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Separazione e ricongiungimento. Storie di genitori e figli negli oyako monogurui

CLAUDIA IAZZETTA

Separazione e ricongiungimento. Storie di genitori e figli negli oyako monogurui

Sebbene confinato solo a questa vita, il legame tra genitori e figli1 minacciato da un’improvvisa e inattesa separazione ispira un gruppo di opere di nō che Takemoto Mikio ha denominato oyako monogurui 親子物狂 (nō di genitori e figli lunatici).2 Si tratta di testi accomunati da un pattern di separazione e ricongiungimento che guida i protagonisti attraverso un percorso costellato di passaggi e tappe ricorrenti, coronato, escludendo Sumidagawa, dal rincontro e, quindi, da un lieto fine. Nella sua analisi, Takemoto tenta una catalogazione di tali opere in base alla causa che ha generato l’allontanamento, e arriva ad enucleare tre gruppi (Tab. 1). A seconda della causa, la trama presenta uno svolgimento alquanto predefinito, lasciando ai dettagli il margine per delle irrilevanti ma distintive variazioni. Al primo gruppo appartengono quei drammi in cui un genitore – sempre il padre – dando credito a voci diffamanti, che poi si riveleranno false, disconosce un figlio. È dunque nel ripudio (tsuihō 追放) che si annida la causa del distacco. La vocazione (shukke 出 家) determina, invece, l’allontanamento di un figlio o di un genitore nelle opere appartenenti al secondo gruppo. Infine, il terzo motivo di separazione, il rapimento (yūkai 誘拐), rispecchia un problema che realmente affliggeva la società giapponese del XIII e XIV secolo.3 I testi riconducibili a questo gruppo implicano la presenza di un figlio che, riuscito a scappare dai trafficanti di schiavi che lo avevano rapito, viene ritrovato da un monaco o un laico alle cui cure si affida fino al conclusivo ricongiungimento con il proprio genitore. Takemoto fa rientrare in quest’ultimo gruppo

1 In base alla credenza buddhista che limita solo alla vita presente il legame tra genitori e figli, a quella presente e futura il legame tra due coniugi, ed estende finanche a quella passata il legame tra signore e fedele servitore. 2 Takemoto Mikio, “Oyako monogurui kō”, Nōgaku kenkyū, VI, 1980, pp. 81-122. 3 Il rapimento, particolarmente ricorrente nelle aree di Kyoto e Kamakura, e la susseguente vendita di esseri umani erano severamente perseguiti dal governo di Kamakura, come dimostrano alcuni editti del 1240, del 1290 e del 1303, in cui è possibile rilevare un inasprimento della punizione prevista, dalla reclusione alla pena di morte. Tuttavia, la crescente richiesta di manodopera per lavori estremamente pesanti incrementò la tratta degli esseri umani, e il bakufu di Muromachi, pur non depenalizzandola, si rivelò incapace di frenarne il dilagare. Satō Kazuhiko, “Hitokaibune no nami no oto. Nōgaku ni ikizuku chūsei”, Nihon kosho tsūshin, DCCCXXII, 1998, pp. 2-4.

anche quelle opere in cui il cedersi ai mercanti di schiavi si rivela un atto volontario (miuri 身売り) finalizzato a fronteggiare difficili condizioni economiche.

Tab. 1

追放 出家 誘拐・身売り

Tango monogurui Tsuchiguruma

Hibariyama Kashiwazaki

Yorobōshi Kōya monogurui

Nota: Non trova un’adeguata collocazione Utaura. Sumidagawa

Kagestu

Miidera

Hyakuman Ōsaka monogurui Sakuragawa Tokusa

Se è, dunque, possibile evidenziare negli oyako monogurui delle differenze nei motivi che determinano la separazione, risulta però indubbia l’uniforme presenza del kurui 狂い, uno stato emotivo impropriamente definito ‘pazzia’ che investe i protagonisti.

Per comprendere l’importanza drammaturgica di questo elemento è sufficiente consultare il Fūshikaden 風姿花伝 (Del trasmettersi del fiore e dell’interpretazione), uno dei principali trattati teorici di Zeami, in cui si afferma che lo stile dei monogurui sia quello che suscita maggiore interesse, e che, a seconda del kurui che lo anima, se ne possano distinguere due tipi: tsukimono 憑物 (nō di possessione da parte di uno spirito) e omoi yue no monogurui 思ひゆへの物狂 (nō incentrato sul dolore per la perdita di un figlio, dell’amato o per abbandono).4 Ed è quest’ultimo tipo che caratterizza quasi esclusivamente – fa eccezione Utaura – gli oyako monogurui.

