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Cesare Bermani, «Filopanti» Anarchico, ferroviere, comunista, partigiano, Prefazione di Sandro Portelli, Roma, Odradek, 2010, pp. 122

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Emilio Colombo «Oreste Filopanti» si era preso il nome da Quirico Filopanti, estensore del decreto di proclamazione della Repubblica romana del 1849, e, Oreste, dal vendicatore dell’assassinio del padre Agamennone, sulla madre Clitennestra e il drudo Egisto, di cui all’Orestea, di venticinque secoli addietro, eschiliana prima pietra della tragedia greca. Scelta che da sola dà la dimensione della cultura dell’autodidatta militante della classe operaia. Dell’anarchico ferroviere, sindacalista rivoluzionario soreliano e proudhoniano, antidogmatico e antiborghese: sciopero generale proletario antiparlamentare, autorganizzazione e autonomia operaia, azione diretta esperita nella prassi, sabotaggio studiato con sabbia negli ingranaggi, guerriglia metropolitana (ostruzionismo, barricate e persino spargimento di cipolle anticavalleria!), maturato sulle Rèlexions sur la violence levatrice della storia. Colui che, ricevuto neonato il battesimo massonico del vino passando sotto la forca caudina di spade sguainate, conserva la sciarpa verde e l’archipenzo del padre, maestro di loggia radicale. Espatriato adolescente in Egitto, protagonista a Milano d’inarrestabili agitazioni di strada contro la guerra 1914/18, durante lo sciopero internazionale del luglio 1919 pro Soviet, ferma l’Orient Express ad Arona, in una mano il segnale rosso d’arresto, nell’altra il revolver. Licenziato, segue percorsi inusuali che danno la complessità di una condizione umana convissuta inestricabilmente con la lotta politica: combattere e battere, portandovi dentro l’immagine improbabile dell’«urto decisivo» in cui si ritrova la nettezza dello scontro e lo spazio della casualità e del fantastico ma anche, anche della vittoria. Corso senza sponde e senza bandiere intrise di retorica.

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Era diventato comunista, a ingaggiare lotte impari: gappista a Milano e poi «inventore» stratega dell’insurrezione di Villadossola del 7 novembre 1943, capostipite nel paese. Quindi ispettore delle brigate Garibaldi, a dirimere quistioni scabrose e contese tra formazioni, consapevole che compito della politica è pensare l’impossibile, solo se pensi l’impossibile hai la misura di quello che puoi cambiare. Avendo chiaro che il nuovo ha un limite: non può ripetersi all’ininito. La pratica del dubbio come criterio per il fare, metro di realismo nell’agire. Si era preso il lusso lui, misero proletario, di essere, accanto al pacato Terracini, l’anima dalla strabiliante lucidità della Repubblica dell’Ossola: inlessibile Commissario alla polizia e alla giustizia, sostenitore dell’idea che nella compagine di governo dovesse esserci, per la prima volta nella storia d’Italia, una donna, Gisella Floreanini «Amelia Valli Edvige», una musicista temprata nella cospirazione clandestina. Filopanti a proporre Ezio Vigorelli quale giudice straordinario, autonomo dalla Giunta, vale a dire l’organo giudiziario disgiunto dall’esecutivo, ahinoi dimenticata lezione di Montesquieu. Lui, ateo, nello stupore del canonico Pellanda, a raccomandare che ai bambini trasferiti in Svizzera, fosse garantito il conforto della loro religione, là in un mélange di calvinismo e luteranesimo. E qui si manda un monito anche a noi, liftati sensali dello stato di cose presente, ostaggi della nostra nullità, mentre un mondo muore e un altro ci si para davanti, inesplicabile eppure ancora necessitato ad attingere all’età prematuramente immemore dei Filopanti «amanti di tutti», ingoiata dalla storia, ridotta al silenzio. Acquistare coscienza dei doveri grazie alla conquista dei diritti. Filopanti è colui che, requisita la villa al padrone della ferriera, consentendogli però di mantenere la fuoriserie in garage «evitando la sorte infausta toccata alle moltissime auto requisite dai partigiani che, al momento della fuga in Svizzera in ottobre, furono abbandonate nelle valli, danneggiate o distrutte», come ricorda il dottor Ceretti, gli riconsegna le chiavi al ritorno dall’esodo accompagnate da una scatola di cioccolatini. Promotore della Lega per la difesa della Repubblica e del Comitato provinciale di solidarietà popolare, all’indomani della Liberazione, è anche quello che cita Stalin dopo il XX Congresso, perché nessuno – dopo l’immancabile contrordine compagni – ha più l’ardire di farlo. Ancora lo stesso che si tessera a Italia-Cina (con noi giuovani pre-

