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dei dubat

El attaccò, simultaneamente, il forte e le baracche della residenza63. Un gruppo di somali uccise subito a pugnalate un soldato e un operaio italiano che stavano lavorando sul forte (esso non era completamente edificato al momento dell’attacco, anche se già adoperato dalla compagnia di ascari), per poi eliminare 10 ascari. Un altro gruppo di uomini, guidati dallo stesso Enda El e armati con i fucili che si erano procurati dagli italiani, fecero invece fuoco contro i locali della residenza, dove si trovavano il capitano Battistella e un sergente maggiore. Il sottufficiale venne subito colpito a morte, mentre il comandante provò a barricarsi dentro una stanza ma, capendo di non avere speranze davanti a tanti uomini armati, si presentò alla banda, venendo a sua volta eliminato da diversi colpi di fucile64. Il tenente Stagno, con i suoi ascari, sentiti gli spari accorse sul luogo dalla boscaglia. Gli ascari erano disarmati, perché avevano lasciato le armi nel forte, ma riuscirono a farsi strada tra la banda di Enda El lanciando sassi e usando dei bastoni. Una volta raggiunta l’armeria, di cui avevano le chiavi, presero i fucili e ingaggiarono un combattimento contro la banda, che nel frattempo aveva occupato il forte. Il tenente Stagno posizionò invece una mitragliatrice Maxim sulla cima del forte. Il reparto riuscì in questo modo a eliminare in tutto 70 armati nemici, costringendo Enda El alla fuga. I nemici feriti vennero eliminati immediatamente65. Il colonnello Ettore Bessone, allora comandante del Regio Corpo, a Muqdisho aveva organizzato una rappresaglia, che sarebbe stata condotta da lui direttamente. Questa venne però bloccata, perché si temevano conseguenze particolarmente gravi per la colonia in un momento in cui l’Italia era impegnata nel primo conflitto mondiale66 .

Nonostante questo episodio e le mancanze delle bande e dei gogle, non solo, come indicato nel lavoro di Domenico Quirico, i comunicati dell’epoca fanno trapelare un grande considerazione per queste milizie, ma anche in seguito, fino al secondo dopoguerra, come

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63 Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 857 64 L’autore non spiega la ragione che portò Battistella a “presentarsi alla folla”, ma è possibile che l’ufficiale italiano sperasse, in qualche modo, di convincere Enda El e i suoi uomini a risparmiargli la vita. Cfr. Palieri, Note per la storia del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia Italiana, op. cit., p. 30 Secondo una versione parzialmente diversa, Enda El e altri si fecero aprire dal capitano “fingendo un colloquio ossequioso”. Una volta ricevuti, eliminarono il sergente maggiore con una fucilata, per poi affrontare Battistella. L’ufficiale lanciò contro gli aggressori la sua scrivania, costringendoli ad uscire. In seguito, sentendosi impossibilitato a barricarsi di fronte a un numero troppo elevato di uomini, decise di uscire, venendo massacrato. Cfr. Bernardo Valentino Vecchi, Vecchio Benadir, Torino, Bocca, 1933, p. 130

65 Vecchi, Vecchio Benadir, op. cit., p. 130 Enda El riuscì a fuggire ma, un anno dopo l’eccidio di Buuloburde, il sultano di Hobyaa inviò a Muqdisho la sua testa, dopo che il capo clan era stato eliminato da emissari del sultano. 66 Palieri, Note per la storia del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia Italiana, op. cit., p. 30 Non vengono riportate generalità e ruolo, politico o militare, di chi bloccò il piano di rappresaglia di Bessone. Il monumento che venne innazlzato a Buuloburde recava solo le generalità degli italiani caduti nell’eccidio. 120

trapela dalle stesse citazioni adoperate in questo paragrafo, il poco spazio nei testi consultati dedicato loro (in particolar modo ai gogle), si caratterizza per elogio e riconoscenza, dati i servizi prestati loro agli italiani. I gogle sono ricordati infatti come una sorta di élite, capace di portare l’ordine dei colonizzatori nei rispettivi clan di appartenenza. Nel periodo delle campagne contro i daarwiish, in ogni caso, a prescindere dalle constatazioni critiche di Quirico e dai fatti di Buuloburde, gli ascari arabo-somali agirono affiancati da milizie di villaggio. Anche se queste conservavano i loro capi tradizionali, con l’utilizzo dei fucili italiani fornirono alle truppe regolari una sorta di protezione e aiuto, anche se con risultati non sempre positivi. In certi casi, essi combatterono anche in contatto con gli ascari, o sotto le direttive di questi, come nel caso della banda formata nel 1908 ad Afgooye. La situazione descritta presenta alcune analogie con quella che, a partire dal 1924-1925, si creò con i dubat, che verrà analizzata a partire dal prossimo paragrafo. Tali reparti erano pure considerati, dai fascisti che li descrissero in modo molto più dettagliato dei gogle, come una élite guerriera somala. Essa cambiò drasticamente la percezione che il colonialismo italiano aveva dell’impiego bellico dei somali fino a quel periodo. Almeno in parte, dati i dubbi su gogle e bande avanzati da Domenico Quirico, è possibile che lo stesso giudizio positivo sull’impiego degli irregolari contro i darwiish sia figlio di un’epoca in cui avvenne una rivalutazione dell’elemento somalo, che fornì la totalità degli elementi dubat e, sempre a partire da quell’anno, finì per diventare la maggioranza degli stessi reparti di ascari della Somalia Italiana.

