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Sull'evoluzione dell'elemento pubblicitario nella narrativa di Jippensha Ikku

MARIO TALAMO

Sull’evoluzione dell’elemento pubblicitario nella narrativa di Jippensha Ikku

“In its simplest sense the word ‘advertising’ means ‘drawing attention to something’, or notifying or informing somebody of something”.1

Il mio studio si propone di evidenziare l’evoluzione dell’elemento pubblicitario negli scritti di Jippensha Ikku; evidenziare dunque le modalità attraverso le quali l’autore – prendendo in prestito le parole di Gillian Dyer – attirava l’attenzione dei lettori su un determinato oggetto, persona o attività commerciale. Ho pertanto incentrato la mia ricerca sull’analisi di una parte della sua prolifica produzione – gli scritti d’esordio e le opere che riscossero maggiore successo – e ho deciso altresì di limitare la suddetta a un arco di tempo di poco superiore ai dieci anni, dall’ottavo Kansei (1796) al nono Bunka (1812).

Quando Ikku, nel corso del quarto anno dell’era Bunka (1807), pubblicò lo Irozuri shinsomegata 色摺新染型 (I nuovi modelli colorati), diede il suo terzo contributo al genere dei kōkokubon 広告本 o scritti pubblicitari. Diversamente da molti suoi colleghi, il nostro scrittore non creò un ingente quantitativo di opere votate alla promozione di prodotti o attività commerciali: la prima pubblicazione di settore risaliva infatti al decimo Kansei (1798), si intitolava Hatsuuri taifukuchō e si prefiggeva di pubblicizzare l’inizio della stagione dei saldi in un negozio di abiti a Kandabashi. In base agli studi condotti da Hayashi Yoshikazu,2 Ikku compose soltanto tre lavori classificabili come scritti pubblicitari: oltre al già citato Hatsuuri taifukuchō, nel secondo anno Bunka (1805) fu la volta dello Uriage taifukuchō, creato come promozione per l’attività di Man’ya Jirōbee. Infine abbiamo lo Irozuri shinsomegata, scritto per Hitachiya e le sue svendite: l’opera è importante perché permette di comprendere le modalità espressive di un genere tra i più caratteristici, che prevedeva l’introduzione di messaggi promozionali in un contesto dominato per buona parte dall’esposizione di vicende immaginarie.

Lo Irozuri ha per protagonisti i modelli di vestiario più in voga dell’epoca: ciascuno di essi, infatti, presta il proprio nome a un personaggio appartenente alle due bande in lotta per il controllo della scena mondana. L’opera narra dunque dello scontro tra abiti in voga e vestiti usciti ormai dai guardaroba perché datati; il

1 Gillian Dyer, Advertising as Communication, Methuen & Co., London & New York 1982, p. 2. 2 Hayashi Yoshikazu, Edo kōkoku bungaku, vol.1, Mikan Edobungaku kankōkai, Tokyo 1957, p. 82.

protagonista è Shiromuku, un ragazzo dal kimono bianco,3 figlio di Kurohabutae, uno habutae di colore nero. Le vecchie glorie della moda, intenzionate a sfruttare la popolarità del giovane, decidono di rapirlo e di tingere le sue vesti di beige – il colore degli abiti del loro capobanda Tobiiro – nella speranza che il proprio stile obsoleto possa così ritornare in voga.

Diversamente da Ikku, Shikitei Sanba scrisse più di dodici opere pubblicitarie, e così fece anche Santō Kyōden;4 allora ci chiediamo come mai il nostro autore abbia mostrato una tale avversione nei confronti del genere. Considerando la sua passione per le mode e le tendenze, e in primo luogo l’entusiasmo con cui soleva mettersi prontamente alla pari con le produzioni più popolari del periodo, risulta quasi insolito un così esiguo contributo a un genere di tale notorietà.5

I kibyōshi

L’esordio letterario dello scrittore avvenne nel corso del settimo anno dell’era Kansei (1795), con una serie di tre kibyōshi pubblicata dal grande Tsutaya Jūsaburō. Nonostante la fiducia accordata al giovane scrittore da uno dei più noti editori, il primo tentativo di venire alla ribalta fu infruttuoso e non riuscì a riscuotere particolari approvazioni. Il motivo di un tale insuccesso va ricercato nelle scelte tematiche: i tre lavori di debutto affrontavano argomenti non molto apprezzati dai lettori, essendo interamente dedicati alla propaganda religiosa. Ciò appare evidente già dai titoli: abbiamo infatti lo Shingaku tokeigusa, imperniato sui precetti dello Shingaku, la dottrina più in voga del momento; ricordiamo successivamente lo Shinbuki koban no mimibukuro e il Kimyōchōrai kodane no shakujō. Quest’ultimo – solo per presentare al lettore un esempio chiarificatore – narra della creazione della terra, e di come il genere umano tutto sia stato generato da un kodane no shakujō, un bastone da passeggio usato dai monaci pellegrini, piantato in un vaso, che, germogliando, dava vita all’uomo.