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sessantotto) nell’acme dello scontro tra il partito di Mao e Togliatti, a fendersi gli uni con gli altri. Fortunati coloro che si sono sentiti «igli d’anima» di uomini di taglia del tutto hors ligne come il protagonista di questa esemplare inedita storia di vita. Interamente resa da Cesare Bermani grazie al puro sapiente montaggio di documenti della più completa gamma d’archivio e d’emeroteca e deposizioni testimoniali, alla Enzensberger di Durruti ne La breve estate dell’anarchia. E chi scrive, nei suoi vent’anni, per il poco che gli è stato dato d’ascoltarlo al Circolo della Resistenza XXV aprile, ha fatto in tempo ad aferire idealmente al discepolato di quel compagno esausto ma invitto, austero, schivo e duro, privo di tatto, tanto da rimanergli in qualche modo debitore di una mai dismessa anima impulsionale dal gesto risolutivo elementare equo-eticoeretico. Abbracci concettuali fanno ressa nella mente e nel cuore. Era ormai vicino alla ine della vita, insieme campo di battaglia e cella di privazioni. Un peregrinare di traslochi e precarie occupazioni pur di dar sostentamento alla famiglia, sorretto dal principio «non convenienze ma convinzioni», ino all’inverosimile voto di castità orica, dopo la separazione dalla compagna che in quattordici anni di libera unione gli aveva dato tre igli, tenuti con sé. «La guardia è stanca» proferisce il marinaio nel requisire il Palazzo d’Inverno. Ma Filopanti aveva purtuttavia mantenuto i tratti attribuitigli dai poliziotti fascisti nella scheda segnaletica al casellario politico centrale: basso di statura, colorito terreo, sguardo truce. Borse di goniore gli bordavano le occhiaie e una voce gutturale raschiata s’imponeva all’interlocutore per assoluto carisma da leader naturale. Inseparabile canna animata. Non si ha coraggio se non si ha paura. Testimoniare sempre il proprio essere ma mai la non verità. Non a qualunque costo, non a qualsiasi prezzo. Più che ottimismo da tre soldi, oggi volgarmente à la page, iducia e lealtà. Questo si tira su a piene mani dal livre de poche, il «romanzo impossibile» di Cesare, imperdibile afascinante mixage del DJ Bermani. Traiettoria esistenziale, intellettuale, morale e politica di un rivoluzionario del Novecento, protopadre della bistratta Repubblica italiana. Invito perentorio a rinascere a se stessi, per se stessi, da se stessi. Se non altro per render conto, ciascuno nella sua onesta dimensione, della propria biograia, quasi un secondo parto operato da un ostetrico di sé (Francesco Omodeo Zorini).

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Maurilio Riva, 2022 destinazione Corno d’Africa, Libribianchi, Milano 2010, pp. 338

