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Memoria e storia della deportazione: il «caso» Piemonte

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vivere la Resistenza

Memoria e storia della deportazione: il «caso» Piemonte

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di Fabiana Giordano

Il rapporto tra storia e memoria nella letteratura storiografica

Storia e memoria sono due termini di una stessa area semantica spesso confusi e ritenuti quasi sinonimi; caratterizzate la prima dal distacco consapevole dal passato e la seconda dalla sua nostalgica e incessante rievocazione, rappresentano due poli opposti di una stessa linea che a volte s’incontrano, sovrapponendosi, altre si allontanano, entrando in contrapposizione.

La loro radice comune è stata individuata da Jedlowsky1 nel tentativo – operato da entrambe in modi e con mezzi diversi – di salvare il passato dal tempo. Storia e memoria assumono un’importante valenza etica rispondendo ad un’esigenza morale di pietas e soprattutto rilettendo non solo ciò che è stato, ma anche ciò che siamo stati. Essere disposti al ricordo implica l’essere disposti anche ad una sincera autoanalisi di fronte al riemergere di fatti che avremmo preferito dimenticare o negare alla nostra coscienza; mentre è facile e naturale mantenere viva la memoria di torti subiti, la valenza etica di storia e memoria si esprime soprattutto nel momento in cui ricordiamo i torti che abbiamo inlitto: in questo caso il ricordo salva il passato, chiamandoci al contempo ad un’assunzione di responsabilità nel presente.

Essendo accomunate dall’etica della responsabilità, che è la base su cui costruire un’idea condivisa riguardo il passato, svolgono entrambe irrinunciabili funzioni civili; quindi dal punto di vista della responsabilità si rende davvero necessario avviare una efettiva riconciliazione tra storia e memoria, che si distinguono principalmente per il modo, diametralmente opposto, di porsi rispetto al tempo trascorso: mentre la memoria tende a rendere presente il passato, la storia, partendo dalle domande del presente, sancisce rispetto ad esso una separazione deinitiva: «in un certo senso la

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memoria riiuta la morte e la storia la accetta»2 .

La memoria nasce dalla percezione, dalla soggettività, dall’immediatezza, pertanto è diicilmente in grado di sottostare alle leggi della ragione, che si sforza di guardare avanti e procedere verso il futuro; né d’altra parte si lascia facilmente inglobare nelle deinizioni risolutive della storia. La memoria è selettiva e personale, quindi spesso irriducibile alle ricostruzioni d’insieme o alle generalizzazioni; è elaborazione dell’esperienza vissuta e della percezione del passato, di conseguenza non può che essere singolare e particolare, contrapponendosi al respiro universale della storia.

Per questo motivo, i portatori di una memoria densa e pregnante come è quella della deportazione stentano a riconoscersi e identiicarsi nelle ricostruzioni degli eventi da loro vissuti proposte dagli storici: il resoconto spoglio e asettico, «scientiico» di questi ultimi mal si concilia con il signiicato che quegli stessi eventi occupano nel ricordo dei sopravvissuti, che aggrappandosi alla memoria tendono a sacralizzarne ed eternizzarne il contenuto.

La memoria, come si è detto, tende a unire presente e passato, e trovandosi tra questi due estremi opera il loro congiungimento. Compito della storia dovrebbe essere non tanto il tentativo di ricondurre la singolarità dell’esperienza vissuta in un discorso univoco e unitario, svuotandola di gran parte di signiicato; lo storico dovrebbe piuttosto cercare di includere la memoria nel suo contesto generale, passandola al vaglio di una veriica oggettiva, sforzandosi di svelarne la dinamica d’insieme, denunciandone se necessario contraddizioni e insidie. In questo modo si avrebbe un arricchimento della storia attraverso la memoria.

Tutto ciò che la storia può ricostruire sulla vita nel lager può essere reso penetrabile, tangibile e reale solo grazie al contributo di persone che davvero vi hanno vissuto e soferto; narrando la propria storia esse ne ofrono la più importante interpretazione, perché: «la prigionia non è mai una parentesi nella vita; e non lo è il suo ricordo nella memoria. In ogni racconto di esperienze traumatiche sono incorporati profondamente il prima – ciò che si era, ciò che si aveva ino a quel momento; e il dopo – quel che si è diventati, quel che si è perduto, ritrovato e scoperto»3 .

È interessante rilevare che già durante il compimento dello sterminio il problema della memoria di ciò che quotidianamente si consumava era ben presente ai protagonisti di quell’evento: dalle testimonianze dei sopravvissuti emerge che già durante la prigionia la cancellazione delle prove era l’ossessione dei carneici, e l’oblio quella delle vittime.

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Gli oppressori, ben consapevoli dell’enormità dei fatti compiuti, immaginavano cosa sarebbe potuto accadere a guerra conclusa; Primo Levi, che deinì la storia del III Reich come una guerra contro la memoria, ricorda il sadismo con cui gli aguzzini tormentavano i prigionieri nel loro punto più sensibile: «molti sopravvissuti ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: “in qualunque modo questa guerra inisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà”»4 .

Come è risaputo, i nazisti tentarono di nascondere o distruggere ogni traccia materiale dell’accaduto; inine, avvicinandosi la disfatta, misero in atto le famigerate «marce della morte»: con l’intento di decimare gli ultimi sopravvissuti allo sterminio, essi trasferirono a piedi da un campo all’altro, per centinaia di chilometri, migliaia di prigionieri siniti da mesi di prigionia, fame, freddo, malattie e stenti. Proprio per questo l’ossessione di «raccontarla» sarà per molti prigionieri il più valido motivo per cui resistere, quasi «un voto, una promessa che il credente fa a Dio e il laico a se stesso: se ritorno racconterò, ainché la mia vita non sia priva di scopo»5 .

Le vittime, consapevoli di potersi opporre ai crimini nazisti con la sola arma della propria memoria, già durante la prigionia erano tormentate dall’urgenza della denuncia e della testimonianza: dopo la liberazione dei campi tornarono alla luce, sotterrati nei pressi dei forni crematori, diari e appunti degli addetti del Sonderkommando6: essi sapevano che in quanto testimoni oculari di un evento inimmaginabile erano destinati a loro volta ad essere inghiottiti dalla macchina dello sterminio, ma tentarono ugualmente di lasciare al mondo la propria denuncia, nella speranza che gli scritti potessero essere un giorno ritrovati. Anche nel ghetto di Varsavia vi furono simili disperati tentativi di consegnare al futuro la verità su ciò che avvenne per anni nel ghetto e durante i giorni della sua insurrezione. Allo stesso modo è risaputo che le organizzazioni di resistenza sorte nei lager riuscirono in casi rarissimi e con grande rischio a far giungere all’esterno dei campi fotograie, carte topograiche e copie di rapporti uiciali.