Basate sulla fede e sul rispetto delle leggi religiose, le opere di debutto di Jippensha Ikku non lasciavano particolare spazio all’elemento pubblicitario: come avrebbe mai potuto l’autore menzionare posti e attività commerciali quando il suo intento era educare i lettori a seguire fedelmente i precetti che lo shogunato stava tentando di diffondere tra la gente? Produzioni strettamente connesse con la religione e la

3 Lo shiromuku era un abito interamente di color bianco, compresa la biancheria intima, particolarmente in voga tra i giovani. 4 La quasi totalità degli scritti pubblicitari di Sanba era votata alla promozione della sua attività commerciale, il famoso Edo no mizu, profumeria in cui si vendeva un’essenza molto popolare tra le donne. 5 Ci sono purtroppo pervenute scarsissime testimonianze dei kōkokubon: si pensa infatti che essi venissero distribuiti a mo’ di volantini dinanzi alle attività commerciali commissionanti, o nelle zone limitrofe, e non venduti in libreria anche a causa della loro brevità. Per tale motivo venivano sovente cestinati dopo aver adempiuto il proprio dovere propagandistico.

propaganda fide non costituivano un terreno fertile per le forme di promozione, e poiché esse rappresentarono il primo orizzonte produttivo dell’autore, capiamo quanto in verità fosse per lui arduo tentare di introdurre anche la minima battage.

Soltanto un anno dopo, nell’ottavo Kansei (1796), l’autore pubblicò per Enomoto Kichibee un altro kibyōshi in tre tomi intitolato Shotōzan tenaraijō 初登山手 習帳 (L’eserciziario per giovani studenti), il cui giovane protagonista Chōmatsu,6 del tutto privo di talento per lo studio, viene espulso da scuola, lasciando così ai propri genitori il gravoso onere di provvedere alla sua istruzione. L’opera ha il suo avvio nella descrizione degli inutili sforzi compiuti dalla famiglia del ragazzo per invogliarlo a studiare. Ormai scoraggiata, sua madre si rivolge a Sugawara no Michizane supplicandolo di aiutare il figlio; così, mentre il ragazzo riposa, la divinità gli appare in sogno e lo conduce in un mondo incantato i cui alberi sono fatti di dolci, e in cui ogni genere di leccornia cresce spontanea. Inizialmente la divinità non cerca in alcun modo di attirare l’attenzione del giovane sullo studio, preoccupandosi soltanto di accontentare le sue richieste; i due terminano l’avventura nel tentativo di scalare il tenaraizan, la montagna dell’insegnamento, ove ogni studente diligente soleva recarsi al termine del proprio corso di studi per testare la propria preparazione. Purtroppo, però, mentre tutti gli altri riescono a scalare la vetta, seppur a fatica, Chōmatsu non può far altro che inciampare e rotolare a causa della propria formazione lacunosa. Così, spronato dal suo naturale spirito di competizione, decide di cambiare il proprio stile di vita e di dedicarsi allo studio.

Nell’ambito di suddetto tessuto narrativo notiamo frasi ed espressioni che chiaramente mostrano come l’autore abbia adottato una strategia di promozione in un contesto in cui la divulgazione di contenuti tra i lettori non era il principale obiettivo. Nel primo libro, al verso di pagina due, incontriamo il protagonista che si accinge a studiare e in cambio chiede un premio di consolazione dicendo:

[…] Allora perché non mi compri un Mannen mochi da Kameya? Voglio cominciare a studiare da quest’oggi!7 […]

Kameya era un negozio di dolciumi molto popolare, con ben due sedi, la prima a Yūjima kiritōshi e la seconda a Daimon dōri. Al termine del recto della pagina successiva, Chōmatsu, probabilmente stanco di far finta di studiare, si addormenta sui libri e, parlando nel sonno, dice:

6 Definire Chōmatsu giovane non è del tutto esatto dal momento che il ragazzo, pur avendo compiuto i sedici anni, a causa dello scarso impegno profuso nello studio, non era ancora riuscito a concludere il regolare ciclo di studi presso i terakoya. 7 Jippensha Ikku, Shotōzan tenaraijō, in Koike Masatane (a cura di), Edo no gesaku (parody) ehon, Shakai shisōsha, Tokyo 1985, p. 125. É stata mantenuta immutata la tradizionale suddivisione delle pagine dei volumi in parte anteriore o recto, omote in giapponese, e parte posteriore o verso, ura in originale.

[…] Se proprio vuoi comprarmi qualcosa di buono, sappi che non mi vanno più né dolci né mochi; il tenpura del vecchietto di Ningyōchō però sì8 […]

In base a quanto ci riporta Koike Masatane,9 Ningyōchō non era una zona particolarmente rinomata per i locali di ristoro, ma soltanto una stradina di collegamento con Hasegawachō, con numerose rivendite ambulanti di cibo. Nel secondo volume, al recto di pagina sette, Chōmatsu e la divinità tornano a casa dopo aver trascorso la giornata giocando e guardando spettacoli teatrali; il ragazzo dice:

[…] Voglio mangiare gli Ikuyo mochi, me li compreresti?10

Questi dolcetti erano la specialità di Komatsuya Zenbee di Ryōgoku, pasticceria storica la cui fondazione risaliva al lontano periodo Genroku (1688-1704). Successivamente, al recto di pagina dieci, i due protagonisti incontrano una processione di geisha interamente composta da bambole.

[…] C’era un kamibina come shinzō11 e un hōko come kamuro;12 sembrava di stare a guardare le svendite di Jūkendana. Gli articoli poi erano tutti di produzione di Honmen’ya13 […]

Jūkendana, nei pressi di Nihonbashi, era un rinomato distretto artigianale, specializzato nella produzione di bambole, ove periodicamente si tenevano delle svendite. Nel suo breve lavoro, Ikku non presenta esclusivamente cibi e località, ma anche eventi, come il Sumō di Fukiyachō. Sebbene non si possa ancora parlare di una vera e propria strategia pubblicitaria, con buona probabilità, la gran parte degli articoli presentati rimandavano ai gusti e alle preferenze dell’autore. All’epoca Jippensha Ikku era poco più che uno sconosciuto e, presumibilmente, potrebbe non aver ricevuto alcuna ricompensa per gli scritti; tuttavia, possiamo affermare senza alcuna esitazione che né la scarsa reputazione dell’autore né tanto meno la sua giovane età potevano impedire a un ben noto editore di avanzare i propri diritti e, dunque, chiedere denaro per le promozioni presenti tra le pagine delle proprie pubblicazioni.