Maurilio Riva, ci conferma che oggi, quantunque le luci sembrino spente, è ancora più che mai tempo di racconto e di storia. Il passato si può riaprire, sia un passato di famiglia sia il passato dell’umanità, ché, quasi sempre, hanno più di un punto di contatto, o, per meglio dire, tendono a specchiarsi e a chiarirsi l’un l’altro. Sì, si può riaprire il passato, pergamena nella bottiglia; basta stapparla. La vita come acqua di un iume di presenze riempie ogni vuoto d’insaputo, di non detto, di rimasto in ombra inchiavardato in soitta o in fondo allo stipo. La lingua batte dove il dente duole. Noi storici indy-free-lance che ci incaponiamo a far scaturire il racconto dalla storia e la storia dal racconto, da decenni ci misuriamo attorno a questo assunto cruciale. Dice bene Sandro Portelli, quando aferma che «il contrario di un romanzo è solo un romanzo fatto in un altro modo» e che «un romanzo non è necessariamente raccontare una storia inventata». E, di rimando, si potrebbe aggiungere che chi racconta in cerca di verità sa che la vita non ha né trama né senso e che la storia non è, non è necessariamente racconto. Rino Riva sembra tenersi sospeso tra i due dettami e in forza di uno stato di neutralità teorica, ma di partecipazione afettiva coinvolta e coinvolgente, riesce a impaginare una narrazione convincente. La colloca in un tempo a venire, sicché aprire il passato fa dischiudere simultaneamente il futuro, e in tal modo par di assaporare, per paradosso, memoria di futuro alimentata da attesa del passato. Nonno Ri(no?)ri(va?), con accanto la «terza nonna» Graziana sepolto in meditazione e in adorazione del nipote Augusto nella casetta foderata di libri e quadri sul naviglio, consegna post mortem proprio a lui, la missione, a lungo accarezzata, di ripercorrere il viaggio di suo padre Luca, bisnonno di Augusto, compiuto nel 1935, irmaiolo aviere nella guerra coloniale fascista d’Abissinia, insieme ad altri due milioni di connazionali. Per mezzo e in virtù di una mappa del Corno d’Africa (ramid in lingua Afer radice, culla dell’umanità), da sè medesimo per culto pazientemente cartografata e disegnata, nonno Riri si fa tracciatore di piste, uiciale di rotta, diviene maestro di transito al pellegrinaggio iniziatico del ventiquattrenne nipote. Missione posticipata in un fantastorico 2022, allorché il novello Telemaco – sulle tracce dei passi perduti del

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bisavolo quasi a metabolizzarne il lutto e con intenzione di risarcimento scaravoltando lo scopo del viaggio – avrà la stessa età che aveva costui nell’intraprendere l’avventura di Faccetta nera. Gran bel modo di fare Storia e insieme racconto a tre livelli di scrittura, sovrimpressi e intrecciati: quello di due-tre vite prima di Luca, alter ego del sergente Luciano Riva, (per puntiglio ilologico reso in corsivo ornato nel testo!) portato alla stampa da lettere, cartoline snidate dall’armadio a muro e annotazioni e fotograie – «i dagherrotipi del bisavolo» – scattate ad Harar, Neghelli, Gorrahei, Borana. Un secondo livello di scrittura è quello messo in bocca al migrante del futuro e poi c’è quello dell’autore presente, efettivo protagonista di Destinazione Corno d’Africa nel 2009, quasi reporter aiancato a missioni umanitarie di aiuto alle popolazioni più oppresse del globo. Ad «Acqua per la vita onlus» volontari di Alba, da notare, vanno i diritti d’autore del libro. Suoi gli incontri d’amicizia sul «Bisagno», cargo che lo conduce a Gibuti, con l’archeologa franco-marocchina esperta di architetture rupestri copte (la cui «avvenente e cordiale giovinezza» dà il la alla stesura del libro) e con il franco-algerino (entrambi sangue misto, alla faccia di chi si ostina a deprecare l’ineluttabilità di una società multiculturale e interetnica) ailiato a Medici senza frontiere. Schizzato carboncino il ritratto di don Lorenzo, prete operaio iglio di un comunista della Falk di Sesto San Giovanni, in missione tra i Galla, nella terra delle «genti del mattino». Percorso a ritroso della memoria mentre il borderau di viaggio si dipana in avanti. Comprimendo e dilatando il tempo si fa esplodere lo spazio, spazio d’esplorazione del continente africano umiliato e ofeso, devastato, cancellato, e dei suoi abitanti, e dei loro desolanti problemi di sopravvivenza. Spazio irredento inconciliato inespiato. Ammirevole coraggio dell’A. d’immaginare il futuro, di trasporlo nella carta, di presumere di volersene fare gli afari. Backstage di un’epoca ventura con un Papa cinese succeduto al Papa Nero, banditore di un Vaticano III all’insegna della rigorosa inlessibile uguaglianza evangelica. Eppure mondo di suprematismo neoliberista feroce, che spregna mostri, ormai in bilico sull’estremo lembo del piano inclinato dello sprofondo, guerre multiple persistenti, accaparrazione e uso criminale delle risorse, cicli naturali ed economici stravolti, espilazione della ricchezza e esasperazione della disuguaglianza, caldere di crateri