L’urgenza di testimoniare non è dettata da una richiesta di pietà e commiserazione, ma dalla volontà che il mondo possa sapere cosa l’uomo è stato – ed è – in grado di fare, ainché niente di simile possa un giorno ripetersi. Le prime testimonianze valgono dunque come atti dovuti verso coloro che non sono tornati, di cui si vuole onorare la memoria, ma anche

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come accusa contro aguzzini, corresponsabili e spettatori indiferenti; contro il mondo che non ha voluto vedere, che sapendo ha tardato a intervenire e in seguito non seppe ascoltare, reintegrare, fare giustizia. I prigionieri, convinti che dopo un’esperienza così disumana il mondo non avrebbe più potuto e dovuto conoscere simili atrocità, in attesa del rimpatrio sognarono di rientrare in una società ricostruita dalle sue fondamenta; alcuni sentirono quasi di essersi sacriicati ainché il mondo potesse «conoscere se stesso» per poi poter cambiare radicalmente.

Ma la loro memoria dovette negli anni lottare incessantemente contro la minaccia dell’oblio, presentatasi nel tempo con motivazioni e sfumature diverse.

Se la società civile dell’immediato dopoguerra non si dimostrò pronta ad accogliere le testimonianze dei reduci perché era impaziente di riprendere una normale quotidianità dimenticando gli orrori della guerra, lo stesso atteggiamento distratto fu dimostrato dalle istituzioni e dalla storiograia di quel periodo, che per decenni evitarono di indagare su una dura verità che mostrava implicazioni e legami troppo forti con la realtà contemporanea.

Inine, mentre l’opinione pubblica giungeva tardivamente a conoscenza della realtà dei campi, iniziarono a difondersi le prime correnti revisioniste e in seguito quelle propriamente negazioniste, che miravano - e mirano tuttora, seminando i germi del sospetto nella parte di opinione pubblica più debole e possibile preda delle ideologie - a minimizzare, banalizzare quando non addirittura negare la realtà dello sterminio, suscitando sdegnate reazioni da parte dei sopravvissuti prima ancora che presso gli storici.

Di fronte a quelli che Pierre Vidal Naquet deinisce gli «assassini della memoria» molti reduci, a partire da Levi, si impegnarono ancora più profondamente nella testimonianza, comprendendo che in una simile battaglia l’arma della memoria non era suiciente e si rendeva quindi necessario conidare in quella della storia. Convinti dell’inestimabile valore di impegno civico e politico del loro messaggio, essi fecero della testimonianza un impegno irrinunciabile, in primo luogo per opporsi alla ferocia nazista, che progettando il disegno di sterminio volle allo stesso tempo attuare anche la rimozione della sua memoria. Da subito essi avvertirono la necessità di rivolgersi alle giovani generazioni, ben sapendo che la mancata consapevolezza, generata da scarsa conoscenza e rilessione, può essere pericolosa generatrice di una coscienza mutilata, quindi debole e incapace di leggere

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criticamente la realtà contemporanea, riconoscendone determinati segnali negativi; attraverso le testimonianze essi esortano da sempre i giovani a rilettere, a vigilare sempre sulla propria coscienza e ad opporsi a ogni genere di violenza.

Al contrario alcuni sopravvissuti, di fronte all’insanabilità della propria ferita, alle irrispettose derive della memoria e ad una acuta percezione di incomunicabilità rispetto a una società che aveva deluso le loro utopiche speranze di rinnovamento, si chiusero in un lungo e doloroso silenzio, accompagnato da quello che già dall’immediato dopoguerra, nonostante il tenace impegno di molti di loro, era calato sulla realtà della deportazione e della prigionia, avvolgendola ino ai primi anni ottanta, quando anche in Italia si registrerà un generale risveglio di interesse nei confronti di questa pagina di storia.

Consapevoli che nelle lacune della memoria le tendenze revisioniste e negazioniste possono facilmente guadagnare terreno, i più attivi tra i testimoni piemontesi esortarono a parlare anche i compagni che per varie motivazioni personali avevano scelto il silenzio; alcuni di loro, nel tentativo di recuperare la mancata trasmissione del periodo precedente, assumeranno negli ultimi anni di vita quel ruolo di testimoni che grandi igure, in primis quella di Primo Levi, stavano portando avanti con convinzione e impegno ormai da decenni.

Negli anni ottanta maturerà in Piemonte7 un particolare clima culturale, nel cui ambito nasceranno i primi incontri rivolti ai giovani delle scuole e le prime ricerche di storia orale8: avvicinandosi sempre più minacciosamente il momento della scomparsa di tutti i testimoni diretti, concretizzandosi il timore della conseguente perdita di un’inestimabile fonte di storia orale, si acuisce nei reduci il desiderio di «passare il testimone», consegnando al futuro una conoscenza approfondita della storia della deportazione. Così la sezione torinese dell’Aned9 decise di aidare a una nuova e sensibile generazione di storici, che non aveva vissuto quegli eventi in prima persona, il compito di raccogliere le testimonianze di oltre 200 deportati piemontesi. Le quasi 10.000 cartelle di interviste andranno a costituire uno straordinario corpus di storie di vita, punto di riferimento e base per la successiva letteratura di storia orale; l’archivio delle Storie di vita del fondo Aned è il più ampio nel suo genere.

Sembra rilevante sottolineare che (in anticipo rispetto alla nuova attenzione che dagli anni ottanta la storiograia italiana dedicherà al tema)

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l’impegno di testimonianza degli ex deportati piemontesi fu dai primi anni settanta recepito e sostenuto da un’istituzione importante; il Consiglio regionale del Piemonte darà vita, nel 1973, a un organismo nato a questo scopo: il Comitato per l’afermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana, che rivestirà d’ora innanzi un ruolo di primo piano nella divulgazione della storia e della memoria della deportazione, dando inizio così a un impegno pluridecennale che non trova riscontro in altre regioni.

La pionieristica esperienza porterà la Regione Piemonte ad assumere un ruolo di primaria importanza nel campo della memoria e della didattica della Shoah, mentre il fecondo dialogo instauratosi già dai primi anni settanta tra il comitato e l’Aned è destinato ad aprirsi a nuove e fruttuose collaborazioni con altri enti, quali l’Università degli studi, la Provincia e il Comune di Torino, i provveditorati agli studi e gli istituti storici della Resistenza difusi in ogni provincia, e varie associazioni sparse sul territorio.

Nel corso della sua lunga attività il comitato si impegna a realizzare la compenetrazione tra memoria e storia tramite una serie di pubblicazioni, molte delle quali scaturite da convegni che spesso vantano la partecipazione di personalità di spicco a livello internazionale, destinate a porsi come testi fondamentali per la conoscenza di questo nodo storico10. Ancora oggi uno dei compiti più importanti del comitato è quello di promuovere tra le nuove generazioni la conoscenza e la rilessione su fatti storici riguardanti la realtà contemporanea, facendosi portavoce e garante di valori fondamentali per la formazione di una positiva coscienza civile.

Per più di trent’anni il Comitato Resistenza e Costituzione ha sostenuto attivamente e con convinzione l’operato dell’associazione degli ex deportati, raccogliendo la sida della trasmissione della loro memoria, ponendo alla base del dialogo politico e con le istituzioni i valori condivisi della Resistenza e della Costituzione, stimolando un dialogo ininterrotto in grado di far progredire la ricerca e l’approfondimento storico e portando inine i risultati di questa esperienza all’interno delle scuole.

