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4.1 I dubat e agli ascari arabo-somali nelle operazioni contro gli etiopici
Dalle fonti sono emerse una loro forte capacità militare, sia nella vigilanza lungo i confini che nel raid compiuto in territorio etiopico, e una capacità di destabilizzare lo schieramento avversario, portando molti individui ad abbandonare la resistenza anticolonialista per sottomettersi all’occupante fascista. Si è quindi registrato un mutamento nelle strategie adottate per la formazione dei reparti: se i reparti ascari erano formati da uomini provenienti dalla penisola arabica o da regioni della Somalia diverse da quelle dove venivano impiegati, per evitare che legassero con la popolazione, i dubat, come indicato sia da Zoli che da De Vecchi, spesso condividevano appartenenza clanica o parentele con le popolazioni delle regioni in cui prestavano servizio.
Il loro impiego non si fermò alla conquista definitiva della Somalia e allo sfruttamento della loro manodopera per la costruzione di strade, fortini e pozzi. I dubat prestarono infatti servizio anche nel corso dell’aggressione fascista all’Etiopia degli anni 1935-1936 e nel secondo conflitto mondiale. Questo impiego costituisce l’oggetto del prossimo capitolo.
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Capitolo Quattro
LE TRUPPE ARABO-SOMALE DAL FRONTE SUD DI RODOLFO GRAZIANI DURANTE LA SECONDA GUERRA ITALO-ETIOPICA AL CROLLO DELL’AFRICA ORIENTALE ITALIANA
4.1 I dubat e agli ascari arabo-somali nelle operazioni contro gli etiopici
Questo capitolo affronterà il contributo delle truppe della Somalia nel corso della campagna contro l’Etiopia e durante il secondo conflitto mondiale.
Come esposto nella introduzione a questo lavoro, le monografie riguardanti il contributo arabo-somalo alle operazioni sono, almeno per quanto riguarda i lavori consultati, molto più focalizzate sui dubat1. Anche la ricerca negli archivi ha offerto una quantità maggiore di materiale sulle azioni di questi reparti, rispetto a quelle degli ascari arabo-somali. Questo si rifletterà sul capitolo, che tratterà prevalentemente le vicende delle bande di confine rispetto agli ascari. In ogni caso, come si è visto nel capitolo precedente e si vedrà nel presente paragrafo, i dubat agirono spesso non solo con i loro graduati (sottocapi, capi e capi comandante), ma anche sotto il comando di graduati ascari, oltre ai pochi ufficiali italiani.
I dubat parteciparono alla campagna contro l’Etiopia ancora prima dell’inizio delle ostilità. Queste furono avviate tra il tardo pomeriggio del 2 ottobre, quando Benito Mussolini, senza una formale dichiarazione di guerra, annunciò con un discorso rivolto al popolo italiano che le forze armate avrebbero attaccato l’impero etiopico, e la notte del 3, nella quale l’esercito italiano, al comando del generale Emilio De Bono, passò il confine dell’Eritrea, iniziando l’invasione dell’Etiopia. I primi preparativi italiani di attacco risalivano al 1932, anno in cui Mussolini chiese al generale Emilio De Bono, Ministro delle Colonie, di preparare un piano di
1 Il Fondo Lasagni presso la biblioteca Amilcar Cabral di Bologna è stato consultato per questa tesi e per un precedente lavoro di tesi triennale. I testi sugli ascari sono presenti, ma riguardano soprattutto i reparti eritrei. Vd. Siro Persichelli, Eroismo eritreo nella storia d’Italia, Milano, Gastaldi, 1955; Gustavo Presenti, Storia della prima divisione eritrea: 8 aprile 1935-XIII-1 maggio 1936-XIV, Milano, L’eroica, 1937 ; Aldo Gatti, Il XV. Episodica guerriera di un battaglione eritreo, Roma, Barulli, 1969
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aggressione2. Il 31 maggio 1934, Mussolini, De Bono e il generale Pietro Badoglio ipotizzarono di scatenare un incidente di frontiera, per poterlo poi utilizzare, di fronte agli altri paesi, come giustificazione all’invasione3. Il casus belli si verificò al confine con la Somalia, e coinvolse i dubat. Nonostante i combattenti somali fossero, già a quella data, celebrati dalla propaganda e abbastanza conosciuti in Italia, soprattutto in seguito al sacrificio di 59 di loro a Qardho, fu con questo evento, avvenuto nella località di Wal Wal il 5 dicembre 1934, che si imposero maggiormente all’attenzione dell’opinione pubblica4. La località, nella regione dell’Ogaden, era contesa da Etiopia e Italia. Gli italiani lo avevano occupato nel periodo delle occupazioni dei sultanati, e gli etiopici cercavano di riprenderne possesso5. A Wal Wal era presente un fortino presidiato dai dubat. Intorno al fortino erano presenti le capanne per i dubat e le loro famiglie. Le abitazioni e il fortino erano state protette dai dubat con un recinto di frasche spinose, necessario a tenere lontani gli sciacalli e i leoni. La zona era particolarmente importante, data la scarsità d’acqua propria dell’Ogaden: a Wal Wal erano presenti 359 pozzi6. Il 22 novembre 1934 si avvicinò al fortino un contingente di 600 armati etiopici. Questi uomini intimarono ai 60 dubat presenti, comandati da due jusbasci, di abbandonare il fortino e disertare. I somali si rifiutarono e avvisarono il forte più vicino che, provvisto di ricetrasmittente, avvisò il governatore della Somalia Maurizio Rava, che si trovava a Muqdisho. Il capitano Francesco Cimmaruta, comandante delle bande di confine, sopraggiunse sul luogo7. Si creò una situazione di forte instabilità. Per molti giorni si susseguirono provocazioni italiane verso gli etiopici e alcuni ufficiali britannici, che volevano
