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Fotografie e immaginario fotografico nelle silografie dell'ukiyoe Bakumatsu e Meiji

ROSSELLA MENEGAZZO

Fotografia e immaginario fotografico nelle silografie dell’ukiyoe Bakumatsu e Meiji

L’introduzione della tecnica fotografica in Giappone intorno alla metà dell’Ottocento comportò un inevitabile e rivoluzionario mutamento dello sguardo, oserei dire maggiore rispetto a quello che fu l’impatto sulla cultura occidentale già formata da secoli alla tecnica prospettica di rappresentazione della realtà.1 Mutò lo sguardo del fruitore che, anche grazie all’utilizzo di dispositivi ottici, potenziò la sensibilità di osservazione e intuizione della realtà e della sua conseguente rappresentazione visiva; mutò la capacità descrittiva della realtà da parte di artisti e creatori di immagini che, anch’essi supportati da mezzi meccanici e ottici, seppero raggiungere nella riproduzione bidimensionale un livello di fedeltà al soggetto reale sempre più alto.2 Da un punto di vista meramente tecnico, il mezzo meccanico fotografico andò via via soppiantando la tecnica silografica realizzata invece manualmente da matrice in legno, che all’epoca rappresentava la più cospicua e redditizia fetta di mercato delle immagini dell’ukiyoe 浮世絵. Le caratteristiche di precisione e, idealmente, di infinita riproducibilità della fotografia aumentarono quello che era il potenziale già insito nella silografia, cioè la possibilità di produrre una quantità di multipli; qualità che permise da una parte la nascita di un mercato dell’immagine come souvenir, dall’altra di ottenere una resa realistica ancora più fedele al soggetto ritratto. Ciò si aggiungeva a un altro aspetto che affascinò particolarmente il pubblico locale e straniero in quei primi decenni di sperimentazione e diffusione della fotografia, ossia il tocco artistico dato alle immagini fotografiche giapponesi, in particolare con l’aggiunta del colore a mano all’immagine, che si discosta dalle esperienze fotografiche di qualsiasi altro Paese per intensità, raffinatezza e continuità con la tradizione pittorica autoctona.

È evidente che sia i primi fotografi giapponesi sia gli stranieri che lavorarono in Giappone e contribuirono attivamente a questa prima produzione mantennero un forte legame con la tradizione estetica delle immagini del Mondo Fluttuante, trasfe-

1 Si veda Rossella Menegazzo, “Nuove visioni dall’Occidente. L’arrivo della fotografia in Giappone” Atti XXXIII Convegno di Studi sul Giappone, Milano 2009, pp. 259-273. 2 Si veda Rossella Menegazzo, “Anticipando il futuro: macchine e vere ‘vedute’”, in Gian Carlo Calza, Rossella Menegazzo (a cura di), Giappone. Potere e splendore 1568-1868, Federico Motta Editore, Milano 2009, pp. 315-317.

rendone soggetti e modi sulla superficie fotografica, tanto da suscitare l’impressione nell’osservatore di essere di fronte a un già visto, come a un trasferimento naturale in fotografia dei soggetti e del gusto già affermati e noti nelle silografie e nei dipinti dell’ukiyoe. Ritratti di beltà femminili e di attori, vedute di luoghi celebri, ma anche scene di genere legate alla vita quotidiana e ai divertimenti della classe borghese li si ritrova similmente alle silografie sul nuovo supporto fotografico. Naturalmente con una caratteristica rivoluzionaria rispetto all’opera pittorica poiché, trattandosi di fotografie, si è di fronte a immagini che riproducono fedelmente il soggetto che “realmente” sta di fronte all’obbiettivo, pur tenendo da conto lo scarto “soggettivo” legato all’intervento del fotografo. Tuttavia in questa fedeltà di forme, manca nel primo periodo della fotografia l’aspetto tecnico coloristico che viene perciò affidato alla mano del pittore, che di nuovo ripete i canoni, gli stili e le tendenze già assimilati e affermati dall’ukiyoe. Un connubio di precisione tecnica e creatività artistica che solo in Giappone poteva trovare terreno così fertile all’interno di una tradizione estetica senza scalzarla completamente e diventandone piuttosto la naturale evoluzione. Il risultato sono immagini poetiche, affascinanti e allo stesso tempo evocative di un immaginario esotico del Giappone, che ripercorrono luoghi e situazioni già viste, riproponendole all’infinito fino a farle divenire archetipo nel piccolo formato della cartolina. Oggi più che mai questa produzione artistica fotografica è rivalutata e apprezzata all’estero come in Giappone: diversi sono gli eventi espositivi, le pubblicazioni e le scoperte di nuovi archivi fotografici che vengono proposti al pubblico e ai lettori.3 Anche se bisogna ammettere il prevalere, tutt’oggi, dell’aspetto fascinoso di queste immagini sulla ricerca e lo studio storico-artistico dei materiali. Di fatto, quello che risulta ancora pressoché sconosciuto e inosservato di questo processo di modernizzazione dello sguardo è l’aspetto reciproco della relazione pitturafotografia che implica anche una forte influenza della fotografia sulle silografie ukiyoe e sulle più tarde Yokohamae 横浜絵. 4 Un impatto che può essere evidenziato attraverso l’osservazione di varie tipologie di soggetti che fecero capolino in seno all’ukiyoe a partire dagli anni sessanta dell’Ottocento e che qui suddividerò per semplificazione in tre modalità di trattazione del fenomeno fotografico come si manifestò nelle silografie.