Il Comitato per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana

Il Comitato per l’afermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana nasce il 26 aprile 1973 durante una

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seduta del Consiglio regionale del Piemonte tenutasi a palazzo Madama alla presenza di organizzazioni antifasciste, rappresentanze dei partiti, dei sindacati, delle associazioni femminili e dei movimenti giovanili. Il suo principale obiettivo è dall’inizio quello di promuovere soprattutto tra le giovani generazioni la conoscenza e il rispetto del patrimonio ideale disceso dalla Resistenza, su cui si fondano i principi e i valori costituzionali. Dal momento della propria fondazione l’organismo si impegna a rivolgere all’intera comunità regionale incontri, convegni, iniziative di studio e ricerca incentrati principalmente sui temi dell’antifascismo e della Resistenza; tali contenuti si sono presto ampliati alla storia della deportazione, all’afermazione dei principi della Costituzione repubblicana, alla difesa dell’ordinamento costituzionale dagli attacchi del terrorismo e della criminalità organizzata. Nella prima fase di attività il comitato ha inoltre pianiicato e promosso iniziative di solidarietà internazionale a favore della pace e del disarmo e all’analisi di diversi fenomeni sociali e culturali presenti nella realtà contemporanea.

È doveroso sottolineare che già all’indomani dell’istituzione degli enti regionali la Regione Piemonte ha dimostrato nei confronti di temi così rilevanti una particolare sensibilità, concretizzatasi in un precoce impegno che dai primi anni settanta si è protratto senza soluzione di continuità ino ad oggi, evolvendo ed arricchendosi nel tempo anche grazie all’apporto di nuovi stimoli. Tale esperienza non ha riscontro in altre realtà regionali italiane; l’attività del comitato è destinata in questo senso a porsi come esempio e a segnare la strada a successive analoghe esperienze.

Data l’ampiezza dell’arco temporale considerato e il vasto numero, nonché l’eterogeneità delle iniziative programmate, non è in questa sede possibile ricostruire l’intero percorso compiuto negli anni dal Comitato Resistenza e Costituzione, ma si cercherà di dar conto della continuità e dell’evoluzione dei suoi programmi più importanti. La parte più consistente dell’attività riguarda, come anticipato, la sensibilizzazione su temi storici e di attualità, sostenuta tramite l’organizzazione di convegni, incontri e lezioni, l’allestimento di mostre, la presentazione di spettacoli e la pubblicazione di numerose e rilevanti ricerche storiche.

Il comitato, strutturato in distinte commissioni di lavoro per i diversi settori di competenza, si avvale per la programmazione di tutte le iniziative della consulenza dell’università, degli enti e delle istituzioni culturali, nonché delle associazioni del territorio regionale. Sono questi infatti i soggetti

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che propongono, all’interno delle linee di indirizzo generale, la programmazione delle speciiche attività annuali.

Sembra opportuno rilevare che con il trascorrere del tempo, il rilettersi del clima pubblico e politico nazionale sulle attività dell’istituzione e l’avvicendarsi di giunte regionali di diversa ispirazione politica, questa pluridecennale esperienza si sia espressa attraverso forme e strumenti anch’essi diversi e che la sua attività abbia conosciuto fasi e periodi distinti. Ciò che conta sottolineare è che essendo l’organismo emanazione del Consiglio regionale e non della Giunta esso ha potuto proseguire nel tempo, coinvolgendo l’insieme di tutte le forze politiche, la propria attività e linea di azione senza mutarne aspetto e sostanza e senza farsi necessariamente inluenzare dai rivolgimenti politici, sia locali che nazionali.

Naturalmente analizzando le attività del comitato nel loro svolgersi si possono riconoscere fasi diverse, che sembrano seguire quando non anche assecondare le esigenze dettate dal clima pubblico e politico del momento: ad esempio il comitato accolse lo stimolo ispirato dalle nuove forze politiche di centro-destra ad aprirsi a nuovi temi e questioni storiche non risolte. Ma queste variazioni non sono sostanziali, non vanno cioè ad intaccare la natura e la composizione del comitato, né le sue inalità, che fanno costantemente riferimento agli ideali su cui si fonda lo statuto. Dunque nel corso degli anni l’istituzione persegue ininterrottamente le proprie inalità, pur rivolgendo una naturale attenzione a nuove problematiche storiche, dimostrando anzi nell’apertura a nuovi stimoli una pronta disponibilità ad un meditato confronto con la realtà contemporanea.

La prima fase, circoscrivibile approssimativamente intorno agli anni settanta, è caratterizzata da una notevole mobilitazione su scottanti temi di attualità: dalla tempestiva reazione alle tendenze eversive del neofascismo, dalla rilessione e conseguente condanna sui fatti di violenza politica, dalla risposta culturale opposta a fenomeni di terrorismo e stragismo ino a giungere all’impegno per l’afermazione dei valori democratici in determinate zone del mondo (grande attenzione sarà riservata ad esempio alla situazione dell’America latina) alle numerose iniziative di solidarietà internazionale. Come anticipato, il comitato si impegna già dai primi anni settanta a rispondere con i propri strumenti (non politici ma culturali) agli atti di eversione fascista che caratterizzarono quel periodo storico, approfondendone la conoscenza e prendendo autorevolmente posizione nel condan-

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narli. L’organismo assunse in questi anni un importante ruolo di guida nella denuncia e nella condanna del teppismo neofascista presente anche in Piemonte, facendosi promotore di una risposta contro lo stragismo di estrema destra e il terrorismo armato delle Brigate Rosse. Questo impegno si tradusse ad esempio in una serie di documenti approvati a più riprese dal Consiglio regionale, riguardanti i principali fatti di eversione fascista che interessarono l’Italia degli anni settanta. Tra le iniziative più importanti11 si segnala l’istituzione, nel 1974, di una Commissione speciale d’indagine conoscitiva12, sorta con l’intento di indagare sugli atti di eversione fascista veriicatesi in quegli anni, di riferire al Consiglio sulle condizioni sociali e politiche da cui tali attività traevano origine e quale fosse la realtà delle organizzazioni in esse implicate. Sull’esempio del Piemonte altre tredici regioni avviarono un’analoga inchiesta.

Analizzando lo svolgersi delle attività del comitato, si osserva dall’inizio degli anni ottanta un primo spostamento di attenzione: l’impegno riguardo i temi di attualità non verrà mai meno13, ma inizierà a concedere spazio maggiore ad una più intensa meditazione di pagine importanti della recente storia nazionale e alla promozione della loro conoscenza soprattutto in ambito didattico.

Nella storiograia italiana, tra la ine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, prende vita un nuovo interesse per la storia della deportazione (a lungo trascurata dalla storiograia precedente), per la raccolta di fonti orali e la conseguente rilessione sulla loro fruibilità nell’insegnamento della storia contemporanea. L’impegno del comitato sembra seguire se non addirittura anticipare questa tendenza: oltre ai viaggi ai campi di sterminio organizzati in collaborazione con l’Aned già dai primi anni, esso attua una serie di iniziative rivolte in primis al mondo della scuola, sotto forma di lezioni, incontri e rassegne cinematograiche per i giovani, oltre a corsi di aggiornamento per insegnanti. Nel corso degli anni alcune tra le attività promosse hanno assunto, dopo lunga elaborazione, una speciica isionomia, in particolare due iniziative che grazie alla ormai decennale programmazione sono oggi considerate appuntamenti issi e attesi dalle scuole secondarie piemontesi.

