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1.1 Il contesto storico: la società precoloniale della Somalia
L’ultimo capitolo, per certi aspetti quello che ha portato le emozioni maggiori durante la stesura, cercherà di conoscere, all’opposto, il punto di vista dei colonizzati armati. Come verrà più volte detto nella parte finale della tesi, data la mancanza di lavori che presentino, analogamente a quanto disponibile per gli ascari eritrei, testimonianze dei combattenti somali, non si è potuto opporre, ai testi fascisti, i pensieri dei somali sui loro ufficiali e sugli altri colonizzatori. Nonostante questo, nel corso della ricerca, sono stati trovati due episodi in cui tale punto di vista, anche se per mezzo di documentazione italiana, emerge con forza.
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Capitolo Uno
GLI INIZI DELLA PENETRAZIONE ITALIANA IN SOMALIA:L’IMPIEGO DEGLI ASCARI ERITREI E DI ALTRI SOLDATI RECLUTATI LOCALMENTE NELLE PRIME ESPLORAZIONI
1.1 Il contesto storico: la società precoloniale della Somalia
L’espansione coloniale del giovane Regno d’Italia lungo alcune coste bagnate dall’Oceano Indiano, che diede vita alla colonia della Somalia italiana, presentò elementi peculiari, ma anche connessioni e legami con l’espansione in Eritrea. Vi furono “dinamiche proprie” per quanto riguarda l’interazione con le realtà locali somale, il controllo effettivo dei territori e delle popolazioni1. L’organizzazione militare e la costituzione di reparti composti con soldati non italiani, siano stati essi africani, appartenenti alla popolazione araba locale o provenienti dalla penisola arabica, ebbe un inizio diverso, e differenze sopravvissero per alcuni anni come si cercherà di esporre in questo lavoro2. Tuttavia, entrambe le esperienze ebbero importanti punti in comune. L’avvio del colonialismo italiano in Africa Orientale venne infatti appoggiato dalla Gran Bretagna sia in Eritrea che in Somalia, ed entrambe le colonie condivisero una funzione nei progetti italiani di accerchiamento dell’Impero d’Etiopia3 .
L’Italia diventò una potenza coloniale con l’acquisizione del possedimento di Assab del 1882, e con l’occupazione di Massawa del 18854, avvenuto il 5 febbraio, quando alcuni soldati italiani guidati dal colonnello Tancredi Saletta sbarcarono in quel centro, sede di un importante porto sul Mar Rosso. Il 28 maggio di quello stesso anno, l’esploratore Antonio Cecchi, secondo Del Boca “forse il partigiano più acceso” della penetrazione nel “Paese dei somali”, concluse un trattato commerciale con il sultano di Zanzibar che aprì “virtualmente agli italiani la terra dei Somali”. Nonostante il progetto fosse ancora “confuso”, il 28 maggio
1Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2007, p.85
2 Ministero degli Affari Esteri, Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, L’Italia in Africa. Serie storico-militare. L’Opera dell’esercito. Vol. I, Tomo I: Ordinamento e reclutamento 1885-1943, Vitale Massimo Adolfo (testo di), Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1960, pp. 139-140
3Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., pp.85 -88 4 Ivi, p.57
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del 1885 erano poste le basi, sia a nord che a sud, per una penetrazione in Africa Orientale e per l’accerchiamento dell’Etiopia5. Ma che situazione presentava, in quel momento storico, la
futura Somalia italiana?