3.2 Le truppe arabo-somale sotto il fascismo: le modifiche al Regio Corpo e la costituzione dei dubat

Cesare Maria De Vecchi diventò governatore della Somalia il 21 ottobre 1923, un anno dopo la marcia su Roma dei fascisti e la conseguente formazione del governo di Benito Mussolini. De Vecchi, leader del partito a Torino, era stato uno dei quadrumviri (insieme a Italo Balbo, Michele Bianchi ed Emilio De Bono), i gerarchi che guidarono gli squadristi nel corso della marcia su Roma del 28 ottobre 1922. Nonostante questo suo contributo alla causa fascista, egli era un individuo per certi versi malvisto e percepito come scomodo da Mussolini, che

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cercò di allontanarlo dall’Italia dandogli un incarico nella colonia più lontana67. De Vecchi

giunse in Somalia l’8 dicembre 1923 con un piccolo gruppo di squadristi torinesi a lui particolarmente devoti. De Vecchi, che come molti dei primi fascisti era stato capitano delle truppe d’assalto degli Arditi nel corso del primo conflitto mondiale, in Piemonte si distinse per l’organizzazione di spedizioni squadriste. Lui e i suoi uomini applicarono in Somalia dei metodi particolarmente violenti contro la popolazione68. Appena arrivato, ordinò il disarmo delle popolazioni della Somalia meridionale, nonostante un ufficiale in servizio in colonia, il maggiore Renato dell’Era, cercasse di sconsigliarlo, riferendo che i fucili diffusi presso le popolazioni erano in realtà obsoleti, e che negli anni precedenti erano stati impiegati da queste per proteggersi dai daraawiish. Ignorando anche gli inviti a una politica meno violenta arrivati, nel corso del suo mandato, dal Ministro delle Colonie Luigi Federzoni, De Vecchi impiegò gli ascari in massacri di popolazione e incendi di villaggi, perché servissero da ammonimento alle popolazioni69. De Vecchi fu quindi da subito un governatore particolarmente violento verso la popolazione e, nel corso degli anni del suo mandato, la Somalia venne messa “a ferro e fuoco” anche nelle regioni settentrionali, fino a quel momento sotto protettorato italiano70 . Queste campagne furono sostenute, nonostante l’apporto letale e

67 Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. II: La conquista dell’impero, Milano, Mondadori, 2000, p. 53 De Vecchi, pur essendo un fascista della prima ora (e tale rimase per tutta la sua esistenza), ebbe un rapporto abbastanza teso con Mussolini anche da prima della marcia su Roma. Nel corso del 1923, il conflitto tra i due esplose. Il gerarca torinese, pur appartenendo alla corrente fascista più conservatrice e filomonarchica, si rese protagonista di alcuni discorsi particolarmente estremisti che invitavano il partito a intraprendere una lotta contro la “plutocrazia industriale”, con riferimento alla famiglia Agnelli. Mussolini, dato che in quel periodo era intenzionato ad ottenere il consenso degli industriali e degli agrari per rafforzare il suo governo appena costituito, su suggerimento di un altro gerarca, Luigi Federzoni, optò per affidargli il governatorato della Somalia.

68 Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? Vicenza, Neri Pozza Editore, 2005, pp. 147-150 69 Ibidem

70 Le armi obsolete, denunciate da De Vecchi come corrispondenti a 16.000, erano detenute soprattutto per motivi di prestigio, una volta cessata la minaccia dei daraawiish. Cfr. Hassan O. Ahmed, “Sul primo decennio dell’era fascista in Somalia” in Annarita Puglielli (a cura di), Proceedings of the Third International Congress of Somali Studies, Roma, Pensiero Scientifico Editore, 1988, p. 294 I metodi spietati del gerarca in Somalia furono attuati, oltre che dalle truppe della colonia, anche dai suoi fedelissimi. Questi uomini, oltre ad essere degli squadristi particolarmente violenti, erano personalmente legati a De Vecchi (Del Boca adoperò il termine “cortigiani”) da alcune concessioni di terre, utilizzate dagli stessi per attività agricole, rese possibili dallo stesso governatoe. In alcune occasioni, il governatore si appellò a questi concessionari, ricordandogli le possibilità di sfruttamento della popolazione e delle terre della Somalia che aveva dato loro, affinché affiancassero, con le loro armi, le truppe nelle operazioni contro ogni forma di resistenza. Episodi particolarmente efferati vennero rivendicati dagli stessi fascisti concessionari, come, ad esempio, la fucilazione di 13 somali scelti casualmente tra le prime persone incontrate, riferita a Del Boca da Carlo Vecco come attuata da Cesare Buffo. Il testo di Del Boca, Italiani brava gente?, descrive particolarmente bene le violenze degli uomini di De Vecchi in Somalia, viste come un proseguimento in Somalia delle azioni squadriste che li videro protagonisti in Piemonte anni prima, e il loro sfruttamento della manodopera locale. Cfr. Ernesto Quadrone, Pionieri, donne e belve. Uebi Scebeli, Giuba, Milano, Agnelli, 1934, pp. 34-35; Del Boca, Italiani, brava gente?, op. cit., pp. 153-157 122

violento dei suoi compagni di partito, quasi integralmente dalle truppe arabo-somale, come si evidenzierà nel paragrafo seguente. Queste truppe, vennero da lui modificate immediatamente dopo il suo arrivo.

Egli operò immediatamente sui reparti di polizia e sugli ascari presenti in colonia, apportando importanti cambiamenti.

Il Corpo di polizia venne rinominato Corpo zaptié, dalla parola usata per identificare gli ascari impiegati dai carabinieri. Gli zaptié vennero aumentati di numero, da 500 a 800, e sottoposti a una selezione più rigida. Vennero allontanati gli uomini più anziani ed invalidi, presenti prima del suo arrivo71. Gli allievi erano da quel momento obbligati a frequentare corsi di lingua italiana e apprendere le principali nozioni dei regolamenti militari, dei codici e delle disposizioni dell’Arma dei carabinieri. Una volta diventati zaptié, ai sottufficiali dei carabinieri italiani era ordinato di proseguire l’istruzione iniziata durante il corso72. Per

passare di grado, anche solo a livello di muntaz, ogni candidato doveva essere capace di scrivere in italiano sotto dettatura. I loro servizi, che secondo De Vecchi erano quasi nulli al suo arrivo, comprendevano la sorveglianza dei mercati, il controllo dei passaporti, la guardia nelle carceri, i controlli sull’esenzione delle tasse

73 .