Ogni anno, dal 1981, la Regione Piemonte progetta per gli istituti superiori un Concorso di storia contemporanea14, il cui momento conclusivo è un viaggio di studio presso diversi luoghi simbolo della storia contemporanea europea (in primis i campi di concentramento difusi in tutta Euro-

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pa) destinato agli autori delle migliori ricerche; un’altra attività che ormai da anni vanta grande rilevanza è la rassegna cinematograica itinerante15 , che annualmente propone alle scolaresche diverse pellicole incentrate su rilevanti temi di attualità. Dall’inizio degli anni ottanta, tra le iniziative proposte dal comitato, la rilessione storica assumerà sempre maggior peso e centralità16; grande attenzione sarà dedicata anche ad aspetti particolari, come il tema di genere (dalla deportazione femminile e dal contributo delle donne alla guerra di Liberazione alle condizioni della donna nella società civile ino al percorso che ha portato alla conquista del diritto di voto).

I rivolgimenti epocali che investiranno il panorama politico italiano negli anni novanta avranno naturalmente una ripercussione anche sulle attività del Comitato Resistenza e Costituzione.

Il cosiddetto passaggio dalla prima alla seconda repubblica e il conseguente rimescolamento politico porteranno alla disgregazione dei partiti sorti nel primo dopoguerra, alla nascita di nuove entità politiche o alla trasformazione di quelle preesistenti. Sempliicando, le forze politiche si aggregheranno in due poli, l’uno di centro-destra e l’altro di centro-sinistra: in entrambi i casi però prenderanno le distanze dalla cultura politica precedente. Tuttavia esse sono inevitabilmente alla ricerca di valori condivisibili che ne favoriscano la reciproca legittimazione. Nel tempo si renderà necessario dunque afrontare il peso di quella memoria nazionale e si renderà evidente l’esigenza di rimettere in discussione i riferimenti a quella cultura, con la quale un sereno confronto apparirà irrinunciabile.

È qui necessario sottolineare che il Comitato Resistenza e Costituzione nonostante la nuova temperie politica proseguì nella propria funzione di garante dei valori costituzionali in rappresentanza di tutte le forze politiche, senza essere troppo inluenzato nella sostanza dall’andamento del clima pubblico. Si rilevano naturalmente diferenze rispetto al periodo precedente; ad esempio le nuove forze politiche di centro-destra sposteranno il dibattito su questioni storiche non risolte e proporranno oltre all’attenzione ai tradizionali temi della Resistenza e della deportazione nuove questioni, realizzando così un progressivo ampliamento tematico (evidente ad esempio nelle tracce tematiche annuali del Concorso di storia contemporanea). Caratteristica di questo nuovo clima è ancora l’attenzione rivolta ad aspetti particolari di storia locale e comunitaria17. Ma il consueto impegno del Consiglio regionale prosegue nella valorizzazione del patrimonio

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artistico e dei luoghi che furono teatro degli episodi più signiicativi della lotta di Liberazione in Piemonte18 e soprattutto nell’annuale programmazione di cicli di lezioni, convegni e seminari, nell’intensa attività editoriale, scaturita da progetti e ricerche storiche promosse e sostenute dal Consiglio regionale e inine con la pubblicazione degli atti dei numerosi convegni organizzati nel corso degli anni.

Negli anni novanta si produce un ulteriore avanzamento sul piano storico: è questo il periodo della nascita di opere fondate su decennali lavori di ricerca che si propongono di colmare una grave lacuna della nostra storiograia19 .

Il percorso del comitato si struttura, negli anni che vanno dal 2001 al 2007, secondo una forma ben deinita. Proseguono, in continuità con l’attività svolta ino a questo momento, gli appuntamenti annuali e consolidati20, ma prendono forma anche nuove iniziative. La prima in ordine cronologico (e la più rilevante per quanto riguarda la rilessione sulla deportazione) è la celebrazione del Giorno della Memoria21; il Consiglio regionale, tramite il Comitato Resistenza e Costituzione farà della ricorrenza un’importante occasione per favorire soprattutto tra i giovani la rilessione sulla Shoah, avvalendosi di una serie di iniziative pensate in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino, l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e gli istituti storici della Resistenza e della società contemporanea provinciali, cui spetterà il compito di difondere sul territorio regionale le iniziative nelle relative aree di competenza. In questo modo per il Giorno della Memoria si realizzeranno diverse attività non solo nella città di Torino, ma in ogni provincia piemontese. In seguito fu istituito, con legge n. 92 del 30 marzo 2004, il «Giorno del Ricordo delle genti istriane, iumane e dalmate», che verrà celebrato ogni anno in data 10 febbraio. Anche in occasione del Giorno del Ricordo l’istituzione si farà portavoce di un’esigenza di memoria, distribuendo pubblicazioni sul tema in tutte le scuole della regione.

Il 2002 vede l’avviamento del progetto interregionale e transnazionale «La Memoria delle Alpi – I Sentieri della Libertà» relativo al programma comunitario Interreg III A, un programma di iniziativa comunitaria inanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale con lo scopo di favorire la cooperazione transfrontaliera per il periodo 2000-2006, che rappresenta uno degli strumenti di cui la Commissione europea si è dotata al ine di porre in atto gli obiettivi della politica di coesione economica e sociale,

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introdotta nel 1986 nel corpo originario del Trattato di Roma, mirante a «ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite, comprese le zone rurali»22. In questi anni furono avviati due progetti, che coinvolsero le province piemontesi, la Valle d’Aosta e le regioni coninanti di Francia e Svizzera.

Lo scopo dell’iniziativa comunitaria Interreg, avviata nel 1990, è quello di «preparare le regioni di conine ad un’Europa senza conini»; con la Comunicazione C (2000) 1101 del 28 aprile 2000, la Commissione Europea ha stabilito gli orientamenti per i programmi di iniziativa comunitaria Interreg, il cui obiettivo generale rimane quello di «evitare che i conini nazionali ostacolino lo sviluppo equilibrato e l’integrazione del territorio europeo».

Nel 2003 inine, il Consiglio regionale del Piemonte stabilì di attivare convenzioni con singole associazioni allo scopo di costituire un punto di riferimento sul territorio per l’attività del comitato. Le associazioni individuate a questo scopo furono il Comitato per la Resistenza Colle del Lys e la Casa della Resistenza di Fondotoce, a cui si aggiungerà nel 2005 l’Associazione memoria della Benedicta e nel 2007 il Museo difuso della Resistenza di Torino. In seguito alle convenzioni stipulate i luoghi diverranno punto di riferimento per l’organizzazione di eventi e manifestazioni organizzati dal Comitato Resistenza e Costituzione.

L’evoluzione di un progetto: dai pellegrinaggi dell’Aned al Concorso regionale di storia contemporanea

Prima del fondamentale apporto della Regione Piemonte, già dai primi anni settanta l’Aned aveva avvertito l’esigenza di difondere presso un pubblico che fosse il più vasto possibile la conoscenza della realtà concentrazionaria, così gli ex deportati iniziarono ad accompagnare i giovani nei primi pellegrinaggi ai campi di sterminio. In questi anni l’associazione si trovò a operare in solitudine e a cercare rapporti di collaborazione con i comuni piemontesi per poter assicurare visibilità al proprio operato. Oltre ai viaggi l’associazione organizzò diverse mostre, che registrarono un notevole successo di pubblico. Nonostante l’Aned lavorasse ancora in mancanza di un adeguato appoggio istituzionale, i risultati raggiunti in questi anni rappresentarono un segnale straordinariamente positivo, che può essere interpretato come un riscatto dal lungo isolamento anche istituzionale

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dell’associazione; i primi mutamenti del clima culturale indicano che sta per concludersi quello che alcuni ex deportati considerano il «periodo perduto» della mancata testimonianza.

