Rivista Maria Ausiliatrice 1/15

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# I NSIEME

VERSO LE PERIFERIE

4 IL RETTOR MAGGIORE: «STARE CON I GIOVANI»

20 L’AUSILIATRICE

NELLA “DIVINA COMMEDIA”

46 R ENZO ARBORE: «ALLEGRIA E MUSICA ANTICIPI DI PAR ADISO»

ISSN 2283-320X

GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Guardiamo alla luce

foto: Mario Notario

Cari amici, inizia il nuovo anno 2015, ricco di prospettive per il nostro Santuario: la celebrazione del bicentenario della nascita di don Bosco, l’accoglienza dei tanti pellegrini in visita alla Sindone e ai luoghi di don Bosco, la venuta di Papa Francesco, le varie celebrazioni giovanili, il Congresso mariano, i numerosi momenti celebrativi. Tutta la nostra comunità salesiana di Valdocco è coinvolta per poter accogliere decorosamente e convenientemente le persone che qui arriveranno da tante parti del mondo, aiutandole a far sì che questa esperienza si trasformi in occasione di riflessione, di preghiera, di ripresa gioiosa, di voglia di cammino, di speranza per il futuro. Saranno momenti davvero belli e forti, ma questo non ci fa dimenticare che, aprendosi un nuovo anno, non mancano per tanti fratelli e sorelle preoccupazioni e domande su tanti aspetti della vita concreta di ogni giorno, in un momento ancora difficile per le famiglie, per la società, per il mondo del lavoro, per la pace. Come reagire alla tentazione di scoraggiamento, di timore, di ansia? S. Paolo ci dice: “siate lieti nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rom 12,12) e a lui fa eco s. Pietro:“…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). L’autore della lettera agli Ebrei esorta: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso” (Eb 10,23). La speranza è l’attesa di un bene futuro, talora arduo, ma possibile a conseguirsi; è accoglienza delle promesse che Dio ci fa in Gesù. Solo in lui ci è data infatti la speranza che non delude, perché ci è anticipata e promessa la vittoria sul male, sul dolore, sulla morte. La speranza apre la vita del credente al futuro di Dio, alle sue novità e alle sue sorprese, guardando avanti, fidandosi di Dio, affidandosi a lui, mettere se stessi, la propria vita, le proprie paure, la propria storia, i propri errori, e anche i propri sogni nelle mani di Dio. don Bosco cosa ha fatto? È un atteggiamento di umiltà, è rinuncia a costruirsi la propria storia secondo un proprio progetto, per abbandonarsi fiduciosi al progetto d’amore di Dio. Speranza è saper discernere ciò che si può cambiare da ciò che non si può cambiare, operando al massimo per cambiare ciò che è possibile modificare e abbandonandosi, in fede e in pace, nella mani del Signore quando appaiono frontiere insormontabili. Ricordare che c’è un Padre che ci ama: egli ha un disegno di amore che ora non comprendiamo, ma che c’è, e non può essere diversamente: Dio non può averci creati per l’infelicità! Avere uno sguardo lungo, che va “oltre”, che guarda al suo progetto globale su di noi adesso e per l’eternità. Non sottolineiamo solo il buio, ma guardiamo alla luce. Questa è la speranza e di qui può sgorgare la gioia. Che davvero il nuovo anno sia per tutti un inno di speranza, di serenità e di gioia. Vi ricordiamo nella nostra preghiera in Basilica affidandovi a Maria Ausiliatrice. DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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ROBERT CHEAIB

1 GUARDIAMO ALLA LUCE

FRANCO LOTTO

A TUTTO CAMPO 4 COME DON BOSCO: CON I GIOVANI PER I GIOVANI

LORENZO BORTOLIN

MARINA LOMUNNO

ERMETE TESSORE

24 CRISTIANI SENZA EUCARESTIA?

CARLO TAGLIANI

CHIESA E DINTORNI 28 FRANCESCO DALLE BUONE MANIERE MARIO SCUDU

LA PAROLA 12 ESSERE PERSONE “VIVE”

30 È SE MOLLASSI?

MARIA 16 UN FIGLIO SPECIALE

DELLA CHIESA

FRANCESCA ZANETTI

BERNARDINA DO NASCIMENTO

20 L’AUSILIATRICE NELLA DIVINA AELREDO COMOLLO

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-80

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MARIA AUSILIATRICE N. 1

34 LE OMELIE “MATERNE” ENZO BIANCO

36 UN TEMPO DI GRAZIA PER LA VITA

18 GESÙ FRA I DOTTORI DEL TEMPIO

domus mea ic

ENRICO ROMANETTO

DI PAPA FRANCESCO

MARCO ROSSETTI

COMMEDIA

ANNA MARIA MUSSO FRENI

31 IL PASSO GIUSTO

MARCO BONATTI

14 GUIA A NOI SE NON ANNUNCIAMO

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NELL’ODIERNA EDUCAZIONE?

DEL MONDO

10 M AMMA, NON AVER PAURA DELLA TECNOLOGIA!

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GIOVANI 22 HA ANCORA SENSO PARLARE DI ETICA

26 UN’AVE MARIA PER I BAMBINI

DI DIO ROBERT CHEAIB

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AELREDO COMOLLO

GIULIANO PALIZZI

FAMIGLIE 7 I VARI VOLTI DELL’AMORE IMPLICITO

IL VANGELO

20

MARINA LOMUNNO

Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

FEDERICA BELLO

38 IN CAMMINO VERSO LA PACE DEL CUORE

EZIO RISATTI

40 GESÙ SVELA ANCHE L’UOMO A SE STESSO

GIOVANNI VILLATA

42 FERITE DELLA VITA

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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Abbonamento: Foto di copertina: ImageBank Ccp n. 21059100 Archivio Rivista: www.donbosco-torino.it intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino


ENZO BIANCO

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GIOVANNI VILLATA

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UNA VDB

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DON BOSCO OGGI 44 TRIONFO DI MOSAICI ROMANO BORRELLI 46 ARBORE: “ALLEGRIA E MUSICA ANTICIPI DI PARADISO”

ANDREA CAGLIERIS

48 UN CUORE IN FIAMME:

PER LA MUSICA E PER I POVERI

50 ECCO PERCHÉ LO AMO

CLAUDIO GHIONE

UNA VDB

52 LA “BELLEZZA” DELL’EDUCAZIONE SALESIANA

POSTER ON BOSCO, UNA VITA D DA SOGNO MARIO SCUDU

ILARIA M. NIZZO

54 DON FALETTI: “PAPA FRANCESCO

MI HA DETTO DI CONTINUARE A FARE IL BUON PASTORE” GIOVANNI COSTANTINO

56 VII CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MARIA AUSILIATRICE

PIERLUIGI CAMERONI

58 GRANDI FRUTTI PER LE FAMIGLIE APPARTENENTI ALL’ADMA

ADMA FAMIGLIE

60 DUE SPIGHE... E LA TARTRÀ ANNA MARIA MUSSO FRENI

Foto: FOTOLIA: .Patrizia Tilly (5); Arto (38-39); Petro Feketa (50); Stephen Coburn (56); SHUTTERSTOCK: Y. eko Photo Studio (7); Maksim Shmeljov (7); lev dolgachov (9); Goran Bogicevic (10-11); Anatoliy Babiy (11); Pakhnyushchyy (12); zmijak (16-17); Elnur (17); nito103 (2223); strelok (23); Elena Elisseeva (30); Ivantagan (40-41); cook_inspire (60); SYNC-STUDIO: Alberto Ramella (46); ALTRI: .ImageBank (4); Romano Borrelli (5,44-45); Archivio RMA (14,31-33,42-43,51,54-55); David Fox (19); William Perry (20); STUDIO MIGAFKA (26-27); Corrado Mezzana (poster); Daniele Solavaggione (36); SfondiGratis.it (39); SCS (52-53); ADMA (58-59);

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A TUTTO CAMPO

Come don Bosco: con i giovani per i giovani A CURA DI LORENZO BORTOLIN redazione.rivista@ausiliatrice.net

Nella Strenna 2015 il Rettor Maggiore sottolinea l’attualità della proposta educativa di don Bosco, a duecento anni dalla sua nascita. Eccone ampi stralci.  La Strenna che il Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime, decimo successore di don Bosco, propone per il 2015 sottolinea che il carisma salesiano è al servizio della comunione evangelizzatrice ed è rivolto in particolare ai giovani. Ricorda, innanzi tutto, che «fin dai primi anni dell’Oratorio, don Bosco aveva cominciato a consegnare, verso la fine dell’anno, una Stren-

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na a tutti i suoi giovani in generale e un’altra a ciascuno in particolare. La prima, quella generale, consisteva solitamente nell’indicare alcuni modi di procedere e degli aspetti da tenere presenti per il buon andamento dell’anno che stava per cominciare». Dopo di lui, i suoi successori hanno continuato la consuetudine. Per don Artime, la Famiglia Salesiana «si caratterizza per il fatto di


PER TUTTI E PER TUTTE   Il carisma salesiano «abbraccia e accoglie tutti e tutte», ma ha una particolare attenzione per i giovani. Per don Bosco, «proprio perché si sentiva coinvolto nella Trama di Dio, significava amare il giovane, qualunque fosse il suo stato o situazione, per condurlo alla pienezza di quell’essere pienamente umano che si è manifestato nel Signore Gesù e che prendeva concretezza nella possibilità di vivere come onesto cittadino e come figlio di Dio. È questa la chiave del nostro essere, vivere e attuare il carisma salesiano. Se arriviamo a sentire nelle nostre viscere, nel più profondo di ciascuno o ciascuna di noi, quel fuoco, quella passione educativa che portava don Bosco a incontrarsi con ogni giovane a tu per tu, credendo in lui, credendo che in ciascuno vi è sempre un seme di bontà e del Regno, per aiutarli a dare il meglio di se stessi ed avvicinarli all’incontro col Signore Gesù, staremo certamente concretizzando nella nostra vita il meglio del carisma salesiano, secon-

do le nostre modalità e possibilità». Per il Rettor Maggiore, «il carisma salesiano non è proprietà nostra, né dei salesiani e nemmeno di tutta la Famiglia Salesiana», ma della Chiesa intera: «È certamente uno di quei doni con cui lo Spirito Santo ha arricchito la Chiesa affinché, con lo sguardo fisso all’essenza del Vangelo, e nella comunione ecclesiale prima, e internamente alla Famiglia Salesiana poi, possiamo essere un regalo prezioso per i giovani. Per questo, Vangelo, cuore pastorale per i giovani, e comunione sono garanzia di Identità e di Fedeltà per noi, Famiglia di don Bosco, Famiglia Salesiana». STARE CON I GIOVANI   Di conseguenza, «il carisma salesiano è quello di stare con i giovani, stare con loro e in mezzo a loro, in-

A TUTTO CAMPO

essere, in primo luogo, una famiglia carismatica, in cui il primato di Dio-Comunione costituisce il cuore della mistica salesiana. In questa comunione riconosciamo la diversità, e allo stesso tempo l’unità che ha la sua sorgente nella consacrazione battesimale, nel condividere lo spirito di don Bosco e nella partecipazione alla missione salesiana al servizio dei giovani, specialmente dei più poveri». Quindi, la finalità della Strenna è «di essere un messaggio creatore di unità e di comunione per tutta la nostra Famiglia Salesiana, in un obiettivo comune».

LA STRENNA È UN REGALO DEL RETTOR MAGGIORE, SUCCESSORE DI DON BOSCO E PADRE DELLA FAMIGLIA SALESIANA. OGNI GRUPPO APPARTENENTE ALLA FAMIGLIA, GRAZIE AL SUO MESSAGGIO, VIVE LA COMUNE MISSIONE SALESIANA AL SERVIZIO DEI GIOVANI, SPECIALMENTE DEI PIÙ POVERI.

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A TUTTO CAMPO

contrarli nella nostra vita quotidiana, conoscere il loro mondo e amarlo, stimolarli ad essere protagonisti della loro vita, risvegliare in loro il “senso” di Dio, incitandoli a proporsi delle mete alte, a vivere la vita come la visse il Signore Gesù». Per questo si deve «cercare il loro bene, impegnandovi tutte le nostre energie, tutto il fiato e la forza che abbiamo». Non solo. Don Artime osserva che «quando Papa Francesco parla di andare alla periferia, noi veniamo interpellati in modo molto vivo e diretto, perché ci sta chiedendo di stare con i giovani nella periferia, lontani quasi da tutto, esclusi, quasi senza opportunità. Allo stesso tempo voglio dire che questa periferia è qualcosa di tipicamente nostro come Famiglia Salesiana, perché la periferia è qualcosa di costitutivo del nostro DNA salesiano. Cos’è stata la Valdocco di don Bosco se non una periferia della grande città? Che cosa è stata Mornese se non una periferia rurale? Occorrerà che il nostro esame di coscienza personale e come Famiglia Salesiana si

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confronti con questo forte richiamo ecclesiale, che fa parte a sua volta dell’essenza del Vangelo. Sarà necessario esaminarci circa il nostro essere con i giovani e per loro, specialmente per gli ultimi… ma non occorrerà cercare verso dove orientarci, la nostra “stella polare nella navigazione”, perché negli ultimi, nei più poveri, in quelli che più hanno bisogno di noi, risiede l’elemento più specifico del nostro DNA come carisma salesiano». UN ANNO DI FESTA   Il Rettor Maggiore aggiunge: «Oso dire che sono i giovani, le giovani, e specialmente quelli più poveri e bisognosi, coloro che ci salveranno aiutandoci ad uscire dalla nostra routine, dalle nostre inerzie e dai nostri timori, a volte più preoccupati di conservare le nostre sicurezze che di tenere il cuore, l’udito e la mente aperti a ciò che lo Spirito ci può chiedere». E questo è molto più importante nel bicentenario della nascita di don Bosco, «anno in cui la festa per quel dono che è don Bosco per la Chiesa e per la sua Famiglia non ci lascerà centrati in noi stessi, autoreferenziali e autocompiaciuti, ma ci lancerà, con maggior forza se possibile, verso la missione». Ricorda, infine, quanto Papa san Giovanni Paolo II scrisse nella lettera Iuvenum patris, nel centenario della morte di don Bosco, riferendosi a Maria, la più insigne collaboratrice dello Spirito Santo: «A Lei io affido voi e insieme con voi affido tutto il mondo dei giovani, affinché essi, da Lei attratti, animati e guidati, possano conseguire, con la mediazione della vostra opera educativa, la statura di uomini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, Maestro e Signore».


