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1.2 L’avvio dell’espansione italiana nell’Oceano Indiano
strutture all’interno delle quali gli appartenenti rivendicavano un comune antenato. Alcuni dei clan più numerosi, come gli Ogaaden, contenevano ulteriori suddivisioni, indicate da Lewis come “sub-clan” o lignaggi
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. All’interno di un clan, venivano incoraggiati i matrimoni con appartenenti ad altro clan, perché questi permettevano di costituire patti di amicizia tra i diversi clan, che si aiutavano reciprocamente. Ogni clan costituiva anche, in forma ridotta rispetto alle “clan-families”, una unità territoriale, nonostante il nomadismo portasse frequentemente appartenenti a differenti clan nello stesso territorio34. Il testo di Cassanelli indica con il termine clan alcuni gruppi che gli italiani indicavano con il termine qabilah. Quando sarà presente questa corrispondenza, nel corso del lavoro, verrà impiegato il termine clan.
Se queste erano le suddivisioni della società somala, quando gli italiani arrivarono in Somalia, erano presenti anche alcune autorità politiche.
Il Sultanato di Zanzibar, si era costituito nel 185635. Il sultano esercitava “a nominal sovereignty” sulla Somalia meridionale, conosciuta con il nome di Banadir. Nell’area erano presenti i porti di Muqdisho, Warshiek e Marka36. A nord, il Sultanato di Hobyaa rivaleggiava con il Sultanato dei Majerteen per il controllo della valle del Nugaal37. Nel grande territorio di costa (dal Gùba alla regione di Bandar Ziada) indipendente da Zanzibar, i due sultani non erano gli unici capi locali, ma si distinguevano dagli altri per autorità di cui godevano e vastità del territorio da essi controllato38 .
Se questa era la situazione che, a partire dal 1885, incontrarono gli italiani quando avviarono la penetrazione lungo le coste dell’Oceano Indiano, nel prossimo paragrafo verranno trattate, oltre all’avvio della colonizzazione stessa, le conoscenze e le idee presenti nel giovane Regno d’Italia sulla futura colonia. Questo permetterà di analizzare i fattori che portarono gli italiani a colonizzare la Somalia, e a creare quindi il contesto storico e geografico che caratterizzò le truppe coloniali di cui questo lavoro si propone di analizzare la storia.
33 Ivi, p. 19 34 Ibidem 35La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, Milano, Treves, 1938 (autori non indicati), p. 255
36 Trunji, Somalia. The untold history 1941-1969, op. cit., p. XXIX Sul fatto che la sovranità esercitata dal Sultanato di Zanzibar fosse limitata ai porti, un testo di epoca coloniale diceva che l’”intervallo fra i porti e l’interno” era controllato dalle “diverse tribù somale”. Cfr. La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, Milano, Treves, 1938 (autori non indicati), p. 256 37 Ivi, pp. XXIX-XXX 38Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 415 17
1.2 L’avvio dell’espansione italiana nell’Oceano Indiano
La Somalia era poco conosciuta nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento, anche a causa della complessa situazione locale. I pastori somali nomadi da secoli erano infatti protagonisti di spostamenti, all’interno del loro del territorio. Questi erano solitamente volontari, ma non mancarono casi di spostamenti forzati39. Nel 1887, il re dello Šawā Menelik II riuscì ad espandere il suo controllo dall’Etiopia meridionale verso sud, lungo diverse direttrici. Arrivò in questo modo a controllare la regione di Harar, lo Haud e l’Ogaden, tutte zone abitate da popolazioni somale che furono costrette ad allontanarsi40.Queste regioni equatoriali rappresentarono per Menelik “ricchi serbatoi di bestiame e di schiavi”41. Come si vedrà nel
corso di questo lavoro, stando almeno alla consultazione di fonti di epoca coloniale, i somali che combatterono inquadrati nei reparti costituiti dagli italiani erano contraddistinti anche da una forte ostilità all’impero etiopico, memori di queste espansioni ai danni del loro popolo.