Il primo tentativo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della deportazione, rompendo il silenzio distratto della storiograia e quello doloroso dei superstiti, risale al 1959, anno in cui l’Aned organizzò a Torino una mostra e alcuni incontri sul tema della deportazione, da cui scaturì la nascita di un dialogo con le giovani generazioni23 che risvegliò tra gli ex deportati ottimismo e volontà di ripensare il rapporto con la dolorosa memoria a lungo taciuta.

Il momento favorevole indusse al tentativo di portare il dialogo all’interno della scuola: sporadicamente, dove fu possibile rapportarsi con insegnanti e presidi sensibili a questa tematica e in grado di intuirne il potenziale valore di arricchimento come straordinaria occasione di maturazione civile e morale, si organizzarono incontri tra ex deportati e studenti, che purtroppo in questo periodo ebbero carattere occasionale e non formalizzato: la scuola come istituzione era ancora assente e spesso i presidi mostrarono grande diidenza e titubanza nei confronti di questa iniziativa.

Avvertendo i primi mutamenti del clima culturale, l’Aned, conidando nel fatto che studenti e insegnanti partecipando ai pellegrinaggi potessero in seguito svolgere una positiva funzione di «centri propulsori di conoscenza» per compagni e colleghi, propose interventi regolari in grado di sfruttare al meglio le opportunità oferte dall’ambito scolastico. La positività dell’esperienza porterà alla successiva evoluzione del progetto: come anticipato, uno dei grandi meriti del Comitato Resistenza e Costituzione consiste nell’idea di rivolgere il dialogo sulla memoria al mondo della scuola: al ine di promuovere momenti di studio e ricerca negli istituti superiori della regione, dall’anno scolastico 1981-82 esso progetta annualmente un concorso regionale di storia contemporanea; all’inizio di ogni anno scolastico la commissione scuola del Comitato trasmette a tutti gli istituti superiori della regione una circolare contenente diverse tracce tematiche, da approfondire sotto la guida degli insegnanti con la consulenza degli esperti in didattica degli istituti storici della Resistenza. Il momento conclusivo del percorso è una visita di studio (la cui meta è solitamente un campo di sterminio nazista) che vale come «premio» agli autori delle migliori ricerche. Il valore del viaggio è arricchito dalla presenza degli ex deportati, che ogni anno si ofrono di accompagnare i ragazzi in questo percorso.

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Il concorso ha così contribuito ad approfondire l’apprendimento della storia del Novecento, motivando migliaia di studenti ad avvicinarsi alla ricerca storica integrando lo studio del libro di testo, accostandosi per la prima volta all’analisi di fonti documentarie, archivistiche o di storia orale. Gli esperti in ricerca e in didattica degli istituti storici della Resistenza guidano con la propria competenza e professionalità i ragazzi nell’approccio diretto alle fonti, sostenendo la loro preparazione con incontri, conferenze, consulenze archivistiche e bibliotecarie24 .

L’aspetto maggiormente positivo del progetto risiede nel fatto che il viaggio-premio non vale solo come «ricompensa» per il lavoro svolto, bensì come tappa (di certo la più emotivamente signiicativa) di un articolato percorso di studio e ricerca, che prevede, oltre al lavoro individuale o collettivo, incontri preparativi sui temi delle ricerche e la consulenza degli esperti degli istituti storici della Resistenza lungo la stesura dell’elaborato. I viaggi sui luoghi della lotta e della soferenza, arricchiti dalla presenza degli accompagnatori-testimoni, costituiscono un valore aggiunto ad un’esperienza che diicilmente gli studenti potranno dimenticare. I reduci potranno così assolvere al proprio dovere di testimonianza svolgendo un importante ruolo formativo, che risiede nel contributo portato all’approfondimento della conoscenza del fenomeno concentrazionario, ma soprattutto nell’afermazione dei fondamentali valori scaturiti da questa esperienza, come il richiamo alla pace, al rispetto dei diritti umani e della libertà, la condanna di razzismo e xenofobia e di ogni tipo di violenza.

Considerato il lungo arco temporale che intercorre tra la forma attuale dell’iniziativa e i suoi esordi nei primi anni settanta, non sorprende che questa evoluzione sia giunta attraverso varie fasi e ripensamenti. Sorprende invece, ed è signiicativo, che la Regione Piemonte dal momento della sua istituzione ponga la rilessione sulla storia dell’antifascismo e della Resistenza alla base della costruzione del patrimonio della nostra cultura democratica e che già dalla prima fase di vita del comitato questo impegno andrà a costituire una base fondante della sua identità25 .

A dimostrazione dell’attenzione e della sensibilità verso il tema della deportazione, tra le attività del Comitato Resistenza e Costituzione vengono da subito prese in seria considerazione le proposte dell’Aned26; nel corso degli anni questo sostegno non verrà mai meno, anzi tra i due organismi si instaurerà un itto dialogo e un’importante collaborazione anche nell’organizzazione di incontri rivolti a un pubblico molto più vasto, desti-

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nati a dare grande risalto e visibilità all’operato dell’associazione. Uno dei risultati più importanti di questo appoggio istituzionale è ravvisabile nel fatto che, dopo molte diicoltà e resistenze, inalmente la storia della deportazione potrà entrare a pieno titolo e con una presenza non occasionale all’interno della scuola, poiché l’attenzione dimostrata da un’istituzione rilevante come un ente regionale concorrerà ad attenuare titubanze e perplessità passate, contribuendo a gettare le basi per la futura collaborazione tra l’associazione ex deportati e l’istituzione scolastica.

Una volta create le basi di questo nuovo rapporto diretto, l’Aned si impegnerà attivamente in un dialogo propositivo, sostenendo con coraggio e convinzione la necessità che la scuola si impegni a riconoscere alla storia della deportazione una nuova, doverosa attenzione, anche attraverso un ripensamento dei programmi ministeriali e dei libri di testo, che secondo i sopravvissuti riservano ad essa spazi e tempi inadeguati rispetto alla sua rilevanza sul piano storico, umano e politico, con il rischio che in futuro, quando saranno scomparsi tutti i testimoni diretti, essa possa venir ancora – e questa volta deinitivamente – travisata e dimenticata.

In questi anni si giunge alla conclusione che il mondo della scuola è, e deve essere in ogni caso il destinatario privilegiato dell’iniziativa e si avverte dunque l’esigenza di instaurare con esso un rapporto permanente e diretto.

Fra il 1977 e il 1980 il Comitato, considerando che con gli insegnanti la meditazione possa farsi più profonda e che essi possano in seguito farsi portatori delle conoscenze acquisite presso un grande numero di allievi, stabilì di riservare i pellegrinaggi ai campi di sterminio proprio a loro: in questi anni parteciparono ai viaggi 270 docenti delle scuole medie inferiori e superiori.

