commissione regionale; altre, invece, di maggiore portata, avrebbero sicuramente necessitato più complesse trattazioni, che non escludevano l’intervento diretto dei due governi. La delegazione sottolineava però anche il fatto che le varianti proposte in parte sconvolgevano gli Accordi di Roma, passati in secondo piano rispetto alle preoccupazioni ben più importanti sorte nei due anni di esistenza dello Stato croato, quali la situazione politico-militare, la mancata esecuzione dei più importanti accordi economicovalutari pattuiti, la persistente propaganda contraria all’Italia – in Dalmazia come nelle adiacenti regioni – e la netta ribellione contro le truppe d’occupazione italiane, questioni che avevano compromesso l’intima collaborazione prevista in tali accordi. Era quindi opportuno ed indispensabile che l’Italia, nella previsione di un’eventuale futura sottrazione dello Stato croato alla sua influenza politica, pensasse soprattutto ad assicurarsi la difesa e la sicura integrità del proprio territorio nazionale, attuando una soluzione di forza che risolvesse i precedenti problemi tenendo ben presenti i propri interessi politici, geografici e militari, e mettendo da parte quelli spirituali, etnici, turistici ed economici fin lì considerati.

La Memoria di confinazione n. 2 praticamente fu l’ultima relazione spedita a Roma dalla delegazione italiana: nei mesi successivi sarebbero proseguiti gli studi sul settore dalmata ma di fatto l’occupazione italiana era prossima al collasso. Il 15 maggio 1943 il Comando Supremo decise il passaggio della commissione confini Croazia alle dipendenze del Comando della 2ª Armata, che avrebbe potuto usufruire del suo personale nel modo ritenuto più opportuno; il numero dei componenti la delegazione, inoltre, veniva ridotto ancora una volta con l’assegnazione di alcuni ufficiali al Ministero della Guerra e allo Stato Maggiore dell’Esercito.986 Negli ultimi due bimestri di lavoro (maggio-giugno e luglio-agosto 1943) le attività della delegazione furono concentrate soprattutto nella realizzazione di lucidi e mappe riguardanti alcuni comuni amministrativi e catastali attraversati dal confine dalmata. Unica eccezione degna di nota il compito, affidato il 21 giugno, di compilare una monografia relativa alla zona mineraria (carbone e bauxite) del monte Promina, nel distretto croato di Knin, conclusa il 22 luglio. Il 14 agosto il Comando della 2ª Armata comunicava al generale Mugnai la decisione del Ministero della Guerra di porlo a disposizione del Comando generale MVSN, per assumere un comando zona della milizia,

986 Ibidem, Diario storico-militare bimestre maggio-giugno 1943-XXI, Allegato n. 3, Personale delle Commissioni Regionali delimitazioni confini, Roma 13 maggio 1943-XXI.

mettendo definitivamente fine ai lavori della commissione, ormai pressoché inutili. Anche senza considerare la caduta del fascismo in Italia e l’imminente armistizio, infatti, le azioni partigiane avevano reso praticamente impossibile ogni tipo di studio relativo alle linee di confine, anche in quei luoghi non ancora del tutto nelle mani degli uomini di Tito. In molte località oggetto degli interessi della commissione avvenivano continui attentati e sabotaggi alle linee ferroviarie ed ai presidi italiani: nella zona (la Dolenjska) di Novo Mesto, Trebinje, Crnomelj e Metlika; sul confine sloveno lungo il Cherca e sui Gorianci; a Kamenica, Dinara, Traù, Promina, Zara, Sebenico, Bucovizza, Obrovazzo e in tutto il litorale adriatico, dove gli odred partigiani tenevano impegnato il neo-governatore Giunta. Alla data dell’8 settembre, poi, dopo la notizia dell’armistizio, la situazione della 2ª Armata nei luoghi di confine precipitò rapidamente per una serie di fattori: nel settore del XVIII Corpo d’Armata non era stato possibile effettuare il ripiegamento (deciso all’ultimo momento) di vari presidi esterni verso una linea più vicina alla costa e le truppe tedesche avevano quindi potuto bloccare direttamente negli accampamenti i presidi di Knin, Dernis e Signo; nella zona da Novo Mesto a Trebinje, invece, il ripiegamento della Divisione Isonzo non aveva avuto modo di concludersi nei termini sperati e durante la marcia della colonna vari gruppi partigiani erano riusciti ad ottenere in consegna le armi dai reparti, che inevitabilmente si sciolsero; in Croazia, nella zona di Karlovac-Ozalj, ed in parte in Slovenia in quella di Crnomelj – dove si trovarono dei compromessi con le forze partigiane ma si subirono gli attacchi dei reparti dello Stato Indipendente Croato –i ripetuti tentativi di resistenza della Divisione Lombardia si erano conclusi con una graduale e lenta dissoluzione; e infine nella zona di Lokve-Delnice-Ogulin, presidiata dalla Divisione Macerata, risultarono impegnative le pressioni dei partigiani, che portarono gradualmente alla sua dissoluzione (cosa analoga avvenne alle truppe dislocate tra Fiume e Carlopago e nelle isole di Veglia, Arbe e Pago, sotto l’incombenza di minacce partigiane, tedesche e ustaša).987 L’ultimo compito della delegazione italiana fu riordinare tutto il materiale raccolto nei due anni precedenti e stilare la relazione complessiva delle attività svolte, richiesta dall’Ufficio del Generale Delegato presso la commissione centrale.988

Si chiudevano così le attività della Commissione per la delimitazione dei confini italo-croati, che in definitiva erano serviti a raccogliere una parte del materiale propedeutico al confronto con la delegazione croata per le variazioni da apportare alla linea di confine stabilita e al conseguente lavoro di demarcazione. Al momento della chiusura erano stati completati solamente gli studi riguardanti il settore fiumano-sloveno e comunque neppure questi erano mai stati confrontati o discussi con la controparte croata; gli studi sul settore dalmata, invece,

987 M. Dassovich, Fronte jugoslavo 1943, pp.199-201. 988 AUSSME, N 1-11, b. 962, Commissione regionale per la delimitazione dei confini italocroati, Diario storico-militare bimestre luglio-agosto 1943-XXI.

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