È chiaro che gli abitanti non usavano la parola “Somalia” per riferirsi alla realtà nella quale vivevano, ma furono i colonizzatori italiani a dare questo nome ai loro possedimenti nell’Oceano Indiano, con un decreto del 1908 6. I somali erano nomadi, non sentivano un forte attaccamento per un particolare insediamento permanente e neppure una speciale affinità per il loro territorio. Nonostante il loro sistema economico e sociale fosse, alla fine dell’Ottocento, in gran parte basato sulla schiavitù, essi vivevano “with a feeling of freedom and indepence”7. Non costituivano una singola ed autonoma entità politica. Erano divisi in numerosi clan, spesso ostili tra loro8. Il novanta per cento del territorio era occupato dalla popolazione prevalente, quella dei somali. Vi erano altre etnie, sempre africane, e, nei centri lungo le coste, abitavano numerosi gruppi di indiani e arabi. Alla fine dell’Ottocento, gli abitanti erano forse poco più di 600.000, per la maggior parte pastori, con una minima presenza di contadini, nelle terre lungo i fiumi, e commercianti9.La religione dominante, come anche al giorno d’oggi, era quella musulmana10 . Le informazioni che seguiranno sulla società somala, sono state raccolte in un testo del 1935, il cui autore si chiamava Giuseppe Caniglia. Non sono state trovate informazioni dettagliate sul suo conto, ma si tratta del testo, di epoca coloniale, più documentato e scientificamente accurato tra quelli consultati. Nell’introduzione, l’autore indica, genericamente, che anni prima alla pubblicazione del libro, aveva vissuto in Somalia, dove lavorò alle dipendenze del governo della colonia. Caniglia dice anche che il testo, in epoca fascista, incontrò molto favore presso gli studiosi, e che era convinto della sua utilità per conoscere la popolazione somala. Caniglia sembra essere quindi stato un civile che, nel corso del suo lavoro in colonia, cercò di osservare usi, costumi e istituzioni della società somala, per poi fare un libro che, nelle sue intenzioni, sarebbe servito al colonialismo per la conoscenza dei colonizzati. Questo
5 Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, Milano, Mondadori, 2000, pp.231-235 6 Mohamed Trunji, Somalia. The untold history 1941-1969, Leicester, Loohpress, 2015, p. XXX 7Paolo Tripodi, The colonial legacy in Somalia. Rome and Mogadishu. From colonial administration to Operation Restore Hope, New York, St. Martin's Press, 1999, p.35 8Trunji, Somalia. The untold history 1941-1969, op.cit. , p. XXX 9Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 430 10 Paolo Tripodi, The colonial legacy in Somalia. Rome and Mogadishu. From colonial administration to Operation Restore Hope, New York, St. Martin's Press, 1999, p.35 12
testo, di cui adesso si vedranno alcuni punti, è stato adoperato perché, dato che il lavoro di ricerca ha riguardato un aspetto del colonialismo italiano, era importante avere una idea di come i colonizzatori vedessero la società somala in quel periodo. Essendo comunque una fonte del 1935, le informazioni che verranno utilizzate nel lavoro saranno confrontate con successivi lavori scientifici, come si vedrà
La popolazione, sia nomade che sedentaria presente in Somalia, apparteneva a tre grandi categorie: liberi, liberti e schiavi. Queste suddivisioni condizionavano, per ogni individuo, la sua vita e i suoi rapporti sociali con il resto della popolazione 11. La famiglie potevano presentare uomini che, se sufficientemente agiati, potevano essere uniti contemporaneamente anche con quattro mogli “legalizzate”, oltre ad una quinta donna, che però non poteva convivere con le altre. Quest’ultima risultava vincolata al capo-famiglia in una unione segreta, chiamata cub-sirè12. Varie famiglie, accomunate da abitudini, interessi e relazioni di parentela, si raggruppavano nel rer
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Il rer costituiva quindi la cellula principale dell’ordinamento sociale. Essa si costituiva su base di parentela agnatizia, ed immagazzinava “tutte le attività coerenti e cioè organicamente connesse, rivolte alla conservazione della stirpe”. Ogni rer aveva un capo, scelto da una assemblea chiamata scir14”. Questa struttura rappresentava la discendenza di una famiglia che, nelle successive generazioni, si era ingrandita per mezzo di varie unioni contratte15. Un certo numero di rer, unendosi, dava vita alla qabìlah. Si trattava di un organismo che tutelava i comuni interessi e che richiama alle comuni tradizioni degli appartenenti, divisi in più rer 16. Il testo di Caniglia parlava di due tipologie di qabìlah. Due o più rer formavano quella che l’autore denominava piccola qabìlah, da lui accostata alla popolazione rurale delle campagne italiane, soprattutto nel meridione, che viveva “sparsa” ed era costituita da individui “appartenenti alla stessa comunità”. La grande qabìlah era invece formata dall’unione di alcuni rer con alcune piccole cabile, sulla base di “tendenze”, interessi e “stesse caratteristiche originali di razza e di credenze17”. Ogni qabìlah aveva un capo, chiamato Imam, riconosciuto
11Giuseppe Caniglia, Genti di Somalia, Roma, Cremonese, 1935, p.45
12Ibidem, pp.45-46 13Ibidem, p.46 14Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 431 15 Caniglia, Genti di Somalia, op.cit., p.46 16Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 431
17Caniglia, Genti di Somalia, op.cit., p.46
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come sultano dagli appartenenti alla formazione. Dall’Imam dipendevano altri capi che si riunivano in un consiglio chiamato dogoscinca, termine che significa “riunione di tutti i capi”. I membri del dogoscinca, rispettati anche dagli appartenenti alle altre cabile, erano di “ciascuna i veri rappresentati giuridici18”.