2 Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta, op. cit., pp. 15 e 48 3 Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., pp. 185-187 4 (Alessandro Volterra, comunicazione personale, 4 luglio 2018) Sull’importanza dell’episodio di Wal Wal, che nelle pagine seguenti verrà affrontato focalizzandosi sui dubat, Del Boca dice che il fortino dei dubat entrò “di prepotenza nella storia dell’umanità(la disputa per il suo possesso non sarà soltanto all’origine del conflitto italoetiopico, ma anche della destabilizzazione del precario equilibrio europeo)”, alludendo alla sua strumentalizzazione, da parte della propaganda fascista, per arrivare al conflitto contro l’Etiopia, che a sua volta minò irrimediabilmente la Società delle Nazioni. Le reazioni tiepide e inadeguate delle potenze straniere, a cominciare dalla Gran Bretagna, di fronte all’aggressione fascista contro il paese africano, anticiparono la rottura dell’ordine europeo, che avrebbe portato pochi anni più tardi al secondo conflitto mondiale. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 245; Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., pp. 188-189 5 Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta, op. cit., p. 2 6 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., pp. 267-269 Le capanne dei dubat a Wal Wal vengono chiamate momdul in alcuni testi che descrivono l’episodio di Wal Wal, e sono descritte come abitazioni fatte di frasche tenute insieme da fango e sterco. Come detto nel precedente capitolo, il testo del governatore Rava riporta invece che i dubat e i loro familiari abitavano nelle capanne coniche chiamate tukul, diffuse in tutta l’Africa Orientale e utilizzate anche dagli ascari. Probabilmente, almeno a Wal Wal, i combattenti somali avevano costruito un diverso tipo di abitazione. Cfr. Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p. 268; Rava, Parole ai coloniali, op. cit., p. 259 7 Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., pp. 245-250
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raggiungere un accordo con gli italiani per permettere agli etiopici di circolare nell’area di Wal Wal: Rava mandò infatti alcuni aerei sul luogo, e i piloti effettuarono delle incursioni molto vicine agli anglo-etiopici, arrivando anche a puntare la mitragliatrice del velivolo contro i membri della commissione mista anglo-etiopica. Allo stesso tempo, gli armati etiopici e i dubat sul luogo aumentavano di numero, arrivando, rispettivamente, a 1600 e 400. Nel campo etiopico ricomparve il leader somalo Samantar. Gli uomini di Samantar rinfacciarono, in questi giorni, ai dubat di combattere con gli occupanti del loro stesso paese. La tensione crebbe fino a esplodere il 5 dicembre 19348 . L’episodio è complesso, anche perché presenta due versioni diverse. In questo lavoro si è optato per presentare i telegrammi inviati dalle autorità italiane subito dopo l’accaduto, per poi confrontarli con la versione etiopica, riportata da Del Boca. Il governatore Rava informò De Bono:
“Attacco sferrato in forze et improvvisamente da abissini […] senza alcuna provocazione da parte nostra, dopo prima violenta resistenza, costrinse dubat at arretramento, sempre però al di fuori dei fortini stop All’alba di oggi sei dicembre riaccesosi combattimento, dubat superarono ogni resistenza degli avversari et accompagnati da carro armato et con ausilio dell’unico apparecchio rimasto efficiente (nel testo) sfondarono linea abissina infliggendo ingentissime perdite stop Armati […] furono messi in fuga et abbandonarono ingente bottino armi […] Tutti accampamenti abissini sono presidiati nostri dubat i quali attendono at costruzione fortini laterali et sistemazione nuova linea sotto guida Cap. Cimmaruta stop Maggiore Montanari segnala brillante comportamento ufficiali et sottufficiali nominativamente et alto spirito dubat”9 .
Alcuni ulteriori dettagli venivano forniti, lo stesso giorno, dal maggiore Umberto Montanari10 . I dubat, l’aereo, l’autoblindo e il carro armato (i mezzi erano utilizzati da equipaggio italiano) inseguirono più volte gli avversari, anche se in un raggio abbastanza limitato rispetto al fortino. Gli ufficiali italiani e i graduati dell’equipaggio del carro vengono elogiati nel documento, come i dubat. I miliziani somali sono paragonati ai mastini, dato che non rinunciarono a inseguire i combattenti, indicati come “preda”. Con lo stesso telegramma,
8 Ibidem 9 AUSSME, Fondo D2-Carteggio operativo Comando Forze Armate Somalia, b. 1,fasc. 1, telegramma di Rava a De Bono, 6 dicembre 1934. Non viene indicata la provenienza del telegramma, lo stesso veniva però spedito da Rava che, come indicato dalle fonti, si trovava a Muqdisho. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., pp. 245-250 10 L’ufficiale era l’ispettore dei dubat. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 248
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venivano richiesti altri aerei, carri e munizionamento per i Mannlicher dei dubat11. Nello scontro morirono 20 dubat, tra cui un capo comandante, un capo banda e due sottocapi12. Al bilancio se ne aggiunse un altro, che non sopravvisse alle ferite e morì pochi giorni dopo. Le perdite tra etiopici e resistenti somali furono invece 11013 .