Ciò che è importante notare è che l’elemento pubblicitario, seppur a uno stadio ancora embrionale, era già ben radicato nella narrativa di Ikku: l’opera in questio-

8 Koike Masatane (a cura di), Edo no gesaku…, cit., p. 127. 9 Ibidem. 10 Koike Masatane (a cura di), Edo no gesaku…, cit., p. 135. 11 Kamibina era una bambola fatta con fogli di carta di vario colore, piegati e sovrapposti; per Ikku rappresenta uno shinzō, una cortigiana di medio rango che, in base alle consuetudini dell’epoca, non possedeva una stanza propria ed era addetta alla cura delle ragazze di rango superiore. 12 Hōko era una bambola che riproduceva le sembianze di un neonato, dalla testa rotonda e senza capelli. Nell’opera ricopre il ruolo di un kamuro, una fanciulla al servizio delle cortigiane di più alto grado. 13 Koike Masatane (a cura di), Edo no gesaku…, cit.., p. 141.

ne, infatti, venne mandata in edizione a distanza di un solo anno dal suo debutto. Il genere dei kibyōshi prevedeva la presenza di messaggi, più o meno espliciti, dal carattere fortemente propagandistico, che introducevano gli eventi più popolari e le consuetudini in voga tra la gente; anche l’opera di Ikku, dunque, non poteva costituire un’eccezione e non prevedere una sezione che desse voce a tale elemento fondante. Notiamo, come sottolineato da Fred Inglis, una “armoniosa interazione di promozioni e stili editoriali; stili che, a loro volta, riproducevano e promuovevano consistentemente il modus vivendi dei consumatori”.14 Va sottolineato che quanto appena riportato originariamente non si riferiva ai kibyōshi, bensì alle comunicazioni di massa, il passaggio però ben si attaglia al nostro argomento di studio, a testimonianza dell’importanza rivestita dall’aspetto propagandistico per il filone narrativo.

Il jikōsei 時好性, la passione per le mode e le tendenze, il trovarsi sempre al passo con i tempi, portò l’autore a promuovere famosi locali di ristoro, cibi ed eventi, come gli Ikuyo mochi o anche il Sumō di Fukiyachō, la cui presenza rappresentava uno stimolo per il lettore e gli comunicava che le mode si muovevano in quella direzione, e che lui avrebbe dovuto essere, vivere, mangiare e comportarsi di conseguenza. La restante parte delle promozioni, al contrario, riguardando posti del tutto sconosciuti, potrebbe essere vista come una dichiarata, ma ancora acerba, operazione pubblicitaria.

Lo Atariyashita jihondoiya

Nel secondo anno del periodo Kyōwa (1802) Ikku diede alle stampe un altro kibyōshi, in due tomi, intitolato Atariyashita jihondoiya 的中地本問屋 (L’editore dal fiuto infallibile), che tutt’oggi viene considerato come una delle rare descrizioni delle fasi del processo di stampa. In realtà, l’opera presenta una serie di aspetti che chiaramente mostrano una evoluzione nelle strategie promozionali dell’autore: la trama descrive un normale giorno lavorativo presso la casa editrice di Murataya Jirōbee, la Eiyūdō. Murataya aveva infatti rimpiazzato Tsutaya Jūsaburō come editore di riferimento, e la sua relazione con Ikku durò per più di dieci anni.

L’opera comincia con l’autore – qui in veste di personaggio – che, privo di talento, non riesce a comporre scritti di successo; l’editore dunque gli somministra una bevanda in cui versa un potente rimedio magico composto da olio di sardine, escrementi di cavallo essiccati e frammenti di zappa e aratro. Il fannullone si tramuta così in un genio dalla fertile immaginazione. Il vero protagonista dell’opera è chiaramente Murataya, i cui sforzi indefessi per pubblicare il volume nella maniera più rapida e sbrigativa vengono dettagliatamente descritti: subito dopo la rapida creazione dell’opera, ottenuta mediante il magico potenziamento delle facoltà creative di Ikku, l’editore escogita nuove contromisure per velocizzare l’intera tabella

14 Fred Inglis, The Imagery of Power: A Critique of Advertising, Heinemann, London 1972, p. 16.

di produzione, dando acqua proveniente dal lago Biwa agli incisori delle matrici, distribuendo tra gli stampatori sake mescolato con le polveri medicinali ricavate dal braccio di Asahina15 e Kagekiyo,16 e propinando ai rilegatori vino e pezzi delle campane di Yakara e Mugen.17

L’opera mostra svariati passaggi in cui è evidente un intento promozionale; al verso di pagina due, per esempio, Ikku fa la sua comparsa in scena per parlare con l’editore e dice:

[…] Quest’anno ho raccontato in un libro intitolato Tabisuzuri di come io sia stato preso in giro con una fiaschetta di sake.18

Il Nansō kigyō tabisuzuri fu infatti pubblicato nel corso del primo anno Kyōwa (1801) da Murataya e si configurò come il primo lavoro in cui Ikku affrontò il tema del viaggio. Il breve periodo appena riportato può essere dunque concepito come una sorta di autopromozione nell’ambito di uno scritto in cui Murataya diviene l’indiscusso protagonista. Al termine del recto della successiva pagina tre, l’editore dice agli incisori delle matrici:

Se non ve lo avessi chiesto entro quest’estate, probabilmente non sarei stato in grado di vendere l’opera come mi auguravo. Vorrei riavere indietro questi prima che si sia fatto giorno e poi chiederò a Kikumaro di incidere sei o setto dei suoi blocchetti colorati.19

Kikumaro era discepolo di Kitagawa Utamaro e, al contempo, amico e valido collaboratore di Ikku. Il successivo chō parla del chōai, ovvero del processo di impaginazione in ordine numerico e presenta la seguente frase:

Forse, me la cavo di più come impaginatore.20

Ciò che è stato tradotto con la parola “impaginatore” nell’originale coincide con l’espressione chōai sanna てうあいさんな, un arguto gioco di parole composto dal

15 Guerriero vissuto durante l’epoca di Kamakura (1192-1333), figlio di Wada Yoshimori; combatté contro Soga Gorō e nel corso del duello riuscì a strappargli con la forza la cotta di maglia dell’armatura. 16 Guerriero appartenente alla famiglia Taira, figlio di Fujiwara Tadakiyo. Dotato di forza e prestanza fisica notevoli, era soprannominato Akushichibyōe; nel corso della battaglia di Yashima combatté contro Mionoya Jyūrō Kunitoshi strappandogli una parte dell’elmo. Ikku fa riferimento ai due guerrieri in primo luogo per la forza e le virtù portentose che scaturirebbero dall’assunzione delle ceneri medicinali provenienti dai loro arti. 17 Campane dai poteri magici che, se suonate, secondo la tradizione porterebbero denaro e ricchezza nel corso della presente vita, ma dannazione e sofferenza nella successiva. 18 Jippensha Ikku, Atariyashita jihondoiya, vol. 1, tomo 1, p. 2, verso. Il testo di riferimento per le citazioni è l’edizione originale conservata presso l’Università di Waseda, pubblicata nel secondo anno dell’epoca Kyōwa (1802), da Eiyūdō (Murataya Jirōbee) a Edo; formato: kibyōshi. 19 Jippensha Ikku, Atariyashita…, cit., vol. 1, tomo 1, p. 3, recto. 20 Jippensha Ikku, Atariyashita…, cit., vol. 1, tomo 1, p. 4, verso.

chōai pocanzi illustrato e dal Sanna di Tōrai Sanna, scrittore di kibyōshi e sharebon, che giocò un ruolo fondamentale nell’influenzare la produzione di Ikku e la sua decisione di divenire un letterato a tempo pieno. Realizziamo quindi che l’intero Atariyashita jihondoiya venne concepito come uno sponsor per l’entourage dell’autore e per i suoi più stretti collaboratori; tra tutti spicca l’editore Murataya, ritratto in numerose illustrazioni come il personaggio centrale dell’intera vicenda, sicché non sarebbe un’esagerazione concepire l’opera come un kōkokubon per lo staff di Eiyūdō.21

A cominciare dal qui presente kibyōshi, la strategia pubblicitaria di Ikku, che fino a quel momento era stata relegata in una dimensione prettamente testuale – con messaggi promozionali contenuti esclusivamente nella parte scritta dei suoi lavori – comincia a inglobare anche la sezione illustrata. Lo Atariyashita infatti presenta il penultimo sashie (Fig. 1) in cui sono rappresentati gli attendenti di Murataya mentre distribuiscono tra la folla scalpitante il frutto delle “abilità imprenditoriali” del loro capo: in basso a destra notiamo il simbolo della casa editrice, mura 村, e il suo pseudonimo lavorativo di Eiyūdō riprodotto su di un cartellone pubblicitario. In alto leggiamo invece tre titoli di vecchie produzioni di Ikku, edite da Murataya: Mago no utabukuro, Ikyoku suzukuregusa e Ikyoku azuma nikki. All’epoca era piuttosto diffusa la consuetudine di presentare ai lettori le pubblicazioni in programma per l’anno nuovo, tuttavia la decisione di Murataya di reintrodurre tre vecchi titoli nel contesto dello Atariyashita – la cui vocazione propagandistica e autoreferenziale è inequivocabile – comunica chiaramente l’intenzione di sfruttare la copertura mediatica del lavoro per avere un ritorno in termini di pubblicità.

Fu dunque solo con lo Atariyashita jihondoiya che l’autore incominciò a coinvolgere la sezione grafica nella sua strategia di divulgazione e a conferirle un ruolo per importanza non inferiore al testo. L’opera è includibile nel filone dei kibyōshi, della cui

Fig. 1 Gli attendenti di Murataya distribuiscono alla folla il frutto dell’abilità dell’editore.

21 Tale tesi è avvalorata anche dal fatto che sia lo Irozuri shinsomegata che lo Atariyashita jihondoiya siano composti da due volumi.

attitudine alla pubblicità si è già discusso; Ikku, da parte sua, amava particolarmente questo aspetto e non perdeva occasione per sottolinearlo anche in contesti in cui non aveva motivo di sussistere. Nel quarto anno dell’era Kyōwa (1804) l’autore pubblicò un ennesimo kibyōshi intitolato Bakemono taiheiki 化物太平記 (Il taiheiki dei mostri), edito da Yamaguchiya, in cui riprendeva le vicende biografiche di Toyotomi Hideyoshi, solitamente trattate nei Taikōki, 22 trasformando i principali personaggi storici in creature mostruose quali le lumache, i rokurokubi, le volpi e i kappa.