FAMIGLIA

I vari volti dell’amore implicito di Dio Un contributo di Simone Weil

La forma più alta della manifestazione di Dio nella storia è segreta, da qui il paradosso dell’Eucaristia dove l’amore di Dio è tangibile, è pane che si mangia, è presenza reale, ma è nascondimento, è una presenza della «divinità latente». A questa presenza nascosta, specie prima della sua manifestazione, corrisponde un amore speciale che l’uomo può riversare e riservare per Dio «prima che giunga Dio».   Nel bellissimo libro L’amore di Dio. Prima che giunga Dio, la filosofa e mistica francese, Simone Weil, sottolinea quattro manifestazioni dell’amore implicito prima dell’approdo all’amorecredente.

Weil è un’ebrea e una cristiana allo stesso tempo, come per un’esigenza intima di fedeltà alla prima e alla seconda Alleanza. Ma si potrebbe dire che è anche una credente e un’atea allo stesso tempo per fedeltà alla sensibilità di chi crede e di chi non crede (o crede di non credere). Questa convergenza di opposti rende il suo linguaggio compenetrato da una sensibilità rara e da un fascino incantevole.   Tornando al libro, esso riprende una parte dell’opera famosa Attente de Dieu. In questa sezione presentata al pubblico italiano si va GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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FAMIGLIA

giosa e l’amore di amicizia. In questa presentazione del libro ci soffermiamo sui primi due di questi volti dell’amore implicito di Dio.

ROBERT CHEAIB È DOCENTE DI TEOLOGIA PRESSO VARIE UNIVERSITÀ TRA CUI L’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, LA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA E LA FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TERESIANUM. SVOLGE ATTIVITÀ DI CONFERENZIERE E DI SCRITTORE.

al nocciolo della questione dell’amore di Dio come amore “laico” nel nobile senso del termine, l’amore pre-credente (almeno per quanto riguarda la coscienza). Simone è convinta che c’è una netta differenza tra quando si ama prima che Dio giunga, e quando si ama in presenza di Dio. Non è la stessa cosa – come nota Natale Benazzi nella prefazione – «amare “per amore di Dio” e amare “nell’amore di Dio”».   La Weil distingue appunto tra amore implicito e amore esplicito di Dio. Il primo di questi può avere tre oggetti immediati. Oggetti in cui Dio, quaggiù sulla terra, è sacramentalmente ovvero «veramente, benché segretamente, presente».   I quattro volti impliciti e anonimi dell’amore di Dio sono l’amore del prossimo, l’amore del mondo (della bellezza incarnata), della prassi reli8

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L’AMORE DEL PROSSIMO   Premesso che ogni forma di amore vero ha «la virtù di un sacramento», la Weil sottolinea il volto vero dell’amore del prossimo che non deve essere un mezzo per un fine rivolto al benefattore, ma un atto di disappropriazione di sé, un’esperienza soprannaturale di distacco da sé e dall’attenzione a sé per fare spazio, sia per un istante, a un altro.   In un amore come questo, che ripersonalizza l’altro (perché la povertà più grande è diventare nessuno, essere spersonalizzato), avviene il miracolo della generazione e ri-generazione dell’altro nel nostro sguardo che non riversa pietà, ma offre riconoscimento. Scrive la Weil: «Chi, dopo essere stato ridotto dalla sventura a uno stato di cose inerte e passivo, ritorna almeno per un istante allo stato umano grazie alla generosità altrui; questi, se sa accogliere e annusare il vero profumo di tale generosità, riceve, in quello stesso istante, un’anima che appartiene


FAMIGLIA

esclusivamente alla carità. È generato dall’alto a partire dall’acqua e dallo spirito […]. Trattare il prossimo sventurato con amore è qualcosa che somiglia al battezzare».   Pertanto, nell’atto di attenzione di amore gratuito viviamo un’esperienza soprannaturale. Offriamo innanzitutto una attenzione creatrice. Ma il gesto stesso è soprannaturale perché somiglia – pur lontanamente – alla kenosi divina: «L’uomo accetta una diminuzione, concentrandosi in una dispersione di energia che non aumenterà il suo potere, che farà semplicemente esistere un altro che non è lui stesso, indipendentemente da lui. Ancora di più: volere l’esistenza dell’altro significa trasportarsi in lui, per simpatia, e di conseguenza prendere parte allo stato di materia inerte in cui si trova». In questo gesto di restituzione della dignità dell’altro, Dio è presente perché «ovunque gli sventurati sono amati per se stessi, Dio è presente». AMORE DELLA BELLEZZA   L’amore dell’ordine del mondo, della bellezza del mondo, è il complemento dell’amore del prossimo. È la faccia di quest’amore quando è rivolta alla materia e alla bellezza. In questa sede, la Weil lamenta la relativa assenza dell’affermazione della bellezza del mondo nella tradizione cristiana e si chiede: «Come può il cristianesimo dirsi cattolico se l’universo ne è assente?»   L’attenzione alla bellezza è espressione di gratuità e di generosità del cuore. «La bellezza è la sola finalità di quaggiù. Come ha detto giustamente Kant, è una finalità che non contiene nessuno scopo. Una cosa bella non contiene alcun bene, se

SIMONE WEIL È UN’EBREA E UNA CRISTIANA ALLO STESSO TEMPO, COME PER UN’ESIGENZA INTIMA DI FEDELTÀ ALLA PRIMA E ALLA SECONDA ALLEANZA.

non essa stessa, nella sua totalità, tale quale ci appare». L’importanza della posta in gioco della contemplazione della bellezza e del mondo è una sfida ad ogni religione, ma è un punto critico soprattutto nel cristianesimo perché «il cristianesimo non si incarnerà fino a che non avrà unito a sé il pensiero stoico, la pietà filiale per la città del mondo, per la patria di quaggiù che è l’universo». ROBERTO CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net

Un Dio Umano di Robert Cheaib Edizioni San Paolo, 2013 pagine 176, euro 14,00 GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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FAMIGLIA

Mamma, non aver paura della tecnologia!  «Mamma non avere paura della tecnologia!»: è stato l’invito di mia figlia adolescente quando con timore ho provato a scrivere il mio primo articolo su un tablet (che non sapevo neppure accendere), io che senza il mouse e il tappetino mi sento come un amanuense senza inchiostro… Invece lei passa da Istagram a YouTube, da Whatsapp a Twitter (il mio profilo me l’ha configurato lei) come la sottoscritta alla sua età giocava con il cubo di Rubik…   Loro sono “nativi informatici” noi siamo “nativi cartacei e immigrati informatici”. Loro sono i nostri figli adolescenti che “smanettano” con cellulari, videogiochi, tablet e pc con naturalezza innata, noi siamo i genitori (spesso cresciuti con la macchina da scrivere e i telefoni a gettoni) che arrancano con le nuove tecnologie per necessità. PAPÀ E MAMME IMPARANO A “CONNETTERSI” AI FIGLI   Una necessità che non è solo più condizione essenziale se si vuole mantenere il proprio posto di lavoro ma è indispensabile se vogliamo rimanere “connessi” alle nostre creature. Ma anche se vogliamo metterle in guardia dalle insidie del web che si chiamano cyberbullismo (violenze e insulti via web), sexting (pubblicazione sui social network di foto intime, gioco che può diventare materiale pedopornografico), grooming (adescamento di ragazzini e ragazzine in rete) solo per citare i termini più frequenti che spesso nascondono dei reati. E anziché farsi prendere dal 10

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panico o peggio sequestrare cellulari e tablet (tanto ci sarà sempre un compagno di banco o un’amica del cuore disposto a prestare gli aggeggi vietati) è più utile smettere di aver paura delle nuove tecnologie e informarsi per prevenire. A VALDOCCO, AL WORKSHOP SUI RISCHI DIGITALI   A Torino i genitori, gli insegnanti e i minori sono fortunati perché, qui – prima città in Italia – dal 2010, il Corpo di Polizia Municipale attraverso il Nucleo di Prossimità ed il Nucleo Investigazioni Scientifiche e Tecnologiche ha avviato un progetto


FAMIGLIA

POLIZIA MUNICIPALE DI TORINO, NUCLEO DI PROSSIMITÀ, VIA BOLOGNA 74, TEL. 011 4434300 NUCLEODIPROSSIMITA@COMUNE.TORINO.IT

con le scuole per sondare il mondo delle nuove tecnologie informatiche che hanno rivoluzionato il contesto aggregativo e sociale delle giovani generazioni. «Non solo – spiega l’agente Marcello Di Lella che abbiamo incontrato a Valdocco, durante un workshop sui rischi digitali organizzato per i genitori che frequentano le scuole salesiane nel plesso di Maria Ausiliatrice – è bene che i genitori siano informati sul pericolo di una reale dipendenza dal web o peggio dei rischi che riguardano l’essere vittima di adescamento o di utilizzo improprio da parte di pedofili delle immagini postate su internet. Il nostro Nucleo, oltre ad essere disponibile a tenere lezioni informative ai ragazzi, da tempo su richiesta dei presidi tiene corsi anche per le famiglie perché riteniamo – poiché i reati digitali sono in aumento - che i genitori debbano preoccuparsi di garantire ai figli l’accesso alla rete e alle innovazioni educandoli sia ai rischi che ai benefici dei nuovi strumenti. Vietare ai propri figli l’uso di smartphone e la connessione ai social network è una strategia perdente: piuttosto è consigliabile parlare con i propri figli dei rischi del web ma anche condividere con loro il nostro profilo facebook, passando del tempo a guardare le foto su Istagram del loro cantante preferito. In un’ ottica di scambio generazionale: i nostri ragazzi hanno sicuramente molto da insegnarci in questo campo. Ma noi rimaniamo i genitori e abbiamo il dovere di metterli in guardia». MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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LA PAROLA

Essere persone “vive” C’è il rischio che la nostra vita sia sempre più una “tele-vita” guidata da altri. Siamo ancora persone? E quali persone siamo?

IL GIORNO DOPO GIOVANNI STAVA ANCORA LÀ CON DUE DEI SUOI DISCEPOLI E, FISSANDO LO SGUARDO SU GESÙ CHE PASSAVA, DISSE: «ECCO L’AGNELLO DI DIO!». E I SUOI DUE DISCEPOLI, SENTENDOLO PARLARE COSÌ, SEGUIRONO GESÙ. GESÙ ALLORA SI VOLTÒ E, OSSERVANDO CHE ESSI LO SEGUIVANO, DISSE LORO: «CHE COSA CERCATE?». GLI RISPOSERO: «RABBÌ - CHE, TRADOTTO, SIGNIFICA MAESTRO -, DOVE DIMORI?». DISSE LORO: «VENITE E VEDRETE». ANDARONO DUNQUE E VIDERO DOVE EGLI DIMORAVA E QUEL GIORNO RIMASERO CON LUI; ERANO CIRCA LE QUATTRO DEL POMERIGGIO. UNO DEI DUE CHE AVEVANO UDITO LE PAROLE DI GIOVANNI E LO AVEVANO SEGUITO, ERA ANDREA, FRATELLO DI SIMON PIETRO. EGLI INCONTRÒ PER PRIMO SUO FRATELLO SIMONE E GLI DISSE: «ABBIAMO TROVATO IL MESSIA» - CHE SI TRADUCE CRISTO - E LO CONDUSSE DA GESÙ. FISSANDO LO SGUARDO SU DI LUI, GESÙ DISSE: «TU SEI SIMONE, IL FIGLIO DI GIOVANNI; SARAI CHIAMATO CEFA» - CHE SIGNIFICA PIETRO (GV 1,35-42).