Il governatore modificò anche il sistema di reclutamento del Regio Corpo, e in particolare le proporzioni numeriche degli ascari divisi per provenienza. Gli ascari della Somalia erano sempre stati, fino a quel momento, per il 90% arabi e per il 10% somali, con possibilità di aumentare unicamente l’elemento arabo74. Quando arrivò De Vecchi, alla fine del 1923, i 2373 ascari erano arabi per l’85%75. Questi combattenti erano efficienti, ma costosi, perché ogni arruolamento era gravato anche dal prezzo di trasporto via mare nella colonia. In quel periodo, a differenza che in passato, molti arabi sceglievano di rimanere in colonia anche dopo la fine dell’arruolamento, ma per dedicarsi al piccolo commercio nelle sedi dove avevano prestato servizio. Questo aspetto era percepito, da un punto di vista sociale, come pericoloso da De Vecchi: il governatore temeva che potesse svantaggiare l’economia dei somali e, in futuro, quella dei coloni italiani. Gli arruolamenti cominciarono allora a

71 De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, op. cit., pp. 16-19 72 Ibidem 73 Ibidem 74 Ivi, pp.94-95 75 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p 247 123

privilegiare l’elemento somalo, e le proporzioni cambiarono drasticamente. Già all’inizio del 1925, gli ascari arabi erano una percentuale inferiore al 50% del totale dei soldati76. Nel corso della ricerca, sono state consultate le relazioni sul Regio Corpo della Somalia del periodo 1927-1931. Alcune di queste relazioni presentano la “suddivisione per razze” degli effettivi, mostrando come i provvedimenti avviati da De Vecchi modificarono profondamente la composizione del Regio Corpo in Somalia. I somali, per molto tempo considerati inadeguati e quindi scarsamente arruolati, da quel momento furono costantemente la maggioranza degli effettivi. Gli arabi continuarono ad essere una presenza significativa, sempre però molto inferiore ai somali. Il gruppo meno numeroso era invece composto dagli eritrei fino al 1930, e in seguito dagli etiopici . A partire da quell’anno, infatti, gli eritrei, cessarono di prestare servizio in Somalia. Da quel momento, insieme ai somali e agli arabi, vennero impiegati gli etiopici, indicati nelle relazioni come “amhara”. Da una relazione del 1929 (quindi di poco precedente alla loro presenza in colonia), si apprende che il colonnello Luigi Frusci, comandante del Regio Corpo e autore delle relazioni, proponeva di procedere ad alcuni arruolamenti di etiopici, dando la motivazione che questo avrebbe procurato ai reparti il “vantaggio di accaparrare elementi d’oltre confine, pratici di luoghi e di cose abissine per ogni eventualità futura”77. Seguono adesso alcuni esempi delle suddivisioni degli ascari per provenienza emerse dalle relazioni consultate. La scelta è stata fatta cercando di mostrare la costante presenza di somali e arabi, rispettivamente, come primo e secondo gruppo per numero di effettivi, e i cambiamenti del gruppo meno numeroso, che dal 1930 vide il passaggio dagli eritrei agli etiopici, per le ragioni di cui sopra. Nel 1927, gli ascari in servizio in Somalia erano 2919 arabi, 3931 somali e 590 eritrei78 ; nel 1929 erano presenti 972 arabi,

76 De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, op. cit., pp. 95-96 77 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/14, fasc. 53, Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia Italiana Comando-“Relazione sull’andamento generale del Regio Corpo nel I trimestre dell’anno 1929” (firmata dal comandante, colonnello Luigi Frusci), Muqdisho, aprile 1929 78 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/14, fasc. 53, Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia Italiana Comando-“Relazione sull’andamento generale del Regio Corpo nel III trimestre dell’anno 1927” (non firmata), Muqdisho, dicembre 1927

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2020 somali e 414 eritrei79 ; nel 1930 erano presenti 889 arabi, 1829 somali e 231 amhara80 ; nel 1931 erano presenti 685 arabi, 1715 somali e 192 amhara81 .

Se i somali diventarono, da De Vecchi in poi, la maggioranza degli ascari, lo stesso governatore creò anche una nuova tipologia di reparto, composta unicamente da somali.

In questo paragrafo, verranno trattate la loro costituzione e i loro compiti di natura non militare. I loro contributi in campo bellico, nelle operazioni in Somalia settentrionale e nel corso dell’aggressione all’Etiopia, verranno invece affrontati, rispettivamente, nel paragrafo e nel capitolo seguente.

Tra le bande irregolari costituite nel periodo delle incursioni dei daraawiish, una parte era deputata alla protezione dei confini. Da quanto riferito da De Vecchi nel suo libro Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, queste ultime, al suo arrivo, sarebbero state in condizioni molto critiche82. Nel libro del governatore, esse sono descritte, nello stato in cui si trovavano alla fine del 1923, con termini molto somiglianti a quelli con cui altre fonti descrivono i chirobotos. Con la morte di Hassan e la fine del suo movimento, cessata la minaccia, queste bande sarebbero state formate da uomini privi di alternative, che, per non soffrire la fame, venivano arruolati dai capi locali e pagati miseramente83. Erano uomini come questi, per il governatore, che avevano radicato nei suoi predecessori, privi del suo intuito, l’idea che “il Somalo fosse un combattente di nessuna qualità”. De Vecchi sentiva però la necessità di un confine solido, che mettesse al riparo la colonia da ogni sconfinamento etiopico e dalle azioni dei predoni. Sciolse quindi le bande di confine presenti in Somalia al suo arrivo, per farne un