Ciononostante, anche nelle espressioni più accorate di kurui, emergono le tracce di una forma d’arte che affranca il protagonista dall’etichetta di ‘lunatico’. Nel nō il kurui si manifesta con danza e canto, e si configura come la sublimazione di un tipo di “arte di strada”, repertorio di kyōjo 狂女 e hōka 放下, molto diffuso anche prima dell’epoca Muromachi. Le donne, che per sventura erano rimaste prive di famiglia, trovavano solo nel kurui il modo di poter viaggiare liberamente per il paese. Lo hōka, invece, era una figura che univa in sé quella del monaco e dell’artista, e predicava il buddhismo attraverso il canto e la danza. Come le kyōjo, sono figure liminali, di confine, rispetto all’ordine costituito, considerate eretiche dalle istituzioni religiose, pur essendo molto amate dal popolo.

4 Fūshikaden in Omote Akira (a cura di), Zeami, Zenchiku, Nihon shisō taikei 24, Iwanami shoten, Tokyo 1974, p. 23.

Nei nō che verranno qui analizzati, la richiesta di esibirsi indirizzata ai protagonisti5 è spesso formulata in toni apparentemente crudeli, che comunicano una totale insensibilità verso l’angoscia che attanaglia, ad esempio, una madre nella penosa ricerca del proprio figlio. Ma la lucidità delle loro repliche e lo sfoggio di cultura che sovente accompagna le acclamate esibizioni spingono in primo piano l’elemento artistico, che solo nel caso delle madri e del padre di Tokusa si tinge di sfumature melanconiche legate alla perdita del proprio fanciullo.

Si pensa che nelle opere più antiche il soggetto impegnato nella ricerca del congiunto scomparso coincida con quello che si produce nel kurui. Tuttavia, la possibile scissione di queste due funzioni, unita alla difficoltà che spesso si incontra nell’identificare colui che cerca in opere dove l’incontro si presenta casuale, o dove entrambi sembrano cercarsi mutualmente, rendono questa corrispondenza uno strumento d’analisi relativamente sterile. Laddove un approccio più tematico permette di identificare i nō incentrati sulla figura di una madre in cerca del proprio figlio come un gruppo che, sebbene esiguo, si presenta alquanto omogeneo. Invece, pur dotati di un’intelaiatura che li riconduce senza esitazione al genere degli oyako monogurui, le opere che presentano in alternativa alla figura della madre quella del padre – non necessariamente nel ruolo del protagonista – offrono un panorama più multiforme. Gravitano attorno a questi due poli Kashiwazaki e Ōsaka monogurui che verranno analizzati separatamente.6

Oyako monogurui di madri

In Hyakuman 百万, precedentemente conosciuta come Saga monogurui 嵯峨 物狂, una madre va in cerca del proprio figlio scomparso senza una chiara ragione.7 L’aspetto artistico di questa madre è particolarmente marcato: Hyakuman è, infatti, il nome di una famosa danzatrice di kusemai 曲舞. 8 Il suo kurui si identifica con l’esecuzione del nenbutsu, e la misericordia di Shaka e Amida, ripetutamente

5 Uno dei tre ruoli che Takemoto individua negli oyako monogurui è proprio quello del geinō no shomōsha, colui che richiede l’esibizione. I restanti due sono il mediatore che favorisce il ricongiungimento (chūkaisha) e colui che lo ostacola (bōgaisha). I suddetti ruoli si trovano tutti e chiaramente distinti solo in Miidera. Takemoto, “Oyako monogurui…”, cit., p. 99. 6 Per i testi di tutte le opere di nō prese in esame in questo studio si è fatto riferimento a Sanari Kentarō (a cura di), Yōkyoku taikan, 7 voll., Meiji shoin, Tokyo, 1931. Per Ōsaka monogurui, Nishio Minoru, et al. (a cura di), Yōkyoku kyōgen, Kokugo kokubungaku kenkyūshi taisei 8, Sanshōdō, Tokyo 1961. Per Tango monogurui, Yokomichi Mario, Omote Akira (a cura di), Yōkyokushū, Nihon koten bungaku taikei 40, Iwanami shoten, Tokyo 1960. 7 Questa è l’unica opera in cui la causa dell’allontanamento del bambino non viene rivelata. Ma, presentando una serie di somiglianze strutturali con Miidera, è possibile ipotizzare che si tratti di rapimento. 8 La veridicità storica di questo personaggio resta ancora da accertare. Yanagita Kunio, ad esempio, la ricollega alle figure che dirigevano le intonazioni dello yūzūnenbutsu 融通念仏 replicate innumerevoli volte. Erano donne abili nel canto e nella danza e venivano chiamate Hyakuman forse proprio in riferimento alle 100 volte in cui veniva ripetuto il nenbutsu. Nell’epoca medievale risulta che fossero numer-

invocati, conduce al felice ricongiungimento, nei recinti del Saidaiji, con il figlio accudito da un uomo della capitale.