Fotografia come scoperta della scienza occidentale

In questa prima tipologia di immagini l’inserimento della fotografia, o di elementi a essa vicini, all’interno del soggetto della silografia è un richiamo esplicito all’oggetto fotografico in quanto simbolo di modernità oltre che di esotismo.

3 Da menzionare tra le ultime esposizioni e pubblicazioni in Italia sulla fotografia giapponese Meiji: Magda di Siena, East Zone. Antonio Beato, Felice Beato e Adolfo Farsari, fotografi veneti attraverso l’Oriente dell’Ottocento, (mostra e catalogo a cura di), Antiga Edizioni, Treviso 2011. Francesco Paolo Campione e Marco Fagioli, Ineffabile perfezione. La fotografia del Giappone 1860-1910, (mostra e catalogo a cura di), Giunti, Milano 2011. 4 Per approfondimenti sul tema si veda Yonemura Ann, Yokohama, Prints from Nineteenth-century Japan, Arthur M. Sackler Gallery, Washington, D.C., 1990.

Fig. 1. Shōsai Ikkei 昇斎一景, Vari tipi di buona fortuna (Kaiun zukushi 開運ずくし), silografia policroma, seconda metà dell’Ottocento. Collezione: Japan Camera Industry Institute (JCII).

La macchina fotografica, insieme a tanti altri dispositivi ottici e meccanici provenienti dall’Occidente tra i quali il microscopio, il binocolo, il visore ottico per immagini, la lanterna magica, viene incorporata quale elemento moderno all’interno dei soggetti classici già affermati delle beltà e degli attori di teatro kabuki nel tentativo di stare al passo coi tempi e di rinnovare il tradizionale medium silografico. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento la fotografia entra a far parte delle attività cittadine e alcune silografie testimoniano questa nuova presenza. Utagawa Hiroshige III 歌川広重三代目 (1843-1894)5 illustra con un trittico silografico policromo dal titolo Ricchezze di Tokyo. La moda di strada (Tōkyō han’ei hayari no ōrai 東京繁栄流行の往来)6 il movimento delle genti e le attività commerciali e di intrattenimento di fronte a uno studio fotografico, identificabile per l’insegna appesa all’esterno che riporta la scritta, sulla parte superiore, shashinkyō 写真鏡, termine con cui ci si riferiva alla fotografia. Sotto l’insegna sono esposte, quale campionario della produzione del laboratorio, una serie di immagini fotografiche in bianco e nero di ritratto e di paesaggio, che due donne, probabili clienti, stanno osservando. Di Shōsai Ikkei 昇斎一景7 è invece una silografia policroma (fig.1), realizzata nella seconda metà dell’Ottocento e intitolata Vari tipi di buona fortuna (Kaiun zukushi

5 Allievo di Utagawa Hiroshige, il suo nome alla nascita era Gotō Torakichi, prese in seguito il nome d’arte di Shigemasa e, dopo aver sposato la figlia del maestro Hiroshige, nel 1869 quello di Hiroshige III. 6 Il trittico è conservato presso il Hood Museum of Art, Hanover, USA, inv. PR.2004.55. 7 Le sue date sono sconosciute. Allievo di Hiroshige III fu attivo a Tokyo negli anni settanta dell’Ottocento e si dedicò particolarmente a immagini dei costumi e dei simboli della modernità.