Questi istituti rimasero anche durante il colonialismo e i termini “rer” e “cabila” (nella versione italianizzata del termine) compaiono anche in documenti del periodo della guerra fascista contro l’Etiopia, per identificare determinati individui somali o gruppi di persone.
La qabìlah aveva anche una istituzione che, pur modificata, rimase durante il colonialismo e coesistette con i reparti armati istituiti dalle autorità italiane. Di queste modifiche ed utilizzi verrà detto in seguito, al momento può invece servire analizzarla nel contesto precedente all’arrivo degli italiani. La descrizione delle sue caratteristiche precoloniali necessita però di alcune specificazioni. Informazioni su istituzione, sono state trovate in pochi testi. Questi testi, informano che l’istituzione era preesistente, ma sottolineano anche che il colonizzatore la modificò. Non è quindi sempre chiaro, nel corso della lettura di un documento, se lo stesso riporti caratteristiche di questa istituzione presenti in epoca precoloniale o solo successivamente.
Questo insieme di individui interno alla qabilah era descritto come istituzione specifica della Somalia con una storia precedente alla colonizzazione italiana19. Consisteva in una sorta di polizia della qabìlah, i cui membri erano chiamati gogle20 o sagal21. Il governatore fascista della Somalia Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon citò nel suo testo i gogle unicamente per descrivere il suo operato sui reparti da lui riordinati e creati in Somalia. Non si soffermò nel descriverli in epoca precoloniale, ma si limitò a classificarli come “specie di agenti coadiutori ed esecutori di ordini dei capi”. La sua trattazione, come si vedrà nei prossimi capitoli, era effettivamente concentrata sul suo operato come governatore della Somalia, di cui ribadiva sistematicamente la superiorità verso tutto ciò che lo aveva preceduto22. La relazione del senatore De Martino del 1912, descriveva in questo modo gli appartenenti a questa sorta di polizia locale:
18 Ivi, p.54 19 Guido Corni, Somalia italiana, Vol. II, Milano, Editoriale di arte e storia, 1937-XV, p. 56
20 Caniglia, Genti di Somalia, op. cit., p.55 21Cesare Maria De Vecchi Di Val Cismon, Orizzonti d’impero. Cinque anni in Somalia,Milano, Mondadori, 1937, p.98 22 Ibidem
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“Nella costituzione politica delle cabile esisteva, come esiste tuttora, un contingente di armati, composto dai giovani delle migliori famiglie, destinato ad assicurare gli ordini dei capi ed assicurare le deliberazioni delle assemblee (scir). Questa istituzione ha carattere permanente, forma, in tempo di pace, una specie di polizia a disposizione dei capi ed i suoi componenti, gogle e sagal, sono poi destinati ad essere gli elementi più scelti, in caso di guerra, a cui com’è noto, concorrono tutti gli uomini abili. Essi non hanno altra arma che l’arco e la lancia e nessun’altra divisa che, secondo le cabile cui appartengono, un nastro di vario colore che cinge loro la fronte, ma prestano utilissimo servizio di polizia, celerissimi come sono nei loro movimenti e conoscitori dei luoghi e delle genti”23 .