Un monaco, invece, soccorre il bambino di Miidera 三井寺, sfuggito ai suoi rapitori. La madre, nella sua ricerca, giunge al Miidera legando il suo kurui alla richiesta di suonare la campana del tempio al chiarore della luna.9 La protagonista, sfidando e vincendo la reticenza del monaco, riesce nel suo intento e al rintocco compassionevole che ne deriva attribuisce la realizzazione del sospirato incontro.

In Sakuragawa 桜川, una madre cerca il figlio che con una lettera le comunica di essersi venduto ai trafficanti di schiavi e la esorta a cogliere questa occasione per prendere i voti. Lo ritroverà dopo tre anni accudito da un monaco e, ricongiuntisi, madre e figlio prenderanno i voti. Nel suo kurui la protagonista raccoglie petali di fiori di ciliegio sui quali per assonanza – il figlio si chiama Sakurago – opera una sorta di transfert. L’espediente della lettera, una causa di allontanamento diversa dal rapimento e l’esclusivo riferimento a Konohanasakuyahime, il kami protettore del bambino, costituiscono degli elementi innovativi che, però, ben si amalgamano con lo stile e l’atmosfera tipica degli oyako monogurui.

Unica eccezione al binomio separazione/ricongiungimento è Sumidagawa 隅田 川. L’opera, frutto del figlio di Zeami, Motomasa, rispecchia un diverso orientamento del gusto, maggiormente improntato al realismo.10 La tristezza che aleggia in tutti gli oyako monogurui qui non si attutisce con il rincontro, ma tocca la nota più alta proprio nel finale con l’immagine di una donna che, dopo una sofferta ricerca del figlio rapitole, ne piange la morte dinanzi alla tomba. I richiami all’Ise monogatari (Racconti di Ise) scandiscono il viaggio della protagonista e ne caratterizzano il kurui. L’opera si chiude sulle note del dainenbutsu recitato in suffragio dell’anima del piccolo sventurato.

Si evince, dunque, come alla figura della madre negli oyako monogurui vengano sempre affidati il ruolo dello shite e, di conseguenza, l’esibizione del kurui. Quest’ultimo elemento, pur preservando la propria natura artistica,11 si fonde con l’angoscia e la disperazione di chi lo esegue, esprimendone tutto il pathos. Inoltre, il riferimento al marito defunto, che puntualmente si ritrova in ognuno dei suddetti nō, sottolinea come la vedovanza costituisca un presupposto imprescindibile per presentare queste madri come kyōjo e lasciarle libere di vagare in cerca del proprio figlio.

ose le danzatrici conosciute con il nome di Hyakuman. Satō Junko, “Hyakuman kō. Saga monogurui kara Hyakuman e”, Gakugei kokugo bungaku, XXV, 1993, pp. 74-83. 9 Sul rapporto che lega la donna al potere salvifico della campana del tempio si veda Susan Blakeley Klein, “When the Moon Strikes the Bell: Desire and Enlightenment in the Noh Play Dōjōji”, Journal of Japanese Studies, XVII, 1991, 291-322. 10 Kanaseki Takeru, “Nō Sumidagawa ni tsuite. Seishin bunseki toshite no nō, nō no seishin bunseki”, Okayama daigaku bungakubu kiyō, XXV, 1996, p. 13. 11 Prima che si realizzi il ricongiungimento, il kurui delle madri negli oyako monogurui viene suggerito da una persona del luogo come forma di intrattenimento per il bambino. Fa naturalmente eccezione Sumidagawa dove non c’è nessun bambino da trastullare.

Altrettanto significativo è il collocare il dramma in un tempio, in armonia con l’atmosfera buddhista che scaturisce dai frequenti riferimenti a Shaka e Amida. In Sakuragawa l’assenza di questi elementi viene riequilibrata dalla conclusione in cui madre e figlio decidono di prendere i voti. Infine, la credenza e le pratiche religiose che balenano sullo sfondo12 ci mostrano come l’interesse del pubblico dell’epoca si concentrasse non solo sull’aspetto artistico del kurui, ma anche sulla celebrazione della protezione e dell’intervento miracoloso delle divinità.