79 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/14, fasc. 53, Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia Italiana Comando-“Relazione sull’andamento generale del Regio Corpo nel IV trimestre dell’anno 1929” ( firmata dal comandante, colonnello Frusci), Muqdisho, dicembre 1929 80 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/14, fasc. 54, Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia Italiana Comando-“Relazione sull’andamento generale del Regio Corpo nel II trimestre dell’anno 1930” ( firmata dal comandante, colonnello Frusci), Muqdisho, agosto 1930 81 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/14, fasc. 54, Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia Italiana Comando-“Relazione sull’andamento generale del Regio Corpo nel I trimestre dell’anno 1931” ( firmata dal comandante, colonnello Frusci), Muqdisho, 20 maggio 1931 82 De Vecchi segnala uno stato particolarmente deplorevole, dal suo punto di vista, per quanto riguardava le bande somale poste alla vigilanza dei confini, ma definiva anche “istituti mediocri” i gogle (che non furono sciolti) e le altre bande impiegate contro i daraawiish. La stessa opera di Caroselli, nel testo di De Vecchi, viene definita eccessivamente apologetica verso quelle esperienze. Il governatore creò i reparti dubat che, effettivamente, vennero riconosciuti da molti autori come particolarmente efficaci, come si vedrà nel corso di questo lavoro. Sulla situazione preesistente, nonostante i problemi sottolineati da Quirico, non si può però fare a meno di sottolineare la parzialità di questo testo, scritto da un autore che, in modo sistematico, elogia i suoi provvedimenti e critica il lavoro dei suoi predecessori. De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, op. cit., p. 98 83 Ibidem. Per le descrizioni dei chirobotos si rinvia, ad esempio, al lavoro di Quirico. Cfr. Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., pp. 213-214 125

corpo d’élite, una “istituzione tutta nuova, un organismo sorto nell’alone ardito della Vittoria”84. Le nuove bande avrebbero dovuto inviare, ogni giorno, delle pattuglie lungo i confini. Le pattuglie, avrebbero comunicato tra loro, formando una “catena”85. Il loro compito principale sarebbe stato tutelare le popolazioni della colonia e i loro pascoli, che spesso subivano razzie da popolazioni provenienti dall’Etiopia. Da quanto scritto in una relazione del 1924 dallo stesso governatore, anche il governo etiopico sarebbe stato favorevole ad un “irrigidimento” dei confini, dato che molte popolazioni erano solite sconfinare nella Somalia Italiana anche per sottrarsi al pagamento dei tributi, richiesto dalle autorità etiopiche86. Nel 1924, il governatore affidò l’incarico di reclutare gli uomini al maggiore degli alpini Camillo Bechis, che lavorò per oltre un anno sugli arruolamenti87. Questa fase viene indicata da tutte le fonti come caratterizzata da una selezione molto rigida, che portò alla nascita di un corpo, appunto, nuovo e particolarmente speciale. Tuttavia, le fonti presentano alcune differenze. Roberto Cimmaruta, ufficiale che operò per molti anni con questi reparti, molto genericamente, riporta che le nuove bande vennero formate da Bechis con gli uomini più intelligenti, forti e valorosi di ogni qabilah, mentre le precedenti bande erano composte da personale inetto. Entrare a far parte del nuovo corpo, per i somali, sarebbe stato particolarmente onorevole, destinato a pochi88. Secondo quanto indicato da De Vecchi, vennero reclutati uomini tra qaba’il “sceltissime”, anche se il testo non specifica i criteri di scelta. Gli uomini provenienti da questi clan selezionati dovevano essere “staccati da qualsiasi tutela di capi etnici”. Una descrizione simile presenta già alcuni problemi, perché non indica gli elementi che portarono a considerare alcune qaba’il come degne di essere considerate per gli arruolamenti, ma permette di conoscere un requisito significativo degli arruolati nelle nuove formazioni: dovevano risultare privi di legami con i capi locali, a differenza delle bande di qabilah impiegate contro le milizie di Hassan89. In un articolo firmato da De Vecchi del 1941, che ripercorre la rifondazione delle bande di confine, le qaba’il indicate come scelte

84 Ivi, p. 99 85 Cesare Maria De Vecchi Di Val Cismon, Relazione sul progetto di Bilancio della Somalia Italiana per l’esercizio finanziario 1925-1926, Mogadiscio, R.Bettini, 1924, p. 39 La relazione è del 1924, periodo in cui le nuove bande di confine erano ancora nella fase organizzativa. Con l’espressione “in catena”, il testo fa probabilmente riferimento al fatto che, le varie pattuglie poste lungo i confini, dovevano essere in grado di comunicare e cooperare tra loro.

86 Ibidem Il testo non specifica ulteriormente le autorità etiopiche che esigevano i tributi 87 Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 643 88Roberto Cimmaruta, Ual Ual, Milano, Mondadori, 1936, pp. 15-20 89 De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, op. cit., p. 99 126

per gli arruolamenti sono i Daarood, gli Hawaadle e gli Averghedir90. Secondo quanto riportato da Marco Pomilio, Bechis avrebbe reclutato, almeno in parte, individui che avevano prestato servizio nelle bande di qabilah e nei gogle (che quindi avevano un rapporto molto stretto con i capi locali), dicendo anche che, data la richiesta di De Vecchi di formare bande di confine d’élite, quegli uomini erano, nella colonia, la materia sulla quale era possibile operare. Il testo di Pomilio si discosta quindi dalle fonti precedentemente indicate: la fonte, da un lato, concorda sul fatto che vennero costituite delle bande di confine particolarmente addestrate e selettive, scelte “fra le tribù più guerriere della colonia”, ma con uomini che avevano prestato servizio in formazioni preesistenti. Bechis lavorò per un intero anno, riuscendo a radunare un certo numero di uomini che soddisfacessero definite caratteristiche di resistenza91 . L’ufficiale venne aiutato negli arruolamenti da graduati degli ascari che, volontariamente, parteciparono alla formazione delle nuove bande di confine92. Un decreto governatoriale del 25 settembre 1925 sancì l’organizzazione di 50 bande di confine, da 60 uomini ciascuna93. Le bande erano raggruppate in settori, e questi venivano sottoposti a un Comando Bande. Ogni ufficiale italiano comandava un settore, quindi aveva sotto la sua responsabilità diverse bande 94 . Il Comando delle Bande, posto a coordinamento dei settori, venne assunto da Camillo Bechis95 . Gli appartenenti a queste formazioni non erano dotati di una divisa, come gli ascari, ma di un abbigliamento uniforme. Questo comprendeva due strisce di cotonata bianca, che avvolgevano il corpo, e una terza, che veniva adoperata per coprire il capo, costituendo un turbante. Da questo copricapo, i combattenti delle bande vennero chiamati, nelle fonti italiane, con il termine dubat, unione delle parole somale dub, turbante, e at, bianco, traducibile quindi nell’insieme con “turbante bianco”96. Questo vestiario era economico e molto semplice, e non necessitava del lavoro dei sarti e delle commesse militari, indispensabili per le uniformi degli