開運ずくし)8, che è parte di una serie dedicata ai Trentasei luoghi celebri di Tokyo (Tōkyō meisho sanjūroku gisen 東京名所三十六戯撰). Soggetto è la bagarre nata tra la folla assiepata su un ponte, in attesa del passaggio di un corteo con i carri, a causa di un fotografo di strada maldestro che, con la sua attrezzatura fotografica con treppiede alquanto ingombrante, urta un passante provocando la sua e dell’altro caduta. L’impostazione dell’immagine pone la figura del fotografo ambulante al centro della scena, descrivendola con tratti comici, veloci e stereotipati, adatti a un personaggio ben conosciuto dalla gente e che ne confermano la consuetudine della presenza nella vita quotidiana della città.

Tra le tipologie di silografie che utilizzano la fotografia come elemento distintivo dell’Occidente ve n’è una particolarmente diffusa che vuole identificare la connotazione scientifica della cultura occidentale attraverso la rappresentazione della fotografia e del suo procedimento tecnico, affiancandola ai protagonisti stranieri che per primi la importarono in Giappone insieme a usanze, mode e modi propri della cultura d’origine. Un piccolo foglio policromo, conservato presso il Museo delle Navi Nere (Kurofunekan 黒船館) di Niigata, ritrae una prostituta di Shimoda 下田 in posa davanti a una macchina per dagherrotipo accanto a un uomo occidentale, mentre altri due sono impegnati a scattare la fotografia. Siamo nel 1854 e il fotografo è Eliphalet Brown Junior (1816-1886)9 al seguito della missione navale del Commodoro Perry che portò all’apertura dei porti del Giappone all’Occidente. Una scritta inserita nell’immagine ci conferma che la foto fu scattata presso il giardino del Daianji 大 安寺. Mentre egli era intento nel suo compito di registrazione dei primi dagherrotipi di indigeni giapponesi a Shimoda, la sua figura altrettanto esotica agli occhi dei giapponesi divenne a sua volta soggetto di questa silografia, dimostrando la curiosità reciproca nell’incontro tra le due culture. L’equipaggiamento per dagherrotipo, la sedia su cui la prostituta viene fatta sedere, gli abiti dei tre uomini, i loro tratti somatici accentuati, le folte barbe e i loro gesti sono gli elementi che descrivono l’occidentalità della situazione; diversamente la manica del kimono portata al volto dalla donna, con una gestualità tipicamente giapponese a celare l’imbarazzo, lascia intendere l’estraneità del mezzo fotografico alla popolazione giapponese e la forzatura della messa in posa per il ritratto dello straniero con la prostituta del posto.10 Diversa è l’atmosfera delle silografie di Ichikawa Yoshikazu 一川芳員 (attivo

8 Una stampa è conservata presso il Japan Camera Industry Institute di Tokyo. 9 Sul lavoro di Eliphalet Brown al seguito del Commodoro Perry in Giappone si veda Terry Bennett, Photography in Japan 1853-1912, Tuttle Publishing, Tokyo, Rutland, Vermont, Singapore 2006, p. 27. 10 L’immagine porta nell’angolo in alto a destra un sigillo con la dicitura “archivio Perry” (ぺルリ文 庫), conservato presso il Museo delle Navi Nere di Shimoda, prima città di sbarco della delegazione Perry nel 1854 e luogo in cui avvenne la firma del primo trattato di apertura dei porti giapponesi. Diverse immagini come queste circolarono nel formato della fotografia e pittorico. L’esempio più eclatante è certamente il Rotolo illustrato di Shimoda 下田絵巻 che illustra tra gli avvenimenti del soggiorno di Perry anche una scena simile a quella qui descritta che vede alcuni membri del gruppo americano in posa di fronte a una macchina per dagherrotipo con una prostituta locale.