Oyako monogurui di padri

Probabilmente, per il numero più elevato dei testi che compongono il gruppo degli oyako monogurui dei padri, non riceviamo la stessa impressione di uniformità che ci restituisce quello delle madri. Ci vengono presentati altri motivi di separazione, ai figli e ai loro accompagnatori viene dato più spazio, e snodi diversi conducono al ricongiungimento.

Tokusa 木賊 è forse il nō che maggiormente richiama l’afflizione che caratterizza gli oyako monogurui di madri, ponendosi così come ipotetico anello di congiunzione tra i due gruppi. Anche qui, un bambino rapito viene soccorso da un monaco ma, trascorso del tempo, chiede di tornare al paese natio per poter incontrare ancora una volta suo padre. Lo trova invecchiato nella sua umile casa, pronto a intrattenere i passanti attraverso il suo kurui in cui esprime tutto il dolore per la scomparsa del figlio. Ricongiuntisi, padre e figlio trasformano la casa in un tempio e prendono i voti. Se un kurui accorato e il rapimento come causa di separazione legano questo dramma alle opere precedenti, un bambino che ritorna dal padre13 e un genitore che, pur soffrendo, non si mette sulle tracce del figlio sono fattori che introducono fondamentali variazioni. Inoltre, l’epilogo simile a quello di Sakuragawa rafforza l’ipotesi che, in mancanza di un’ambientazione buddhista, risulti necessaria una conclusione dai toni marcatamente religiosi.

Totalmente atipica è la struttura di Utaura 歌占 dove il padre, un otokomiko al servizio di un santuario, abbandona i suoi doveri e suo figlio per soddisfare un egoistico desiderio di viaggiare. Dopo otto anni incontra per caso il figlio e l’uomo che se ne era preso cura e, felici, fanno insieme ritorno a casa. L’incontro casuale è privo del motore trainante della ricerca; il motivo dell’allontanamento, che negli oyako monogurui di padri non si annida esclusivamente nel figlio, non si configura con nessuna delle tre cause identificate da Takemoto; infine, il kurui si presenta come unico esempio di tsukimono tra gli oyako monogurui, e viene eseguito dopo che il mutuo riconoscimento tra padre e figlio abbia avuto luogo.

12 La devozione per Shaka e Amida in Hyakuman; il potere salvifico della campana in Miidera; la credenza dell’ujigami (divinità protettrice) in Sakuragawa; la pratica del dainenbutsu in Sumidagawa. 13 Il tornare a casa non può essere assimilato al girovagare senza meta che contraddistingue la ricerca.

Tsuchiguruma 土車 offre il secondo esempio di allontanamento da parte di un padre, anche se in questo caso il motivo è riconducibile alla vocazione. Un padre, addolorato dalla morte della moglie, abbandona il suo unico figlio con l’intento di prendere i voti. Il bambino, accompagnato da un servitore, va in giro in cerca di suo padre e, una volta ritrovatolo, farà ritorno al paese natio. Non potendo far ricoprire ad un bambino il ruolo dello shite, questo viene affidato al servitore che, in veste di tutore, agisce in sua vece nell’esibizione del kurui.

Il tutore acquisisce maggiore spessore in Kōya monogurui 高野物狂, dove sostituisce la figura dei defunti genitori nella ricerca del loro figlio. Il bambino aveva lasciato una lettera in cui dichiarava di voler prendere i voti per pregare per le anime dei suoi genitori e di non voler essere rintracciato prima di tre anni. La richiesta resta inevasa e il servitore, ritrovatolo, riesce a convincere il fanciullo a rimandare il suo proposito e ritornare a casa. Nel suo ruolo, il servitore è strutturalmente più vicino alle madri che ai padri, e perfino la preghiera che recita per i suoi defunti signori ricorda quella che le madri rivolgono alle anime dei propri mariti. Ma, nonostante il legame che lo unisce al bambino sia più profondo e duraturo14 e il kurui risulti afflitto e malinconico, il suo personaggio non riesce a trasmettere lo sconforto di una madre addolorata per la perdita del proprio bambino.