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La principale illusione prodotta dal “progresso” tecnico è che poter fare certe cose sia uguale a “esserci”. Enormi vantaggi certo: ma anche “prezzi” che non ci vengono detti, o che non ci importa di pagare. Possiamo fare il giro del mondo in un paio di giorni, forse meno: senza scambiare neanche una parola con nessuno.   Davanti alle nostre giornate c’è il prefisso “tele”: tele-visione (e tramite essa televendite, tele-sondaggi), tele-fono, tele-video per le notizie; e via discendendo. Il rischio, concretissimo, è che la nostra sia sempre di più una tele-vita: una vita vissuta o guidata da lontano, da qualcun altro. Già adesso le memorie elettroniche conservano traccia di ogni nostro acquisto con carta di credito, e possiedono dunque un nostro profilo più accurato di quanto noi stessi sappiamo, dei nostri gusti e delle nostre spese. Già adesso il nostro computer lascia traccia di ogni vi-


A SUA IMMAGINE   Non si tratta solamente di far polemica facile con gli aspetti più gravi e ridicoli del progresso tecnologico, ma di ripensare nel profondo al senso del nostro essere. Dal pulpito ci

LA PAROLA

MARCO BONATTI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE COMMISIONE DIOCESANA OSTENSIONE SINDONE press@sindone.org

LIBRERIA

SAN PAOLO Romanzo d’amore di Paolo Damosso Edizioni San Paolo, 2014 pagine 304, euro 15,00

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Bioetica per tutti di Ramón Lucas Lucas Edizioni San Paolo, 2014 pagine 200, euro 24,00

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RABBÌ, DOVE ABITI?   Il Vangelo della II domenica per Annum presenta tutt’altro scenario. Con una semplicità assolutamente disarmante è presentato l’inizio della missione pubblica di Gesù, e un dato è evidente: si tratta di una serie di incontri con persone. I verbi sono quelli di una normalissima vita quotidiana: una vita che, a differenza di tante giornate nostre attuali, comprende solamente incontri faccia a faccia. Giovanni stava con due discepoli, che poi vanno con Gesù e gli chiedono dove abiti (Noi, nelle nostre vite così piene di relazioni, quanta gente portiamo in casa nostra? E quanti ospitiamo così, all’improvvisata?).   Andrea incontra poi suo fratello Simone e gli dice, sempre con una semplicità che sbalordisce: «Abbiamo trovato il Messia». Israele aspettava da secoli quest’uomo; e l’attesa si tramandava da una generazione all’altra: era la ragione stessa di sopravvivenza del popolo. Ed ecco, il primo annuncio “pubblico” è questo: siamo stati lì col Messia, a casa sua, tutto il pomeriggio e la notte. Simone va e questo “sconosciuto” per prima cosa gli cambia nome. In Israele il nome ha un valore fondamentale, assoluto: il nome di Dio è impronunciabile; ma anche il nome che il padre di famiglia impone al figlio è la prospettiva di un destino.

viene predicato che il nostro Dio è “persona”, non idolo né statua, perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Gesù nel Vangelo si riferisce continuamente a persone vive, perché la comunicazione, la vita stessa passa solo tra persone (così come lo Spirito Santo è addirittura la persona che presenta, diffonde, comunica l’amore di Dio nel suo mistero trinitario). E noi, siamo ancora persone? E quali persone siamo?

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sita ai siti internet verso i quali navighiamo.

# INSIEME

VERSO LE PERIFERIE

4 IL RETTOR MAGGIOR

E:

«STARE CON I GIOVANI»

20 L’AUSILIATRICE

” NELLA “DIVINA COMMEDIA

46 RENZO ARBORE:

ANTICIPI DI PAR ADISO» «ALLEGRIA E MUSICA

ISSN 2283-320X

GENNAIO-FEBBRAIO

LIBRERIA SAN PAOLO Via consolata 1bis – TORINO 10122 Tel. 011 43 69 582 – lsp.torino@stpauls.it

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LA PAROLA

Ricostituito il gruppo degli Apostoli con l’elezione di Mattia, l’effusione dello Spirito (At 2,1-4) renderà i Dodici capaci di portare la testimonianza del Risorto a tutta la terra.

Guai a noi se non annunciamo il Vangelo UNA FESTA ANTICA ED UNA NUOVA FESTA  Nata nel Giudaismo come festa del raccolto, la ricorrenza di Pentecoste era anche conosciuta come “festa delle settimane”: essa doveva essere infatti celebrata sette settimane dalla Pasqua. Dopo che per ben cinquanta giorni si era mangiato pane azzimo in ricordo dell’Esodo, i Giudei si impegnavano ad offrire al Signore la primizia del frumento con cui si sarebbe impastato il nuovo pane lievitato! Gradualmente la festa venne collegata al dono della Legge (Es 19), ed assunse il tono di una annuale celebrazione di rinnovamento dell’Alleanza. Proprio nei giorni in cui a Gerusalemme si viveva questa festa, un evento nuovo segnò indelebilmente la vicenda dei Dodici e della Chiesa di ogni tempo. A Luca piace porre in concomitanza le due feste: il Dio di Israele aveva pro14

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messo al suo popolo il dono dello Spirito, suo Figlio Gesù aveva rinnovato quella stessa promessa. Ora è giunto il tempo in cui il nuovo si affianca al vecchio, facendo capire come Dio abbia preparato con cura ogni cosa per noi. Le promesse si compiono. Lo Spirito è effuso. Può avere inizio la nuova tappa della storia della salvezza affidata alla Chiesa. IL DONO   In quel giorno era convenuta nel «Cenacolo» (Lc 22,12; At 1,13) la comunità cristiana di Gerusalemme: essa si era riunita insieme ai Dodici, «ad alcune donne, a Maria, la madre di Gesù e ai fratelli di lui» (1,14). In questo luogo, già reso santo dall’istituzione dell’Eucaristia, sta per compiersi un evento senza precedenti: «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso,


LA PAROLA

e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro» (vv. 2-3). Si trattò di un fatto straordinario avvertito prima mediante un fragore, subito paragonato all’abbattersi di un vento impetuoso, poi attraverso lingue luminose, simili al fuoco, che si dividevano sui presenti.   Lo Spirito Santo che è Dio non può essere descritto concretamente, ma solo attraverso paragoni: egli è come un vento impetuoso, è come lingue di fuoco. Vento e fuoco: due forze della natura che già nell’Antico Testamento erano considerate annunciatrici della presenza di Dio e, per tali ragioni, scelte tra gli altri elementi per provocare in chi legge il senso di essere al cospetto di Dio stesso! Ad inverare nel lettore la tale presenza, si aggiunge la precisazione che tutto avvenne all’«improvviso». Anche questo è tipico del mostrarsi di Dio che senza dare preavvisi sceglie vie e mezzi per comunicarsi a noi.

che offre! A tal proposito è significativo che il racconto sulla Pentecoste si estenda fino a narrare delle conseguenze più essenziali di quella effusione dello Spirito. Molti sono i doni che lo Spirito avrebbe potuto accordare, ma in quel momento scelse di infondere negli Apostoli unicamente la capacità di parlare in lingue tutte diverse. Perché proprio questo dono? Per renderli capaci di annunciare a tutti il vangelo del Signore risorto! È l’imperituro compito affidato anche a noi: colmi dello Spirito, guai se non annunciassimo il Vangelo! MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

© Nino Musio

IL DONO PER TUTTI E PER CIASCUNO   Luca è fine nello scrivere che lo Spirito Santo è come il vento impetuoso che riempì quel luogo, per farci capire che si tratta di un dono dato indistintamente a tutti i presenti, ma poi precisa che è anche come lingue di fuoco che si dividono e si posano su ciascuno dei Dodici, a significare che si offre personalmente suscitando in ciascuno doni particolari. A ben pensare siamo di fronte ad una sapiente descrizione: unica la fonte dello Spirito, viene dal Padre e dal Figlio Gesù, universale la sua destinazione, ma personale è il dono

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MARIA

Un figlio speciale L’attesa di un figlio, il primogenito, è un momento di gioia e trepidazione: Riccardo, tanto atteso, nasce sano e forte ma a sette mesi un’encefalite virale lascia nel bambino segni permanenti. Però Irene non si lascia vincere dalla disperazione e, come Maria, trova la forza di accettare e crescere quel figlio speciale.  Irene ama parlare della nascita del suo primogenito e nel ricordare quei momenti felici i suoi occhi brillano ed il suo viso si illumina, anche se da allora sono passati quasi quarant’anni.   «Era bellissimo! Il più bello del reparto di maternità, lo dicevano anche i dottori e le infermiere!». Ama mostrare le foto dei primi mesi di vita del suo Riccardo e ama sottolineare come fosse vivace, robusto e vitale, un dono grande per tutta la famiglia…   Poi ci fu quella febbre terribile a sette mesi: un’encefalite di natura virale, purtroppo ricorrente nell’età pediatrica. I medici cercarono di rassicurarla sostenendo che nella maggior parte dei casi è una malattia curabile, da cui si guariva e non c’erano conseguenze ma per Riccardo invece non fu così ed i danni furono pesanti e permanenti. Irene doveva accettare una realtà terribile, un cambiamento totale rispetto alla vita che aveva fatto sino ad allora, la fine dei suoi sogni e dei mille progetti che ogni madre fa per il proprio figlio. Ma si rese però conto che, oltre il dolore e la disperazione che provava c’era qualcosa da fare: doveva chiedersi che cosa potesse servire per il futuro del suo bambino, per aiutarlo e per non arrendersi. Doveva conoscere a 16

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fondo i suoi problemi e cercare con ogni mezzo di stimolare e sostenere tutto ciò che di sano rimaneva in lui affinchè potesse vivere nel miglior modo possibile. VITA, OLTRE LA DIAGNOSI   Quella vita che lei gli aveva dato l’avrebbe strappata con le unghie e con i denti alla terribile diagnosi di cerebroleso che gli era stata fatta. Irene non era una donna istruita, era poco scolarizzata e il numero di libri che aveva letto sino a quel tragico episodio si potevano contare sulle dita di una mano ma il suo desiderio di imparare fu così forte ed impellente che la fece avvicinare a testi scientifici, di psichiatria, di psicologia e di medicina ad alto livello.   Divenne una lettrice instancabile, un’autodidatta,


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fu molto faticoso ed impegnativo ma la motivazione era ancora più forte! Leggeva la sera ed in ogni momento libero dagli impegni del negozio di tintoria, dalle faccende domestiche e dalla cura per gli altri due figli, nati dopo Riccardo.   I ritardi di apprendimento e le difficoltà di linguaggio resero complessa la scolarizzazione ed Irene cercò in ogni modo di aiutare suo figlio anche con supporti privati di logopedisti ed insegnanti.   Era convinta che frequentare la scuola gli servisse molto e senza scoraggiarsi degli insuccessi lo guidò sino al conseguimento di un diploma di scuola professionale che gli permise un lavoro dignitoso ed una certa autonomia. CON LA FORZA DELLA FEDE   Purtroppo Irene ha sempre lottato da sola poiché suo marito si arrese subito, ma ha lottato con una forza che scaturiva dentro di lei dal modello di Maria Consolatrice, mediatrice e madre di tutti.

Irene credeva senza bisogno di “riflettere” sulla propria fede, perché credere è un dono, è in sé una grande consolazione, tanto maggiore quanto più fiduciosamente ci si abbandona ad essa.   Rifletteva sul fatto che Myriam era stata una creatura normale e come tante altre ragazze aveva avuto dei sogni, dei progetti, poi le era stata fatta una grande richiesta, quella di portare in sé il figlio di Dio e la sua vita era stata stravolta da un qualcosa che aveva accettato prima ancora di capire ed aveva vissuto tutta la sua vita in funzione di quel figlio speciale, così diverso dagli altri, lo aveva seguito e sostenuto sino alla fine. FIGLIO PREDILETTO?   Anche Irene aveva avuto la vita trasformata da un qualcosa che non aveva certo scelto, anche a lei era stato dato un figlio “speciale” che doveva amare in modo speciale, proteggere, tutelare e indirizzare anche se ciò era difficile da far capire agli altri suoi figli che spesso le rimproveravano di trattare Riccardo come il figlio prediletto.   In realtà però lei sapeva bene che avevano ragione: amava i suoi tre figli allo stesso modo ma il primogenito per lei era davvero speciale!

I FIGLI SPECIALI SPESSO NON RICEVONO SUFFICIENTI APPORTI DA QUESTA SOCIETÀ. IL RISCHIO È RICORDARSI DI LORO SOLTANTO A NATALE, QUANDO SI FA UNA CAMPAGNA ELETTORALE, NELLA GIORNATA MONDIALE DELLE PERSONE DIVERSAMENTE ABILI. BISOGNA INVECE AGIRE NEL QUOTIDIANO, SCOPRENDO CHE SONO DONO, CON LE CAPACITÀ CHE GLI ALTRI NON HANNO, MA SOPRATTUTTO SANNO AMARE INCONDIZIONATAMENTE.

FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Gesù fra i dottori nel tempio

Dell’infanzia di Gesù a Nazaret non sappiamo nulla al di fuori della telegrafica informazione che il solo evangelista Luca ci offre: Giuseppe, Maria e Gesù «fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Lui» (Lc 2,39-40). L’estremo riserbo evangelico abbraccia anche l’intera esperienza infantile di Gesù. Non una parola, non un solo accenno, ma mancanza assoluta di informazioni. Il silenzio viene ampiamente compensato dall’inverosimile pletora di fatti improbabili che ci viene propinata dai soliti apocrifi, fra i quali si distingue il Vangelo dell’infanzia di Tommaso. LA VITA DI PREGHIERA A NAZARET   Nella noiosa quotidianità vissuta nello sperduto e sconosciuto villaggio della Galilea il Signore impara il rispetto delle tradizioni degli antenati e, soprattutto, l’importanza del pregare Dio. Fulcro della preghiera è, per 18

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ogni buon ebreo, l’annuale pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della Pasqua. Il Pentateuco prescrive tre pellegrinaggi annuali. Per motivi di opportunità, coloro che vivono fuori dalla Giudea si limitano a farne uno solo. È il caso di tutti i galilei. Viaggiare, in quel tempo, è molto disagevole e pericoloso a motivo dei briganti che infestano, in modo particolare, la Samaria e le località desertiche. I viaggi si effettuano solo organizzando grandi carovane. Anche i nazaretani si dirigono verso Gerusalemme in blocco non uniti ma separati in due tronconi. Gli uomini precedono le donne mentre i bambini scorazzano da un gruppo all’altro. Così le famiglie viaggiano rigorosamente separate, con il rischio, a volte, di perdersi di vista. In occasione delle festività pasquali attorno al Tempio si ammassa una folla di oltre centomila fedeli che crea grandi difficoltà di approvvigionamento e di alloggio. La confusione regna sovrana e un ragazzetto sprovveduto


IL RAGAZZINO GESÙ SI RIVELA DOTATO DI SPIRITO LIBERO   Gesù ha dodici anni. È ormai giunto a ridosso della festa del barmitwah che segnerà ufficialmente il suo ingresso nell’età adulta, che di solito avviene attorno ai quattordici anni. È intelligente e vuole approfondire alcuni aspetti della sua fede. È consuetudine, come attesta Giuseppe Flavio nella sua Autobiografia (2,9), che i dottori della Legge, nel Tempio, si mettano a disposizione anche dei ragazzini. Il piccolo nazaretano non si lascia sfuggire l’occasione e si dimentica dei suoi compagni di pellegrinaggio. Questo come è possibile in un contesto culturale ed educativo completamente incentrato sull’importanza della famiglia e sull’obbedienza filiale? Qualsiasi trasgressione al riguardo non può venire tollerata ed espone a severe punizioni. Non è assolutamente fattibile che un ragazzo possa allontanarsi senza permesso, per ben tre giorni, dai propri genitori. Sarebbe uno scandalo inaudito! Quello di Luca è un racconto storico o una narra-

zione a sfondo teologico? Forse i tre giorni di allontanamento del ragazzino prefigurano i giorni della Passione e Risurrezione? La frase: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49) si può leggere come un indizio che Gesù ha già maturato una consapevolezza della sua natura divina? Perché Maria e Giuseppe non comprendono, nonostante che siano a conoscenza del concepimento verginale del bambino? Perché Gesù, pur essendo conscio di essere di natura divina, riprende a vivere, a Nazaret, sottomesso ai suoi genitori? I teologi e gli esegeti si accapigliano santamente nel tentativo di dare una risposta a questi interrogativi. Forse, più che a discutere inutilmente, è saggio da parte nostra seguire l’esempio di Maria così descritto da Luca: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore». Anche per noi il ritrovamento nel Tempio può offrire numerosi spunti di meditazione da sviluppare nel silenzio e nel raccoglimento della coscienza e dell’intelligenza. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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che viene dalla lontana Galilea può perdere, inosservato, i contatti con il proprio gruppo. A Gerusalemme ci si ferma, di solito, una settimana durante la quale si prega, vengono offerti sacrifici nel Tempio. Il pellegrinaggio si conclude con il sacrificio di un agnello e con la consumazione della cena pasquale a base di pane azzimo ed erbe amare. Si mangia in piedi in memoria dell’uscita del popolo di Israele dall’Egitto. Espletate tutte le formalità richieste, si rifanno i bagagli, si carica tutto sugli animali da soma e ci si avvia sulla strada del ritorno a casa.

I VIAGGI SI EFFETTUAVANO SOLO ORGANIZZANDO GRANDI CAROVANE, SEPARATI IN DUE TRONCONI. GLI UOMINI PRECEVANO LE DONNE MENTRE I BAMBINI SCORAZZAVANO DA UN GRUPPO ALL’ALTRO. COSÌ LE FAMIGLIE VIAGGIAVANO RIGOROSAMENTE SEPARATE, CON IL RISCHIO, A VOLTE, DI PERDERSI DI VISTA.

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L’Ausiliatrice nella Divina Commedia Al pari di Francesco Petrarca, Dante (12651321), padre della lingua italiana, non può trascurare nella sua vita spirituale il chiaro riferimento alla beata Vergine Maria. Infatti ne riserva un ruolo tutto particolare.

Dante Alighieri precedette san Giovanni Bosco nella venerazione di Maria Ausiliatrice. È la sottolineatura che la studiosa torinese Maria Teresa Balbiano d’Aramengo sviluppò nella seconda metà del Novecento attraverso centinaia di popolari conferenze in Italia e all’estero. La sua interpretazione è codificata in un saggio (Un viaggio guidato da Maria) che l’editrice Riccadonna ha recentemente pubblicato in appendice al volume della Balbiano su L’Inferno di Dante, primo tomo di un apprezzato commento alle tre cantiche della Divina Commedia (Torino 2003-2006). IL SOCCORSO MATERNO E SPONTANEO DI MARIA   Fin dai primi canti dell’Inferno l’azione ausiliatrice di Maria - di aiuto “spontaneo” all’uomo, donato anche senza essere stato richiesto - viene messa in evidenza esplicita da Dante, che coglie la Madon20

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na in una sfumatura diversa da quella di altre devozioni mariane, per le quali Maria è piuttosto una “mediatrice” da invocare per ottenere grazie presso Dio. L’Ausiliatrice viene in soccorso di Dante senza essere stata invocata, si muove di propria iniziativa, è spinta soltanto da premura materna.   «Agli albori del Novecento – osserva la Balbiano – don Bosco diffuse il culto della Vergine Auxilium Christianorum, ma Dante ci aveva pensato con sei secoli di anticipo; la Divina Commedia è, da cima a fondo, un attestato di fede nella Madonna Ausiliatrice. Ausi-


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liatrice, si badi bene, del tutto spontanea. Descrivendo il suo smarrimento nella selva oscura, Dante dice di aver passato una notte di terrore; non dice, non accenna di aver pregato; non si è rivolto a Lei, non ci ha pensato nemmeno, eppure Ella si è mossa in suo soccorso, e ha dato il via a quel susseguirsi di avvenimenti – provvidenziali tutti – che costituiranno la meravigliosa avventura dantesca e termineranno, così come da Lei sono cominciati, soltanto ai piedi di Lei». La vicenda è nota: Maria si è mossa dal Cielo per redimere Dante, ha incaricato Beatrice, la quale si è rivolta a Virgilio… una catena di straordinari interventi per salvare l’uomo. CONTEMPLARE MARIA NELLA DIVINA COMMEDIA   Fra la comparsa dell’Ausiliatrice nel Canto II dell’Inferno («Donna è gentil nel ciel che si

compiange…») e la sua celebrazione completa nel XXXIII del Paradiso per bocca di san Bernardo («Vergine Madre, figlia del tuo figlio») il cammino di Dante nei tre Regni dell’Aldilà è puntellato di riferimenti mariani, piccole continue catechesi costruite attorno alla Madonna, agli episodi evangelici che vi si riferiscono, alla devozione della Chiesa nelle sue tante espressioni. Il saggio della Balbiano rintraccia tutti i riferimenti, uno per uno, offrendo la Commedia in una luce nuova sul piano narrativo, molto interessante sotto il profilo della meditazione spirituale.   L’intero commento della Balbiano alla Divina Commedia è un invito a meditare, oltre che a godere la lettura del testo poetico: la semplicità delle spiegazioni, l’originalità dei suggerimenti critici sono affiancati da brevi riassunti di ogni canto, da una versione in prosa moderna di tutti versi poetici e da illustrazioni inedite dell’artista piemontese Fabio Bodi.

MARIA TERESA BALBIANO D’ARAMENGO (1911-1988), ATTIVISSIMA DIVULGATRICE DELL’OPERA DANTESCA E CAMPIONESSA DEL PRIMO “LASCIA O RADDOPPIA?” NEL 1956. LA GRANDE POPOLARITÀ RAGGIUNTA AGLI ALBORI DELLA TELEVISIONE ITALIANA DIEDE IL VIA A MIGLIAIA DI LEZIONI E CONFERENZE IN TUTTA LA PENISOLA, PRIVILEGIANDO LE PLATEE POPOLARI: SCUOLE, PARROCCHIE, CIRCOLI GIOVANILI, UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ. NASCE DA QUESTA ESPERIENZA UN COMMENTO DESTINATO AL GRANDE PUBBLICO.

AELREDO COMOLLO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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GIOVANI

Ha ancora senso parlare di etica nell’odierna educazione? Attuali problemi educativi.  L’acronimo LGBTQ sta diventando un must nelle chiacchiere up to date dei salotti benpensanti. Nello stesso tempo esso si sta trasformando in un incubo per molti genitori intellettualmente all’avanguardia per tutto quello che concerne la società civile, ma terribilmente arroccati nel conformismo e moralismo a riguardo di quanto viene vissuto nel contesto della propria famiglia. Ma LGBTQ che cosa significa? L sta per lesbica; G significa gay; B denota la bisessualità; T è legato alla transessualità; Q definisce la mentalità queer in cui si riconoscono tutti coloro che si sottraggono a qualsiasi tentativo di definizione di genere. Negli USA molti adulti temono sempre più l’eventualità che i loro figli se ne escano un giorno facendo, senza alcuna reticenza, coming out a riguardo dei loro reali orientamenti sessuali. Per tentare di lenire la montante inquietudine genitoriale sorgono scuole di comportamento, si allertano squadre di psicologi e psichiatri, si risvegliano gli spiriti di crociata dei benpensanti. Da settembre 2014, negli Stati Uniti, uno dei best seller è un libro scritto da Owens-Reid Danielle - Russo Kristin: This is a book for parents of gay kids (Chronicle Books). In esso si tenta di offrire dei consigli pratici mirati a favorire la convivenza in famiglia anche in presenza di scelte comportamentali sessualmente considerate “improprie”. Alcune indicazioni suonano, più o meno, così: non far finta di nulla; non rispondere lo «sapevo»; non dire «è colpa tua»; parlare di sesso sicuro; attenersi scrupolosamente alle differenze di genere; soprattutto dirgli/le che gli/le si vuole bene. Nessun riferimento a valori religiosi o etici. Uno può essere d’accordo o meno a riguardo dei contenuti di questo libro. Di certo dovrebbe attirare l’attenzione di tutti coloro che, salesianamente, sono interessati all’educazione dei giovani. 22

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QUALI RISPOSTE EDUCATIVE DIAMO?   La prima riflessione che mi viene in mente consiste nel prendere atto delle profonde differenze tra le famiglie reali e i modelli in auge negli ambienti ecclesiastici. Non so se nelle discussioni tenute durante il recente Sinodo sulla famiglia si sia scandagliato a fondo quello che gli adolescenti pensano a riguardo di essa in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue dimensioni. Sotto i nostri sguardi, colpevolmente distratti, le piattaforme mediali stanno inculcando, con una persuasività inquietante, nuovi modi di vivere la mascolinità e la femminilità al di fuori di qualsiasi etica senza per questo ingenerare strazianti dubbi legati all’identità sessuale, alle soluzioni di genere o al rapporto con una sana moralità. Quale famiglia può venire fuori da un contesto di informazione giovanile in cui i primi attori non sono i genitori o gli educatori ma Youporn, da troppi adolescenti considerata la più valida agenzia di introduzione ai problemi del mondo della sessualità? All’insaputa di troppi educatori, la rete sta spingendo i giovani verso nuove frontiere di relazioni umane


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impermeabili a qualsiasi valore e gravide di un nichilismo umiliante e tragico. Si sente parlare sempre più frequentemente di “nuova etica”. In essa non si accenna all’amore, al rispetto, alla tenerezza, al perdono, al sacrificio, alla solidarietà che hanno sempre formato i pilastri di qualsiasi educazione del recente passato. Oggi i nuovi valori sono fitness, diete alimentari, cibo biologico, animalismo, alimentazione vegana, spontaneità, rifiuto di qualsiasi impegno fisso, fantasia libera e creatrice, amore eterno (ma solo finché dura…). È eticamente corretto tutto ciò che piace ed appaga. Recentemente si è cominciato a parlare, sulle riviste più trendy, di porno eticamente corretto. Qualsiasi rappresentazione pornografica è buona a patto che i protagonisti agiscano con professionalità, non siano costretti e lo facciano consapevolmente. Ma tutto questo è etica o “marketing dell’autoassoluzione?” Romagnoli Gabriele, giornalista di un noto quotidiano, scrive: «Può esistere un’etica del porno o, piuttosto, siamo alla pornografia dell’etica?». Basta che i fondi di investimento internazionale non investano in droga ed

armi per rendere etici i loro immensi profitti? Rivestire di valore etico ciò che è semplicemente più sano, più bello, più divertente, più alla moda è la moderna tendenza in atto in molte società infarcite ossessivamente di estetismo, culturismo ed opportunismo esistenziale. Nel contesto di educare i giovani alla vita familiare basta presentare il modello Mulino Bianco, dove il semplice pensare alla buona pasta scatena una irrefrenabile voglia di ritorno a casa? La comoda legittimazione di qualsiasi perturbazione pulsionale è la piattaforma giusta per costruire nuove relazioni umane? Il fatto che l’etica venga considerata non più come criterio di distinzione fra bene e male, ma come una semplice etichetta da appiccicare o da usare come foglia di fico, in modo esortativo, solo per trarre benefici individuali, può non inquietare chi ha il dovere di educare i giovani? Può lasciare indifferente il fatto che, in alcuni stati americani, la prostituzione sia stata riconosciuta come un “lavoro etico”? Gramsci diceva che «i costumi si modificano molecolarmente». In questa nuova fucina chimica sociale, come cristiani educatori, che ruolo ci ritagliamo al di fuori della solita sterile indignazione? Quali elementi nuovi riusciamo ad immettere nella caotica e travolgente fabbrica di nuovi modi comportamentali che caratterizza i nostri giorni? ERMETE TESSORE tessore.rivista@ausiliatrice.net

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Cristiani senza Eucaristia? Chiesa dei santi Martiri di Abitene, Beatrice Capozza dipinto paretale.

«Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt4,4). «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me» (Lc22,19). Parola e Pane donati nell’eucaristia al cristiano perché segua fedelmente ogni giorno il suo Dio, il “Dio della vita”.  Mai sentito parlare dei martiri di Abitene? Era una città della provincia romana detta Africa proconsularis, nell’odierna Tunisia. Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano, dopo anni di relativa calma, scatena una violenta persecuzione contro i cristiani ordinando che «si dovevano ricercare i sacri testi e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture, perché fossero bruciati; si dovevano abbattere le basiliche del Signore; si doveva proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore». 24

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SINE DOMINICO NON POSSUMUS   Ad Abitene un gruppo di 49 cristiani, contravvenendo agli ordini dell’Imperatore, si riunisce settimanalmente in casa di uno di loro per celebrare l’Eucaristia domenicale. È una piccola, ma variegata comunità cristiana: vi è un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino, una vergine, Vittoria, un lettore, Emerito. Sorpresi durante una loro riunione in casa di Ottavio Felice, vengono arrestati e condotti a Cartagine davanti al


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proconsole Anulino per essere interrogati. Tra le diverse testimonianze, significativa è quella resa da Emerito. Questi afferma, senza alcun timore, di aver ospitato in casa sua i cristiani per la celebrazione. Il proconsole gli chiede: «Perché hai accolto nella tua casa i cristiani, contravvenendo così alle disposizioni imperiali?». Ed ecco la risposta di Emerito : «Sine dominico non possumus»; non possiamo, cioè, né essere né tanto meno vivere da cristiani senza riunirci la domenica per celebrare l’Eucaristia. Il termine «dominicum» racchiude in sé un triplice significato. Esso indica il giorno del Signore, ma rinvia anche, nel contempo, a quanto ne costituisce il contenuto: alla Sua resurrezione e alla Sua presenza nell’evento eucaristico. MESSA COME PRECETTO?   Questi martiri di Abitene hanno affrontato coraggiosamente la morte, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non venir meno all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale. Perché? non certamente per la sola osservanza di un “precetto”, visto che solo in seguito la Chiesa stabilirà il precetto festivo. Allora, perché? Perché i cristiani, fin dall’inizio, hanno visto nella domenica e nell’Eucaristia celebrata in questo giorno un elemento costitutivo della loro stessa identità. È quanto emerge con chiarezza dal commento che il redattore degli “Atti dei martiri” fa alla domanda rivolta dal proconsole al martire Felice: «Se sei cristiano non farlo sapere. Rispondi piuttosto se hai partecipato alle riunioni». Ed ecco il commento: «Come se il cristiano potesse esistere

senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano». LA CENTRALITÀ DELLA DOMENICA   Fin qui Wikipedia. Ma com’è possibile che tanti cristiani (cosiddetti) del nostro tempo possano ignorare la celebrazione domenicale preferendo chiudersi in un supermercato o scivolare sulla neve o dormire? Qualche tentativo di risposta nel prossimo numero della rivista. Ma alla luce della testimonianza dei martiri di Abitene acquista maggior forza quanto scrivono i Vescovi italiani negli Orientamenti pastorali: «Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento». GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net

L’EUCARISTIA È QUANTO DI PIÙ PREZIOSO LA CHIESA POSSA AVERE, È IL DONO PIÙ PREZIOSO, «IL DONO PER ECCELLENZA RICEVUTO DAL SUO SIGNORE, PERCHÉ DONO DI SE STESSO, DELLA SUA PERSONA NELLA SUA SANTA UMANITÀ, NONCHÉ DELLA SUA OPERA DI SALVEZZA» (N. 11); PERCHÉ «FONTE ED APICE DELLA VITA CRISTIANA» (LG, 11; EDE, 1).

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Un’Ave Maria per i bambini del mondo A tu per tu con il soprano polacco Dominika Zamara, che dedica il nuovo singolo all’infanzia più povera e abbandonata.

S’intitola Ave Maria per un bambino il nuovo singolo che il soprano polacco Dominika Zamara dedica a tutti i bambini del mondo, in particolare a quelli più poveri e abbandonati. Trentatre anni, venticinque dei quali dedicati allo studio rigoroso della musica e al canto, e una carriera che l’ha già portata a esibirsi nei più prestigiosi teatri lirici in ogni angolo del globo. L’abbiamo incontrata per saperne di più. NATA PER VIVERE TRA LE SETTE NOTE Come è germogliato l’amore per la musica? «È nato insieme a me. Fin da quando ero piccola sono convinta di essere nata per 26

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cantare: ho cominciato intorno ai sette anni a studiare pianoforte ma la passione per il canto è stata ed è rimasta il mio primo amore. I miei primi ricordi mi vedono, bambina, esibirmi in chiesa come solista in arie e canti sacri e registrare brani musicali per la radio». Non sempre, però, l’amore riesce nell’intento di trasformare una passione in una professione… «È vero! Per questo ho studiato con grande impegno e determinazione. Nel 2007 mi sono laureata con il massimo dei voti all’Accademia musicale di Wroclaw, dove sono nata, e l’anno precedente mi è stata regalata la possibilità di perfezionarmi, grazie a una borsa di studio, al Conservatorio di Verona. L’esperienza in Italia,


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la patria del “bel canto”, mi ha arricchita molto e ha permesso di mettermi alla prova per affrontare alcune difficoltà comuni a chi si trasferisce, anche solo momentaneamente, in un paese diverso dal proprio». Che cosa, in particolare? «L’approccio con la lingua. Già quando studiavo in Polonia mi ero accorta che non tutti i volumi di letteratura musicale sono tradotti in polacco e questo mi ha spinta a cercare di oltrepassare le barriere linguistiche e a confrontarmi con l’inglese, il francese, il tedesco e l’italiano. Quando sono arrivata in Italia, però, mi sono resa conto che l’italiano scritto sui libri di teoria musicale è molto diverso da quello che parlano gli italiani. Così ho dovuto “recuperare” un italiano meno formale e aulico per entrare in contatto con le persone che mi circondavano». UNA PREGHIERA CHE NASCE DAL CUORE Come nasce Ave Maria per un bambino? «Dalla fusione delle sensibilità di Brunella Postiglione, che ne ha scritto le parole, di Luigi Mosello, che ne ha composto la musica, e di Andrea De Paoli, che ha adattato il testo per la versione in lingua inglese, Ave Maria for child. È un brano d’impostazione lirica con un sottofondo musicale che ricorda le colonne sonore dei capolavori del cinema western». L’uso della voce trasmette un senso vibrante di spiritualità…

«La voce non mente, perché - a differenza di un clavicembalo, di un violino o di un oboe - è uno strumento vivo, non costruito. Sgorga direttamente dal cuore ed è espressione fedele dell’anima… È qualcosa di metafisico e contiene vibrazioni che non si possono spiegare. Per questo adoro dar voce alla musica sacra, come lo Stabat Mater di Pergolesi, o l’Exsultate, Jubilate di Mozart che, grazie anche all’uso della lingua latina, è in grado di rievocare emozioni che spalancano il cuore di chi ascolta». Quali sentimenti e stati d’animo sgorgano dal suo ultimo canto? «Infinita tenerezza verso tutti i bambini del mondo, creature pure e innocenti, “portatrici sane” di candore, dolcezza e spontaneità. Ave Maria per un bambino è una preghiera che invoca la protezione della Madonna su di loro, soprattutto su chi soffre per la fame, la povertà, le malattia e la guerra».

I BRANI “AVE MARIA PER UN BAMBINO” E “AVE MARIA FOR CHILD” SONO PUBBLICATI DA EDIT MUSIC ITALY, WWW.EDITMUSIC.IT

CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Francesco dalle buone maniere Vescovo, dottore della Chiesa, patrono dei giornalisti.

NON È PER LA MOLTEPLICITÀ DELLE NOSTRE OPERE CHE PIACCIAMO A DIO MA PER L’AMORE CON IL QUALE NOI LE COMPIAMO. 28

Nei mass media risuona un allarme, più frequente di quello della Protezione Civile, riguardante l’imbarbarimento dei rapporti interpersonali: la buona educazione non si insegna, le buone maniere sono rare, il galateo ritenuto una sovrastruttura medievale inutile per l’uomo post moderno. Ed allora imperversano, a livello pubblico, i signori dalle parolacce facili, dai gestacci e insulti inqualificabili. Penso che conoscere la vita di Francesco di Sales aiuterebbe ad essere meno “barbari”. Egli, pur di famiglia nobile, ricco di cultura e di qualità umane, è rimasto famoso anche per le sue buone maniere con tutti: cattolici o protestanti, poveri o ricchi, uomini o donne. Tutti soggiogati.

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FRANCESCO, STUDENTE A PARIGI E PADOVA   Francesco è nato in Savoia (a Sales), nel 1567, in una famiglia nobile solo quattro anni dopo che il duca Emanuele Filiberto trasferisse la capitale da Chambery a Torino. Nel 1578 vi trasferirà anche la Sindone diventata così la Sindone di Torino. Il padre aveva già programmato per lui, il primogenito, un posto nel Senato della Savoia ed una carriera politica. Lui la pensava diversamente: le sue aspirazioni si indirizzavano verso il servizio nella Chiesa. Studiò dai Gesuiti a Clermont, teologia a Parigi e diritto a Padova. Qui diventò dottore in diritto civile e religioso. Fece anche un pellegrinaggio a Loreto. Culturalmente era quin-


FRANCESCO MISSIONARIO TRA I PROTESTANTI   I protestanti era diventati forti. Erano presenti anche nella Savoia e per questo il duca Carlo Emanuele I, sognava una “riconquista”, politica e religiosa. Nel 1593 iniziò una nuova campagna di ri-conversione cattolica, grazie ai Cappuccini, a volontari missionari del clero diocesano. Uno di questi era Francesco. I capi calvinisti diedero subito in allarme diffidando dall’ascoltare gli odiati (da loro ma non dalla gente) predicatori papisti. Tra di essi si distinse per la sua cultura e per i modi sempre affabili con tutti Francesco. Egli aveva adottato come metodo di base il dialogo, paziente e graduale con tutti. Magari non erano convinti degli argomenti ma certamente lo erano umanamente. Il che non è poco. Anzi per molti fu proprio l’inizio della conversione e del ritorno nella Chiesa. Fu cioè una metodologia vincente. Scriverà: «Vi garantisco che ogni volta che sono ricorso a risposte pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno molto di più per amore e carità, che per severità e rigore». Un principio valido in famiglia, nella Chiesa e tra i religiosi. Nel 1596 arrivarono i primi risultati: un noto avvocato ridiventò cattolico e due anni dopo tremila capifamiglia lo seguirono. Nel 1599 durante un suo viaggio a Roma fu nominato vescovo ausiliare di Ginevra con diritto di successione. Qui conobbe san Filippo Neri e altri personaggi

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di ben attrezzato come dimostrerà in seguito. Ed il futuro? Lo scontro col padre, inevitabile, diventò palese. Francesco però optò risolutamente per la Chiesa Cattolica. Non voleva la politica.

che saranno utili per la fondazione dell’ordine della Visitazione (insieme a santa Francesca F. de Chantal, sua figlia spirituale). FRANCESCO VESCOVO E SCRITTORE   Nel 1602 divenne vescovo di Ginevra, diocesi con ancora 130 parrocchie da ri-cattolicizzare con la pazienza, il dialogo, la bontà e la formazione per il clero e i fedeli. Tutti ne avevano bisogno: fu un lavoro enorme. La storia dice che fu sempre un pastore affabile con i nobili, i dotti e i semplici fedeli, di campagna o di montagna. Tutti.   Non fu solo un grande vescovo e predicatore. è stato anche autore di libri spirituali famosi, ancora oggi letti. Il suo pensiero centrale era: l’amore di Dio per noi e il nostro amore per Dio. Tra i suoi libri, quello più famoso rimane La Filotea. Qui egli approfondisce il concetto di “devozione” intesa come amore intenso e pronto verso Dio; un amore non esclusivo di penitenti o dei religiosi ma come vocazione di tutti. In altre opere ha insistito molto sulla “santa indifferenza” davanti alla volontà di Dio e all’idea che bisogna fare tutto per amore di Dio. Il beato Paolo VI (beato, nel 2014) lo dichiarò Doctor Divini Amoris.   La sua fama di santità, i suoi libri sempre attuali, la metodologia apostolica (dialogo, pazienza e bontà) lo hanno reso famoso nella Chiesa. Ultimo particolare: don Bosco lo scelse come modello dei Salesiani, che da lui derivano appunto il nome.

LE NOTTI SONO GIORNI QUANDO DIO È NEL NOSTRO CUORE, E I GIORNI DIVENTANO NOTTI QUANDO LUI NON C’È.

Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni di Mario Scudu Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00

MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

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E se… mollassi? La scelta del male non è mai definitiva. E purtroppo neanche quella del bene. Non siamo mai troppo protetti contro le tentazioni. Senza Gesù non possiamo fare nulla.  L’argomento della vocazione affascina e suscita dibattito. La chiamata dei pescatori, di Levi, e soprattutto quella del giovane ricco, che non ha il coraggio di rinunciare al benessere per seguire Cristo, invitano ad immedesimarsi nei personaggi. È chiaro che tutti abbiamo risposto ad una chiamata: il Parroco, le catechiste, i genitori, e anche i ragazzi, che hanno effettuato la scelta del Catechismo, rinunciando, magari, alla scuola di calcio. Scelta difficile. «Tu fai da tanti anni la catechista, interviene Andrea, ma se adesso mollassi? Se non avessi più voglia di andare in chiesa, di pregare, che cosa succederebbe?». «Niente, perché sono libera, come tutti voi. Nessuno mi ha costretta a fare questa scelta e nessuno mi costringerebbe a restare». «Ma te ne andresti triste?» insiste il ragazzo. «Certo, infinitamente triste e sola. Il fatto di aver scelto Gesù e il suo insegnamento non ci rende insensibili al fascino del Male. Dobbiamo vivere ogni momento alla presenza di Dio e in dialogo con Lui per resistere alle tentazioni. Ma pensiamo a che cosa ci chiede in particolare Gesù in quest’anno in cui ci prepariamo a riceverlo». Le risposte sono omogenee: più attenzione a scuola, più ubbidienza, più amore per gli altri, maggior pazienza con fratelli e sorelle, meno dispetti. «E se Gesù chiedesse ad ognuno di voi in particolare di lasciare tutto e di seguirlo, che cosa vi impedirebbe di farlo?». «Io non vorrei lasciare la mia collezione di peluches» dice Valeria. «Io la mia 30

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bella casa», «Io le macchinine», «Io il tablet» sono le risposte che si susseguono. «Io le patatine», strilla Christian. «Perché, siccome Gesù non aveva una casa propria e mangiava da chi lo invitava, non poteva trovare dappertutto le patatine fritte». «Tranquillo: al tempo di Gesù e nel suo paese la patata non esisteva!». «Veramente? Allora lo avrei seguito di corsa!». ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

E SE GESÙ CHIEDESSE AD OGNUNO DI VOI IN PARTICOLARE DI LASCIARE TUTTO E DI SEGUIRLO, CHE COSA VI IMPEDIREBBE DI FARLO?


Don Bosco, una vita da... sogno MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

foto di Mario Notario

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Leggiamo nel Libro di Giobbe: «Dio parla in molti modi, però nessuno lo ascolta: in sogno, nelle visioni notturne» (Gb 33,14). Nella storia della salvezza, descritta nella sacra Scrittura, Dio si configura come il Grande Comunicatore, sia per la quantità sia per la modalità di queste comunicazioni fatte all’uomo di cui «si prende cura» (Sal 8). Anche nella vita di don Bosco Dio ha parlato in molti modi, anche con i sogni. Famoso perché profetico e programmatico fu quello dei 9 anni. Senz’altro una pagina di fondamentale importanza per la sua missione di “Padre e Maestro della Gioventù”, lo accompagnerà infatti tutta la vita. Gli servirà non solo come profezia anticipatrice, ma anche come fonte di orientamento ed incoraggiamento. Solo un sogno? un banale e comune sogno? No, molto di più. Fu un’esperienza matrice per lui, fu la sorgente della sua opzione fondamentale futura, fu un’irruzione del soprannaturale che darà alla sua vita una configurazione particolare. San Giuseppe Cafasso, suo confessore, parlando dei suoi “sogni” li definiva “manifestazioni divine”; il beato don Michele Rua, suo primo successore, li qualificò come “visioni”. Non dobbiamo meravigliarci: è infatti lo stesso Dio che parlava a Giovannino Bosco anche in sogno, come aveva fatto ai profeti e a tanti uomini e donne di Dio lungo la storia, suoi strumenti in terra, scelti per la sua missione salvifica. Gli storici dicono che la vita di don Bosco fu la semplice attuazione pratica del programma educativo descritto nel sogno, come il sigillo di Dio sulla sua missione futura per i giovani. Lui stesso dirà loro: «Tutto io faccio per voi… È tutta la mia vita stare con voi» e ripensando agli inizi della sua missione affermò: «Intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime» cioè dei giovani con l’obiettivo di «fare dei buoni cittadini in questa terra» e poi «degni abitatori nel cielo». Don Bosco promise di lavorare solo e sempre per la gloria di Dio (contemplazione) aiutando in tutti i modi i giovani che Dio gli mandava (azione), realizzando il tutto con la metodologia suggerita nel sogno: «Non con le percosse ma con la bontà e con l’amore dovrai guadagnare questi tuoi amici». Solo con la pazienza, che è sinonimo di amore, doveva “convertire” i giovani violenti del sogno, simbolizzati in vari animali anche “feroci”, in mansueti agnelli, come gli apparvero sulla scena. E questa fu la sua missione. Riuscita. GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Non con le percosse ma con la bontà e l’amore tu dovrai lavorare per i miei figli


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Tu, Maria mi guiderai «Tra tutti i titoli di Maria, io ho scelto quello di Ausiliatrice perché io cerco l’aiuto, non la sicurezza! Tu, Maria, hai saputo fare e condividere la tua esperienza. Hai imparato a conoscere tuo Figlio e il tuo cuore se ne è saziato. Per avere un figlio hai donato il tuo corpo, Un amore di madre, una presenza di donna Una pazienza nascosta. Ecco ciò di cui ho soprattutto bisogno! Tu Maria, mi guiderai passo dopo passo, perché io metto tutta la mia fiducia in te. Istruisci il mio cuore, perché insieme con gli altri sappia perseguire la vera felicità. Resta accanto a me Maria. Per mostrarmi tuo Figlio Perché verso di lui io tendo. Ora ti considero come madre mia, Tu sei disponibile per tutto quello che devo fare. Tu proteggi, tu custodisci. Il tuo manto difende tutti i tuoi figli. Ausiliatrice, ecco il nome nel quale io lavorerò».

(Da Daniel Federspiel sd b, Pregare con don Bosco, Elledici, Torino)

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Il passo giusto Incontro con il dott. William Liboni della Fondazione “Un passo insieme”.  Accantonate per un istante il ricordo della vostra ultima visita ad un ospedale, dimenticate l’odore forte dei corridoi, l’immagine costante della lettizzazione e quell’ultimo avamposto della salute che ci è concesso sulla soglia della malattia. Ora dimenticate anche la malattia e tutte le paure che ad essa e ai suoi strascichi si accompagnano, che tormentano chi percorre quel confine e lo supera magari da solo. Perché serve uno sforzo di lucidità per comprendere certi miracoli”, segni con cui un neurologo come William Liboni fa i conti tutti i giorni e attraverso i quali ha scelto di portare la propria testimonianza di cristiano, prendendosi cura di uomini e donne che hanno fatto quel percorso a ritroso. Uscendo da un ospedale, superando una malattia dopo essere stati dati per spacciati e arrivando alle porte di una casa da cui si riparte per “camminare insieme”. Fuori dalle dinamiche tradizionali della postacuzie in un nosocomio. Un passo insieme è proprio il nome della Fondazione che alle porte di Torino può contare su un centro socioterapeutico riabilitativo all’avanguardia. Oltre il cancello del Centro Ci siamo tutti di Frazione Brione a Val della Torre non serve sforzare la fantasia per capire che la guarigione non è solo un processo individuale, la terapia non è un dogma, la ricerca non si chiosa come fantascienza.

diverso già da casa quando si viene qua e questo è fondamentale» conferma Liboni, sistemando al meglio la cucina che, di là a qualche ora, sarà a disposizione di chi ha saputo trasformare la propria disabilità in una risorsa, da impiegare in un corso culinario o nella preparazione di un pasto per quella comunità che si muove da mattina a sera per i corridoi del Centro. «Tutto è disposto in modo sicuro perché davvero tutti la possano usare: il forno ha un’apertura semiautomatica, le piastre non sono incandescenti al tatto, non esistono barriere.

UNA CURA COLLETTIVA   A raccontarlo è la serenità del volto di chi arriva per una seduta di terapia o una delle iniziative del centro, persino all’alba. Ci si avvicina alle porte con lo sguardo acceso e il sorriso, se non con una leggera impazienza nel voler tornare a mettersi alla prova. «Si parte con uno spirito GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Chi ha detto che una persona non possa più cucinare perché in carrozzina o anche a causa di un serio problema neurologico?». William Liboni non lascia il tempo di cercare una risposta che è già da un’altra parte, tutto preso dall’accensione di un grosso macchinario che sembra lo schermo di un videogame da sala giochi. «È proprio questo, un simulatore di realtà virtuale, che permette di lavorare sul recupero di funzionalità motorie a chi magari ha avuto un problema per cui non basta la fisioterapia o difficoltà di coordinamento. Questo tipo di strumentazione ci permette anche di fare ricerca, accumulando dati e mettendoli a confronto con i risultati ottenuti dai pazienti nel loro percorso riabilitativo». IL CORRIDOIO MAGICO   La sala successiva è un corridoio magico. Bianco e tappezzato di fogli riempiti con il disegno di diversi simboli, personaggi, forme e cose dai contorni luminescenti non appena viene spenta la luce. «Lo hanno fatto al laboratorio creativo, sono

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disegni realizzati con particolari colori fosforescenti che al buio riempiono il corridoio di forme luminose. Che ve ne pare?». La luce senza la luce, anzi, l’assenza di luce che determina quel meraviglioso fenomeno è la metafora che meglio rende lo spirito del “passo insieme” da cui comincia il prendersi cura reciproco di pazienti, medici, specialisti e volontari, messo “a sistema” da Liboni. Laboratori medici, certo, ma anche artistici, pedagogici e sportivi. Senza dimenticare la botanica. «Stiamo preparando anche una serra pedagogica» racconta il neurologo, illustrando le decine di attività del Centro di cui ogni corridoio porta almeno una traccia. Una decorazione, un disegno a pennarello oppure un dipinto in cui concetti come normalità e disabilità assumono un carattere relativo e complesso. Pochi passi e il corridoio é finito. «Si tratta anche qui di un percorso particolare, infatti, il corridoio riporta sempre al punto di partenza di modo che sia impossibile perdersi anche per chi soffre di patologie come l’Alzheimer» continua Liboni.


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L’ultimo progetto realizzato è stato quello di uno studio per la terapia musicale con tanto di sala di prova e registrazione, che in alcuni giorni é aperto anche al territorio. «L’idea del Centro è proprio quella di aprirsi ai residenti della zona, affinché possano frequentarlo indipendentemente dal fatto che seguano una terapia o abbiano necessità particolari per farlo». Sono innumerevoli, poi, gli eventi organizzati nel corso dell’anno e che hanno creato una vera e propria comunità in cui «ci si prende cura dell’essere umano, prima che dell’ammalato». Una cittadella aperta da cui partono percorsi da fare insieme, opposti a quell’assenza

di prospettive in cui spesso ci si trova dopo una diagnosi difficile da accettare per chiunque, soli e in direzione contraria alla speranza. ENRICO ROMANETTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

UNA NOTTE DI FINE 2014 I LADRI HANNO VISITATO IL CENTRO CREANDO DANNI PER CIRCA 100.000 € OLTRE AD ATTREZZATURE, HANNO RUBATO IL FURGONE PER IL TRASPORTO DEI RAGAZZI DISABILI. IL MATERIALE TRAFUGATO METTE IN GINOCCHIO L’ASSOCIAZIONE, CHE È SENZA SCOPO DI LUCRO. POTETE AIUTARE METTENDOVI IN CONTATTO TEL/FAX 011 9689212, CELL. 338 9109183, FONDAZIONE@UNPASSOINSIEME.IT, SEGRETERIA.CST@UNPASSOINSIEME.IT, COD.FIS. 09312740013, IBAN: IT79 W033 5901 6001 0000 0001 492

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Le omelie “materne” di Papa Francesco ENZO BIANCO bianco.rivista@ausiliatrice.it

C’è del nuovo anche nel modo di predicare del Papa: lo ha introdotto da vescovo e cardinale, e continua a offrire modelli di stile anche da Roma. La punta avanzata del suo pensiero? Forse è qui: «La Chiesa è madre, e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio... Si parli in chiave di cultura materna». Francesco di Enzo Bianco Elledici, 2014 pagine 166, euro 8,00

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«Rinnoviamo la nostra fiducia nella predicazione, che si fonda sulla convinzione che Dio desidera raggiungere gli altri attraverso il predicatore». Così Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. E dice dell’omelia: «Non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo... Si deve evitare che sembri una conferenza o lezione… Orienti l’assemblea verso la comunione con Cristo nell’Eucaristia, che trasformi la vita». ALCUNI PRINCIPI DI PAPA FRANCESCO   Leggere, o parlare a braccio? Bergoglio per lo più leggeva: un vescovo, anche un semplice sacerdote, non può improvvisare, menare il cane per l’aia. È la norma, da lui abitualmente rispettata. Ma quando occorreva, Bergoglio metteva da parte i fogli e lasciava parlare il cuore. Padre Tomás, uno dei suoi giovani preti, ha ricordato una tragica circostanza del 2004: a Buenos Aires erano periti nel rogo di una discoteca 124 giovani, asfissiati. Bergoglio, cardinale, presiede i funerali: posa sull’ambone un foglietto, e tiene un’omelia così vibrante che il giorno dopo Tomás lo chiama al telefono «per fargli i complimenti». E lui candido: «Per la verità non mi ero preparato

nulla. Avevo un foglio davanti, ma non c’era scritto niente». Dunque la regola scrivere e poi leggere conosce eccezioni. A volte è meglio cercar di capire bene le circostanze, poi improvvisare. Anche da papa.   Accade il 7 giugno 2013 quando riceve gli studenti delle scuole gestite dai gesuiti in Italia: mette da parte i fogli e spiega: «Sono cinque pagine! Un po’ noioso…». Accade anche a Cagliari il 22 settembre 2013, dove in più spiega il suo metodo. Quel giorno incontra il “mondo del lavoro”, è un momento di gravi tensioni sociali. Ha messo sulla carta le cose da dire. Ma là sul posto vede e sente, comprende meglio, perciò improvvisa. E alla fine spiega: «Avevo scritto alcune cose per voi, ma, guardandovi, mi sono venute queste altre parole. Consegnerò al Vescovo quelle scritte come se fossero state dette. Ma ho preferito dirvi quello che mi è venuto dal cuore, guardandovi, in questo momento». IL DIALOGO   A volte nell’omelia Francesco inserisce il dialogo. Nel 2008, in periferia di Buenos Aires, per la festa di san Cayetano, dice alla gente: «Vi faccio una domanda: la Chiesa è un posto aperto solo per i buoni?». «Nooo!», rispondono i fedeli.


sovrappongono e creano confusione. Se sono tre o più, si naviga nella nebbia. PARLARE «COME UNA MADRE PARLA A SUO FIGLIO»   Ed ecco l’idea forse più originale. Francesco sostiene che l’omelia deve avere un aspetto materno: «La Chiesa è madre, e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio… Si parli in chiave di “cultura

materna”, in chiave di dialetto materno». Ciò richiede «la vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce, la mansuetudine nello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti». E anche se l’omelia dovesse risultare noiosa, Papa Francesco ricorda ai predicatori che «i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli».