Il 1981 è l’anno della svolta più importante: il Consiglio regionale indice per la prima volta il Concorso di storia contemporanea, appuntamento che da questo momento avrà cadenza annuale, coinvolgendo migliaia di studenti. Il mutamento è ricco di signiicato: per la prima volta istituzioni importanti come la Regione, le province e gli istituti storici della Resistenza lavorano di concerto con i provveditorati agli studi e le singole istituzioni scolastiche per difondere tra i giovani la conoscenza del patrimonio storico, culturale e politico della Resistenza, attraverso la rilessione su fondamentali questioni storiche, come la deportazione e il sistema dei campi di annientamento, in grado di trasmettere ai giovani valori basilari e importanti orientamenti etico-civili.

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Un elemento caratteristico dell’identità del concorso, nato come occasione di rilessione sulla deportazione politica e razziale in senso stretto, è la sua progressiva e vistosa dilatazione tematica. In un breve lasso di tempo l’iniziativa si è trasformata in occasione di studio, analisi e rilessione su diversi argomenti connessi con la storia dell’Italia e successivamente dell’Europa nella seconda guerra mondiale, all’interno della quale l’esperienza della deportazione rappresenta il perno attorno a cui ruotano questioni diverse e articolate, ma comunque connesse fra loro, come l’internamento, la Resistenza, la vita quotidiana dei singoli e delle comunità; particolare attenzione sarà dedicata, soprattutto a partire dagli anni novanta, alla storia locale e femminile.

Il concorso si è perciò rivelato un prezioso strumento di formazione civile. Per la prima volta nell’anno scolastico 1985-86, alcune tracce interessano argomenti di stretta attualità; questi nuovi stimoli, destinati a consolidarsi nel tempo, si propongono sempre di connettere il presente con il passato, allo scopo di favorire nei giovani una rilessione approfondita e critica della realtà contemporanea.

Gli anni tra il 1982-83 e il 1985-86 videro lo sviluppo di una prima fase dell’iniziativa, che coinvolse oltre 2.000 studenti; al termine dei concorsi circa 400 ragazzi parteciparono ai viaggi, i cui costi furono sostenuti interamente dalla Regione Piemonte.

Negli anni successivi al 1986-87, il Consiglio regionale coinvolse attivamente le amministrazioni delle province piemontesi, che da questo momento si accolleranno le spese per i viaggi degli studenti del proprio territorio di competenza; così l’iniziativa assumerà carattere decentrato, mentre rimarrà centralizzata l’elaborazione delle tracce difuse all’inizio di ogni anno scolastico dalla presidenza del Consiglio regionale.

L’inizio di questa fase, in cui si deinisce e si consolida la successiva isionomia del concorso, porta in primo piano l’attività degli istituti storici della Resistenza, cui è destinato il compito di programmare iniziative di aggiornamento e proposte didattiche connesse ai contenuti proposti dalle tracce tematiche, ponendosi come indispensabile supporto per le ricerche svolte da insegnanti e studenti.

L’adesione all’iniziativa è considerevole: ogni anno circa un migliaio di studenti si impegna nella produzione degli elaborati e tra questi circa 200 partecipano al viaggio conclusivo. Nel corso del tempo, in seguito alla decisione di estendere le tracce dai temi della deportazione e della Resisten-

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za a diversi argomenti di storia contemporanea, si stabilì di diversiicare anche le mete dei viaggi, che da questo momento interesseranno diversi luoghi che furono teatro di importanti eventi della storia contemporanea italiana ed europea.

L’idea di avvicinare i giovani alla ricerca storica nasce dal desiderio di raforzare in essi l’interesse e l’adesione morale a grandi temi, che appresi dall’arida trattazione dei manuali scolastici vengono recepiti come molto lontani dal presente, ma possono essere viviicati e resi accessibili e interessanti attraverso l’attivo confronto con la storia, soprattutto con quella locale, cui le tracce proposte per il concorso riservano ogni anno costante attenzione. In questo modo i giovani scoprono un nuovo modo di confrontarsi con il passato, e si creano le condizioni per cui il colloquio con i testimoni, la partecipazione attiva ad una ricerca, il materiale di documentazione che ne scaturisce e inine i viaggi di studio entrano in un quadro culturale nuovo, caratterizzato dalle inedite opportunità di apprendimento che solo la ricerca può ofrire.

Il maggior punto di forza e di merito di tale progetto risiede nel fatto che, sin dagli inizi, i giovani vengono accompagnati sui luoghi della memoria da testimoni d’eccezione: gli ex deportati27, il cui compito di testimonianza si è rivelato fondamentale, perché la narrazione storica, giungendo dalla viva voce dei protagonisti, dona una ricchezza e una profondità diverse ai fatti appresi dalle pagine dei libri e delle testimonianze scritte, le cui immagini sono ampliicate, rese più immediate e persuasive dalle parole dei testimoni, che hanno il potere di viviicare la vera essenza di una realtà sconvolgente e incomprensibile che gli uomini in parte hanno voluto cancellare. Un’esperienza tanto intensa e profonda è destinata ad incidersi nella coscienza e a segnare il percorso di crescita morale e civile di ciascuno, poiché le parole dei reduci, pronunciate in quei luoghi, a cui il tempo e la volontà umana hanno totalmente cambiato isionomia e aspetto, si caricano di nuovi e indelebili signiicati, imprimendosi più intimamente nella mente e nella coscienza degli interlocutori.

Il dibattito sull’eredità della memoria della Shoah

L’eco che la storia della Shoah ha suscitato dagli anni ottanta nell’opinione pubblica non si è ino ad oggi spenta, anzi, nel momento delicato in cui viviamo spesso ci si interroga sui rischi di un’eccessiva ritualizzazione

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della sua memoria. In seguito all’istituzione del Giorno della Memoria, è sorto nel nostro paese un vivace dibattito teso ad evidenziare i rischi di una memoria eccessivamente istituzionalizzata che, quasi irrigidita in un rituale civile, rischia di smarrire se stessa svuotandosi di parte del proprio immenso signiicato e di ridursi, nel momento della scomparsa di tutti i testimoni diretti, a spoglia e ripetitiva celebrazione.

Purtroppo in questi anni assistiamo alla manifestazione, da una parte dell’opinione pubblica, di segnali di indiferenza quando non addirittura di fastidio per il sommarsi di celebrazioni che sembrano quasi generare un senso di saturazione. È naturale che la ripetizione incontrollata del ricordo celi in sé il rischio di generare stanchezza e indiferenza in un’opinione pubblica giunta alla conoscenza di questa pagina di storia tramite un lungo, tortuoso e a tratti contraddittorio cammino28. Se il dopoguerra fu caratterizzato da un silenzio quasi totale sulla realtà della deportazione e il silenzio avvolgeva in particolare l’unicità storica del genocidio ebraico, le tappe che portarono alla conoscenza della Shoah spinsero l’opinione pubblica a riconoscere che lo sterminio nazista fu un fatto unico, una vera e propria rottura di civiltà. Questa situazione ha generato un fenomeno particolare: mentre la singolarità del genocidio non era inizialmente riconosciuta, oggi si tende quasi a considerarlo il solo crimine del nazismo ed esso inisce per ofuscare diverse altre realtà cui non si presta la stessa attenzione.