1850-1870)11 realizzate negli anni sessanta dell’Ottocento. Due esempi in particolare mostrano una coppia di stranieri identificati nel titolo della silografia con il loro Paese di provenienza: Russi (Roshiajin 魯四亜人) e Francia (Furansu 俤蘭 西 ).12 I primi passeggiano sulla banchina in riva al mare; dietro di loro una nave occidentale con le vele ammainate; lui probabilmente in uniforme di marina porta l’ombrellino per il sole e un bastone, lei, negli ampi abiti ottocenteschi, tiene invece in mano un’immagine colorata di media dimensione con il ritratto di una coppia che sembra corrispondere a loro. Uno scatto fotografico acquistato in uno degli studi fotografici dell’epoca o, più probabilmente, una silografia policroma simile a quella in questione, un’immagine nell’immagine che testimonia l’uso da parte degli stranieri di portare con sé questo genere di oggetti come ricordo dal Giappone. Ma anche come quello delle immagini fosse un mercato fiorente e costituisse un mezzo anche di entrata in Giappone di moneta straniera in un’epoca in cui il Paese iniziava il suo processo di modernizzazione e occidentalizzazione. La coppia di francesi, l’uomo vestito in uniforme simile a quella del russo, la donna in un ampio abito con scialle e cappello secondo la moda europea dell’epoca, è invece intenta nel procedimento fotografico. Non c’è alcuna ambientazione, l’attenzione è focalizzata unicamente sui materiali e l’azione fotografica che identificano di fatto la Francia, patria dell’invenzione. L’uomo con il telo sulla testa dietro la macchina su treppiede è il fotografo pronto per un nuovo scatto, mentre la donna si muove alle sue spalle continuando a tenere lo sguardo attento su di lui e reggendo un’immagine su lastra su cui si intravede un ritratto già sviluppato. Di fianco alla coppia, un piccolo tavolino con delle bottigliette, forse liquidi di sviluppo, e delle lastre ancora vergini. Un ultimo esempio di soggetto che associa la fotografia a personaggi stranieri, sempre di Yoshikazu, mostra l’interno di un elegante edificio in muratura in stile occidentale con diverse persone raccolte vestite secondo la moda europea (fig.2). In primo piano un signore europeo è piegato sulla grande macchina fotografica puntata verso l’esterno pronto a scattare, mentre un secondo tiene la porta aperta per permettere lo scatto. Il titolo, stampato a grandi caratteri sul bordo superiore della silografia, è Rappresentazione dello specchio copia del vero straniero (Gaikoku shashinkyō no zu 外国写真鏡之圖)13 e ancora una volta la fotografia è identificata con il termine shashinkyō, come nella stampa di Hiroshige III. A partire dagli anni settanta dell’Ottocento la presenza della fotografia si riscontra anche in silografie policrome con soggetti giapponesi classici quali le beltà (bijnga 美人画)e gli attori di teatro kabuki (yakushae 役者 絵), che continuano a essere proposti fino in epoca Meiji (1868-1912) con uno stile e una coloristica rinnovati e l’inserimento di elementi alla moda.

11 Ufficialmente noto come Utagawa Yoshikazu, le sue silografie sono firmate come Ichikawa Yoshikazu. 12 Le due silografie sono datate 1861 e conservate presso il Philadelphia Museum of Art, inv. 1968165-55; 1968-165-47. 13 La silografia è datata 1860 ca. ed è conservata presso il Japan Camera Industry Institute di Tokyo. Si veda Ozawa Takeshi, Bakumatsu – Meiji no shashin, Chikuma Gakugei Bunko, Tokyo 1997, p. 13.

Fig. 2 Ichikawa Yoshikazu 一川芳員, Rappresentazione dello specchio copia del vero straniero (Gaikoku shashinkyō no zu 外国写 真鏡之圖), silografia policroma, 1860 circa. Collezione Japan Camera Industry Institute (JCII). Fig. 3 Toyohara Kunichika 豊原国周, Specchio dei sentimenti e dei costumi dell’epoca moderna. La fotografia (Kaika ninjō kagami. Shashin 開花人情鏡 写真), silografia policroma, 1878, Collezione: Japan Camera Industry Institute (JCII).

Eloquente è Specchio dei sentimenti e dei costumi dell’epoca moderna. La fotografia (Kaika ninjō kagami. Shashin 開花人情鏡 写真) di uno degli ultimi celebri maestri della silografia ukiyoe del periodo Bakumatsu, Toyohara Kunichika 豊原国周 (1835-1900).14 Egli fece della modernizzazione del Giappone il fulcro delle sue rappresentazioni, pur continuando sul filone dei ritratti di attori e di beltà. La silografia qui citata (fig.3) ritrae in primo piano, di profilo a tre quarti, un’elegante donna giapponese vestita con un kimono dai colori sgargianti vicino a una fotocamera su treppiede con il telo nero oscurante lasciato cadere da un lato. Nella mano destra trattiene con destrezza un piccolo oggetto: è il tappo dell’obbiettivo che lascia intendere sia stato rimosso e che quindi la donna stia tenendo conto dei secondi che servono allo scatto della foto prima di richiuderlo. Una esplicita dichiarazione di modernità e una testimonianza della popolarità della fotografia all’epoca se si considera che la beltà ritratta in questo caso sembra essere una delle prime fotografe giapponesi del periodo Meiji, Hanawa Yoshino 塙芳野 (1848-1884), specializzata in ritratti di attori presso il proprio studio fotografico a Tsukiji dietro il teatro kabuki.15 Interessante è anche il testo, ben leggibile, incorniciato e appeso alla parete di fondo alle spalle della fotografa, che spiega concisamente come il fotografo deve predisporsi per scattare una fotografia di buona qualità:

14 La silografia è datata 1878, secondo giorno del secondo mese Meiji 11 ed è conservata presso il Japan Camera Industry Institute di Tokyo. Si veda Ozawa Takeshi, Bakumatsu…, cit., p. 15. 15 Inoue Mitsurō, Shashin jikenchō: Meiji – Taishō – Shōwa, Asahi Sonorama, Tokyo 1993, pp. 9-11.