In realtà, non è acclarato chi abbia sparato il primo colpo. L’episodio anticipò, in piccola scala, alcune costanti della guerra che Mussolini avrebbe scatenato meno di un anno dopo. Gli etiopici furono devastati dal bombardamento e mitragliamento aereo, che fu determinante nell’esito dello scontro. Questo non toglie che i dubat si impegnarono molto nel combattimento, arrivando a esplodere 40.000 colpi. I morti nello schieramento italiano furono esclusivamente somali, mentre tra ufficiali e graduati italiani non si registrò nemmeno un ferito lieve14. Cimmaruta, promosso maggiore dopo l’episodio, scelse 6 dubat che vennero portati in aereo a Roma, per essere ricevuti personalmente da Mussolini. La propaganda italiana premette molto sull’eroismo dimostrato dai somali nella cosiddetta “battaglia dei pozzi”15 .
Nei mesi seguenti, le colonie di Eritrea e Somalia furono trasformate dagli italiani in enormi “trampolini di lancio” per colpire l’Etiopia. Il paese venne infatti attaccato sia da nord che da sud. Le forze che partirono dall’Eritrea furono comandate inizialmente dal generale De Bono, sostituito in novembre dal maresciallo Pietro Badoglio, dato che Mussolini considerava l’avanzata del primo eccessivamente lenta
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. Dalla Somalia, l’attacco venne invece diretto dal generale Rodolfo Graziani, che era anche governatore della colonia. I dubat combatterono sotto Graziani, nel cosiddetto fronte sud. Il materiale riguardante la campagna italo-etiopica consultato per la ricerca riguarda quindi questo teatro di operazioni17. Il fronte sud fu un teatro
11 AUSSME, Fondo D2-Carteggio operativo Comando Forze Armate Somalia, b. 1,fasc. 1, telegramma di Montanari a Governo della Somalia Italiana, Uardere, 6 dicembre 1934 Secondo quanto indicato da Del Boca, nel corso del 6 dicembre vennero inviati tutti gli aerei italiani disponibili in Somalia. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 251 12 AUSSME, Fondo D2-Carteggio operativo Comando Forze Armate Somalia, b. 1,fasc. 1, telegramma di Montanari a Governo della Somalia Italiana, Uardere, 8 dicembre 1934 13 AUSSME, Fondo D2-Carteggio operativo Comando Forze Armate Somalia, b. 1,fasc. 1, telegramma di Montanari a Governo della Somalia Italiana, Uardere, 8 dicembre 1934 14 Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 251
15 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p. 275 16 Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., pp. 190-191 17 L’invasione italiana dell’Etiopia fu la più grande guerra coloniale di sempre per numero di uomini, copia e modernità dei mezzi e rapidità di approntamento. Venne superata solo dalle campagne in Indocina e Algeria, che però durarono diversi anni, mentre gli italiani sconfissero le forze etiopiche in pochi mesi. Gli italiani, sia sul fronte nord che sul fronte sud, fecero un massiccio impiego di aviazione, artiglieria e carri armati, tutti strumenti 150
autonomo da quello eritreo. Gli studi condotti dai generali nei mesi precedenti all’attacco, davano alla Somalia un compito secondario ed esclusivamente difensivo. Mussolini decise però di cambiare questa scelta strategica. Egli inviò in Somalia un uomo, Rodolfo Graziani, che si era già distinto nelle brutali operazioni di “pacificazione” della Libia, ambizioso e ideologizzato. Mussolini si impegnò a dotarlo di mezzi e uomini in misura superiore a quanto previsto dai precedenti piani. Graziani, all’inizio delle ostilità, aveva radunato 1650 ufficiali, 1550 sottufficiali, 21150 soldati italiani, 29.500 tra somali, eritrei e arabi. All’inizio del 1936, alle truppe di Graziani venne aggregata una divisione libica. Per quanto riguarda i mezzi, sempre all’inizio del conflitto (gli invii non cessarono mai), in Somalia erano operativi 2700 automezzi e 38 aerei18. Anche in seguito alla minore reputazione che gli ascari arabo-somali avevano rispetto agli eritrei, nel corso del 1935, gli ufficiali avevano incrementato gli arruolamenti dei dubat, che vennero portati a un numero tra i 25 e i 30.00019 .