Nel dramma Kagetsu 花月, un incontro casuale riunisce un figlio, rapito a sette anni da un tengu 天狗, e un padre fattosi monaco itinerante. L’assenza della funzione della ricerca e il ruolo dello shite ricoperto dal figlio rappresentano alcune delle variazioni contenute in quest’opera. Inoltre, il kurui in cui si esibisce il ragazzo si presenta inequivocabilmente come un’arte, un’attrazione del tutto priva del coinvolgimento emotivo che caratterizza il contenuto di altri kurui. Infatti, come nel caso di Utaura, laddove non vi è ricerca viene a mancare anche il dolore per la separazione. L’inversione dei ruoli canonici – in genere è un adulto che ricopre la parte riservata allo shite – si rispecchia anche nel kurui come forma di intrattenimento proposto al padre da una persona del luogo.15

Le successive tre opere hanno in comune trame più complesse, il ripudio come causa dell’allontanamento, e il ricongiungimento come frutto di un incontro casuale e non di una ricerca.

Hibariyama 雲雀山 è l’unica che presenta una figlia, Chūjohime,16 ripudiata ingiustamente dal padre e soccorsa dalla balia che la sostiene vendendo fiori e erbe, attirando i compratori con il kurui. Il padre non si era limitato a cacciarla via ma aveva dato l’ordine di ucciderla. Così, Chūjohime vive nascosta in una capanna nei

14 Si veda nota 1. 15 Kusemai, kouta e yatsubachi sono le arti in cui si esibisce Kagetsu nel suo kurui. Questa grande attenzione sulla natura spettacolare del kurui avvicina Kagetsu agli yūgyōmono, dove il fulcro risiede nello sfoggio di un’arte. Takahashi Yukiyo, “Nō Kagetsu ni miru ‘mai’ no chihei. Kaiten suru shintai to sono teishi o megutte”, Kyōyō gakka kiyō, XXVI, 1993, p. 26. 16 Sul rapporto tra Chūjohime e il Taemadera engi, e sulle possibili interpretazioni antropologiche della storia di Chūjohime, si veda Katayama Keiji, et al., “Hibariyama o megutte”, Kanze, XLIII, 1976, pp. 19-29.

recessi montani. Un incontro casuale tra il padre, ormai convinto dell’innocenza della figlia ma anche della sua morte, e la balia, inizialmente reticente a rivelare il nascondiglio della fanciulla, porterà al felice ricongiungimento.

Anche in Yorobōshi 弱法師 il figlio, vittima di una calunnia, viene ripudiato dal padre e, per il dolore, diventa cieco e conduce una vita da mendicante. Il padre, pentitosi, si reca al Tennōji per assistere a delle celebrazioni e acquisire, elargendo elemosine, azioni meritorie che possano redimerlo dai suoi passati errori. Nel tempio incontra incidentalmente il figlio e felici fanno ritorno a casa.17 Yorobōshi condivide con Kagetsu la particolarità del personaggio del figlio che ricopre il ruolo dello shite e che, quindi, si esibisce nel kurui.

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In Hibariyama e Yorobōshi la calunnia è opera di “una persona” (saru hito さる 人) che molti studiosi hanno identificato con la matrigna. In Tango monogurui 丹 後物狂い, invece, il padre, già non soddisfatto della resa scolastica del figlio, darà credito al suo servitore che gli dice che il bambino si diletta a suonare lo hachibachi trascurando gli studi. In preda all’ira e ai fumi dell’alcol, il padre ripudia il figlio che, addolorato, si getta nel fiume ma viene salvato da un monaco che lo accudirà. Diventato uno studente diligente, il figlio chiede al monaco di accompagnarlo ad incontrare ancora una volta i suoi genitori ma, giunto nella casa paterna non trova nessuno e, credendoli morti, si reca al tempio per pregare per le loro anime. Nello stesso tempio troverà il padre che, pentitosi della sua eccessiva severità e convinto che il figlio sia morto annegato, si esibisce in un addolorato kurui. Nella sezione 14 del Sarugaku dangi 申楽談儀 (Riflessioni sull’arte del sarugaku) si legge che, inizialmente, l’opera prevedesse la coppia di genitori impegnati nel kurui ma che, in seguito, Zeami avesse ritenuto più efficace presentare solo il padre.19 Ma i tre riferimenti al padre e alla madre, ancora rilevabili nel testo, costituiscono una traccia della prima versione e testimoniano una volontà di conformare quest’opera agli altri oyako monogurui, ai quali è legata da un’affinità tematica.20 Richiama, inoltre, l’atmosfera del nō Tokusa col quale condivide la figura di un padre che si esibisce in un kurui malinconico, e quella di un figlio che, a prescindere dal motivo dell’allontanamento, sente l’esigenza di ritornare seppur temporaneamente.