Fig. 4 Morikawa Chikashige 守川周重, Immagine di attori davanti alla macchina fotografica (Sakigake shashin no yakushae 魁写真俳優画), silografia policroma, trittico, 1870, Collezione: Japan Camera Industry Institute (JCII).

Dopo aver adattato la direzione e l’intensità della luce alla statura del cliente e messo a fuoco al meglio sulla bocca, applicare i liquidi chimici nell’oscurità. Regolare la posizione del treppiede della macchina e mettere bene a fuoco. Alzare leggermente il telo nero e inserire la lastra di vetro. Facendo pazientare il cliente immobile per alcuni secondi, ne risulterà uno scatto perfetto.16

Altre due silografie con lo stesso titolo Immagine di attori davanti alla macchina fotografica (Sakigake shashin no yakushae 魁写真俳優画) inseriscono invece il soggetto fotografico nel contesto teatrale, continuando la modalità rappresentativa del ritratto di attori kabuki già popolare nelle silografie ukiyoe, ma con la finzione di una messa in posa davanti all’obbiettivo di una macchina fotografica che nella seconda metà dell’Ottocento stava davvero soppiantando il ritratto silografico. Sono due trittici del 1870, uno di Ochiai Yoshiiku 落合芳幾17 (1833-1904) l’altro di Morikawa Chikashige 守川周重 (attivo 1869-1882), entrambi ambientati all’interno del teatro Ichimuraza 市村座 di Tokyo con un gruppo di attori ritratto in primo piano a tre

16 Kyaku no doryō to kōsen no kagen to miyaku de shirumaai, hodoyoku awaseru kuchimai ni, nagasu kusuri ha kuraki o yoshi to shi, kikai no ashi no yaridokoro, chōdo zuhoshi no ategaite, nuno o makutte sashikomu garasu, sukoshi no aida no shinbō to miugoki mo senu sono naka ni umaku utsushita shuren no wazamai. (Hasegawa Hajime ryōki). 客の度量と光線の加減と脈で識る間合。程よく合せる口真似に。流す薬剤は暗きを旨と し。器械の足のやりどころ。丁度図星のあてがいて。布を捲くりてさし込むがらす。少 しの間の辛抱と身動きもせぬ其中に味く冩した手練のわざまひ。『長谷川一嶺記』Traduzione di chi scrive. 17 Allievo di Utagawa Kuniyoshi era anche conosciuto come Utagawa Yoshiiku 歌川芳幾, ma più noto come Ochiai.

quarti. Nel primo la macchina fotografica è posizionata sul treppiede in un angolo in fondo alla stanza con l’obbiettivo puntato verso gli attori, tuttavia questi girano le spalle alla macchina e sono rivolti verso l’osservatore come nei ritratti tradizionali yakushae. Nel secondo (fig.4) è uno degli attori ritratti in primo piano a tenere in mano la macchina fotografica, rivolta verso l’osservatore come gli stessi attori. Sono gli anni di massima fioritura degli studi fotografici, particolarmente a Tokyo dove molti si specializzano proprio nella fotografia di ritratto, che va velocemente diffondendosi sia per i ritratti di individui sia per i ritratti di gruppo, a uso ufficiale ma anche come curiosità giocosa, tanto che anche gli artisti dediti alle silografie di attori non possono esimersi dal registrare questa presenza fagocitante.