I dubat vengono sempre elogiati nei testi sul conflitto etiopico, e il contenuto di queste pubblicazioni verrà analizzato soprattutto nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, focalizzato sulla percezione che i fascisti avevano di questi uomini. Per quanto riguarda invece il loro contributo effettivo, al momento di iniziare la ricerca, era stato trovato uno spunto importante nel testo Le guerre italiane 1935-1943. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta dello storico Giorgio Rochat. Lo studioso scrive che era da capire “se i dubat somali fossero efficienti
che agli etiopici mancavano o dei quali disponevano in misura molto limitata, e che pesarono enormemente sull’esito del conflitto. Su tutti, il peso maggiore lo ricoprì l’aviazione, che ricorse a bombardamenti e utilizzo di gas, con risultati devastanti. Nonostante questo straordinario impiego tecnologico e l’uso maggiore di truppe italiane (Mussolini volle una guerra “nazionale” e fascista, e la truppa italiana diventò la maggioranza rispetto agli ascari), reparti eritrei, somali, libici e arabi vennero impiegati in tutto il conflitto e diedero un importante contributo. Inoltre, come sottolineato dallo storico militare Rochat, i comandi si sentivano più liberi di sacrificarli, sapendo che l’opinione pubblica italiana non ne sarebbe rimasta particolarmente turbata. Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta, op. cit., pp. 35- 46 Anche se l’impiego dell’aviazione non riguarda direttamente questo lavoro, data l’importanza della stessa nel corso dell’intero conflitto, si riporta il contenuto di un telegramma trovato nel corso della ricerca presso l’Archivio Centrale dello Stato. Il diplomatico Mario Badoglio, figlio del comandante del fronte nord, fu informato da Graziani che, in seguito all’uccisione e decapitazione di un aviatore italiano da parte etiopica, Graziani stesso aveva scatenato una rappresaglia sul fronte del Gùba e dell’Ogaden. La rappresaglia venne eseguita mediate “bombardamento aereo gas asfissianti”, che colpì anche un ospedale, dato che un comandante etiopico vi si era rifugiato. Nel corso del bombardamento, era rimasto ferito un medico svedese. Cfr. ACS, Fondo Graziani, b. 15, fasc. 21, telegramma di Mario Badoglio al Ministero degli Esteri, Makallè, (non datato). Per le generalità di Mario Badoglio Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 442 18 Ivi, pp. 46-47 e 70-71 Mussolini decise di modificare i piani originali per assicurarsi un conflitto che fosse il più possibilmente rapido. La guerra durò 7 mesi. Le forze partite dall’Eritrea arrivarono ad Addis Ababa il 5 maggio1936, mentre le truppe di Graziani raggiunsero Harrar l’8 maggio. Cfr. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., p. 187 e 192 19 Data la cifra precedente, fornita dallo stesso Rochat, che indica come 29.500 il numero corrispondente agli effettivi arabi e somali impiegati all’inizio delle ostilità, emerge che non tutti i dubat arruolati nel 1935 vennero impiegati in azioni di guerra da subito. In ogni caso, è evidenziato un particolare interesse dei comandi per questi combattenti. Ivi, p. 41
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come vuole la propaganda”. Sempre Rochat, invita alla consultazione di un’opera del Comando delle forze armate della Somalia, dal titolo La guerra italo-etiopica. Fronte sud . Questo lavoro, diviso in più volumi, pur essendo stato fatto pubblicare da Graziani nel 1937, viene descritto nel testo di Rochat come dettagliato e poco autocensurato, dato che presenta addirittura dei riferimenti all’impiego criminale dei gas. Rochat aggiunge che, per avere un quadro delle operazioni sul fronte sud, questo sia molto più utile delle memorie dei protagonisti, autocelebrative e, talvolta, caratterizzate da falsi e omissioni. Si è proceduto con la consultazione dei volumi, presenti nella biblioteca Amilcar Cabral di Bologna. Il lavoro conferma una grande importanza dei dubat nelle operazioni, anche se offre una trattazione più essenziale e meno appesantita dalla propaganda.