Da quanto fin qui detto, e considerando in primo luogo la sua componente fantastica, potremmo supporre a rigor di logica che l’elemento pubblicitario non abbia motivo di comparire in uno scritto del genere; in realtà Ikku non condivideva tale opinione e, pur non presentando esplicitamente attività commerciali e cibi pregiati, ci propone uno hottan, una parte iniziale, con il seguente vivace scambio di battute tra se stesso e la sua concubina:23

[…] Donna [Dai, alzati una buona volta, è ora! È arrivata una lettera dal signor Chika della residenza; dice che se continuo a stare qui in questo modo, penseranno che io sia tua moglie e la mia reputazione sarà rovinata] Ikku [E allora Otobō, fai venire qualcun altro! Non so, Oshun? O magari Ohama? Forse anche Tojirō andrebbe bene! Per stasera dunque eviterò di servirmi alla tua residenza; voglio far venire qui Michitose di Tamaya!24 O magari Fusumaji di Daimonjiya?25 E se invece provassi con Onosan di Shōrō?]26 […]

Il testo che segue il rapido battibecco tra Ikku e la concubina, ormai stanca di trascorrere a casa dello scrittore tutto il suo tempo, non ha con esso alcun legame: volpi, lumache, fantasmi e rospi ricoprono i ruoli di personaggi storici le cui vicende non potevano essere narrate da alcuno scrittore, per espresso ordine del Bakufu.27 Il passaggio citato è inoltre preceduto da un breve dialogo tra l’editore, intenzionato a pubblicare storie di fantasmi e animali mostruosi, e lo scrittore, che accetta di buon grado la commissione per via del recente aumento di compenso ricevuto. È dunque chiaro che, se escludiamo questo breve trafiletto, la restante parte dello scritto non garantiva possibilità di espressione all’elemento pubblicitario; era pertanto neces-

22 Il genere dei Taikōki, ispirato alle vicende biografiche di Hideyoshi, era stato proibito dal Bakufu subito dopo la riforma Kansei (1787-93); il Taiheiki veniva pertanto considerato dagli scrittori come un espediente per aggirare le restrizioni e affrontare in un nuovo filone narrativo argomenti precedentemente censurati. 23 Jippensha Ikku, Bakemono taiheiki, in Koike Masatane (a cura di), Edo no gesaku (parody) ehon, Shakai shisōsha, Tokyo 1985, p. 271. 24 In base alle informazioni riportate sullo Yoshiwara Saiken del terzo anno Kyōwa (1803), si tratterebbe di una cortigiana di medio rango (shinzō) che prestava servizio presso Tamaya Atsubee di Edo. 25 Daimonjiya Ichibee gestiva un bordello tra le cui cortigiane compariva una ragazza dal nome di Atsumaji, non Fusumaji. 26 Probabilmente l’autore si riferiva a Matsubaya. 27 Per via della poca accortezza dell’autore, reo di aver raffigurato gli stemmi delle casate degli Oda e dei Kinoshita, lo scritto venne censurato e Ikku, invece, fu condannato a cinquanta giorni di manette.

sario trovare un modo per presentare le cortigiane più belle e in voga dell’epoca, e lo scrittore scelse il trafiletto appena riportato, a testimonianza di quanto valore avessero per lui tali sfoggi di mondanità.

Il Tōkaidōchū hizakurige

Il secondo Kyōwa non fu solo l’anno dello Atariyashita jihondoiya; anche il ben più noto Hizakurige venne infatti pubblicato nello stesso periodo, e per giunta dal medesimo editore. I volumi vennero messi in vendita quasi in contemporanea, ma lo Hizakurige continuò a catturare l’attenzione dei lettori per i successivi otto anni. Mediante la sua analisi possiamo dunque coprire un arco di tempo ben più lungo, e vedere nello specifico come riuscì a evolversi l’elemento pubblicitario. Nello Atariyashita abbiamo notato i primi tentativi di coinvolgere la sezione grafica nell’opera di promozione di posti e persone; tale tendenza crebbe e maturò unitamente alla pubblicazione dello Hizakurige, fino a divenire la nuova frontiera dello advertising per Jippensha Ikku.

Lo Hizakurige appartiene alla categoria dei chūhon;28 la sua pubblicazione segnò pertanto il debutto dell’autore in un genere mai sperimentato prima. I suoi otto volumi e diciotto tomi contengono una grande quantità di pubblicità, in parte inclusa nel testo e in parte grafica: il quarto sashie dell’Appendice al quinto volume, per esempio, raffigura un disorientato Yaji mentre chiede indicazioni sulla strada da seguire al padrone di Fujiya, rinomata locanda di Myōkenchō, nei pressi del santuario di Ise (Fig. 2). L’illustrazione riproduce l’ingresso del locale con in alto a destra l’insegna su cui, a lettere cubitali, è inciso il nome e l’ubicazione dell’esercizio. Un chiaro avviso pubblicitario. Lo Hizakurige divenne molto popolare tra i lettori in primo luogo per i due protagonisti e i loro siparietti comici; in realtà, però, il resoconto dello strampalato viaggio lungo il Tōkaidō nascondeva un lungo lavoro

Fig. 2 Yaji e il padrone di Fujiya di Myōkenchō.

28 Letteralmente “libri di media grandezza”, la cui pagina corrispondeva esattamente a un foglio di Mino diviso a metà (19x13 cm).

di raccolta dati. L’utilità pratica dello scritto, jitsuyōsei 実用性 in giapponese, fu in definitiva una delle sue chiavi di successo e la grande varietà di promozioni mostra chiaramente come Ikku fosse intenzionato a vendere il suo capolavoro come una valida guida di viaggio. È questo il motivo per il quale l’opera introduceva prodotti, località e ristoranti, ma dispensava anche altre informazioni pratiche – molto apprezzate da lettori e viaggiatori – come i prezzi delle pietanze e dei palanchini; tutto era parte di una strategia pubblicitaria.