Fotografia come mezzo per ritrarre fedelmente la realtà e in particolare la fisionomia umana

Si tratta di una ricerca già iniziata con i mezzi che furono i precursori della fotografia – quali la camera lucida che facilitava la riproduzione fedele del soggetto che l’artista aveva di fronte e i vari dispositivi inventati per aiutare la tracciatura della silhouette – e che ebbe sviluppi di investigazione scientifica così come di intrattenimento. Alcune silografie del Settecento testimoniano già questo interesse mostrando tra i giochi per bambini e i divertimenti femminili la lanterna magica giocattolo o la proiezione di ombre per intrattenere un pubblico; altri esempi propendono invece per un’analisi più introspettiva della silhouette umana che è vista come espressione della parte più intima e nascosta del soggetto rappresentato, a volte evidenziando il contrasto tra il reale aspetto della persona che salva l’apparenza a discapito del sentimento più vero. È il caso del volume illustrato Lezioni di ombre per bambini (Jikun kage e no tatoe 皃訓影繪喩)18 di Torii Kiyonaga 鳥居清 長 (1752-1815) e Santō Kyōden 山東京伝 (1761-1816) del 1798, in cui una pagina in particolare mostra come un cliente impassibile di fronte a un rotolo dipinto sottoposto alla sua attenzione dal commerciante riveli invece il più sincero disgusto attraverso l’ombra del suo profilo che l’artista fa esprimere in un riquadro con una linguaccia e l’indice chiaramente puntato verso l’opera. Un espediente divertente, ma anche carico di quel significato magico che la riproduzione della figura umana ha sempre trattenuto nella cultura occidentale come in quella orientale, sia nella versione pittorica sia, a maggior ragione, fotografica.

Dagli anni sessanta dell’Ottocento sempre l’artista Ochiai Yoshiiku si dilettò con le silhouettes di attori kabuki sfruttandone il potenziale psicologico in una serie di silografie intitolate Silhouettes di luna e fiori copie dal vero (Shinsha gekka no sugatae 真写月花之姿繪). In primo piano è rappresentata l’ombra grigia del profilo dell’attore, caratterizzato dalle fisionomie del volto e da un oggetto tenuto

18 Torii Kiyonaga, Santō Kyōden, Jikun kage e no tatoe, Tōriaburachō, Edo 1798. Consultabile presso la biblioteca della Waseda University.

tra le mani anch’esso ridotto a ombra e solo intuibile dalla forma. In un angolo superiore della stampa, un piccolo cammeo a colori contiene invece il ritratto realistico dell’attore che mostra qui il profilo opposto. Una duplice visione dello stesso soggetto: quella più intima ed essenziale ripresa con la silhouette (shinsha sugatae 真写姿繪), quella pubblica e di apparenza realizzata seguendo i canoni tradizionali della ritrattistica ufficiale di attori kabuki nelle silografie ukiyoe (yakushae). Simile per impostazione è anche il volume illustrato da Shibata Zeshin 柴田是真 (1807-1891) e datato lo stesso anno 1867, Silhouette senza ombra (Kuma naki kage 隈なき影) (fig.5).19 Ogni pagina è composta di una immagine principale con il primo piano di un volto di profilo stampato in colore grigio uniforme, mentre sulla parte superiore del foglio, in una vignetta a colori si svolgono scene con lo stesso e altri personaggi accompagnate da un testo calligrafico. L’elemento più curioso del volume è senza dubbio il titolo, che gioca sui due termini che definiscono il diverso significato attribuito all’ombra come rappresentazione formale, kuma 隈, e come espressione del vero carattere, kage 影, del soggetto.

Fotografia come fonte di imitazione

Gli anni settanta e ottanta dell’Ottocento sono espressione del massimo sviluppo artistico e commerciale della fotografia giapponese che si affermò con nomi sia stranieri come Adolfo Farsari (1841-1898), sia giapponesi come Kusakabe Kimbei 日下部金

Sopra, Fig. 5 Shibata Zeshin 柴田是真, Silhouette senza ombra (Kuma naki kage 隈なき影), volume illustrato, 1867, The Metropolitan Museum of Art, The Howard Mansfield Collection, Purchase, Roger Fund, 1936, inv.: JIB117 A destra, Fig. 6 Ochiai Yoshiiku 落合芳幾, Sawamura Tossho no Sasaki Gennosuke (沢村訥升 の佐々木源之助), dalla serie Specchio copia dal vero di attori (Haiyū shashinkyō 俳優写真鏡), silografia policroma, 1870, The British Museum, Purchased from Israel Goldman, inv.: 2010,3015,0.2; foto: AN865665001.