90 L’articolo accostava i dubat ai bersaglieri, a differenza di altre fonti che collegavano le bande di confine somale agli arditi. Cesare Maria De Vecchi Di Val Cismon, “I dubat, neri bersaglieri di Somalia”, in Africa Italiana, Roma, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, gennaio-febbraio 1941 91 Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 643 92De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia, op. cit., p. 99 93 Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 643 94 Cesare Maria De Vecchi Di Val Cismon, Relazione sul progetto di Bilancio della Somalia Italiana per l’esercizio finanziario 1926-1927, Mogadiscio, R. Bettini, 1925, p. 77 95 Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 643 96 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 20 Un sito inglese, The British Empire, riporta in un breve articolo l’esistenza di reparti di polizia africana, costituiti dai britannici nel Northern Frontier District (NFD) del Kenya, chiamati con lo stesso nome. Questi uomini sarebbero stati selezionati tra i figli di capi locali influenti, dotati di “proven courage”. Venivano reclutate tutte le popolazioni che abitavano il distretto, tra le quali anche i somali. Cfr. Mervyn Maciel, “The unforgettable Dubas of Kenya’s Northern Frontier”, in The British Empire, URL: <https://www.britishempire.co.uk/article/unforgettabledubas.htm> [consultato il 3 febbraio 2019]

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ascari. Inoltre, il colore bianco aveva un valore simbolico, sia per le popolazioni somale che per i confinanti etiopici. Dalle prime, esso avrebbe subito ricondotto i dubat alla religione islamica, poiché un abbigliamento di quel tipo era prescritto per i pellegrini che si recavano alla Mecca; agli etiopici, a prevalenza cristiana, nelle intenzioni di De Vecchi, un abbigliamento immediatamente collegabile alla religione musulmana avrebbe dovuto incutere timore97. I gradi, oltre ai dubat semplici, erano tre, ognuno dei quali indicato da un cordoncino di colore diverso: sottocapo banda (colore nero), capo (colore rosso) e capo comandante (verde). Il cordoncino, unico mezzo per identificare la posizione gerarchica del dubat (data l’assenza di uniformi e, conseguentemente, di galloni cuciti sulle giubbe), andava portato al collo, insieme a un fischietto che veniva adoperato per richiamare i dubat semplici e i sottoposti. Non esisteva alcuna corrispondenza gerarchica tra dubat e ascari: ad esempio, un capo comandante poteva impartire ordini a un dubat, ma non a un ascaro, che riceveva ordini dai suoi graduati98. Anche i dubat erano comandati da ufficiali italiani. Rispetto agli ascari, erano però dotati di una maggiore autonomia, e spesso operarono coordinati dai loro graduati, senza gli ufficiali99. In alcuni casi, buluk-basci e jusbasci venivano inviati presso le bande, per dirigere i dubat100. Nei testi fascisti, i dubat vengono definiti reparti irregolari. Domenico Quirico li ha definiti come una via di mezzo tra gli ascari e le bande irregolari, stabilendo quindi una certa distinzione tra i dubat delle bande di confine e le altre bande irregolari. Infatti, pur non essendo inquadrati come gli ascari, i dubat vennero comunque comandati da ufficiali italiani e non erano organizzati da capi locali, né preposti esclusivamente alla vigilanza interna alla qabilah di appartenenza, come fu, rispettivamente, per le bande di qabilah e per i gogle101 . In ogni caso, anche nei testi dove vengono definiti irregolari, emerge una distinzione netta tra loro e altri reparti irregolari. Essi vengono sempre definiti, appunto, come dubat mentre, per altri irregolari, viene utilizzato il termine generico di banda. Per fare un esempio, in un testo sul secondo conflitto mondiale nelle colonie italiane in Africa Orientale, l’elenco delle forze italiane disponibili presenta, come voci distinte, 5 gruppi dubat e 4 “bande somale”102. Nel testo di Cimmaruta sono indicate, in lire, le paghe stabilite per

97 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p. 248 98 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 22 99 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., pp. 249-250

100 Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 644 101 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p. 248 ; Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 20; Caroselli, Ferro e fuoco in Somalia, op. cit., pp. 203-204

102 Alessandro Bruttini, Giuseppe Puglisi, L'impero tradito, Firenze, La Fenice, 1957, p. 213 128

gradi, affermando che nella colonia la paga giornaliera di un uomo era intorno alle 5 lire, cifra che permetteva a un somalo di vivere dignitosamente. Le paghe dei dubat erano le seguenti: dalle 144 alle 160 lire per i semplici dubat, dalle 160 alle 180 per i sottocapi banda, da 180 225 per i capi e da 250 a 300 per i capi comandanti. Con la paga, i combattenti dovevano provvedere ai viveri e al vestiario, ad eccezione del turbante, per il quale ricevevano, ogni 6 mesi, una indennità di 30 lire. Non erano previste altre indennità né premi di arruolamento e congedamento. Assunto esclusivamente per le sue “qualità fisiche e morali”, ogni dubat poteva essere congedato immediatamente, nei casi di infrazione di una disciplina indicata, dallo stesso Cimmaruta, come molto rigida103. I dubat non dovevano infatti abbandonare, per nessun motivo, le armi, tenere conto esatto delle munizioni in dotazione ed essere sempre pronti a partire per una marcia, a prescindere dai chilometri previsti dalla stessa104. Erano eccellenti marciatori. L’armamento era costituito dai fucili austriaci Mannlicher del 1878105 .