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sociali in eruzione, ma nello stesso tempo universo creolo, metecio, a partire dalla famiglia del protagonista, giacché Augusto Cervantes navigatore, generato da esiliato sudamericano, appartiene già lui alla generazione meticcia dell’agire hic et nunc, nelle cui mani – messaggio di speranza e iducia – è il futuro. O tragicamente non sarà. Come dire: purché tutto ritorni al futuro. Una prova, questa di Riva, che oltrepassa la pur notevole precedente ardua impresa di confronto a distanza e di incontro ravvicinato tra il partigiano vergantino sui generis Tito e Fenoglio-Johnny, e che, adottando, percosidire, l’identico schema tripartito, si presenta con maggior leggibilità e attrattività e, a gusto e giudizio di chi scrive, è decisamente meglio riuscita. Ci sono passaggi lungo tragitti memoriali denfatizzati con corollari di deviazioni possibili e mai realizzate, di incontri ed eventi, di strade e soste in luoghi dell’infanzia, in canzoni della giovinezza, giochi di sguardi, di nostalgie e gioie minute, oferti in palmo di mano con cortesia antica, nel cellofan di uno schermo protettivo pedagogico di tenerezza. Il futuro, dicono, è come un neonato. È un libro di poeti e scrittori a fare da contraltare letterario, ci informa il risvolto di copertina. Rimbaud, innanzi tutto: il poeta calatosi due volte all’enfer e per due volte risalito a favoleggiarlo con la propria cetra. I classici sono enzimi che circolano nel nostro sangue e ancora i loro versi risuonano nelle nostre parole e ne animano le immagini mentali. Autodidatta di qualità, Maurilio Riva, non desiste dal disseminare la sua opera di riferimenti didascalici, storici, sociologici, economici, geograici (ab ovo: da Pangea-Panthalassa tutta terra-tutto mare del giorno della creazione…) che gli vengono dalla smisurata passione per le buone letture, perché crescere è leggere, e dalla solida formazione politica e sindacale. Sgrana dati, chiosa, apre parentesi, pone in calce note biograiche. Ha dell’altro in serbo, ci fa sapere, l’A., e rimaniamo compiaciuti in attesa (Francesco Omodeo Zorini).

Grazie Marcella. Raccolta di testimonianze in onore di Marcella Balconi. Medico, pioniera della psicanalisi infantile in Italia (1919-1999), Quaderni ArsDiapason, Torino 2010, pp. 232

318 Una vita in forma di dialogo. Marcella Balconi 1919-1999, a cura di Giuseppe Veronica, Istituto storico della Resistenza P. Fornara di Novara, Borgomanero 2009, pp. 160, ill.

In occasione del decennale della morte sono usciti due libri per ricordare la igura di Marcella Balconi (1919-1999), pioniera della neuropsichiatra infantile nel nostro Paese, e non solo. Tra le prime laureate in medicina in Italia, ancora studentessa Marcella fece le prime esperienze professionali aiancando il padre, medico condotto a Romagnano Sesia (NO), nel suo ambulatorio. Dopo la laurea in medicina a Pavia entrò nella Resistenza come ispettrice del servizio sanitario, operò in Valtellina e successivamente presso il comitato regionale piemontese delle Brigate Garibaldi a Torino. L’esperienza resistenziale determinò le sue scelte di vita: abbandonò infatti l’ambiente accademico per dedicarsi al servizio sanitario pubblico, nel quale poteva conciliare le proprie scelte politiche e sociali (era comunista) con l’attività medico-scientiica. Dichiarò in uno scritto del 1984: «al ritorno [dall’esperienza partigiana, n.d.A.] ho giurato che avrei fatto il possibile per rendere più facile e piacevole la vita dei bambini e per creare una generazione che non dovesse sopportare il peso della guerra e avesse la gioia di vivere. Era la mia risposta alla morte e all’angoscia di morte, con gesti che volevano essere riparativi». Marcella Balconi dedicò dunque tutta la vita ai bambini, normalmente o diversamente dotati, con problemi psichiatrici o psicologici, con diicoltà di adattamento scolastico, con ritardi dovuti semplicemente alla loro condizione sociale – esemplari i suoi interventi sulla condizione scolastica dei bambini immigrati dal Sud d’Italia nel Novarese –. Ma si dedicò anche, senza risparmio di energie, alla formazione degli operatori del servizio di psichiatria, all’aggiornamento degli insegnanti, alle necessità delle famiglie (precorrendo di gran lunga i tempi fu a favore del tempo pieno scolastico e dell’istituzione degli asili nido). Partecipò direttamente alla vita politica come consigliera provinciale, sindaco di Romagnano Sesia, parlamentare dal 1963 al 1968. Il primo dei due libri che ora le vengono dedicati ne fa rivivere la igura attraverso testimonianze sia personali che professionali, molte delle quali inedite, di colleghi, amici, pazienti, storici, collaboratori. Si tratta del volume Grazie Marcella. Raccolta di testimonianze in onore di Marcella Balconi. Medico, pioniera della psicanalisi infantile in Italia (1919-1999), uscito per i tipi delle edizioni A&T di Torino. Chiudono il volume un’appendice contenente materiali informativi ed una bibliograia. Ars Diapason, tra l’altro, cura ed aggiorna anche un