19 Si veda The Metropolitan Museum of Art, The Howard Mansfield Collection, Purchase, Roger Fund, 1936, inv.: JIB117

兵 (1841-1934). Il sorpasso della tecnica silografica, almeno sul piano della ritrattistica, fu inevitabile. Perciò, se da una parte i paesaggi fotografici continuavano a rifarsi ai colori e all’immaginario già dettato dall’ukiyoe, come è evidente dalla produzione dei due fotografi sopra menzionati, dall’altra le silografie di ritratto, a questo punto dell’evoluzione tecnica, non facevano altro che utilizzare la fotografia come supporto. Non solo cercavano di imitarla nella ricerca della verosimiglianza con il soggetto, ma nel caso dei ritratti di attori realizzati con la tecnica silografica veniva spesso utilizzata la fotografia come modello. Consuetudine in uso anche tra gli artisti dell’Ottocento in Occidente. È sempre Ochiai Yoshiiku a realizzare una serie di cinque silografie, significative in questo senso, intitolate Specchio copia dal vero di attori (Haiyū shashinkyō 俳優写真 鏡) (fig. 6).20 Ognuna corrisponde al ritratto di un celebre attore kabuki mentre interpreta il personaggio che lo ha reso più popolare, ma secondo una modalità fotografica, come si evince anche dal termine shashinkyō 写真鏡 scelto per il titolo.21 Ritratti di tre quarti o a figura intera come carte de visite, con pochi colori, tenui e sfumati, che ne aumentano il realismo e la somiglianza alla fotografia color seppia e bianco e nero, effetto aumentato ulteriormente dalla cornice rossa rettangolare dipinta intorno che ricorda quella vera utilizzata per trattenere il vetro di protezione della fotografia: un ulteriore tentativo di mantenere le immagini silografiche concorrenziali rispetto alla fotografia che, come già detto, negli anni settanta proponeva anche questo genere di ritratti. Tuttavia, il fascino esercitato dall’immagine silografica non smise neppure in epoca successiva. Una serie di ritratti, ancora una volta di attori kabuki, realizzata da Natori Shunsen 名取春仙 (1886-1960) tra il 1925 e il 1929 conferma come la tradizione ritrattistica silografica di attori nel formato ōkubie fosse ancora attiva in epoca Shōwa 昭和 pur risentendo in modo più evidente del realismo fotografico e segna il passaggio di testimone dalla silografia ukiyoe all’innovativo stile dello shin hanga 新版画. 22 Diversa l’impostazione e l’utilizzo dell’immagine fotografica scelta da Toyahara Chikanobu23 nella serie Immagini autentiche da lanterna magica al paragone (Gentō shashin kurabe 幻燈寫心競) del 1890 (fig.7). Il riferimento in questo caso è all’immagine proiettata con la lanterna magica e i dispositivi ottici in uso all’epoca per l’intrattenimento, ma allo stesso modo delle silhouettes di Ochiai, in ogni singola silografia Chikanobu propone all’osservatore due visioni contemporaneamente: un soggetto prin-

20 Si veda The British Museum, 2010, inv.: 3015, 0.1 e 0.2 e 0.5; 1906, 1220, 0.1348. 21 Kinoshita Naoyuki, Shashingaron (Trattato sulla fotografia e la pittura), Iwanami Shoten, Tokyo 1996, pp. 60-65. 22 Si veda The British Museum, inv.: 1966,0613,0.4. La serie fu realizzata da Natori Shunsen, considerato l’ultimo maestro di ritratto di attori kabuki dell’ukiyoe, con Watanabe Shōzaburō 渡辺庄三 郎 (1885-1962), che invece coniò nel 1915 il termine che definì il nuovo movimento dello shin hanga (letteralmente: “nuova stampa”) e ne divenne il primo editore. Per approfondimenti sul tema si veda Kendall Brown, Hollis Goodall-Cristante, Shin-Hanga: New Prints in Modern Japan, Los Angeles County Museum of Art, 1996. 23 Toyohara Chikanobu (豊原周延, 1838-1912), che firmava le sue opere come Yūshū Chikanobu, fu uno degli artisti più prolifici in epoca Meiji. Specializzato soprattutto in silografie di attori e beltà dedicò diverse serie all’analisi dei temi legati alla moda e alla modernità.