17 Sulle diverse versioni dell’opera, si veda Tashiro Keichirō, “Kanze Motomasa no Yorobōshi ni tsuite”, Kokusai nihon bunka sentā kiyō, XXXII, 2005, pp. 227-259. Sui richiami alla storia di Kunara Taishi, si veda Kobayashi Kenji, “Sakuhin kenkyū Yorobōshi”, Kanze, LXXII, 2005, pp. 43-47. 18 Il passaggio dalla parte del kokata a quella dello shite è in questi casi possibile perché, a differenza degli altri oyako monogurui, i due figli non sono dei bambini ma personaggi ritenuti adulti. In particolare, su Kagetsu e il suo rapporto con il passaggio dall’età infantile a quella adulta, si veda Takahashi, “Kagetsu ni miru ‘mai’ no chihei”, cit., pp. 33-34. 19 Sarugaku dangi in Omote Akira (a cura di), Zeami, Zenchiku, cit., p. 287. 20 Tango monogurui condivide con Hibariyama e Yorobōshi il ripudio, e ad esse si adatta presentando solo il padre. Una scelta che risponde, al contempo, al principio più generale degli oyako monogurui di privare il genitore del proprio coniuge amplificandone, così, la solitudine e la desolazione.

Due eccezioni

Le due seguenti opere, pur configurandosi tematicamente come oyako monogurui, presentano delle rilevanti particolarità che le spingono ai margini della classificazione di Takemoto, e ci indicano come le variazioni, se inserite in alcuni aspetti cruciali come il ricongiungimento, possano minare l’equilibrio di questo genere di nō.

Kashiwazaki 柏崎 si apre con la lettera di un figlio che annuncia la sua decisione di prendere i voti e di non essere cercato prima che siano trascorsi tre anni. Ma, in questo caso, la madre apprende contemporaneamente la notizia della morte del marito e la conseguente decisione del figlio. Nella sua ricerca, i riferimenti al marito defunto superano la fugace, seppur irrinunciabile, preghiera delle madri analizzate precedentemente. La donna, giunta allo Zenkōji, nel suo aspetto di kyōjo si esibisce in un kurui che, per stile e contenuto, ricorda quello delle donne abbandonate dal proprio amato. Lo spettro ingombrante del marito sovrasta anche il momento nodale del ricongiungimento, ponendo quest’opera in uno spazio intermedio tra i nō di donne abbandonate e quelli di madri afflitte.21

Alla figura inconsueta di questa madre fa da contrappunto il padre rappresentato in Ōsaka monogurui 逢坂物狂. Di ritorno dalla capitale, dopo tre anni di ricerca del figlio rapitogli, assiste all’esibizione di un vecchio cieco accompagnato da un bambino. Il bambino è, naturalmente, il figlio a lungo cercato. Ma la gioia che suggella l’agognato ricongiungimento è qui sostituita dalla meraviglia: il vecchio cieco, dopo aver rivelato di essere la divinità della barriera di Ōsaka, si dissolve misteriosamente chiudendo l’opera in un’atmosfera attonita. La singolarità di questo dramma non risiede nella figura di un padre in cerca del figlio,22 ma nella natura divina dello shite il cui palesarsi offusca non solo l’incontro risolutivo tra i due congiunti ma la natura stessa dell’opera.

Conclusioni

Identificato, quindi, nel pattern separazione/ricongiungimento l’elemento principale degli oyako monogurui, potrebbe risultare utile una catalogazione in base ai modi in cui tale pattern si esplica, a prescindere dalle motivazioni che hanno causato l’allontanamento.

Spostando l’attenzione sulle due funzioni della ricerca in tutte le sue sfumature, e dell’incontro casuale, ed evidenziando chi si esibisce nel kurui, è possibile indi-

21 Sui richiami di quest’opera a Tsuchiguruma, e sulle modifiche apportate da Zeami si veda Omote Akira, “Sakuhin kenkyū Kashiwazaki”, Kanze, XLIII, 1976, pp. 3-9. Sul doppio ruolo della protagonista di madre e moglie afflitta si veda Miyauchi Junko, “Kashiwazaki no hensen. Gen Kashiwazaki kara Zeami no kaisaku e”, Chūsei bungaku ronsō, VIII, 1990, pp. 43-44. 22 In realtà, il padre non ci viene presentato nell’atto della ricerca, ma alla fine di essa, dimostrando ancora una volta come negli oyako monogurui non si possa trovare un padre che, similmente alle madri, unisca imprescindibilmente il kurui al girovagare in cerca del proprio figlio.