Questi armati costituivano un importante collegamento tra i residenti e le genti seminomadi che, con le loro mandrie costituite da animali domestici di grossa taglia, erano disseminati in gruppi di alcune famiglie o in singole famiglie nella sconfinata boscaglia24 . Il testo Genti di Somalia del 1935 descriveva, più nel concreto, alcune delle loro funzioni e il peso che veniva loro riconosciuto dalla popolazione. Questi individui avevano dei graduati e dei capi che ricevevano istruzioni direttamente dal consiglio per la tutela dell’ordine, la repressione dei reati e i parametri igienici delle abitazioni. Un gogle, di fronte al rifiuto da parte di un somalo di eseguire un suo ordine, doveva provvedere a sequestrare la porta della sua capanna e, se presente, il suo angareb (letto). Il soggetto colpito da questo provvedimento poteva invocare perdono e richiedere la restituzione della porta o del letto, restituzione che avveniva però con il pagamento di un tallero. La penalità era versata al corpo dei gogle, che ne beneficiavano “in comune 25”. Nel corpo poliziesco della qabìlah, come detto precedentemente, gli appartenenti erano chiamati gogle o sagal. I gogle, oltre al servizio di polizia, si occupavano anche di lavorare i campi e mettevano a disposizione di chi lo richiedeva la loro prestazione in cambio esclusivamente del vitto. I sagal erano invece veri e propri agenti di polizia, e avevano l’obbligo di aiutare le persone appartenenti alla data qabìlah durante la semina e durante il raccolto26. Se queste erano quindi funzioni e condizioni dei gogle e dei sagal precedenti alla
23 Giacomo De Martino, La Somalia italiana nei tre anni del mio governo. Relazione del senatore nobile Giacomo De Martino presentata al Parlamento dal Ministro delle Colonie Pietro Bertolini, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati Carlo Colombo, 1912, pp.21-22 24 Ministero degli Affari Esteri, Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, L’Italia in Africa. Serie storico militare. I corpi armati con funzioni civili. Vol. IV, Massimo Adolfo Vitale (testo di), Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1965, p. 58
25Caniglia, Genti di Somalia, op.cit., p.55 26 Ibidem
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colonizzazione, si cercherà di descrivere nel corso del lavoro anche le modifiche e l’utilizzo di questa istituzione locale da parte degli italiani.
Prima dell’arrivo del colonialismo europeo, il rer era quindi il collante che univa in Somalia questa “unità culturale e linguistica”, più che politica27. Infatti, per un lungo periodo28, la mancanza di trasporti e comunicazioni, unita all’estensione del territorio, ostacolarono pesantemente un contatto diretto tra le popolazioni nomadi del nord e quelle contadine del sud29. I territori che avrebbero costituito le colonie della Somalia italiana, del Somaliland britannico e della Costa francese dei somali furono attraversati, per secoli, da spostamenti di complessi aggregati di popolazione, da nord a sud e da est ad ovest. Questi movimenti erano spesso imposti dalla ricerca di pascoli e di pozzi, in aree che si contraddistinguevano anche per l’estrema scarsità di risorse
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Oltre al testo di epoca coloniale di Giuseppe Caniglia, sono stati consultati i lavori di due studiosi, che effettuarono delle ricerche sulla società somala: lo storico statunitense Lee Cassanelli e l’antropologo scozzese Ioan Myrddin Lewis.
In epoca precoloniale, l’identità politica somala si basava sugli appartenenti a un gruppo, indicato da Cassanelli come abbastanza numeroso, che rivendicava un comune discendente. Tale discendenza era di tipo agnatizio. Quando gli etnografi cominciarono ad effettuare degli studi in Somalia, alla fine dell’Ottocento, tutti gli individui della Somalia che parlano la lingua somala (ad esclusione quindi degli arabi e degli indiani), furono divisi in gruppi, indicati da Cassanelli e Lewis con il termine “clan-families”31. Questi erano vaste confederazioni di gruppi parentali, i cui membri rivendicavano un comune antenato. Ognuna di queste confederazioni occupava un territorio di una certa consistenza. All’inizio del Novecento, però, in seguito a una crescita demografica irregolare e a conflitti interni, la Somalia fu attraversata da migrazioni che dispersero i componenti delle “clan-families”32 . Queste suddivisioni erano indicate da Cassanelli con il termine clan. I clan quindi, pur contando meno individui e una minore estensione di territorio controllato, erano ancora delle
27Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Vol. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, op.cit., p. 431 28 Trunji non specifica gli estremi cronologici per l’espressione “long period”, che riferisce alla storia dei somali precedente all’arrivo del colonialismo.Cfr. Trunji, Somalia. The untold history 1941-1969, op. cit., p. XXX 29 Ibidem 30Labanca, , Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, op. cit., p. 86 31 Cassanelli Lee, The shaping of Somali Society. Reconstructing the History of a Pastoral People, 1600-1900, Philadelphia, University of Pennsylvania press, 1982, pp. 16-17; Ioan Myrddin Lewis, A modern history of Somalia. Nation and state in the Horn of Africa, London, Wetview Press. Boulder & London, 1988, p. 6 32Ibidem
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