cipale in primo piano, che rappresenta la situazione reale del contesto quotidiano, e un secondo soggetto, proiettato in un cerchio che richiama l’effetto di un cono di luce sulla parte superiore della silografia alle spalle del protagonista principale, che invece rivela una sua proiezione mentale, onirica, più intima. In tutti i casi l’immagine proiettata sul fondo, sia di ritratto sia di paesaggio, è definita fin nei minimi particolari, secondo una impostazione prospettica e con l’effetto chiaroscurale derivato dalla pittura occidentale che rincorre di nuovo l’immaginario legato alla precisione fotografica. In tutti gli esempi elencati, l’acquisizione della silhouette e di forme di proiezione fotografica quale modalità rappresentativa del soggetto all’interno delle silografie policrome sottolinea quella che è la peculiarità del nuovo mezzo fotografico di riprodurre fedelmente l’immagine di ciò che sta davanti all’obbiettivo, cogliendo però soprattutto il mistero legato alla potenzialità di questa tecnica di catturare e fissare sulla dimensione piana ogni elemento appartenente alla forma del soggetto, e quindi possibilmente anche la sua parte più intima. L’attrazione che esercita il ritratto fotografico in effetti è proprio legata alla capacità dell’immagine di rivelare una scansione della persona che rimane sconosciuta al soggetto fino al momento in cui non si pone davanti allo sguardo, segnando da quel momento in avanti la creazione di una nuova immagine di sé. Gli artisti dell’ukiyoe, attivi nell’epoca in cui la tecnica fotografica esordì in Giappone e andò velocemente sperimentando e allargando sempre più il suo campo di azione, non poterono esimersi dal fare i conti con questo nuovo sguardo e tutto ciò che implicitamente esso identificava: la fotografia divenne simbolo dell’Occidente, dei suoi costumi, delle novità scientifiche e tecniche, ma anche un modo per esprimere la curiosità e l’aspirazione del Giappone alla cultura occidentale considerata come la modernità in senso assoluto. Il risultato fu un prodotto artistico ibrido che, pur evidenziando una ricerca e una sperimentazione di elementi innovativi al passo coi tempi, rimaneva fortemente ancorato ai propri canoni estetici sia da un punto di vista tematico sia da un punto di vista compositivo. Un equilibrio in cui giocò sicuramente un ruolo importante la tipologia di clientela dell’epoca: cittadini giapponesi che cercavano la modernità e la moda occidentale e tutto ciò che artisticamente le rappresentava, la fotografia tra le altre cose; viaggiatori e visitatori occidentali che, al contrario, cercavano l’esotismo orientale in tutte le sue forme, tra cui si annoverava anche la silografia ukiyoe. Un fenomeno che diventa la rappresentazione stessa del concetto di souvenir, “un souvenir nel souvenir” si potrebbe definire, che rivela ancora una volta la peculiarità della cultura giapponese di saper far convivere attivamente aspetti diversi, per certi versi in apparenza opposti, ricavandone una modalità espressiva nuova, originale, prima inesistente. Di fatto, guardando all’oggi e quindi ai risultati di questa sintesi, la silografia in Giappone è ancora una tecnica artistica affermata e in continua evoluzione secondo nuove forme e nuovi gusti definiti come shin hanga. E continuerà ad assumere nuove modalità espressive, diverse da quelle conosciute in passato, ma prendendo da esse a piene mani e rinnovandosi secondo i canoni estetici e culturali contemporanei.

Photography and Photographic Imagination in Bakumatsu Meiji Ukiyo-e Prints

Subject of this paper is the relation between ukiyo-e prints and the new photographic medium that was spreading throughout Japan from the 1860s. I investigate on how photography and all aspects related to the new Western technique were soon absorbed as subjects themselves in colour woodblock prints of the Bakumatsu and Meiji period. Through the analyzes of some images it’s in fact possible to see how also the most fashionable subjects, such as bijin-ga and yakusha-e, show a presence of elements linked to the photographic means and its new gaze: optical devices, cameras, but also shadow and silhouette games. A way to renew the traditional ukiyo-e print images, giving them a more modern and exotic taste. In this sense, the woodblock image is here considered more as a document than as an artwork, which evidences the growing popularity of photography and photographic gaze from the 1860s on.

幕末・明治の浮世絵版画における写真と写真に対するイメージ

メネガッゾ ロッセッラ

本研究は浮世絵版画と1860年代から日本に広がっていた新しい写 真技術に関するものである。そして、写真技術が日本に登場したのち の幕末・明治期の版画の中でその西洋の新技術がどのように描かれた かということも調査した。いくつかの浮世絵を選択分析し、のぞき眼 鏡やカメラなどの機材、影絵や輪郭の作りだす効果など新技術がも たらした新たな表現方法が、美人画や役者絵など当時最も人気のあっ た浮世絵にどのように描かれたかを観察し、当時写真技術が日本でど のように驚きを持って受け止められていったかを調べた。写真技術が 日本に紹介されたことで浮世絵に近代風で異国的なテイストが加味さ れ、日本の伝統的浮世絵の刷新が図られていった。このようにして浮 世絵は1860年以降、写真が人気を博していくにつれ芸術作品とし てよりむしろ時代の記録としても考えられるようになっていく。