All’inizio del 1935, i dubat dipendevano dai commissari regionali della Somalia, che li impiegavano in attività di vigilanza lungo la frontiera. Il Comando delle forze armate della Somalia, pur considerando tali armati come caratterizzati da una “natura individualistica e orgogliosa”, che necessitava di una disciplina diversa dai battaglioni regolari arabo-somali del RCTC Somalia, decise, in vista delle ostilità, di portarli sotto il controllo del RCTC20 . I comandi erano infatti memori dell’importanza rivestita dai dubat nel corso delle operazioni nella Somalia settentrionale, avviate circa un decennio prima. I dubat rimasero reparti separati dagli ascari, dal momento che gli effettivi non vennero inquadrati nei reparti, ma nel conflitto si trovarono a dipendere dagli stessi comandanti21. Alla mobilitazione, vennero costituiti 4 gruppi mobili, ognuno composto da 900-1000 dubat. Ogni gruppo contava 5 ufficiali italiani22. I gruppi erano comandati da un ufficiale superiore. Si dividevano in un numero, variabile, di sottogruppi, ognuno dei quali posto al comando di un ufficiale inferiore. I sottogruppi a loro volta erano divisi in bande, comandate dai capi banda e dai capi comandante dubat. Ogni ufficiale inferiore, nel comando di un sottogruppo, era assistito da uno jusbasci degli ascari regolari23 . Prima dell’avvio delle operazioni, i comandi disposero la sostituzione delle tradizionali fute bianche con fute di colore kaki, perché la caratteristica
20 Comando delle forze armate della Somalia, La guerra italo-etiopica. Fronte sud : relazione, Vol. I, Addis Abeba, Ufficio Superiore Topocartografico del Governo Generale dell'AOI, 1937, pp. 107-108
21 Ibidem 22 Ibidem 23 Luigi Frusci, In Somalia sul fronte meridionale, Bologna, Cappelli, 1936, p. 36
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tenuta dei dubat sarebbe spiccata pericolosamente lungo il teatro operativo24 . L’armamento continuava a essere costituito dai fucili austroungarici Mannlicher (mentre gli ascari avevano i moschetti 1891). Nel corso delle operazioni, a differenza degli ascari, i dubat non disposero di gruppi di artiglieria, per mantenere la tipica mobilità. Nonostante questo, ricevettero alcune mitragliatrici pesanti Schwarzlose, sempre austroungariche25. Come si vedrà dai documenti selezionati per il lavoro, i dubat agirono soprattutto a piedi. Il testo del giornalista Marco Pomilio fa emergere che in alcuni casi i dubat utilizzarono i cammelli. L’uso dei quadrupedi sarebbe stato però limitato, dato che vi furono numerosi casi di decessi di animali per malattie e sforzi eccessivi. Per queste ragioni, anche quando li avevano a disposizione, i dubat li caricavano con pesi relativamente leggeri26 .
A partire dal settembre 1935, per ordine di Graziani, i comandi concentrarono tutte le famiglie dei dubat in alcune località, tra cui Doolow, Luuq, Wal Wal e Mustaxiil. Gli ufficiali temevano sia infiltrazioni di etiopici o somali filo-etiopici, che sconfinamenti da parte di dubat. Era quindi opportuno, per gli italiani, limitare la libertà di questi nuclei familiari. Non solo essi vennero concentrati in determinati luoghi, scelti dalle autorità fasciste, ma furono anche sottoposti al controllo esercitato dagli zaptiè27. Il generale di divisione Luigi Frusci, sottoposto di Graziani, assunse il comando degli ascari arabo-somali, eritrei e libici e dei gruppi dubat. I combattenti vennero sottoposti alla stessa disciplina degli ascari anche per quanto riguardava il codice penale.
Il loro comportamento nel corso delle operazioni è definito, nel testo del comando, come brillante, in qualsiasi luogo operativo e durante tutta la durata del conflitto, distinto da “valore, aggressività, spirito e orgoglio di razza28 . Come si può osservare da queste ultime parole, la maggiore concretezza e importanza, ai fini di una comprensione il più possibile obiettiva del ruolo dei dubat, dei volumi suggeriti da Rochat e dei documenti d’archivio consultati, rispetto ai libri, non toglie il fatto che, oltre ovviamente alla parzialità, elementi di
24 Ivi, p. 35 Il colore bianco, ovviamente, impediva ogni forma di mimetismo anche durante i compiti di sorveglianza lungo i confini propri dei dubat. Anche se non veniva specificato, tale modifica all’abbigliamento dei dubat poteva essere dovuta al fatto che le bande di confine si trovarono, in questi mesi, impiegati al fronte come le altre truppe e insieme ad esse. Analogamente, anche i carabinieri, che durante i loro servizi urbani indossano una divisa di colore nera o blu scuro, quando sono impiegati in Iraq o in Afghanistan vestono una mimetica desertica. 25 Ivi, pp. 31-36 26 Marco Pomilio, Con i dubat, Fronte Sud, Firenze, Vallecchi, 1937, pp. 43-45
27 Comando delle forze armate della Somalia, La guerra italo-etiopica. Fronte sud : relazione, Vol. I, op. cit., pp. 355-356 28 Ivi, p. 108
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retorica e propaganda siano presenti anche nella documentazione dei comandi. Un esempio particolarmente calzante in tal senso consiste in un telegramma inviato dal generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le camicie nere parteciparono, insieme alle forze armate, all’aggressione) Augusto Agostini a Graziani, dopo uno scontro. Il generale delle camicie nere era convinto che lui e i suoi uomini riuscirono a trionfare contro un nemico
potente solamente grazie alla dedizione verso il Duce, un capo che sarebbe stato da loro “prescelto”. Secondo il comandante fascista, subito dopo la battaglia, i suoi caduti “erano già in marcia”, per guidare lui stesso e i suoi uomini ancora in vita verso nuovi obiettivi, che sarebbero stati pronti a ricevere a partire dall’indomani, in linea con il culto della morte tipico dell’ideologia fascista
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. Nonostante questo, il materiale d’archivio consultato, nella maggior parte dei casi, era funzionale alla catena di comando, e quindi all’andamento del conflitto stesso. Deriva da ciò una maggiore attendibilità nella trattazione degli episodi, rispetto a testi pubblicati successivamente, volti ad elogiare il regime, la guerra e i suoi protagonisti.