viduare due gruppi (Tab. 2). Quello denominato ricerca include tutte le opere in cui un genitore, un figlio, o il suo tutore, manifesta la volontà o il desiderio di trovare la persona da cui si è separato. Tutti questi drammi affidano al genitore (oya 親), o al suo surrogato nel caso di Kōya monogurui e Tsuchiguruma, il compito della ricerca e l’esibizione del kurui, senza tener conto se chi sta cercando sia un genitore o un figlio. Opere come Utaura, Tokusa e Tango monogurui ci confermano, invece, quanto sia profondo il legame tra ricerca e kurui. In questi drammi, infatti, la ricerca è strutturalmente assente e si configura con un più pacato desiderio di incontrare il proprio congiunto. Il kurui del genitore, per quanto addolorato, resta privo del pathos legato alla ricerca e, allo stesso modo, il percorso che conduce i figli dai propri genitori non è venato di angoscia o tristezza, e viene appena accennato, fino a scomparire del tutto in Utaura.

Solo quattro sono, di contro, le opere del gruppo incontro casuale in cui ad esibirsi nel kurui è sempre il figlio o, in sua vece, il tutore. Il numero più nutrito dei nō del primo gruppo suggerisce che si possa trattare di opere più vicine ad un ipotetico ideale di oyako monogurui.

Tab. 2

親 (狂) → 子

Hyakuman (誘拐) Sumidagawa (誘拐) Sakuragawa (身売り) Miidera (誘拐) Kashiwazaki (出家) *Kōya monogurui (出家) ricerca

子 → 親 (狂)

Utaura (?) Tokusa (誘拐) Tango monogurui (追放) *子 (狂) → 親

Tsuchiguruma (出家)

親 → 子 (狂)

Kagetsu (誘拐) Yorobōshi (追放) incontro casuale

親 → *子 (狂)

Hibariyama (追放) Ōsaka monogurui (誘拐)

Anche la più semplicistica divisione tra opere in cui il soggetto che cerca coincida o meno con chi si esibisce nel kurui sarebbe, forse, più corretto riproporla in tre gruppi, alla luce dell’importanza della ricerca (Tab. 3). Nel gruppo A chi cerca corrisponde a chi si produce nel kurui, nel gruppo B, invece, i due soggetti differiscono. In entrambi i gruppi A e B l’elemento della ricerca è presente, anche se in B, scissa dal kurui, si tramuta in un nostalgico desiderio di ricongiungimento. Similmente il gruppo C raccoglie opere in cui colui che cerca differisce da colui che presenta il kurui ma, mancando totalmente la funzione della ricerca, non possono essere incluse nel gruppo B.

Tab. 3

A ricerca = kurui B ricerca ≠ kurui

Hyakuman Sumidagawa Sakuragawa Miidera Kashiwazaki Kōya monogurui Tsuchiguruma Tokusa Utaura Tango monogurui C no ricerca

Kagetsu Yorobōshi Hibariyama Ōsaka monogurui

Inoltre, dall’analisi dei testi proposti è possibile evidenziare una serie di nessi e condizioni essenziali che rafforzano la sensazione che gli oyako monogurui costituiscano un insieme compatto all’interno del più folto gruppo dei generici monogurui.

Alla figura del figlio, che si pone come soggetto sia attivo sia passivo della ricerca, si contrappongono le figure della madre, che si presenta esclusivamente come soggetto attivo, e quella del padre come soggetto passivo. Perciò nessun padre cercherà suo figlio e nessun figlio cercherà sua madre. A modellare questo profilo muliebre, una madre destinata a cercare ma a non essere cercata, potrebbero aver contribuito il pensiero confuciano espresso nelle tre obbedienze a cui deve sottostare una donna (sanjū 三従), e la visione buddhista dell’amore materno come forma di attaccamento particolarmente radicato e, quindi, difficile da estirpare.23

Gli oyako monogurui di padri contemplano tutta la rosa delle cause di separazione individuate da Takemoto alla quale, però, sfugge Utaura in cui il padre si allontana per il solo desiderio di viaggiare. Tuttavia, madre e padre, con le loro reciproche differenze, non sono mai contemporaneamente presenti in un’opera: la tragedia si consuma sempre su uno sfondo già marcato da un’assenza, da uno squilibrio, amplificando così il dolore per la separazione, la disperazione che accompagna la ricerca, e la gioia del ricongiungimento.24