Fino agli inizi dell’Ottocento la Somalia era ritenuta, in Europa, ostile, arida e abitata da “tribù selvagge”42. Il volume Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’Impero di Raffaele Ciasca, pubblicato nel 1940 è stato indicato da Chelati Dirar come “uno dei testi migliori della letteratura coloniale del periodo” anche per la sua impostazione scientifica43. Ciasca descrive in questo modo la scarsa conoscenza della Somalia, che caratterizzava il periodo storico:
“La Somalia era nel penultimo decennio del secolo passato quasi del tutto ignota. Non ostante che dal 1822 non fossero mancati rilevamenti e ricognizioni delle marine francese, inglese ed egiziana e qualche esplorazione costiera[…]Ben pochi erano riusciti ad attraversare la paurosa boscaglia somala; quasi inviolato era il mistero dei due massimi
39 Il testo di Labanca non specificava il collegamento tra la scarsa conoscenza della futura colonia e la sua complessa situazione locale. Labanca, , Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., p. 85 40 Ivi, p.86 41Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 233 42La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, op.cit., (autori non indicati), p.255 Il testo viene indicato da Chelati Adirar come interessante per una “puntigliosa narrazione dei fatti”, pur essendo viziato da uno scopo propagandistico. Cfr. Uoldelul Chelati Adirar (a cura di), L’Africa nell’esperienza coloniale italiana: la biblioteca di Guerrino Lasagni, 1915-1991, Bologna, Il nove, 1996, p. 161
43 Chelati Dirar (a cura di), L’Africa nell’esperienza coloniale italiana: la biblioteca di Guerrino Lasagni, 19151991, op.cit., p. 175
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fiumi, l’Uebi Scebeli e il Giuba. La Somalia non ebbe neppure, come altri paesi ebbero, il vantaggio delle missioni religiose, antesignane e battistrada delle scoperte geografiche.”44
Negli anni ’80 quindi le notizie sul Paese dei somali erano imprecise, desunte prevalentemente dai resoconti di viaggio di importanti esploratori dell’epoca, come Carl von der Decken e Charles Révoil45. La lettura di un testo relativo alla storia del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia Italiana, che inizia con una sintetica descrizione della tragica morte, avvenuta proprio in Somalia, dell’esploratore tedesco von der Decken, conferma ulteriormente l’idea di una terra abitata da popolazioni inospitali e pericolose. Il giovane barone tedesco, nel 1865, organizzò una spedizione con un “vaporino” in ferro fatto costruire da lui stesso, chiamato Welf. La spedizione, il cui scopo era risalire il corso del fiume Gùba, si arrestò in seguito all’incagliamento del Welf tra due secche. Von der Decken scese con i suoi “servi”, di cui il testo non indica la provenienza, per cercare aiuto nella cittadina di Baardheere ed ebbero risposta positiva dai “notabili” locali, che giurarono sul Corano di non avere alcuna intenzione offensiva verso lui e verso i suoi. Lo ospitarono in una capanna46 . Ecco come proseguirono i fatti secondo questo libro del 1929:
“Durante la notte(26 settembre) dieci somali entrarono nella capanna e, sorprendendo il giovane esploratore nel sonno, tentarono di legarlo. Ma questi svegliatosi si divincolò dai legami; atterrò gli assalitori e tentò di prendere le sue armi. Molti fanatici, adunatisi intorno alla capanna, lo trascinarono fuori del paese affinchè il sangue di un infedele non profanasse la città santa di Bardera. Tra gli assalitori von der Decken riconobbe un suo beneficato: allora gli promise altri doni purché avesse salvata la vita; ma quegli col «billao» (pugnale somalo) gli vibrò un colpo alla faccia che gli spaccò le labbra e la lingua: dopo pochi istanti il coraggioso esploratore cadde crivellato di ferite. Il suo cadavere fu gettato nel Giuba, in pasto ai[…]coccodrilli. Dei servi che accompagnarono l’esploratore alcuni furono uccisi, altri si salvarono passando sull’altra riva del Giuba e portarono la notizia dell’uccisione e le carte della spedizione alla costa”
47 .