Le illustrazioni dei chūhon costituivano terreno fertile per ogni sorta di propaganda, non dovendo condividere il proprio spazio con il testo – come accadeva per i kibyōshi – e i due curatori dell’opera compresero prontamente la loro importanza: per tale motivo decisero di usare i gasan come strumento di comunicazione. I gasan 画賛 erano brevi composizioni poetiche, create come abbellimento per le illustrazioni, che riportavano in calce la firma del proprio creatore, e affrontavano tematiche direttamente collegate al soggetto rappresentato: fu quest’ultimo elemento che li trasformò in un innovativo mezzo di divulgazione dei contenuti, nonché di immediata promozione in termini di popolarità e prestigio. Se, infatti, le illustrazioni costituivano una delle più vantaggiose modalità di distribuzione di messaggi tra i lettori – in primo luogo perché non c’era la necessità di leggere l’intero volume, e secondariamente perché sarebbe bastata una semplice occhiata e anche il curioso più distratto avrebbe realizzato ciò che l’illustratore si proponeva di riprodurre – da parte loro i gasan erano un espediente ancor più attraente perché la loro paternità era manifesta sin dall’inizio, e così anche chi decideva di non comprare una copia del volume avrebbe potuto leggere la composizione e ammirarne l’arte.

L’uso dei gasan da parte di Jippensha Ikku aumentò di pari passo con la popolarità del suo scritto. Il primo volume dello Hizakurige venne pubblicato senza alcun intento di prosecuzione e mandato in stampa con il titolo di Ukiyodōchū hizakurige, in quanto nessuno aveva messo in conto di spedire i protagonisti a spasso per il Tōkaidō. Il suo principale obiettivo era impressionare positivamente il lettore per far sì che acquistasse le successive pubblicazioni di Ikku edite da Murataya. Il primo tomo presentava dunque svariati versi decorativi, ma quando fu deciso di prolungare l’opera, questi scomparvero del tutto. Il secondo capitolo infatti non esibisce gasan; il terzo libro ne presenta tre e nel quarto il loro totale non supera le otto unità. È inoltre importante notare come gli autori provenissero tutti dall’entourage di Ikku e dalla sua ristretta cerchia di seguaci.

Il quinto capitolo dell’opera fu il primo a essere commercializzato nella regione del Kansai: la conquista del settore editoriale in una zona così diversa per gusti e preferenze rispetto a Edo era da considerarsi un’impresa molto ardua, e sia l’autore che l’editore sentirono il bisogno di pianificare ogni singolo dettaglio della propria strategia, come per esempio il messaggio da diffondere attraverso i versi celebrativi.

Il quinto capitolo presenta un aumento esponenziale del numero dei gasan, ben venti, e una ulteriore dissomiglianza con i precedenti volumi riguarda la tipologia

degli autori: i poeti del quinto capitolo sono, infatti, tutti sconosciuti e, all’infuori di tre nomi, essi non appartengono alla cerchia dei discepoli di Ikku. Accanto a ciascuna denominazione però l’autore registra con grande cura la sua origine geografica e grazie a tale premura noi oggi siamo in grado di evidenziare tre gruppi: i poeti di Owari, i collaboratori di Mikawa e i conterranei di Ikku da Suruga. Notiamo inoltre come ai membri del primo gruppo venga conferito uno status speciale, essendo numericamente più presenti degli altri due. Un ruolo di prestigio al loro interno era ricoperto dall’uomo di lettere chiamato Kinometei Dengaku, al secolo Kamiya Takasuke, medico di Owari con la passione per la composizione letteraria e poetica. I suoi versi sono i primi a comparire nel quinto volume, e occupano la medesima posizione anche nell’ottavo e ultimo tomo.29

In base alle teorie di Tanahashi Masahiro,30 il primo incontro tra Ikku e Dengaku sarebbe avvenuto durante una gara poetica, e sarebbe stato lo scrittore a chiedere al suo collega di raccogliere dei componimenti da adattare nello Hizakurige. È dunque chiaro come i versi decorativi del quinto libro aspirassero a presentare e promuovere l’attività dei piccoli circoli locali e dei loro membri. La definitiva conferma della strategia pubblicitaria di Ikku è stata recentemente rinvenuta in una lettera che l’autore inviò a Dengaku, datata ventunesimo giorno del primo mese del terzo anno Bunka (1806), in cui è riportato:

[…] Ho registrato con cura i vostri nomi, uno a uno […]

Successivamente leggiamo anche:

[…] In occasione della mia partenza, mi sono stati consegnati i vostri doni; mi sono sentito onorato per la vostra cortesia e mi è difficile esprimervi la mia profonda gratitudine e i miei più sentiti omaggi […]

Dai due brevi passaggi capiamo che l’autore ricevette un senbetsu, un regalo d’addio, e ci rendiamo conto che il desiderio di introdurre e presentare versi composti da amatori era in realtà dovuto a una ben pianificata strategia commerciale. Il caso di Dengaku non è l’unico esempio di nuovo piano pubblicitario adottato da Ikku per sponsorizzare l’attività poetica dei propri conoscenti: il Jinzaemon nikki, infatti, ci presenta una analoga situazione il cui protagonista è nuovamente lo scrittore. Takami Jinzaemon, giovane editore di Matsumoto, dopo numerosi inviti, riuscì a convincere Ikku a recarsi in viaggio nello Shinano, seppur per pochi giorni; al termine del soggiorno, riporta nel suo diario:

29 Le similitudini tra il quinto e l’ottavo volume sono molte; oltre alla posizione dei versi di Kinometei Dengaku, possiamo contare anche il totale delle illustrazioni che coincide, così come il numero dei gasan. Tali giochi di similitudini possono essere visti come espressione della volontà dell’autore di creare due capitoli “specchio”, corrispondenti al contempo ai volumi che avrebbero dovuto originariamente completare l’opera quando Ikku aveva preventivato solo cinque edizioni, e quelli che di fatto la conclusero. 30 Tanahashi Masahiro, “Gesakusha retsuden (12) Jippensha Ikku – Ikku no tegami”, in Nihon kosho tsūshin, vol. 945, 2008/04.