Altrettanto calcolato potrebbe essere il ricorso all’espediente della lettera quando il bambino si allontana volontariamente. Kashiwazaki, Kōya monogurui e Sakuragawa si aprono con la lettura della lettera lasciata dal bambino. Nei primi due casi, la morte di uno o entrambi i genitori genera nel figlio un senso di fugacità della vita e, di conseguenza, la decisione di ritirarsi e prendere i voti. Per il bambino di Sakuragawa, anch’esso orfano di padre, è il miuri la causa dell’allontanamento. Ciononostante, la madre lo ritrova in un tempio, accudito da un monaco al quale aveva chiesto di diventare un gusō 愚僧 (umile appellativo per monaci). E l’epilogo, in

23 Sulla figura della madre nel buddhismo si veda Diana Y. Paul, Women in Buddhism. Images of the Feminine in the Māhāyana Tradition, University of California Press, London 1979, pp. 60-73. 24 Le modifiche apportate a Tango monogurui confermano questa tendenza.

cui madre e figlio decidono di tornare al proprio paese e prendere i voti sottolinea, più che nei due nō precedenti, la profonda vocazione spirituale del figlio, la cui forza investe anche la madre. Inoltre, nei primi due nō il bambino chiede di non essere rintracciato prima che siano trascorsi tre anni: lo stesso lasso di tempo che intercorre in Sakuragawa tra l’allontanamento e il ricongiungimento. Tutti questi elementi spingono a riconsiderare il miuri negli oyako monogurui come più affine alla vocazione che al rapimento.

Infine, l’atmosfera buddhista che permea l’intero repertorio del nō è qui determinante nel rapporto che unisce l’ambientazione e l’epilogo. Nella maggioranza degli oyako monogurui il ricongiungimento è incorniciato nei recinti di un tempio e ricondotto alla misericordiosa benevolenza delle divinità buddhiste il cui elogio chiude il dramma. Quattro opere sfuggono a questa struttura rimediando però a tale anomalia con sottili espedienti, o invalicabili incompatibilità. Sakuragawa e Tokusa, forse proprio per controbilanciare la mancanza di un tempio come sfondo religioso al ricongiungimento, si chiudono con la decisione di entrambi i genitori e i figli di prendere i voti. Tuttavia, l’affiliazione al santuario scintoista che caratterizza il personaggio del padre in Utaura impedisce probabilmente un epilogo analogo. Allo stesso modo, la natura marcatamente scintoista dello shite di Ōsaka monogurui renderebbe stridente un finale dai toni buddhisti, senza ignorare, poi, il carattere distintivo di quest’opera che la pone ai margini degli oyako monogurui.

Si può, dunque, ipotizzare che l’assenza di un honsetsu 本説 (richiamo ad una fonte dalla quale si trae ispirazione) nelle opere qui analizzate abbia incoraggiato un processo, non estraneo alla tradizione letteraria giapponese, di reciproci prestiti e adattamenti. Per cui, pur preservando tratti peculiari, ogni opera sembra incline a conformarsi ad una sorta di ideale – non identificabile, però, con nessuno di questi drammi – rinforzando la sensazione di trovarci davvero, come sostiene Takemoto, dinanzi ad un gruppo singolare di nō.

Oyako Monogurui. Stories of Parting and Returning

This article offers some reflections on the oyako monogurui which were inspired by Prof. Takemoto’s pioneering study on the matter. As Prof. Takemoto says, oyako monogurui is a group of nō texts that share a parting-reuniting pattern, and whose stories are based on parents and children. Furthemore, the leading character of all these plays performs a form of frenzy dance called kurui. Even supporting the importance of the reasons which lead to the separation, I will argue that also the searching, prompted by the desire to rejoin the missing relative, plays a key role in the construction of the plot. Therefore, I will analyze each nō identified as oyako monogurui, and will stress their respective peculiarities, highlighting similarities and differences. Finally, taking into account the relation between the searching and the kurui, I will suggest a new way of classification.

親子物狂いにおける別離再会

クラウディア・ヤッツェッタ

本稿は竹本氏の著『親子物狂考』をもとに研究された親子物狂に関す る考察である。竹本氏は、親子物狂を「親子の一方が物狂になる能ば かりではなく、親子の別離と再会という構想に物狂が何らかの形で登 場するすべての能」と定義している。また、これらの謡曲ではシテが 狂いを演じるという特性も窺える。竹本氏は親子の「別離の理由」に 重点を置いて分析を行っているが、「再会したいと思う気持ちから実 際に捜索を始める過程」と「捜索を開始してから実際に再会するまで の過程」にも重要な要素が含まれていると考えられる。そのため本論 では14の親子物狂のこれらの場面に注目して分析を行い、それぞれ の共通点と相違点を明らかにし、特徴を挙げた。この調査にあたり新 たな分類を作成し、「捜索」と「狂い」の関係を明らかにした。