Gli italiani avevano una immagine molto sfocata di questo territorio sterminato che aveva i confini a nord con i deserti dancali e a sud con le savane del Tanaland. Queste incognite
44 Raffaele Ciasca, Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’Impero, 2 ed., Milano, U. Hoepli, 1940, pp. 280-281 45Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., pp. 232-233 46 Mario Palieri, Note per la storia del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia Italiana, Torino, Tipografia Editrice E. Schioppo, 1929, p. 9
47 Ibidem
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intensificavano l’interesse dei circoli coloniali del giovane Regno, interesse esistente da diversi decenni. Vi erano state infatti proposte atte a creare sfere d’influenza in Somalia anche precedenti all’unificazione48. Questi progetti non vennero però accolti dai governi italiani nel corso degli anni’60 e ’70. Gli ostacoli erano di varia natura, e andavano dal costo di tali “imprese” alla prudenza che i presidenti del Consiglio italiani tenevano per consolidare, verso gli altri paesi europei, le intenzioni pacifiche del nuovo regno49. In questi decenni, più nazioni agirono in Somalia. I francesi, presenti nell’area dal 1839, avevano ottenuto nel 1859 il controllo del porto di Obock50 . Dopo l’apertura del Canale di Suez, nel 1875, alcune truppe egiziane si erano spinte fino alle coste di quelle aree che erano ancora note come il “favoloso e sconosciuto paese di Punt, o Ofir, o Benadir”, detto anche “terra degli aromi”, e in seguito l’area riuscì ad attrarre anche esploratori e governi di diversi paesi europei51. Gli egiziani controllavano le coste settentrionali del Paese dei Somali e parte di quelle orientali da Ras Asir a Raas Xaafun52. Nel 1882 la Gran Bretagna, che aveva occupato Aden dal 1839, arrivò a controllare l’Egitto53 e due anni dopo i reparti egiziani vennero allontanati dai britannici dalla città somala di Barbara. In seguito gli egiziani abbandonarono anche la regione di Harar, lasciandone la “padronanza” al locale emiro Abdallah che, come detto precedentemente, venne però scacciato da Menelik II nel 188754. Nella seconda metà del 1884 venne presa la decisione di operare anche in Somalia dal governo italiano. Il ministro degli Esteri Pasquale Stanislao Mancini, con una lettera del 4 gennaio 1885, informò il ministro della Guerra di aver autorizzato l’esploratore Antonio Cecchi ad imbarcarsi su una nave diretta verso il Mar Rosso, per fornire indicazioni utili al colonnello Saletta, che si preparava all’occupazione di
48Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., pp. 232-233 Trattando di alcuni primi progetti, Del Boca citava una lettera, del 1858, del religioso Guglielmo Massaja al diplomatico Cristoforo Negri. Massaja scrisse di aver mandato a Baraawe un gruppo di missionari con lo scopo di “aprire da quella parte una strada per Lamo, Ganane, Wallamo e Kaffa.” Una volta ottenuta tale “strada”, sarebbe stato possibile per Massaja stringere accordi con “governi della parte orientale dell’Africa”, come desiderato e richiesto da Negri. Questo politico, che si adoperò anche per creare contatti con principi etiopici, prese in considerazione la proposta del religioso. Egli raccomandò più volte al governo sardo e poi a quello italiano di stringere rapporti con il sultano di Zanzibar da cui, “almeno nominalmente” dipendevano in quel periodo i più importanti centri costieri somali da Hobyaa al Gùba. Cfr Ivi, p. 232 49 Ivi, p.233 50Labanca, , Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., p. 87 51Ivi, p. 85 52La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, op. cit., (autori non indicati), p. 255
53Labanca, , Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., p. 87 54La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, op.cit., (autori non indicati), p. 255