[…] Abbiamo raccolto il denaro in vari posti. Insieme con quello [raccolto] in città, abbiamo racimolato cinque ryō. Con gioia ci siamo diretti nuovamente verso Kurio e poi ci siamo separati […]

Al termine del suo soggiorno in Shinano, Ikku ricevette cinque ryō come dono di addio e, come segno di gratitudine, decise di citare tre componimenti poetici – uno di Jinzaemon e due scritti da conoscenti dell’editore – nell’ambito dell’ottavo capitolo dello Zoku hizakurige, dedicato per l’appunto al passaggio di Yaji e Kita per la città di Matsumoto. In aggiunta, l’autore ritrasse la casa editrice di Jinzaemon, la Keirindō, nella sezione del Tabigarasu dedicata al paese d’origine dell’editore.

Dal quinto volume in poi, i gasan si trasformano dunque in un utilissimo mezzo di divulgazione; notiamo finanche un aumento del loro numero, dieci nel sesto capitolo, tredici nel settimo e venti nell’ottavo. Al contempo, un numero sempre maggiore di poeti professionisti e noti uomini di lettere decise di dare il proprio contributo in versi: il famoso Senshūan Sandarabocchi, leader della scuola poetica di Kanda, ad esempio, compare tra i versificatori del sesto libro, in prima posizione, con un componimento dedicato al fiume Yodogawa, successivamente abbiamo Mantei o Kanwatei Onitake, amico di Ikku e autore del campione di incassi intitolato Ukiyomonomane kyūkanchō, più volte menzionato negli ultimi tre volumi dello Hizakurige. Tra i “pubblicizzati” notiamo anche l’editore Murataya Jirōbee, i cui versi fanno la loro comparsa nel sesto e nell’ottavo volume, probabilmente nel tentativo di affermare la paternità sull’opera e avanzare i propri diritti contro le numerosissime imitazioni. Anche molti illustratori provarono a trarre il massimo vantaggio dalla popolarità raggiunta dallo scritto: è il caso di Tsukimaro, il quale, oltre a provare la propria abilità pittorica nelle illustrazioni, fornì anche svariati contributi del proprio estro poetico. Molti studiosi pensano che il coinvolgimento di pittori professionisti possa essere visto come una delle tante modalità utili a sottoscrivere sashie non creati da Ikku: costoro infatti accettavano di non firmare direttamente l’illustrazione, ma di accompagnarla con dei versi celebrativi che, al contrario, recassero una loro sigla.

Oltre ai già citati poeti locali, scrittori professionisti, uomini di cultura, editori e pittori, i gasan sponsorizzarono anche attività commerciali e ristoranti. La migliore prova di quanto essi fossero diventati utili. Troviamo infatti dei versi composti da Hamanoya no Tōsaku, proprietario dell’omonimo bordello dello Yoshiwara, che fa la sua comparsa per la prima volta nel sesto capitolo dell’opera e successivamente nel Roku Amida mairi, dell’ottavo Bunka (1811).

Altre produzioni

Lo Hizakurige è tutt’oggi considerato come il più complesso tra i lavori di Ikku e il motivo è facilmente comprensibile se si osservano le modalità espressive dell’elemento pubblicitario attraverso le sue pagine. A cominciare dal capolavoro dell’au-

tore, l’advertisement si lega indissolubilmente alla sezione grafica dell’opera: abbiamo notato infatti come essa sia passata da semplici immagini promotrici di località a illustrazioni arricchite da gasan e dalle rispettive firme dei poeti.

Anche nell’ambito degli scritti che fecero seguito allo Hizakurige possiamo notare come la sezione grafica abbia un ruolo preminente nella divulgazione dei contenuti; ciò risulta evidente nel già citato Roku Amida mairi 六あみだ詣 (Il pellegrinaggio ai sei Buddha Amida), pubblicato tra l’ottavo e il nono Bunka (1811-12) in due volumi. I suoi sashie presentano infatti non solo gasan firmati, ma esibiscono in aggiunta delle brevi promozioni pubblicitarie, riguardanti specifiche attività commerciali. La quarta illustrazione del primo tomo (Fig. 3), per esempio, presenta dei versi scritti da Tōteisha Ichiga, allievo di Ikku – come si evince dal nome d’arte – e, in aggiunta, il seguente breve messaggio pubblicitario:

Fig. 3 Esempio di illustrazione con gasan e breve messaggio pubblicitario

Un piccolo annuncio dallo scrittore Ikku: Edozakura di Honchō nichōme, negozio di profumi, quest’anno organizza nuovamente una grande svendita di prodotti. Pregherei di cuore lor signori di favorire l’esercizio di una visita.31

La breve reclame appena riportata non è l’unica dell’opera; i quattro tomi che costituiscono lo scritto contengono altrettanti messaggi pubblicitari, uno per ogni sezione, ciascuno con un diverso beneficiario: se nel primo caso era toccato alla rinomata profumeria di Honchō nichōme ricevere i favori di Ikku, subito dopo fu la volta dello Hitachiya di Kaminomachi icchōme, negozio di abbigliamento a noi