L’arma era di calibro più grosso rispetto a quelle degli ascari. Oltre al fucile e a una cartucciera in pelle per il suo munizionamento, i dubat avevano il permesso di portare, in sostituzione della baionetta, i billao di loro proprietà, pugnali tradizionali somali a lama larga, considerati oggetti molto importanti dai locali106. Da un ufficiale si apprende che i billao erano diffusi tra i dubat provenienti dalle regioni meridionali. Questa differenza è motivata nel testo con il fatto che, nelle regioni del nord, data una diffusione delle armi da fuoco più precoce, le armi bianche erano meno considerate e diffuse. I dubat del nord erano abituati a combattere, anche nel corpo a corpo, con il calcio del fucile, e per questo evitavano di adoperare il billao, che costituiva un peso in più107. La leggerezza di equipaggiamento fu infatti una proprietà fondamentale dei reparti dubat dalla loro costituzione, e li accompagnò per tutta la loro storia. In un documento d’archivio del settembre 1926, quando le bande erano costituite da un anno, si leggono le caratteristiche di questi uomini che De Vecchi elencò al Ministro delle Colonie, il principe Pietro Lanza di Scalea. I combattenti dovevano essere in grado di agire, per tempi prolungati (non specificati), in “assenza assoluta di bisogni”, e alle loro formazioni sarebbe stata richiesta estrema mobilità, una capacità di effettuare

103 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 22 104 Ibidem 105 Giorgio De Vecchi Di Val Cismon, Dubat. Gli arditi neri, Milano, Mondadori, 1936, p. 29

106 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 20 107 De Vecchi Di Val Cismon, Dubat. Gli arditi neri, op. cit., p. 29 129

spostamenti e azioni molto veloci108. La rapidità nelle azioni era stata una caratteristica dei reparti italiani degli Arditi della prima guerra mondiale, truppe d’élite specializzate in assalti, nelle quali combatterono molti fascisti, compreso De Vecchi. Le operazioni di questo corpo erano spesso molto pericolose e avvenivano in inferiorità numerica: lo stesso De Vecchi, con un gruppo di commilitoni, aveva affrontato una intera divisione austroungarica, riuscendo a ottenerne la resa. Tali esperienze ispirarono De Vecchi per la costituzione dei dubat. Nella stampa dell’epoca, i dubat sono talvolta chiamati “Arditi di Somalia”109. Gli accostamenti al

corpo della prima guerra mondiale sono spesso presenti nei libri del periodo. Giorgio de Vecchi, figlio del gerarca e ufficiale comandante di un reparto di dubat nel corso della guerra contro l’Etiopia, ha dato il titolo Dubat. Gli arditi neri al suo libro riguardante le sue esperienze presso i combattenti somali110. Cimmaruta fornì questa descrizione che, pur essendo molto enfatica, illustra la mobilità che si richiedeva alle bande di confine e, da quanto emerso dalle fonti consultate in questo lavoro, caratterizzò effettivamente i dubat:

“L’equipaggiamento fu del tutto abolito; niente zaino, niente tascapane, nessun impedimento, mal tollerato dalla fiera e nobile gente della boscaglia, abituata a portare con sé unicamente le armi. Niente cammelli, niente muli per il trasporto dei viveri e dell’acqua. Truppa leggera ed ardita, creata per spostarsi veloce in terreno accidentato, per eseguire rapide ricognizioni, per piombare fulminea sull’avversario, sorvegliarne i movimenti, perseguitarlo sia nella boscaglia fittissima e insidiosa, sia negli aspri e semi.desertici territori del nord, i dubat dovevano esser capaci di bere dove beveva il nemico, di mangiare ciò che esso mangiava, di contentarsi insomma delle modeste risorse del paese. Soltanto così, indipendenti da rifornimenti di ogni genere, i nuovi soldati potevano compiere marce rapidissime ed esplicare la loro attività di arditi della boscaglia. […] Del resto, anche durante la vita civile gli elementi fisicamente e moralmente migliori delle cabile erano abituati a compiere marce di diecine e diecine di chilometri nella boscaglia più fitta, senza mangiare, senza bere, senza sostare un minuto”

111 .

Come verrà esposto in questo e nel capitolo successivo, gli obiettivi di De Vecchi vennero raggiunti, e i dubat effettuarono, nel corso delle operazioni, azioni rischiose e rapide, anche se il loro accostamento agli Arditi ebbe sicuramente intenti propagandistici, dato che

108 AUSSME, Fondo D3-Somalia, b. 12, fasc. 13, copia di telegramma di De Vecchi di Val Cismon al Principe di Scalea, Muqdisho, 13 settembre 1926 109 Quirico, Squadrone bianco. Storia delle truppe coloniali italiane, op. cit., p. 249 110 De Vecchi Di Val Cismon, Dubat. Gli arditi neri 111 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 20

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sottolineava il carattere elitario dei combattenti somali e li collegava direttamente con un reparto tenuto in molta considerazione dai fascisti.

Dal gennaio 1925, i dubat iniziarono i loro servizi sulla linea del confine etiopico (DoolowBeledweyne). In seguito, le 50 bande costituite, furono dislocate lungo tutta la frontiera terrestre della Somalia, per 2000 chilometri, formando una catena ininterrotta. I dubat dovevano contrastare sia banditi provenienti dall’Etiopia, che spesso sconfinavano e compivano razzie contro i somali, che i conflitti tra gli stessi clan somali112. Dalla relazione di quello stesso anno, De Vecchi appare molto soddisfatto dei nuovi reparti formati da Bechis secondo le sue direttive. Questi nuovi reparti sono descritti nella relazione come se costituissero uno spartiacque nella storia della colonia. Il confine, fino a un anno prima incerto e fonte di pericoli, era adesso accostabile alle frontiere europee in quanto a sicurezza. La loro vigilanza era ineludibile, e aveva impedito, in quell’anno, tutte le razzie che, prima della costituzione dei dubat, venivano considerate “tradizionali” e vissute come un fatto inesorabile e naturale della colonia, impossibile da eliminare113. In caso di sconfinamento, i dubat dovevano obbligare l’individuo o il gruppo di persone a indietreggiare. Se questo non avveniva, l’ordine dato ai somali era quello di adoperare direttamente le armi114. Alcuni documenti mostrano esempi di questi impieghi. Nel gennaio 1928, gruppi di banditi provenienti dalla regione dell’Ogaden razziarono dei cammelli. Alcuni degli animali erano di proprietà dell’amministrazione italiana, e l’altra parte apparteneva una banda di dubat. Una trentina di dubat, appartenenti alla banda che aveva subito la razzia, inseguì i banditi: i dubat li raggiunsero e vi ingaggiarono uno scontro a fuoco, riuscendo ad eliminare 5 dei fuggitivi e a impadronirsi di circa 400 cammelli, compresi quelli che erano stati razziati alla banda di appartenenza e all’amministrazione115. In un telegramma del 1933 è riportato che alcuni somali, appartenenti a un rer non identificato, razziarono dei cammelli di proprietà dei dubat,