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Massawa55. Successivamente, Cecchi doveva andare a Zanzibar e poi alle foci del Gùba per verificare se non vi erano ostacoli ad una presa di possesso o, almeno, allo stabilimento del protettorato italiano sopra quelle contrade e sopra i capi che ne avevano in quel momento il dominio56 . L’Italia, “padrona delle coste del Mar Rosso fra Assab e Massaua”, da quel lato cercava di avanzare verso l’interno dell’Etiopia e dall’altro sulle coste somale57. Le aree che gli italiani riuscirono però a colonizzare si rivelarono zone scarsamente redditizie, come deserti e territori di difficile accesso, avanzi di una “torta africana” quasi totalmente spartita tra altri paesi, anche in seguito all’ingresso dei tedeschi nella spartizione dell’area 58. Antonio Cecchi arrivò nell’isola di Zanzibar, a bordo della nave Barbarigo, il 16 aprile 1885. Nell’isola era presente un solo italiano, il commerciante romano Vincenzo Filonardi. In quel momento, Gran Bretagna e Germania si contendevano i territori africani dipendenti dal sultano di Zanzibar Sayyid Bargash bin Said Al-Busaid. Antonio Cecchi, indispettito contro il suo governo per l’assenza di un agente consolare a Zanzibar, evidenziava in una lettera la capacità dei tedeschi di cogliere il momento opportuno nell’annessione di territori, al fine di aprire nuove vie ai suoi commerci e dar ricetto alla sua emigrazione59. Un gruppo di esploratori tedeschi, guidati da Karl Peters, avevano infatti acquistato, attraverso la Deutsch Ostafrikanische Gesellschaft, terre per gran parte della colonia che prenderà poi il nome di Africa Orientale Tedesca60. Il comandante della Barbarigo Fecarotta cercò di impressionare il sultano entrando nel porto di Zanzibar sparando ventuno colpi di cannone, essendo convinto che “questi popoli giudicano la potenza di una nazione dal dispiego di forze”. Questa decisione non portò però nessuna cessione territoriale61. Il 28 maggio del 1885 Cecchi e Fecarotta firmarono comunque un trattato commerciale con Sayyid Bargash62 . Quest’ultimo,
55Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., pp. 234-235 56 Ivi, p.235 57La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, op.cit., (autori non indicati), p. 256 58Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., pp. 233-237
59Ivi, pp. 235-236 60 Ivi, p. 235
61 Ivi, pp.235-236 62 Mentre alcuni testi di epoca coloniale, anche se sottolineavano la mancanza di cessioni territoriali, parlavano di “importanti vantaggi commerciali”, Del Boca, pur citando l’accordo, sottolineava l’insuccesso della missione e l’insoddisfazione di Cecchi. Da nessuno di questi testi si apprendono però i punti e le caratteristiche dell’accordo Cfr.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 236; La formazione de l’impero coloniale italiano, Vol. I: Le prime imprese coloniali, la rinascita coloniale, op.cit., (autori non indicati), p.256;Cesare Cesari, Contributo alla storia delle truppe indigene della colonia Eritrea e della Somalia italiana, Città di Castello, Tip. dell'Unione arti grafiche, 1913, p. 35 Da segnalare che lo stesso Cesari, in un articolo del 1926, descrisse questi eventi datandoli però al 1886. Questa data è quindi diversa 21
forse per controbilanciare “l’invadenza tedesca”, si era mostrato anche disposto a cedere agli italiani alcuni tratti delle coste somale, compreso il porto di Kismaayo, ma in seguito annullò l’offerta. Il sultano era intimidito dalla determinazione degli inglesi e dei tedeschi63, dallo stato di crisi e dalle divisioni che affliggevano il suo regno64.Da parte italiana, Cecchi venne invece invitato dal ministro degli Esteri Mancini a non irritare i tedeschi, dato che il Regno d’Italia era legato alla Germania dal patto della Triplice Alleanza. L’esploratore riuscì però ad ottenere dal governo la nomina di un rappresentante italiano a Zanzibar, nella persona di Filonardi. Sempre a bordo del Barbarigo, Cecchi effettuò una ricognizione lungo il Gùba, che dovette però interrompere a causa dei monsoni65 . L’esploratore, che “mirava più in là nella sua chiara percezione delle nostre necessità coloniali e facendo leva sul pericolo di una occupazione tedesca nella vallata del Giuba”, propose al sultano di scongiurare questa possibilità con nuove trattative atte a portare Kismaayo sotto influenza italiana. Per Cesare Cesari, che scrisse questo articolo nel 1926, non esistevano documenti riguardanti i termini esatti di queste trattative, ma era sicuro che il sultano fosse favorevole alle proposte dell’italiano “per evitare ingerenze tedesche che avrebbero creato fra lui e l’Inghilterra gravi dissidi”66. Le motivazioni che portarono Bargash a temere la Germania e, di conseguenza, a preferire una influenza italiana, non sono citate nelle fonti coloniali. Secondo lo storico Federico Battera, Bargash (come altri sultani) aveva molto probabilmente intuito la debolezza del Regno d’Italia, mentre i tedeschi, nel 1885, avevano minacciato il sultano di Zanzibar con