Il vivo dibattito sorto a proposito della memoria interessa vari aspetti; uno dei quali riguarda l’unicità e la comparabilità storica del sistema concentrazionario nazista. Questo tema è importante29, poiché implica nelle conseguenze due possibili soluzioni, due poli di una stessa linea ai cui estremi si trovano due conseguenze opposte, allo stesso modo pericolose.

Considerando la Shoah come un fatto storico unico e incomparabile per non smorzarne la singolarità, si rischia di cadere nella sua sacralizzazione, che non conduce alla comprensione storica di un fatto che fu prima di tutto umano, facendone invece un evento astorico, che appare quasi come un improvviso e imprevedibile «incidente della storia», un male assoluto che sembra aver colpito l’umanità come dall’esterno. D’altro canto portare all’estremo la tendenza opposta, che mira a storicizzare Auschwitz30 potrebbe condurre alla banalizzazione del nazismo e alla relativizzazione dei suoi crimini, che sarebbero inevitabilmente paragonati ai tanti altri crimini del XX secolo. Riguardo a questo aspetto, si dovrebbe rilettere sul fatto che

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paragonare non signiica necessariamente equiparare, anzi da un confronto oggettivo con altre realtà potrebbe emergere che la Shoah rappresenta un evento senza precedenti in quanto sintesi estrema di caratteri che si possono riscontrare singolarmente in altri crimini del Novecento.

La memoria della deportazione potrebbe avere una forte valenza etica nel momento in cui si dimostrasse in grado di svelare le caratteristiche che i crimini odierni hanno in comune con quelli nazisti, perché in questo modo, attraverso il prisma di Auschwitz saremmo indotti ad una seria critica sociale della realtà in cui viviamo e stimolati ad agire per opporci ai crimini odierni, rispondendo davvero e coscientemente al monito mai più, che è sostanza delle testimonianze dei sopravvissuti. Riconoscendo che viviamo nello stesso mondo che ha generato Auschwitz, riconosciamo anche il problema della nostra responsabilità storica nei confronti del passato, ma soprattutto siamo chiamati alla responsabilità per il presente e per il futuro.

La storicizzazione di questa pagina appare allora necessaria per realizzare il dovere etico di elaborare e trasmettere una conoscenza che possa contribuire alla formazione di una salda e responsabile coscienza collettiva ed anche per evitare che dopo la morte di tutti i protagonisti diretti la memoria istituzionalizzata possa ridursi ad una celebrazione svuotata del suo più profondo signiicato.

Per non vaniicare il percorso sin qui compiuto dalla memoria e per non perdere l’intrinseco valore di questa pagina di storia, generando assuefazione, è forse necessario avere il coraggio di ridurre la ritualizzazione e la sovrabbondanza di immagini31 in favore di una trasmissione più rigorosa ed equilibrata.

Sembra quindi importante costruire una serena rilessione sulla memoria, basata sulla conoscenza e l’analisi oggettiva della realtà storica più che sulla risposta emotiva all’orrore. Questa è sempre stata la linea di azione del Comitato Resistenza e Costituzione, che insieme all’Aned ha tentato di difondere tra i giovani tale consapevolezza, basata sulla ricerca e l’approfondimento storico, sulla rilessione su ciò che è stato e su ciò che questo passato ha lasciato in eredità alla società in cui viviamo, poiché è fondamentale che i giovani, a diferenza di quanto è avvenuto nei decenni passati, conoscano a fondo il più grave trauma del Novecento, che ha causato il crollo delle certezze della società contemporanea, costringendola ad un impegnativo ripensamento complessivo.

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Note al testo

1 Nella prefazione a Anna Rossi Doria, Memoria e storia: il caso della deportazione, Rubettino,

Catanzaro 1998. 2 A. Rossi Doria, Memoria e storia cit., p. 13. 3 Anna Bravo - Daniele Jalla, La vita offesa. Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento sopravissuti, F. Angeli, Milano 1986, p. 30. 4 Primo Levi, Prefazione a I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986. 5 P. Levi, Prefazione a A. Bravo - D. Jalla, La vita offesa La vita offesa cit., p. 8. 6 Prigionieri ebrei che, obbligati dalle SS ad estrarre i corpi delle vittime dalle camere a gas e a distruggerli nei forni crematori – partecipando così attivamente alle procedure di sterminio – videro, secondo le parole di Primo Levi, manifestarsi più da vicino di chiunque altro tutta la violenza del sistema criminale nazista. 7 Regione interessata da un notevole fenomeno di deportazione, specialmente per motivi politici. 8 Prima tra tutte la raccolta delle storie di vita di oltre duecento deportati piemontesi, che darà vita alla già citata antologia La vita offesa, di Anna Bravo e Daniele Jalla. 9 Associazione nazionale ex deportati. 10 In queste pubblicazioni, nate sempre dalla feconda collaborazione con l’Aned, vengono affrontate sia tematiche generali (ad esempio nell’opera fondamentale la deportazione nei campi di sterminio nazista) sia aspetti particolari (come la storia relativa agli ultimi giorni dei lager, la deportazione femminile, il ritorno dai lager e la reintegrazione nella società…). I volumi che risultano sotto questo aspetto più degni di nota sono quelli nati dalla temperie culturale dei primi anni ottanta, che Enzo Collotti considera un’ideale trilogia sulla storia della deportazione: La deportazione nel campi di sterminio nazista. Studi e testimonianze, (F. Angeli, Milano, 1986) La vita offesa (F. Angeli, Milano, 1986) e Storia vissuta (F. Angeli, Milano 1988). 11 Tra le iniziative realizzate in questi anni spiccano i viaggi di giovani studenti e lavoratori ai campi di sterminio nazisti, un incontro tra i giovani del Nord e del Sud per conoscere ed approfondire gli aspetti più gravi degli urgenti problemi che assillano il nostro Paese, la mostra

Resistenza, Antifascismo e Deportazione, allestita in Italia e in numerosi paesi europei, oltre a cicli di film, aggiornamenti per insegnanti etc. 12 È significativo il precoce impegno del Consiglio regionale del Piemonte su questo fronte; l’iniziativa addirittura anticipa la creazione, nel 1985, da parte del Parlamento europeo, di una

Commissione d’inchiesta sulla recrudescenza del fascismo in Europa. 13 Sul piano dell’attualità l’inizio degli anni ottanta è caratterizzato da una forte attenzione ai temi legati al terrorismo e alla difesa della democrazia, e diversi convegni trattano il tema della criminalità e della mafia. 14 Ogni anno circa un migliaio di studenti di tutta la Regione si impegna nella produzione di elaborati, e al termine del Concorso circa 300 persone, tra insegnanti e studenti, partecipano ai viaggi di studio, momento conclusivo di un percorso didattico dalla forte valenza civica ed educativa, amplificata dal fatto che gli studenti vengono accompagnati sui luoghi più significativi della storia del Novecento da ex deportati, ex internati ed ex partigiani, che attraverso la viva voce della loro testimonianza rendono molto più significativa l’esperienza. Il paragrafo successivo sarà dedicato interamente alla descrizione di questa iniziativa. 15 La rassegna, organizzata in collaborazione con l’Aiace di Torino, l’Agis e l’Anica, è volta a stimolare nei giovani spettatori una riflessione critica sui temi trattati dalle pellicole in pro-