UNITÀ DI TEMA   Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Francesco enuncia un altro principio: Liturgia della Parola «abbia unità tematica». Motivo: forse i fedeli tornando a casa ricordano un’idea. Se le idee sono due, si

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«C’è posto anche per i cattivi?». «Sììì!». «Qui si caccia via qualcuno perché è cattivo?». «Nooo!». «Al contrario, lo si accoglie con più affetto. E chi ce l’ha insegnato? Ce l’ha insegnato Gesù». I fedeli intervenendo si sentono protagonisti.   Il dialogo per lui è necessario soprattutto con i bambini. Il 26 maggio 2013 compie la prima visita alle parrocchie di Roma, e incontra i piccoli della Prima Comunione. È festa della Trinità, ma l’argomento ostico non lo spaventa. «A voi bambini domando: chi sa chi è Dio? Alzi la mano.» E tante mani si alzano, quindi i teologi in erba dicono la loro. Il Papa commenta, poi obietta: «Ma a me hanno detto che sono tre, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo… Come si spiega?». Così di seguito, con gli adulti che non perdono una sillaba, sorridono e si commuovono.


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Un tempo di grazia per la vita della Chiesa

FEDERICA BELLO redazione.rivista@ausiliatrice.net

Il 30 novembre scorso è iniziato un anno speciale indetto dal Papa dedicato alle diverse forme di vita consacrata, dalla clausura alla vita attiva, dagli Istituti secolari all’Ordo Virginum.  «Nella nostra diocesi di Torino le persone consacrate sono una presenza significativa. Quello che è importante tenere presente è innanzitutto quello che rappresentano in se stesse queste comunità: noi siamo abituati ad accentuare il servizio che svolgono, a considerare la presenza religiosa in funzione dei servizi che svolgono, ma vorrei che in questo anno si andasse invece a riscoprire alla radice il significato del loro essere parte della nostra Chiesa e della nostra Città. Penso anzitutto al senso della gratuità che i consacrati testimoniano».   Così mons. Cesare Nosiglia ha avviato l’incontro che a Palazzo Civico il 21 novembre scorso ha presentato alla Città di Torino l’anno della Vita consacrata che ha preso il via con la prima domenica di Avvento, secondo le intenzioni di Papa Francesco, per valorizzare,

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evidenziare, ricordare nella preghiera le tante persone che nel completo dono di sé a Dio si spendono quotidianamente per gli altri: nell’orazione all’interno dei monasteri di clausura, nei tradizionali posti di lavoro, come nei campi nomadi… I CONSACRATI, ANCHE CONTEMPLATIVI, SONO “OPERATIVI”   È stato un incontro preziosissimo per presentare numericamente la realtà dei consacrati in diocesidi Torino, la città dei “santi sociali” e per richiamare il valore della loro testimonianza anche per la società civile come ha ricordato sia il vicario episcopale per la vita consacrata don Sabino Frigato, sia il vicesindaco di Torino Elide Tisi.


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«Ad oggi – ha spiegato – in diocesi di Torino ci sono 798 religiosi, le congregazioni maschili sono 35, le comunità maschili 82; le religiose 2.450, le congregazioni femminili 81, le comunità femminili 213; 13 i monasteri esclusivamente femminili in cui vivono 125 monache; 3 gli eremiti». «L’età – ha proseguito - è il punto interessante e dolente. Sotto i 40 anni sono pochi (117 religiosi e 140 religiose) per arrivare poi ai grandi numeri dai 70 anni in su: 462 religiosi, e 1762 religiose. Numericamente siamo ancora forti dunque ma il numero non è sufficiente». IMPASTATI DI UMANITÀ, VICINI SOPRATTUTTO AGLI ULTIMI   Un orizzonte grigio? No se si guarda all’estero: «grazie anche alle suore che arrivano da altre nazionalità – ha evidenziato – la vitalità di certe congregazioni si è mantenuta». In alcuni casi si tratta di religiose straniere venute in comunità italiane, in altri casi di vere e proprie congregazioni fondate all’estero che qui hanno dato vita a comunità. Da un punto di vista della nazionalità infatti oltre alle italiane (2.179), vi sono in diocesi 148 religiose asiatiche, 54 africane, 43 provengono dall’America Latina e 25 dall’Est Europa.   Consacrati impegnati in ogni campo: educativo, sociale, con gli anziani, i detenuti, gli stranieri… con attività che coinvolgono anche i laici offrendo anche opportunità di lavoro: 5.200 i dipendenti impegnati nelle opere religiose presenti sul territorio della diocesi: dai cuochi nelle scuole o nelle strutture per anziani, ai portinai, agli insegnanti.   «La nostra città - ha ricordato il vicesindaco Tisi - vivrà già nel 2015 con l’ostensione della Sindone e il Bicentenario di don Bosco un anno speciale e proprio questa riflessione sulla vita consacrata sarà un ulteriore motivo di speranza. Oggi c’è bisogno di prendersi cura l’uno dell’altro e la presenza dei consacrati ci richia-

ma a questo, ci mostra come la nostra città sia un tessuto dove ogni filo è importante e dove la forza sta nell’unione».   «Le persone consacrate – ha sottolineato ancora mons. Nosiglia – mettono infatti al centro l’amore a Cristo e ai fratelli come dono di tutta la vita. Mettono in gioco se stessi gratuitamente, senza volere niente in cambio se non la gioia di poter donare come Cristo che dona se stesso e questo è un valore non solo spirituale ma civile, sociale, fondamentale oggi perché l’individualismo e la ricerca continua del proprio tornaconto, rispetto al bene comune hanno creato questa crisi. La vita consacrata mostra una via diversa, una via di speranza e di fiducia».

NELLA CRIPTA DELLA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE

MOSTRA del BICENTENARIO della NASCITA di SAN GIOVANNI BOSCO dal 24 Gennaio 2015 24-25 Gennaio | 31 Gennaio - 1° Febbraio 23-24 Maggio | 15-16 Agosto dal 19 Aprile al 24 Giugno Sabato: ore 15-18 Domenica e Festivi: ore 10-12; 15-18 Info: Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino Tel. 011 5224.254 - 5224.822 csdm.valdocco@gmail.com www.accoglienza.valdocco.it

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In cammino verso la pace del cuore EZIO RISATTI redazione.rivista@ausiliatrice.it

Osservare con occhi attenti la realtà, perdonare e amare sono i tre passi fondamentali per cominciare a guardare la vita da una prospettiva nuova.  Mettersi in cammino per conquistare la pace del cuore. Non c’è meta migliore per iniziare con il piede giusto il nuovo anno. E anche se, come in tutti i sentieri che conducono a vette importanti, non mancheranno ostacoli e difficoltà da superare, la posta in gioco è decisamente allettante: dire basta all’angoscia, allo stress e alle zavorre che impediscono di vivere una vita “viva”. TRE PASSI FONDAMENTALI   Il primo passo che conduce alla pace del cuore è osservare con occhi attenti la realtà e accettarne il carico di sofferenza e di dolore. “Accettare” il carico di sofferenza e di dolore non significa gioire della loro presenza nella nostra vita o pensare che sia bello e giusto soffrire, ma riconoscere che viviamo e operiamo in una determinata realtà e che da essa parte il nostro cammino. A differenza del “pensiero magico” che può caratterizzare la percezione della realtà nel bambino e nell’adolescente, l’adulto non rifiuta di prendere atto della realtà che lo circonda e non s’illude che essa sia diversa da come appare. Il passo successivo è perdonare, perché un cuore oppresso dall’odio e dal risentimento è destinato a non trovare pace. È fondamentale perdonare se stessi e gli altri, a cominciare dalle persone più vicine. “Perdonare” non vuol dire dimenticare le 38

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ingiustizie o far finta che una sofferenza non sia stata arrecata, ma ricominciare a voler bene a se stessi e agli altri nonostante le mancanze e i torti – presunti o reali – ricevuti. A volte perdonare può risultare estremamente difficile e può richiedere tempo per superare le resistenze interiori, ma la sua forza liberatrice non ha eguali. Terzo e ultimo passo – il più importante – è amare. Perché siamo stati creati per amare e solo quando amiamo troviamo in noi la pace.   È – a ben vedere – il “segreto” della vita dei santi. E la maggior parte di loro – da don Bosco a padre Pio, da Madre Teresa a Giovanni Paolo II – ha saputo prendere coscienza della realtà in cui si è trovata a vivere, ha operato per migliorarla e, quando ha dovuto affrontare dolori e sofferenze, lo ha fatto amando e perdonando, nella pace perfetta del cuore.


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ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18, 24). E non rinuncia, lui che ha percorso per tre anni le strade della Galilea predicando l’amore e il perdono, a intercedere per i propri carnefici invocando: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). Un ulteriore particolare che rivela quanta pace portasse nel cuore è il fatto che persino negli ultimi istanti, mentre le forze stanno per abbandonarlo e il suo destino sta per compiersi, Gesù non smette d’interessarsi agli altri: si preoccupa del futuro di Maria e di Giovanni e li esorta a prendersi cura reciprocamente l’una dell’altro dicendo: «Donna, ecco tuo figlio; figlio ecco tua madre» (Gv 19, 26-27) e rassicura il ladro pentito, che lo supplica di non dimenticarsi di lui quando sarà nel suo Regno, con le parole: «In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso» (Lc 23, 43).

Suor Eusebia e il pane dei poveri

Patria e della Chiesa.

SULLE ORME DI GESÙ La passione e la morte di Gesù, che la Chiesa ci propone di meditare lungo i la guerra civile spagnola. giorni della Quaresima, mostranodurante a quada Giovanni Paolo II. li vette possa spingere la pace delcatecuore. Consapevole di dover soffrire tutto il dozione dei Fioretti lore dell’umanità, Gesù chiede al Padre: «Se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). La paura del dolore e della morte lo atterriscono ma sceglie di rimanere fedele a Dio e di percorrere fino in fondo il proprio destino. gradi per trenta minuti.   Se ne osserviamo gli stati d’animo, notiamo che Gesù non perde mai la serenità. Né quando il Tribunale lo accusa ingiustamente né quando viene deriso e picchiato. Al soldato che gli dà uno schiaffo durante l’interrogatorio davanti al sommo sacerdote Caifa, si limita a rispondere: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male;

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Gesù svela anche l’uomo a se stesso Un viaggio, come la vita, può riservare qualche sorpresa. Sul volo che mi ha portato in una diocesi per alcune conferenze, nella poltrona vicino alla mia, è seduta una signora, gentilissima. Dopo avermi aiutato a sistemare il bagaglio a mano sotto la poltrona, racconta che, in mattinata, ha concretizzato un sogno che gli ha ridato la serenità. È stata in udienza da Papa Francesco, ha potuto stringergli la mano ed ora ritorna a casa. I suoi occhi sprizzano gioia.

IL DIALOGO CON DUE PRETI   Dopo vent’anni, continua – un figlio, oramai adulto e un marito palesemente infedele – «ho avviato la pratica di nullità matrimoniale presso il Tribunale ecclesiastico». Decisione sofferta, ma meno sconvolgente, dell’esito di un incontro con un sacerdote della sua parrocchia, al quale espone anche l’ultima vicenda: l’incontro con un uomo, credente come lei. «Ciascuno a casa sua, però», puntualizza. Il giovane sacerdote l’ha rimproverata, negandole l’assoluzione. Ma ciò che ha messo al “tappeto” la sua fiducia nella Chiesa, è stato il congedo. Nel salutarla, il prete le ha rammentato, con l’indice alzato, che «le donne vogliono tutte la stessa cosa che e lui … le conosce bene (?!)». Piuttosto provata, dopo un po’ di tempo ha cercato l’incontro con un altro prete che l’ha ascoltata, l’ha illuminata sulla sua posizione nella Chiesa e l’ha invitata a cercare di capire che cosa lasci intravvedere Dio in ciò che le sta capitando.