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interessante sito dedicato a Marcella: http://www.marcellabalconi.altervista.org/. Il secondo libro si intitola Una vita in forma di dialogo. Marcella Balconi 1919-1999 ed è pubblicato dall’Istituto Storico della Resistenza di Novara. Introdotto da Francesco Omodeo Zorini è curato da Giuseppe Veronica al quale si devono i capitoli del volume più strettamente riguardanti la biograia della Balconi. Gli altri sono irmati da Jeannot Pajetta, Claudia Banchieri, Elvira Pajetta, Giancarlo Grasso ed Enrica Crivelli. Proprio Grasso e Crivelli ben sintetizzano un aspetto fondamentale della personalità – e del fascino – di Marcella: «Un tratto peculiare in Marcella Balconi è la stretta continutà tra sfera privata personale e sfera degli interessi culturali e scientiici, un quasi immediato e spontaneo trascorrere dell’attenzione dalle fantasie ed emozioni più intime a quelle suscitate in lei dall’altro, bambino o adulto, paziente o collaboratore, passare dalle esperienze attuali a quelle connesse con la storia precedente» (p. 123). Per concludere, mi sia consentita una testimonianza personale. Mia madre, maestra elementare per quarantadue anni in diverse piccole località, normalmente non indirizzava volentieri le famiglie di piccoli alunni con diicoltà di apprendimento a psicologi. Sapeva che nella maggioranza dei casi il motivo della diicoltà era dovuto all’essere igli di famiglie di recente immigrazione dal Sud d’Italia, o anche all’essere residenti in una frazione isolata quando le comunicazioni con il centro del paese erano diicili. Temeva che, in quegli anni in cui i pregiudizi nei paesi erano tanti, le conoscenze scarse, questi bambini fossero etichettati e poi emarginati deinitivamente ed irrimediabilmente come «indietro» oppure «troppo originali», «molto lenti» - si diceva così, allora, con nemmeno troppo velati eufemismi -. La sola per la quale fece eccezione, consigliando diverse volte di rivolgersi a lei con completa iducia, fu la dottoressa Balconi: sapeva che da lei non c’erano da temere etichette, emarginazioni, diagnosi sbrigative. Sapeva che entrambe, lei cattolica praticante, la Balconi comunista (erano anni in cui queste diferenze venivano fatte pesare: ricordiamo la «scomunica» ai comunisti del 1949) operavano all’insegna del motto «maxima debetur puero reverentia» (Eleonora Bellini).

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notizie sugli autori di questo numero

Gianni Alasia - Figura di primo piano del sindacalismo e della politica torinese, ricordiamo fra i suoi scritti il volume del 1984 Socialisti, centro sinistra, lotte operaie: nei documenti torinesi inediti degli anni ’50-’60, edito a Torino dalla Cooperativa di cultura Lorenzo Milani.

Gabriele Bassi - Dal 2002 ha orientato gli studi universitari, condotti presso le università di Siena e San Marino, sul colonialismo italiano in Libia, conducendo ricerche sul materiale a stampa disponibile presso la Biblioteca Nazionale Centrale e l’Istituto Agronomico per l’Oltremare di Firenze. Dal 2004 si è inserito in un gruppo di studiosi legati al medesimo tema stabilendo contatti con il Lybian Studies Centre di Tripoli.

Eleonora Bellini - Collaboratrice dell’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola «P. Fornara».

Vanni Clodomiro - Presidente dell’Istituto di studi storici di Catanzaro e collaboratore di diverse riviste storiche, ha condotto studi sulle igure di Benedetto Croce e Gaspare Colosimo.