31 Jippensha Ikku, Roku Amida mairi, vol. 1, tomo 1, p. 22, recto. Il testo di riferimento per le citazioni è l’edizione originale conservata presso l’Università di Waseda, pubblicata tra l’ottavo e il nono anno dell’epoca Bunka (1811-12), da Sōkakudō (Tsuruya Kiemon) a Edo; formato: chūhon.

già noto in quanto commissionatore dello Irozuri shinsomegata. Il terzo messaggio promozionale invece era stato nuovamente offerto allo Edozakura, mentre, in conclusione, Ikku si ritagliò un piccolo spazio per promuovere un proprio scritto:

Tsūzoku fuzan no yume yomihon in cinque tomi Scritto da Ikku e illustrato da Shuntei, sarà pubblicato questa primavera da un editore di Ōsaka; mi auguro che sia di vostro gradimento.32

Conclusioni

Nel tentare di delineare una evoluzione dell’elemento pubblicitario negli scritti di Ikku, siamo partiti dai suoi primi kibyōshi e dalle ancora acerbe prove di promozione; abbiamo notato come all’interno dei lavori di debutto siano già presenti, seppur ancora in fase embrionale, i fondamenti della strategia divulgativa che vennero successivamente portati a maturazione. Siamo quindi passati dal presentare brevi frasi e stringati brani in cui venivano nominati i ristoranti preferiti dell’autore, le specialità più in voga tra i lettori, nonché gli eventi più popolari, per approdare poi allo Atariyashita jihondoiya, kibyōshi che, in maniera difforme rispetto ai primi lavori, è interamente dedicato alla promozione del gruppo di affiatati collaboratori dello scrittore.

In verità, abbiamo più volte sottolineato come la presentazione di luoghi di ristoro, prodotti tipici ed eventi noti al lettore nell’ambito dei kibyōshi, costituisse una modalità espressiva piuttosto comune per quel genere che, dopotutto, come riporta Uda Toshihiko,33 faceva di suddetti sfoggi di mondanità uno dei suoi fondamenti. Lo Atariyashita jihondoiya occupa una posizione centrale nella nostra disamina, non solo per via della definitiva maturazione della strategia divulgativa dello scrittore, ma anche per il coinvolgimento della sezione illustrata dell’opera. Lo Hizakurige, successivamente, si pose lungo il medesimo solco e incorporò promozioni testuali e pubblicità illustrate: i suoi otto volumi presentavano numerose attività commerciali, prodotti tipici e località turistiche, perché, come già detto, ambivano a divenire una attendibile guida di viaggio. L’opera mostrò successivamente una nuova e ben più efficace modalità di promozione: i gasan. I versi celebrativi potevano costituire un utile e prezioso strumento di propaganda, tuttavia, non tutti erano ammessi nel gruppo dei “promossi”: si trattava pertanto di una modalità esclusiva, che riservava le proprie attenzioni solo agli esperti nell’arte versificatoria. A partire dallo Hizakurige, Ikku continuò a usufruire della sezione grafica dei suoi chūhon come mezzo di diffusione di contenuti e, in aggiunta, come notato nel Roku Amida mairi, introdusse brevi messaggi pubblicitari riservati a specifiche attività, nonché alle proprie necessità di scrittore.

32 Jippensha Ikku, Roku Amida…, cit., vol. 2, tomo 2, p. 28, recto. 33 Uda Toshihiko (a cura di), Kusazōshishū, in Shinkōten bungaku taikei, Iwanami shoten, Tokyo 1997.

About the Evolution of the Advertisement in Jippensha Ikku’s Narrative

As Hayashi Yoshikazu said in his book titled Edo kōkoku bungaku (Advertising literature in Edo), Jippensha Ikku wrote only a few works that are classifiable as advertising fiction. This genre can be considered as a fruit of the late Edo period, when literature began to be sold as a wide consumption article; its main aim was the promotion of products or shops, skillfully merged within a narrative context. The fact that Ikku wrote only a restricted number of kōkokubon does not mean he was not used to promote products. In his Tōkaidōchū hizakurige, for example, the author publicized a wide variety of restaurants and food. On the contrary, his choice clearly showed his preference for different and more interesting sorts of advertisement. He was quite skeptical about literary works created only to promote a new fragrance or to tell the people that the shop in Kyōhashi was having a sale of clothes; the author preferred to weave the advertisement into a wider and much more abstract context, quite often connected with poetry and painting as well. The purpose of my paper is to analyze the evolution of the advertisement in Ikku’s narrative, starting with his Irozuri shinsomegata, written in the fourth year of Bunka and considered as a rare example of kōkokubon. By comparing his later and mature productions, I will outline how this element developed together with the increasing complexity of the author’s fiction.

十返舎一九戯作における広告の発展について

マリオ・タラモ

林美一が「江戸広告文学」と題した本で記述しているように、十返舎 一九はお店や商品などの、広告を目的とした作品をそれほど著してい なかった。それは、作者が広告文学を好まないというより、むしろよ り幅広く、多様なコンテクストにおいてコマーシャルすることを好ん だということに外ならない。その新たなコンテクストは、しばしば詩 や挿絵と強い関わりがあった。例えば、「膝栗毛」においては、料理 店や名物の広告は非常に多くて、作品は、観光ガイドとしても有効だ ったと言っても過言ではない。 本稿は、文化四年に発表された広告本の「色摺新染型」を始めとし て、他作品の比較を通じて、作者の文学作品におけるadvertisementの 発展を示すことを目的としいる。

Immaginari narrativi: il periodo moderno e contemporaneo