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gramma, incentrate su problematiche di grande rilevanza come la violenza, il pregiudizio, l’intolleranza, il razzismo, la discriminazione, l’oppressione, i diritti civili, la mafia, il disagio e la conflittualità generati da diverse forme di emarginazione individuale e collettiva. Ogni proiezione viene introdotta e presentata da critici cinematografici dell’Aiace e seguita da dibattito. In questi anni la rassegna coinvolge circa 25 città piemontesi, per un totale annuo di oltre 20.000 spettatori. 16 A dimostrazione dell’attenzione che il Comitato Resistenza e Costituzione riserva al tema della testimonianza e all’utilizzazione delle fonti orali per l’insegnamento della seconda guerra mondiale, è rilevante il convegno del 1986 dal titolo: Storia vissuta: dal dovere di testimoniare alle testimonianze orali nell’insegnamento della seconda guerra mondiale. L’incontro rappresenta un momento fondamentale di quel dialogo sulla memoria della deportazione e della Shoah che il

Comitato insieme all’Aned ha intrecciato con le istituzioni scolastiche e le giovani generazioni.

Nel corso dell’anno, gli atti di tale convegno saranno pubblicati con il titolo Storia vissuta. 17 Prenderà avvio in questi anni una serie di ricerche di storia locale, su temi che spaziano dal rapporto tra vita comunitaria e vita religiosa, all’attuazione delle leggi razziali alle vicende di deportazione, di resistenza armata e civile e di storia locale di singole comunità piemontesi nel periodo di guerra. 18 Con la L.R. n. 41 del 18 aprile 1985 «Valorizzazione del patrimonio artistico-culturale e dei luoghi della lotta di Liberazione in Piemonte», che prevede contributi per la sistemazione delle aree e dei monumenti dedicati alla Resistenza, il Comitato opera in collaborazione con la Presidenza della Giunta regionale per valorizzare i luoghi che furono teatro degli episodi più significativi della lotta di Liberazione in Piemonte. 19 È risaputo che fino a questo momento in Italia non fu avviato un tentativo di censimento della deportazione, sia politica che razziale. Negli anni novanta opere importanti tenteranno di colmare questa lacuna: in questi anni fu pubblicata l’opera del piemontese Italo Tibaldi, che ricostruì con una ricerca pluridecennale la storia e il percorso di oltre 200 convogli di deportati, per un totale di circa 40.000 connazionali partiti per diverse ragioni (prevalenti quelle di natura politica e razziale) dall’Italia alla volta dei campi di sterminio nazisti (Compagni di viaggio: Dall’Italia ai lager nazisti. I trasporti dei deportati (1943-1945), F. Angeli Milano 1994).

Liliana Picciotto Fargion pubblicò Il libro della memoria, (Mursia, Milano 1992), opera che raccoglie circa 8.900 nomi e storie di deportati ebrei italiani, mentre l’eredità di Tibaldi sarà recentemente raccolta da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, che con Il libro dei deportati italiani, Mursia (opera monumentale il cui primo tomo è stato presentato il 27 gennaio 2009 al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) fornirà nomi, dati anagrafici e storia dei 23.826 deportati italiani per motivi politici. 20 Tra questi, il Concorso di storia contemporanea e i viaggi di studio ai lager nazisti, la rassegna cinematografica itinerante, le presentazioni di libri per il ciclo «Filo diretto», l’organizzazione di eventi (convegni, seminari, mostre o manifestazioni), l’attività editoriale, che proprio in questi anni si arricchisce, grazie al contributo delle nuove tecnologie a disposizione, di materiale multimediale. Prosegue inoltre l’erogazione di contributi per interventi di sistemazione e valorizzazione di alcuni monumenti e luoghi significativi della lotta di Liberazione, nell’ambito delle attività del Comitato per la «Valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e dei luoghi della lotta di Liberazione in Piemonte». 21 Aderendo alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio (simbolica data che ricorda l’abbattimento dei cancelli del lager di Auschwitz), giornata di commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati, il Parlamento italiano istituì, con legge n. 221 del 20 luglio 2000, il Giorno della Memoria.

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22 Il progetto ha come fine la valorizzazione dei luoghi della memoria; a tal fine sono stati concepiti diversi strumenti a sostegno di questa proposta di turismo di memoria, come sentieri segnati e siti Internet, posti tappa e archivi, musei e paesaggi vissuti, in aggiunta ad un apparato informativo, che per ogni luogo fornisce riferimenti pratici, logistici e bibliografici di concreta fruibilità. 23 Il primo grande contatto ufficiale tra ex deportati piemontesi e una generazione attenta e sensibile diede vita ad una serie di incontri e mostre, che, suscitando grande interesse e un intenso dibattito, furono in seguito organizzate anche in altre città. 24 A partire dall’anno scolastico 2007-08, grazie ad un accordo tra il Comitato del Consiglio

Regionale, l’Ufficio scolastico regionale e gli istituti storici della Resistenza del Piemonte, è stato introdotto un nuovo strumento: un modulo di formazione che copre tutti gli aspetti del concorso. 25 Come già anticipato, dai primi anni di attività il Consiglio regionale si fece promotore di una serie di attività finalizzate a porre la storia dell’antifascismo al centro della riflessione storica e politica, rappresentando in questo modo un essenziale punto di riferimento per la difesa e l’affermazione dei valori di tale patrimonio civile. 26 Significativo è il fatto che solo la legge istitutiva del Comitato Resistenza e Costituzione, insieme a quella della Regione Liguria, pone fra i suoi compiti anche l’organizzazioni di pellegrinaggi ai campi di sterminio nazisti. 27 Negli ultimi anni, per rappresentare al meglio il complesso e articolato quadro della deportazione, si è pensato di ampliare il gruppo dei testimoni accompagnatori invitando a partecipare anche ex internati militari ed ex partigiani, affinché essi, attraverso la narrazione di condizioni diverse, potessero contribuire a fornire di questa realtà storica un quadro più completo ed esauriente. 28 Nei casi più gravi può essere proprio questa sovrabbondanza ad alimentare la rinascita di forme più o meno celate di antisemitismo. 29 Il tema dell’unicità e comparabilità della Shoah è affrontato, insieme ad altre questioni etiche e metodologiche in Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, a cura di Enzo Traverso, Bollati Boringhieri, Torino 1995. 30 La storicizzazione fu proposta da Martin Broszat, il quale sostiene che ai fini della comprensione la condanna morale del nazismo sia necessaria ma non sufficiente, e la sua demonizzazione non possa sostituire l’analisi storica. 31 È importante anche riflettere sul fatto che le crude immagini di morte e disumanizzazione troppo spesso mostrate, oltre a ledere la dignità della persona possono facilmente generare assuefazione. Non è un caso se gli ex deportati – che mai potranno dimenticare quelle immagini – nei loro discorsi si astengono sempre dal racconto dei fatti più crudi e raccapriccianti, poiché sanno bene che questi possono generare negli ascoltatori una reazione violenta ma epidermica, e che l’orrore non genera necessariamente comprensione. Essi non cercano di suscitare sdegno e violente reazioni emotive nei giovani interlocutori, ma una riflessione pacata che possa sedimentarsi nelle loro coscienze.

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