112 Corni, Somalia italiana, Vol. II, op. cit., p. 192 113 Cesare Maria De Vecchi Di Val Cismon, Relazione sul progetto di Bilancio della Somalia Italiana per l’esercizio finanziario 1926-1927, Mogadiscio, R. Bettini, 1925, p. 77

114 Archivio Centrale dello Stato (da qui in poi ACS), Fondo Graziani, b. 12, fasc. 19, telegramma del colonnello Ritelli alla Segreteria del governatore della Somalia Italiana, Mustaxiil, 23 luglio 1933 La firma presenta solo il cognome dell’ufficiale, ma è probabile che si tratti di Antonio Ritelli. Nel 1931, quando era maggiore, Ritelli venne infatti posto a capo dell’ispettorato delle bande dubat, responsabile, per conto del governo, dell’addestramento dei combattenti. Lo stesso vine indicato da Pomilio come tenente-colonnello, in un articolo pubblicato nell’agosto del 1933, ed è possibile che sia stato promosso a colonnello nel periodo tra la stesura e la pubblicazione dell’articolo. Cfr. Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 644 115 ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/13, fasc. 49, telegramma di Bechis inviato al Regio Mi nistro Italia in Addis Ababa, Muqdisho, 21 giugno 1928

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che stavano pascolando in territorio italiano tra Goriale e Durrei116. Secondo Ritelli, azioni di questo tipo, che erano appoggiate dagli etiopici, venivano incentivate dal “frazionamento” dei dubat. Questa espressione è un riferimento al fatto che spesso parte dei dubat veniva impiegata per la costruzione di strade (come si dirà nel prossimo paragrafo), assottigliando i numeri di quelli effettivamente impiegati nella vigilanza dei confini. Nel telegramma è quindi proposto di interrompere i lavori per una strada (non indicandone la zona), concentrando i dubat nella vigilanza117. Pochi giorni dopo, alcuni dubat recuperarono il bestiame118 .

Dalla lettura di un documento analogo del 26 agosto 1933:

“[…] capo comandante Calihi est transitato giorno 24 con banda et bestiame controrazziato. […] circa 770 cammelli appartengono maggioranza rer Aden Abdalla ed Mahad Abdalla sotto rer Idis[…] Morti appurati Talamoghe tre feriti anche gravi diversi. Parte nostra un ferito leggero ex dubat. Dubat partecipanti controrazzia 24. Respinsero cinque controrazzie da parte numerosi armati ma sempre messi in fuga. Banda Goriale avuto avviso razzia Dermengit est corso subito controrazzia avvisando comando settore.[…] trovò rer Kaire Ahgah et rer Gheddi Talamoghe i quali offrirono vitto dubat invitandoli poi punire razziatori poco lontano. Mente banda operava controrazzia rer Abdi Cassim assalì rer Kaire et Gheddi perché avevano forniti viveri dubat ma Abdi Gassim dopo subite perdite dovette ripiegare. Condotta capo comandante et dubat ammirevole et propongo premio”

119 .

Questo documento è interessante per più ragioni. Da questa lettura emerge una certa efficienza e capacità di azione da parte dei dubat, per i quali veniva proposto un premio dal colonnello Ritelli. Inoltre, in questa circostanza, la popolazione si mostrò collaboratrice con i

116 Allegato n. 27 “Razzia di bestiame di proprietà dei nostri dubat tra Goriale e Durrei”, telegramma in arrivo del Governo della Somalia (firmato Di Bastagno, commissario di Oddur), Muqdisho, 22 luglio 1933 in ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/13, fasc. 49 Nella fonte viene specificato che i cammelli dei dubat stavano pascolando in territorio italiano perché anche gli stessi combattenti delle bande di confine erano soliti sconfinare. In un telegramma dello stesso commissario Di Bastagno, di circa un mese successivo a quello di cui sopra e avente per oggetto altre razzie avvenute ai danni dei dubat, viene riportato che i dubat sconfinavano con il loro bestiame di giorno, per poi riportare gli animali in territorio italiano di notte. Queste osservazioni sono precedute dall’espressione “male solito”, virgolettata nello stesso testo. Cfr. ACS, Fondo Graziani, b. 12, fasc. 19, telegramma Di Bestagno al Governo della Somalia, Oddur, 17 agosto 1933 117 Allegato n. 27 “Razzia di bestiame di proprietà dei nostri dubat tra Goriale e Durrei”, telegramma in arrivo del Governo della Somalia (firmato Ritelli,), Muqdisho, 24 luglio 1933 in ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/13, fasc. 49 118 Allegato n. 27 “Razzia di bestiame di proprietà dei nostri dubat tra Goriale e Durrei”, telegramma in arrivo del Governo della Somalia (firmato Di Bastagno, commissario di Oddur), Muqdisho, 28 luglio 1933 in ASDMAE, Fondo MAI, Vol. I, pos. 89/13, fasc. 49 119 ACS, Fondo Graziani, b. 12, fasc. 19, telegramma di Ritelli al Governo della Somalia, Mustaaxiil, 27 agosto 1933

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combattenti somali. Questo aspetto viene riportato, in un testo del 1925, da Corrado Zoli, governatore della Colonia d’Oltregiuba. Secondo il governatore, le popolazioni “primitive”, come quelle della regione somala Dooxada Juba, si relazionavano meglio con i dubat e i gogle rispetto agli ascari regolari. Non essendo infatti abituate a rapportarsi con autorità e leggi nuove, i locali preferivano obbedire agli irregolari che, pur prestando servizio per il governo italiano, apparivano meno distanti delle truppe regolari, per l’assenza di uniformi e per la provenienza dagli stessi clan delle popolazioni che incontravano durante i loro servizi120 .