Se l’opera La guerra italo-etiopica. Fronte sud, nella sua parte introduttiva e riassuntiva dell’intero conflitto, riporta già che i dubat diedero prova di combattere eccellentemente, lo stesso lavoro prosegue, per il resto del primo volume e dei seguenti, con una impressionante serie di telegrammi, simili per tipologia e materia a quelli consultati nel Fondo Graziani, presso l’Archivio Centrale dello Stato. Molti di questi documenti confermano, a livello di singoli scontri, quanto introdotto nella stessa opera.
Il 17 ottobre 1935, un sottogruppo del IV gruppo bande, dopo aver faticosamente traghettato un fiume, effettuò un “colpo di mano” contro gli etiopici a Bur Dodi. Persero un uomo, ma eliminarono 10 avversari. Dopo aver incendiato il paese e i fortini, i dubat rientrarono a Mustaxiil30. Il giorno seguente, il secondo gruppo bande, forte di 500 dubat e comandato da 5 ufficiali, partecipò alla battaglia del Dagnerei, una collina di 500 metri presidiata da 250 soldati etiopici. Gli italiani impiegarono 6 aerei. Uno di questi uccise subito, con una bomba, i serventi etiopici della contraerea, eliminando l’unica possibilità per l’esercito etiopico di contrastare l’aviazione in quello scontro31 . Il resoconto, pur ammettendo l’importanza dell’aviazione, definita “efficacissima”, riconosce alcuni grandi meriti ai dubat. Dopo
29 ACS, Fondo Graziani, b. 17, fasc. 21, telegramma di Agostini a Graziani, provenienza indicata con R M, 27 gennaio 1936 30 Comando delle forze armate della Somalia, La guerra italo-etiopica. Fronte sud : relazione, Vol. II, Addis Abeba, Ufficio Superiore Topocartografico del Governo Generale dell'AOI, 1937, pp. 355-356
31 Ivi, pp. 44-45
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l’azione degli aerei, gli etiopici ingaggiarono un combattimento contro il sultano somalo Olol Dinle, che con i suoi uomini si era posto al servizio di Graziani (di lui si dirà nel secondo paragrafo). I difensori riuscirono, con fucili e mitragliatrici, a eliminare un certo numero di combattenti di Dinle, lasciando però scoperto il fianco sinistro. I dubat del secondo gruppo attaccarono le posizioni scoperte32 :
“La sorpresa derivata produceva un grave senso di disagio nei difensori: i dubat resi più arditi dalla disordinata reazione del nemico avanzavano audacemente per l’alto e sul tergo della posizione che in breve veniva occupata. I difensori, compresi i feriti non gravi, dopo aver danneggiato le armi e quanti più materiali potevano, si davano alla fuga protetti dalla fitta boscaglia. […] Alle ore 17 del 18 ottobre il Dagnerei era in nostro possesso. […] Gli ufficiali, i pochi uomini di truppa e i dubat si sono comportati e battuti valorosamente. Soprattutto è da segnalare lo spirito di sacrificio e di combattività da essi dimostrato: basterà accennare al fatto che per passare dalla riva destra alla riva sinistra dell’Uebi Scebeli e del vasto allagamento i dubat avevano a disposizione solo una barca e due zattere di circostanza. Molti uomini passarono a nuoto non senza pericolo, data la presenza di coccodrilli. Il passaggio sul vasto allagamento si protrasse per tutta la notte e il mattino del 18; comunque, i dubat non mostrarono di risentire della fatica”33 .
Graziani in persona inviò al maggiore Fava, comandante del gruppo dubat protagonista dell’azione, un telegramma. La lettura di questo documento permette di osservare il suo personale compiacimento per la “brillante” azione dei dubat34. Nello scontro, la potenza distruttiva dell’aviazione, impossibile da contrastare per gli etiopici, venne supportata da una truppa somala addestrata, fin dalla sua costituzione, a resistere alla fatica e ad agire velocemente.
Il generale della milizia fascista Agostini, nel gennaio 1936, guidò invece i suoi uomini, le camicie nere forestali, insieme ai dubat, verso la località Malka Murri. Camicie nere e dubat erano supportate dalle autoblindo35. Il gruppo di 4 bande dubat aggregato alle camicie nere di Agostini era comandato da Camillo Bechis36. Lungo il tragitto, Agostini ordinò alle sue forze
32 Ivi, pp. 46-48 33 Ibidem 34 Comando delle forze armate della Somalia, La guerra italo-etiopica. Fronte sud : relazione, Vol. III, Addis Abeba, Ufficio Superiore Topocartografico del Governo Generale dell'AOI, 1937, p. 51 35 ACS, Fondo Graziani, b. 17, fasc. 21, telegramma di Agostini a Graziani, R.M., 21 gennaio 1936 36 Augusto Agostini, Colonne, Roma, Colombo, 1940, p. 148 Un telegramma interessante riguarda la considerazione di Graziani su Bechis e, in particolare, sul suo rapporto con i dubat. Bechis, già fedelissimo di De Vecchi, venne voluto in Somalia settentrionale, nei mesi precedenti all’aggressione, personalmente da Graziani, 155
di compiere un attacco nella zona di Malka Ghersi. I morti etiopici furono 400 in questa sola occasione37. Dal punto di vista del comandante della milizia, particolarmente fanatico, il comportamento dei miliziani fascisti e dei dubat, che avrebbero gareggiato tra loro nel corso delle azioni, era “superiore ad ogni elogio”, grazie anche all’entusiasmo portato alle truppe dalla presenza delle autoblindo. Inoltre, nel telegramma di Agostini viene segnalato che il buluk-basci Erzi Dirce dimostrò un valore “eccezionale”. Il sottufficiale somalo, anche se gravemente ferito, rimase con Agostini per proteggerlo personalmente, riuscendo a uccidere 2 etiopici da ferito38. Il 26, Agostini comunicò a Graziani l’occupazione di Malka Murri, insieme ai bilanci, schiaccianti per gli etiopici, degli ultimi giorni di combattimenti: 1800 morti etiopici contro 3 perdite tra i dubat e 3 camicie nere39 .