Angelo Del Boca - Da quarant’anni si occupa di storia del colonialismo e dei problemi dell’Africa d’oggi. Fra i suoi libri recenti: Gheddai. Una sida dal deserto, Laterza, 2010; Un testimone scomodo, Grossi, 2000; La disfatta di Gars bu Hàdi, Mondadori, 2004; Italiani, brava gente? Neri Pozza, 2005. Da poco è uscito, per i tipi della Baldini Castoldi Dalai A un passo dalla forca, con il quale ricostruisce la vicenda di uno dei protagonisti della resistenza libica all’occupazione italiana, Mohamed Fekini.

Stefano Fabei - Laureato in Lettere, insegna a Perugia. Tra le sue opere recenti: Il fascio, la svastica e la mezzaluna (Mursia, 2002), Una vita per la Palestina. Storia del Gran Mufti di Gerusalemme (Mursia, 2003), Mussolini e la resistenza palestinese (Mursia, 2005), I cetnici nella Seconda guerra mondiale (LEG, 2006), Carmelo Borg Pisani. Eroe o traditore? (Lo Scarabeo, 2007), La «legione straniera» di Mussolini (Mursia, 2008), Operazione Barbarossa (Mursia, 2009).

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A F - Nato nel 1970 a L’Aquila, ha intrapreso la carriera diplomatica nel dicembre del 2000. Dopo un periodo prestato al ministero degli Affari Esteri presso la Segreteria particolare del Sottosegretario di Stato e la Direzione Generale per i Paesi dell’Europa, dall’agosto del 2004 al luglio del 2008 è stato in servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Città del Messico ed è attualmente all’Ambasciata d’Italia a Città del Guatemala. È autore di diverse pubblicazioni su temi della sicurezza, dell’immigrazione e della identità europea. S F - Insegnante di storia e filosofia al Liceo classico Melchiorre Gioia di Piacenza, si è occupata di storia delle borghesie nell’Ottocento italiano, di associazionismo economico fra Otto e Novecento e ha toccato tematiche di storia di genere. Ha scritto su riviste italiane e straniere come «Quaderni storici» e «Histoire Économie et Société». Tra le altre pubblicazioni ha curato La Federconsorzi fra Stato liberale e fascismo, Laterza, Roma-Bari 1995 e Donne luoghi lavoro, Mazzotta, Milano 2003.

G P G - Laureato a Bologna, attualmente collabora con l’Istituto sondriese per lo studio della Resistenza e dell’età contemporanea occupandosi dell’organizzazione del movimento partigiano e del rapporto fra società e Resistenza.

F G - Giovane novarese, si è laureata recentemente presso l’Università del Piemonte Orientale con una tesi sulla storia e la memoria della deportazione alla luce dell’attività del Comitato del Consiglio regionale del Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana. M L - Novarese, membro dell’Associazione italiana per le scienze etno-antropologiche, è autore di diversi libri di viaggio e d’argomento antropologico, pubblicati da Mondadori, De Agostini e Sugarco, oltre che di saggi e reportage per periodici e quotidiani italiani e stranieri. A M - Ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento storicogeografico dell’Università di Pavia e presso altri enti e istituti storici. Ha pubblicato con La Nuova Italia nel 1990 un volume su Luigi Montemartini nella storia del riformismo italiano.

R M - Ricercatore in passato in ambito tecnologico chimico-fisico presso laboratori internazionali, da alcuni anni, concretizzando specifici interessi filosofici, è attivo in un gruppo di studio multidisciplinare, occupandosi in particolare del rapporto tra scienza, filosofia ed arte. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Attualmente risiede a Varazze.

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F O Z - Dirigente scolastico, dal 1998 presidente dell’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola «P. Fornara». Ha pubblicato tra l’altro: Conoscere la Resistenza novarese. Bibliograia ragionata, prefazione di A. Jacometti, Novara 1978; La formazione del partigiano. Politica, cultura, educazione nelle brigate Garibaldi, prefazione di Guido Quazza, Borgosesia 1990; Una scrittura morale. Antologia di giornali della Resistenza del Piemonte orientale, Borgosesia 1996; Piero Fornara il pediatra delle libertà, Novara 2005 G V - Già autore per l’Istituto novarese del volume Novara anni trenta, dedicato al fondo fotografico Fratelli Lavatelli, di recente ha curato Una vita in forma di dialogo. Marcella Balconi 1919-1999, Borgomanero 2009.

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