dai testi precedentemente citati, compreso quello di Cesari stesso, pubblicato nel 1913. Anche in questo articolo, l’autore si limitò a parlare di “convenzione generica di scambi”, aggiungendo però dettagli interessanti su quanto la rivalità di inglesi e tedeschi nell’area avrebbe pesato sulle decisioni di Sayyid Bargash e sui suoi accordi con gli italiani. I britannici, al fine di “sottrarre all’influenza germanica i possedimenti insulari e continentali” dipendenti dal Sultanato di Zanzibar, stipularono con Sayyid Bargash un accordo nel “giugno 1886, con cui si stabiliva che i paesi dell’interno della Somalia fossero lasciati ai rispettivi capi e che al sultano rimanessero soltanto i quattro porti principali” di Marka, Baraawe, Muqdisho e Warsiek. In questo modo, quei porti, che erano desiderati dagli italiani, non potevano essere oggetto di trattative. Si dovette quindi ripiegare sul trattato commerciale. Cfr. Cesare Cesari, “Antonio Cecchi e la Somalia italiana”, in Rivista coloniale, n.4, luglio-agosto 1926, p. 350
63Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 236 64Tripodi, The colonial legacy in Somalia. Rome and Mogadishu. From colonial administration to Operation Restore Hope, op.cit., p. 26 Del Boca, trattandole vicende del sultano in questo periodo,parlò di un uomo “manovrato” dal console inglese John Kirk. Cfr.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 235. 65 L’incompletezza della ricognizione, causata dai monsoni, non impedì ad Antonio Cecchi di scrivere un rapporto molto lungo e dettagliato, destinato al ministro degli Esteri, particolarmente ottimista su profitti commerciali che il Regno d’Italia avrebbe potuto ricavare da quelle aree. Questo rapporto, come altri documenti della letteratura coloniale italiana, procurò “interessi e speranze fuori luogo”.Cfr.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 236 66L’autore non specificò le ragioni che spingevano Bargash a preferire la salvaguardia dei rapporti con la Gran Bretagna, anche a costo di concedere una maggiore presenza all’Italia, per allontanare la minaccia tedesca. Cesari, “Antonio Cecchi e la Somalia italiana”, op. cit., p. 350 22
delle cannoniere, per reclamare alcuni tratti di costa67 . Sayyid Bargash fece redigere dal suo medico personale, il Dottor Gregory, un verbale per definire questo accordo. Dato che la questione esulava dalle funzioni di intermediario del Cecchi, ed entrava nel campo diplomatico, coinvolgendo anche i rapporti con i britannici, entrò in scena Filonardi, appena nominato console italiano a Zanzibar68 . Quest’ultimo, il 25 ottobre del 1886, inviò al nuovo ministro degli Esteri, Carlo Felice Nicolis di Robilant, il verbale di Gregory69. Il verbale che il medico stese con il console italiano presentava il volere del sultano:
“Oggi 23 ottobre 1886 il Sultano, dopo avermi fatto giurare sul Vangelo che avrei adempiuto gli ordini che stava per impartirmi, mi disse: Voi direte al Console d’Italia da parte mia che desidero stringere maggiormente la nostra amicizia col Re d’Italia e perciò gli offro spontaneamente di cedere all’Italia la rada di Kisimayo e la regione del Giuba alle condizioni stesse propostemi dal Capitano Cecchi”70 .
Filonardi, oltre a inviare il verbale, provvide anche a “illustrare le cause per le quali il sultano offriva Chisimaio e la regione del Giuba all’Italia”. Molti somali sarebbero stati preoccupatissimi a causa di ricognizioni compiute da due navi della marina da guerra tedesca lungo le loro coste71. Alcuni capi locali inviarono allora emissari a Zanzibar, per chiedere protezione. Il sultano scelse di rivolgersi al Regno d’Italia per chiedere l’invio di navi da guerra. Filonardi considerò questa ipotesi troppo avventata, perché avrebbe insospettito britannici e tedeschi, minando nello stesso tempo la libertà d’azione del sultano, e optò per informare il governo e chiedere istruzioni.
Il ministro di Robilant rispose però negativamente a Vincenzo Filonardi:
“Ringrazio desiderio che il Sultano di Zanzibar si mantenga in amichevoli disposizioni verso l’Italia, assicurandolo della nostra costante benevolenza, ma importa soprattutto di evitare ogni occasione di attrito con la Germania”72 .