Oltre ai telegrammi, un tipo di fonte che si è rivelata particolarmente utile per la ricerca è il diario storico. I diari permettono di seguire, spesso giorno per giorno, le vicende di un reparto lungo un dato periodo di tempo. Il fondo D6 dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito contiene i diari storici della guerra italo-etiopica. Sono stati consultati quelli relativi ai reparti dubat. Il materiale raccolto dai diari è risultato numeroso, dato che per più reparti è stata consultata documentazione riguardante diversi mesi, divisa per giorni. Ovviamente, nei diari sono presenti giornate contraddistinte da espressioni come “nulla di nuovo da segnalare” e indicazioni meteorologiche, dal momento che gli ufficiali documentavano ogni giornata, e non solo i combattimenti. In questo elaborato si è cercato di selezionare eventi e descrizioni, per quanto possibile, differenti l’una dall’altra, nel tentativo di cogliere più aspetti possibili sui dubat.
nonostante il parere negativo di altri politici e ufficiali fascisti. Nel telegramma di Graziani non sono specificati i motivi, ma il gerarca, nonostante molti politici vedessero Bechis, divenuto tenente colonnello, come un pericolo, lo considerava una garanzia. Graziani dava a Bechis importanza in quanto riteneva l’ufficiale un grande conoscitore dei somali. Secondo Graziani, questi avevano per lui “sacro timore”, ma Bechis era in grado di trattarli in modo equo. Queste doti avrebbero impedito agli etiopici di riuscire a far disertare i dubat, data la presenza di un ufficiale per loro tanto temuto ma capace di rispettarli. Cfr. ACS, Fondo Graziani, b. 13, fasc. 19, telegramma di Graziani a De Bono e a Lessona, provenienza non indicata, 6 giugno 1935 Bechis diede molta importanza al comando dei dubat e, nonostante la scelta di Graziani in suo favore, mesi dopo ci furono degli attriti tra i due, proprio per quanto riguardava il controllo sui dubat da parte del loro primo comandante. Infatti, nel febbraio del 1936, Graziani inviò un telegramma al generale Luigi Frusci, con il quale ordinava di scoraggiare iniziative avventate proposte da Bechis. Graziani riferiva a Frusci che Bechis si era lamentato presso “qualcuno a Roma che io non lo lasciassi troppo lavorare con i dubat”. Evidentemente, per il colonnello Bechis pesava non poter più gestire le sue bande in completa autonomia, come faceva sotto De Vecchi un decennio prima. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, op. cit., p. 664
37 ACS, Fondo Graziani, b. 17, fasc. 21, telegramma di Agostini a Graziani, R.M., 21 gennaio 1936 38 Ibidem 39 ACS, Fondo Graziani, b. 17, fasc. 21, telegramma di Agostini a Graziani, R.M., 26 gennaio 1936 156
Uno di questi, classificato come Bande Bechis, venne tenuto personalmente dal primo organizzatore dei dubat, mentre li comandò in Etiopia. Tra i suoi ufficiali, al comando di una banda, era presente anche il tenente Giorgio De Vecchi, figlio di Cesare Maria e autore della monografia Dubat. Gli arditi neri. Con riferimento alla condotta dei dubat, più volte ricorrono espressioni come “morale elevatissimo”40. In una relazione del maggiore Riccardo Gambrosier, un altro ufficiale di Bechis, viene descritto un combattimento avvenuto alla fine di aprile del 1936 nella località di Gunegado. Dopo l’azione di aerei e artiglieria, gli etiopici si erano nascosti in alcune caverne nella zona. Le bande di Bechis iniziarono l’ occupazione dell’area41. A quel punto, dalle caverne, gli etiopici cominciarono a fare fuoco. Anche in questo caso, viene indicato da Gambrosier che “rifulse subito il grande coraggio” dei dubat. Uno degli ufficiali, il sottotenente Balestra, si offrì volontario per andare all’assalto delle grotte e lanciare al loro interno delle bombe a mano. Ci riuscì solo grazie al fuoco di copertura dei somali. Nonostante la riuscita di questa azione, altri combattenti etiopici continuarono a resistere, da altre caverne. A quel punto, furono 5 dubat che si offrirono volontari per compiere un assalto con bombe a mano. I somali non avevano queste armi in dotazione, ma, dopo averle ricevute, realizzarono una analoga “azione brillante”, che chiudeva un combattimento durato 7 ore. Nel diario viene riconosciuto, cosa rara nelle fonti fasciste, il valore dei difensori etiopici, definiti da Gambrosier come prodi42 .