Un altro punto interessante del documento è costituito dal passaggio che indica, nello schieramento italiano, il fatto che un ex dubat sia rimasto leggermente ferito. Procedendo nella consultazione della busta, un telegramma sui resoconti di altre razzie e contro-razzie, indica la forza impiegata nel recupero di 650 cammelli e cammelli da latte come corrispondente a 4 dubat e 7 ex dubat121. Da questi documenti emerge quindi che, almeno in certi casi, i dubat potevano essere coadiuvati da uomini che avevano precedentemente combattuto negli stessi reparti, pur non facendone più parte, e che questo tipo di appoggio era conosciuto e accettato dalle autorità italiane.

In tale contesto operativo, fatto di lunghe distanze e, spesso, in territori con risorse scarse, la resistenza fisica e la capacità di sopportare la fame e la sete si rivelavano requisiti fondamentali. La loro “indipendenza integrale da ogni necessità di dotazioni logistiche”, oltre a consentire, ovviamente, enormi risparmi per gli italiani, li rendeva particolarmente resistenti ai disagi e liberi di agire improvvisamente, se necessario. In caso di bisogno, infatti, i dubat potevano dirigersi verso il luogo ove fosse richiesto il loro intervento, senza preoccuparsi di lasciare incustodite le salmerie proprie degli ascari (depositi di munizioni, scorte di viveri, quadrupedi, pezzi d’artiglieria). I loro alimenti principali erano il latte, il thè e la carne del bestiame a disposizione, che consumavano dopo averla bollita, ancora dura122 . Secondo

120 Corrado Zoli, Relazione generale dell'Alto commissario per l'Oltre Giuba a S. E. il principe Pietro Lanza di Scalea, Roma, Ministero delle colonie, 1926, p. 94-95 La regione Dooxada Juuba venne ceduta agli italiani dai britannici nel 1924. Il 29 giugno 1925, la regione venne denominata Oltregiuba. La nuova colonia venne posta sotto il governo di Corrado Zoli. Nel 1926, il territorio venne formalmente annesso nella colonia dell Somalia Italiana. Cfr. Robert L. Hess, Italian colonialism in Somalia, Chicago, The University of Chicago Press, 1966, pp. 157-159

121 ACS, Fondo Graziani, b. 12, fasc. 19, telegramma di Ritelli al Governo della Somalia, Mustaaxiil, 27 agosto 1933 122 Anche se non specificato, per quanto riguarda la carne, l’autore intende forse sottolineare che i dubat, non disponendo di depositi per i viveri, non ricevevano carne macellata o conservata, ma se la procuravano dalle 133

diverse fonti, se si trovavano in carenza di viveri, i dubat bevevano il thè, che bastava loro a ristorare l’organismo. Anche nutrendosi unicamente con tale bevanda, i combattenti somali erano capaci di resistere per due giorni di marcia, tempo nel quale riuscivano a percorrere anche fino a 150-170 chilometri . La resistenza nelle marce diventò eccezionale, pur essendo accostata ad una alimentazione frugale, quando non assente. Per ottenere e mantenere queste caratteristiche, qualificanti i dubat e fondamentali per i compiti che dovevano svolgere, un apposito ispettorato per le bande incaricava gli ufficiali delle stesse di istruire i combattenti e di curare in modo meticoloso la loro resistenza fisica. Essa era indispensabile in reparti che dovevano comunicare tra loro unicamente mediante l’elemento uomo, senza mezzi tecnologici come la radio o i veicoli123. L’importanza di queste elevate capacità fisiche emergeva, ad esempio, nelle comunicazioni tra dubat di postazioni diverse. Tali postazioni, dette posti-banda, erano costituite da gruppi di dubat in servizio di vedetta. Se a un postobanda arrivavano delle lettere, uno o più dubat dovevano portarle in un altro posto-banda, creando la “catena” efficiente che aveva richiesto De Vecchi nella sua relazione del 1924. Le

distanze tra queste postazioni non erano fisse, e potevano essere anche molto grandi e impegnative per uomini appiedati. Spesso, i dubat arrivarono a compiere 120 chilometri in un giorno, da un posto-banda ad un altro124. Una distanza di 100 chilometri era cosa relativamente facile per loro. Intorno al 1933, una banda di dubat riuscì a percorrere 400 chilometri, da Mustaxiil a Galati, in meno di una settimana. Gli uomini camminarono giorno e notte, dormendo solo 3 ore nel primo pomeriggio e marciando la media continuativa di 20 ore per giorno. Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, organizzò per due anni consecutivi, nel 1929 e nel 1930, delle gare di marcia125. Squadre di ascari, gogle, e dubat gareggiarono tra loro per vincere una coppa d’argento, messa in palio dal duca. Le squadre marciavano armate anche durante le gare, sia di giorno che di notte. Entrambi questi tornei vennero vinti dai dubat126 .

Dal 1929, alcuni dubat vennero dotati di cammelli. Non si trattava di un corpo separato, ma di una componente cammellata interna ai dubat. Questi uomini, pur essendo a tutti gli effetti

mandrie presenti nelle zone dove prestavano servizio, se queste erano disponibili. Pomilio, “Dubat. Scolte fedeli delle frontiere somale”, op. cit., p. 645 123 Ibidem 124 Ivi, p. 646 125 Ibidem 126 Cimmaruta, Ual Ual, op. cit., p. 21 Non viene specificato il motivo dell’equipaggiamento anche nel corso delle gare. Questa scelta poteva essere dovuta a un tentativo di tutelare i dubat da eventuali attacchi che, anche durante le gare, potevano avere luogo, o a fare delle gare ulteriori addestramenti. 134

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