67 La costa suddetta era indicata in questo testo semplicemente come costa swahili, senza precisare la regione o le località. Federico Battera, Dalla tribù allo stato nella Somalia nord-orientale. Il caso dei sultanati di Hobiyo e Majerteen. 1880-1930, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2004, p. 145 68 Cesari, “Antonio Cecchi e la Somalia italiana”, op. cit., p. 350 69 Ibidem 70 Pietro Maria Bardi, Pionieri e soldati dell’A.O. Dall’acquisto di Assab all’impero romano d’Etiopia. Antologia di scritti, documenti e illustrazioni, Milano, Hoepli, 1936, p. 182 71Cesari, “Antonio Cecchi e la Somalia italiana”, op. cit., p. 350 72Ivi, pp.350-351 Interessante notare, in questo scritto di Cesari di epoca fascista, l’elogio del Cecchi. Le “condizioni politiche dell’Italia d’allora, specialmente nei confronti dell’Inghilterra e della Germania”, erano per l’autore “assai diverse” da quelle di epoca fascista, quindi non aveva senso recriminare nulla a di Robillant. 23
Circa tre anni dopo ci fu quello che per il testo di Bardi rappresentò “il primo vero contatto dell’Italia con la Somalia”73. Karl Peters aveva aperto trattative con il sultano di Hobyaa, Yuusuf Cali Keenadiid, e con il sultano Majerteen, Cismaan Maxamuud, per far accettare loro un protettorato da parte tedesca74. Il wali75di Muqdisho chiese appoggio al nuovo sultano di Zanzibar76, Sayyid Khalifa77, che si rivolse nuovamente a Filonardi. Una nave italiana venne inviata ad Hobyaa e, “col pieno consenso degli indigeni”, venne innalzata una bandiera italiana78 . Il sultano locale desiderava dal Regno d’Italia una protezione contro i pirati che infestavano le sue coste e ricavare importanti guadagni79. L’8 febbraio del 1889 l’Italia e il Sultanato di Hobyaa stipularono un trattato per un canone annuo di 1200 talleri; il 7 aprile dello stesso anno, venne firmato un analogo trattato con il sultano Majerteen80. Questo avvenne anche grazie ai suggerimenti di Yuusuf Cali. I due dignitari cominciarono a ricevere da quel momento 1800 talleri di Maria Teresa, impegnandosi a non fare trattati e contratti con persone e governi senza autorizzazione italiana. I circoli colonialisti italiani iniziarono in questo modo, anche se in con modalità meno pubblicizzate rispetto alle esperienze eritree, le loro azioni nell’Oceano Indiano
81 .
Gli avvenimenti militari che seguirono in Somalia, dalle prime esplorazioni di fine Ottocento alle campagne militari fasciste, non coinvolsero solo personale italiano ma, al contrario,
Bisognava però sottolineare che Antonio Cecchi “aveva intuito tutto il valore politico ed economico di una nostra affermazione territoriale a Chisimaio e nella vallata del Giuba”, e aveva ottenuto una prima cessione. Cfr Ivi, p. 351 L’articolo di Cesari, pur non essendo citato da Angelo Del Boca nella sua opera (viene citato solo una volta un altro testo di Cesari), illustra perfettamente quanto detto dallo storico sulla raffigurazione di Cecchi in epoca fascista. La storiografia mussoliniana diede infatti a lui “posto di primissimo piano”, in contrapposizione a “rinunciatari”, “disfattisti” e “tiepidi”. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op. cit., p.236 73 Bardi, Pionieri e soldati dell’A.O. Dall’acquisto di Assab all’impero romano d’Etiopia. Antologia di scritti, documenti e illustrazioni, op. cit., p. 182 74Ibidem Yuusuf Cali aveva precedentemente conquistato il territorio di Hobyaa ribellandosi a Cismaan Maxamuud.. Si erano poi rappacificati, e il sultano di Hobyaa concesse sua figlia in sposa al sultano Majerteen. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op. cit., p. 415 75 Termine arabo che indicava un governatore di provincia in uno stato musulmano. Cfr. Cassanelli, The shaping of Somali Society. Reconstructing the History of a Pastoral People, 1600-1900, op. cit., p. 286 76Bardi, Pionieri e soldati dell’A.O. Dall’acquisto di Assab all’impero romano d’Etiopia. Antologia di scritti, documenti e illustrazioni, op. cit., p. 183 77 Sayyid Khalifa era fratello di Bargash e, alla morte di quest’ultimo, fu nominato sultano dal generale Mathews. Cfr. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op. cit., p. 413 78Bardi, Pionieri e soldati dell’A.O. Dall’acquisto di Assab all’impero romano d’Etiopia. Antologia di scritti, documenti e illustrazioni, op. cit., p. 183 79 Anche in questo caso, i testi non specificano le ragioni che portavano il sultano a preferire “protezione” dagli italiani rispetto alle offerte fatte da Peters e dai tedeschi. Cfr.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op. cit., p. 415 80Bardi, Pionieri e soldati dell’A.O. Dall’acquisto di Assab all’impero romano d’Etiopia. Antologia di scritti, documenti e illustrazioni, op. cit., p. 183 81 Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op. cit., pp. 415-416 24