Nel diario del quinto gruppo bande, tenuto dal suo comandante, il capitano Luigi Cucchi, in data 30 aprile 1936, viene riportato che il gruppo venne aggregato a una colonna di ascari libici, in direzione del paese di Dagabur. Dopo che i dubat percorsero 50chilometri, venne comunicato all’ufficiale che il paese era stato nel frattempo conquistato, e che quindi lui e i suoi reparti dovevano rientrare a Daga Medò. Dopo essere rientrati, il giorno dopo, i dubat concorsero a sistemare un campo di aviazione43. Nel corso della giornata, una pattuglia del gruppo, precedentemente inviata in esplorazione, rientrò: avevano incontrato etiopici in fuga,
40 Il fondo presenta esclusivamente dei volumi non fascicolati, che per una consultazione valgono come buste. Per questo motivo, nelle note riguardanti i diari storici verrà indicato fondo, reparto, numero del volume e periodo cronologico di riferimento del diario. Il diario dei reparti di Bechis è presente nella chiavetta gentilmente concessa dal Professor Volterra, mentre diari relativi ad altri reparti dubat, corrispondenti a diversi volumi, sono stati consultati presso l’archivio. AUSSME, Fondo D6-Diari storici guerra italo-etiopica, vol. 697, Bande operanti “Bechis”, marzo e aprile 1936 (ProgAsc) 41 Relazione “Combattimento di Cunagadò” del maggiore Riccardo Gambrosier delle bande Bechis inviata al Comandante Agostini, Cunagadò, 26 aprile 1936 in AUSSME, Fondo D6-Diari storici guerra italo-etiopica, vol. 697, Bande operanti “Bechis”, marzo e aprile 1936 (ProgAsc) 42 Ibidem 43 AUSSME, Fondo D6-Diari storici guerra italo-etiopica, vol. 695, Vᵒ gruppo bande armate del confine-copia del diario storico, 1 marzo 1936-30 giugno 1936
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appartenenti a reparti attaccati e sopraffatti in altre località dagli ascari libici. I dubat erano riusciti a eliminarne due e a portare le loro armi a Cucchi, che decise di inviare altri 100 dubat, guidati da un capo comandante somalo, con l’ordine di prendere contatto con il nemico e di attaccarlo all’alba44. Interessante notare che il capo comandante apparteneva al primo sottogruppo, ma i 100 dubat provenivano da bande diverse. Si trattava forse di un modo, da parte dell’ufficiale comandante, per rafforzare i legami, anche tra uomini di unità differenti. I combattenti rientrarono però senza aver intercettato il nemico. Cucchi compose allora, il 2 maggio, una colonna comprendente due suoi sottogruppi, che aggregò a una compagnia eritrea, comandata da un maggiore45. Dopo aver marciato tutta la notte, la colonna rientrò nel primo pomeriggio del 3 maggio: avevano catturato 65 etiopici, tra cui 20 donne, e ne avevano uccisi 20, senza subire perdite. Nel diario di Cucchi non è rivelato il destino delle donne e degli uomini catturati, ma viene specificato che la retata era stata compiuta dai dubat comandati da Cucchi e non dagli eritrei, che pure composero la colonna46 . Il diario del primo gruppo, curato dal suo comandante, il tenente colonnello Prigiotti, presenta una introduzione ai fatti avvenuti tra il gennaio 1935 e il luglio 1936. In questa parte descrittiva, emerge come il razzismo e le classificazioni non risparmiavano nemmeno i dubat. Riguardo alla composizione del gruppo, ecco cosa si può leggere nel documento:
“Ad eccezione di poche centinaia di dubat affluiti da Goddete, Mogadiscio e Kisimaio, gli elementi del Giuba non sono di cabile che danno eccessivo affidamento in un impiego bellico, perché di razza inferiore (Gherra Mara-Gabauen-Rahanuin), per la maggior parte […] elementi non combattivi. Gli avvenimenti di guerra, poi, hanno dimostrato che a torto fino al 1935 questi elementi di cabila inferiore, sono stati ritenuti non idonei alla guerra. Infatti essi nei combattimenti hanno gareggiato con gli altri somali di cabile nobili, in prove di ardimento ed onore, morti e feriti”
47 .
Questo ultimo aspetto, costante nei libri dell’epoca, come si vedrà in seguito, non è stato riscontrato in altro materiale archivistico come in questa relazione, ad eccezione di alcuni documenti che costituiranno il capitolo seguente, l’ultimo di questo lavoro. Il razzismo era fortemente radicato nei colonizzatori italiani. Da questo punto di vista, nei testi non sono
44 Ibidem 45 Ibidem 46 Ibidem 47 AUSSME, Fondo D6-Diari storici guerra italo-etiopica, vol. 694, Iᵒ gruppo bande armate del confine-parte descrittiva del diario storico, gennaio 1935-luglio 1936 158