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HO APERTO UN DIBATTITO   Giunto a destinazione, ho proposto il fatto ai miei ascoltatori. Ne è nato un affascinante dibattito dal quale – fatta salva l’intenzionalità dei due sacerdoti – è emersa l’importanza del linguaggio, mai neutro ma sempre portatore di valori; nel caso presentato, riguardanti l’immagine di Dio che si trasmette, la fede, l’appartenenza alla Chiesa, la visione dell’uomo. È soprattutto sull’idea di uomo, di persona, che ci si è soffermati con i miei interlocutori. Il primo sacerdote – pur con ottima intenzione – sembra avere in testa l’ideale di un uomo che, comunque, deve essere fedele alle verità di fede, oltre ogni sguardo di comprensione e di compassione. Il secondo cerca di cogliere in quella signora la persona responsabile, l’ha ascoltata, l’ha invitata l’ha chiamata a fare scelte motivate e a cercare di capire ciò che Dio le lascia intravvedere del suo amore di Padre dentro ciò che le sta capitando. Inoltre si è reso disponibile a farsi suo compagno di


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L’agire della Chiesa. Indicazioni di teologia pastorale. di Giovanni Villata Edizioni EDB, 2014 pagine 464, euro 40,00

cammino. Nessuno dei due ha messo in crisi la dottrina della Chiesa sul matrimonio. È emersa, però, la necessità di trovare linguaggi adeguati per comunicare con chi oggi è in situazione di fatica, soprattutto. Ormai è chiaro: non c’è un linguaggio neutro nei confronti del messaggio. Il linguaggio, soprattutto, è rivelatore dell’idea di Dio, del mondo della fede, di persona… che si ha dentro se stessi. IL VERO, UNICO RIFERIMENTO È L’OPERA DI GESÙ   Il dibattito si è quindi focalizzato sull’idea di uomo che la comunità cristiana è chiamata a trasmettere. Il richiamo alla Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes, GS), è parso d’obbligo. Essa, infatti, si apre con queste parole: «Le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei di-

scepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» ( n.1). Che cosa o chi mi rassicura su come e su quando un linguaggio è “genuinamente umano”? La stessa Costituzione quando afferma che «è nel mistero del Verbo incarnato (che) trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS n.22). Il linguaggio trova la sua luce vera solo assumendo come riferimento qualificante l’umanità di Gesù di Nazareth. Il Dio che si è fatto prossimo di chiunque gli capitava di “intercettare” rendendo così ognuno più felice di vivere la vita. Non è forse questa prossimità che fa crescere in umanità e che garantisce l’autenticità del discepolo? GIOVANNI VILLATA RESPONSABILE CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE DELLA DIOCESI DI TORINO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Ferite della vita Continuiamo a conoscere Analia Damboriana, Mar del Plata (Buenos Aires – Argentina), grazie al suo blog. Direttrice di una scuola materna per bambini con situazioni famigliari “a rischio” dell’ispettoria salesiana di Buenos Aires.  Ho trovato, per puro caso, un’immagine e un testo che parlano del Kintsugi. Non avevo la minima idea di cosa fosse, così mi sono messa a cercare informazioni. Mi viene naturale “leggere” cose, testi, immagini, sensazioni, paesaggi, storie, tutto… ben più in là di quello che già dicono. Così ho scoperto qualcosa di più che semplicemente «l’arte giapponese di riparare le crepe». Dovete sapere che Kintsugi (金 継 ぎ) (in lingua giapponese: oggetto d’artigianato in oro) o Kintsukuroi

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(金 繕 い) (in lingua giapponese: riparazione in oro) è quell’arte giapponese che consiste nel riparare le spaccature di un oggetto di ceramica utilizzando vernice di resina in polvere mescolata a polvere d’oro, argento o platino.   Ho pensato alla gente in generale, ho pensato a me stessa, come se ognuno di noi fosse quell’oggetto rotto, fratturato, rovinato, di scarso valore. A come possiamo facilmente risultare “inutilizzabili” ai nostri occhi e a quelli degli altri se ci osserviamo in base alle cose che ci capitano quotidianamente. La tendenza nostra è, infatti, perdere la speranza di un possibile “restauro”, pensare che le cose non possano più cambiare, come se fosse impossibile una conversione. In realtà non si tratta solo di riparare. Soprattutto per il nostro mondo interiore dobbiamo curare un punto


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di vista che facilmente sfugge: far risaltare il valore delle crepe, delle ferite, mettendo in bella mostra proprio quello che in realtà tutti tendono a nascondere. La ferita viene così valorizzata, accettata. La si cura senza cancellarla del tutto, tanto da renderne visibile, attraverso l’oro, il suo valore, la sua bellezza. L’oggetto – da leggersi come il cuore di ognuno di noi – assume un nuovo valore, addirittura maggiore di prima! Grazie al cammino di accettazione di un’esperienza negativa, si può scoprire di essere cambiati… e pure in meglio!!! Proprio come canta Eduardo Meana «Non vedi il filo d’oro di Pasqua, che riesce a ridisegnare tutto quello con cui viene a contatto?».

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DON BOSCO OGGI

Trionfo di mosaici È la basilica di Sant’Apollinare in Classe, appena fuori Ravenna, dedicata al martire e patrono della Diocesi. Al centro del catino absidale troneggia la croce gemmata.

Ravenna davvero merita. Di andarci, ritornarci e restarci quanto possibile. Appena fuori dalla stazione ferroviaria di Ravenna si può prendere il bus che in pochi minuti porta a Classe. Dove si trova la basilica di Sant’Apollinare in Classe. Solo in apparenza, appare isolata. Classe è una cittadina ricettiva e la basilica è ben attrezzata per l’accoglienza. È dedicata al fondatore della Diocesi e contemporanea a San Vitale, anche se costruita con una concezione diversa da questa. Esternamente, dalla parte opposta della basilica, un grande prato e, prima di accedere, una statua dell’imperatore Augusto, collocata ai margini della strada. La basilica nella costruzione è particolare per l’utilizzo dei mattoni di forma allungata, che dànno l’idea di essere appena “usciti” dal forno. E poi, è da notare la lunghezza, cinquanta metri. e la larghezza, una trentina. Osservare le finestre, ad arco, le colonne in marmo che trascinano lo sguardo del visitatore verso l’abside, i loro basamenti rettangolari, i pulvini. CRISTO BENEDICENTE   La basilica è una sala rettangolare, piuttosto alta, con navate laterali e soffitto a capriate. E il trionfo dei mosaici. La cornice dell’arco trionfale è zeppa di motivi, con tante nuvole. Al centro troviamo Cristo che benedice e ammaestra, e accanto gli evangelisti sotto forma di simboli: l’aquila, l’uomo, il leone, il toro, tutti alati. Appena sotto, dodici pecore escono da due città, che sono Gerusalemme e Betlemme. 44

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Al centro del catino absidale troneggia il segno tipico di questo periodo: la croce gemmata (presente anche a San Vitale). Croce gemmata come Gloria delle glorie, da strumento di morte a strumento di vita. È collocata sopra l’altare maggiore, una enorme immagine pensata in rapporto alla comunità che si raduna davanti all’altare, facendo interagire i tre elementi fondamentali: l’immagine, il rito liturgico e la comunità credente. Apollinare e le pecore che “abitano” i pascoli del cielo. L’abside è inoltre suddiviso in due parti. Nel semicerchio inferiore, i successori di Sant’Apollinare, nel vescovado ravennate (in numero di quattro). Nella parte superiore, un cielo percorso da nuvole e le figure di Mosè ed Elia con un grande “disco” di stelle, una specie di aureola e una grandissima croce gemmata con al centro l’effige di Cristo. Tre pecorelle che sono identificate con gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Al di sopra, una mano: la mano di Dio. Il tutto in una visione della “trasfigurazione” del Tabor.


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LA TRASFIGURAZIONE   Sopra,la Croce che rappresenta Cristo, troviamo la mano del Padre e a sinistra e a destra due mezze figure identificate con le scritte di Moyses e Helias. Sotto, un prato con fiori, alberi e rocce. Una pecora da una parte e due dall’altra, come accennato. Tutte e tre che guardano verso la grande Croce. Altre dodici che camminano come fossero in fila indiana, in direzione verso Sant’Apollinare (nella figura del prete-pastore, martire, patrono della città e di questa bellissima basilica), “parato” per la liturgia eucaristica con mani in posizione “orante”. I due pilastri dell’abside raffigurano ancora in ordine, sotto le pecore che escono dalla città, una palma, l’arcangelo Michele e l’ evangelista Matteo. Dalla parte opposta, sotto le pecore che escono dalla città, una palma, l’arcangelo Gabriele e un evangelista. Da notare che l’arcangelo san Michele (idem per la parte opposta con Gabriele) non ha né spada né lancia, ma un’insegna, al pari dei militari romani, un

labaro, insegna militare romana su cui si legge per tre volte in greco la parola Santo. Le palme rappresentano il Paradiso. Il tempo da trascorrere all’interno e i sensi di ciascuno sono diversi l’uno dall’altro. Un consiglio? Andateci. Munitevi di “cuffie” all’entrata, sedetevi di tanto in tanto su di una panca e ammirate. Di fronte a tanta bellezza, che altro dire? ROMANO BORRELLI, BLOGGER redazione.rivista@ausiliatrice.net

«DATO L’ENORME COSTO DEL LIBRO, SEMPRE OPERA DI AMANUENSI, IL MOSAICO COSÌ RICCO DI SIGNIFICAZIONI ERA ANCHE UN’AUTENTICA OPERA CATECHETICA CHE FORMAVA E ABITUAVA AD UN ASCOLTO INTELLIGENTE DEL TESTO SACRO COSÌ COME VENIVA PROCLAMATO NELLE ASSEMBLEE LITURGICHE». (MONS. ROBERTO ZAGNOLI). GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Arbore: «Allegria e musica anticipi di Paradiso» Ai giovani di Foggia: «Andare via, andare a Londra, è un’esperienza importante, perché può insegnare molto, può insegnare quella operosità che dalle nostre parti manca e che, unita alla fantasia che ci caratterizza, può consentire loro di fare cose grandi tornando nella nostra terra».  Ha rivoluzionato, con la trasmissione Alto gradimento (1970), il linguaggio della radio. Ha profondamente innovato, con L’altra domenica (1975) e soprattutto con Quelli della notte (1985) e Indietro tutta (1987), quello della televisione. Renzo Arbore è figlio dell’oratorio della parrocchia Gesù e Maria di Foggia. Che cosa gli ha insegnato don Bosco? «A non far morire le cose belle – ci spiega nel corso del nostro incontro in occasione della sessantaseiesima edizione del Prix

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Italia a Torino –. Che vuol dire seguire i giovani, fargli un po’ da talent scout: è una figura che ogni giorno ci dice che l’allegria e la musica sono anticipi del Paradiso». In effetti Renzo è regista, jazzista, presentatore, clarinettista, doppiatore, cantante, direttore d’orchestra, ma soprattutto un valorizzatore di talenti. Uno di questi, Marcello Cirillo, suo pupillo ai tempi di Quelli della notte poi divenuto presentatore tv, nel 2009 ha interpretato proprio il santo dei giovani nel musical dedicato a


don Bosco per i 150 anni della fondazione dei Salesiani. FORNI PER LA PACE   Il mondo di Arbore sa di cose semplici, come il pane. Per questo Renzo è stato il testimonial del gemellaggio tra il forno dei Salesiani di Betlemme e quelli lucani. «Il forno Salesiano, a pochi passi dalla Basilica della Natività, è ormai un’istituzione storica per i Betlemiti, è un simbolo tangibile di pace – spiega –. Quando scatta il coprifuoco è l’unica fonte di sostentamento per le famiglie della zona che riescono a far passare questo bene di prima necessità dalle finestre e dai tetti, senza abbandonare le proprie abitazioni. E poi rappresenta un luogo di apprendimento per la professione di panettiere: i panificatori lucani con l’iniziativa Pane nostro hanno trasmesso l’arte e la cultura di fare il pane ai colleghi palestinesi, lavorando gomito a gomito per qualche giorno. Questo significa costruire pace» L’IMPORTANZA DELLA PREGHIERA  Il Pap’occhio, il suo primo film da regista, fu accusato di vilipendio della religione. La pellicola venne poi “amnistiata”: alla fine si scoprì che non c’era nulla di volgare.   «Quella che considero la fede vera mi è venuta intorno al ’68 – racconta Arbore –. I miei coetanei volevano distruggere tutto, la tradizione, il passato, la scuola. Io non ho mai condiviso

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CLASSE 1937, RENZO NASCE IL 24 GIUGNO A FOGGIA DA PAPÀ DENTISTA E MAMMA APPASSIONATA DI PIANOFORTE. INVECE DI CONTINUARE IL MESTIERE DEL PADRE, TRASFERITOSI A NAPOLI, SI È LAUREATO IN DIRITTO CIVILE CON UNA TESI SULLE “SERVITU’ PREDIALI”. ALLA SERA, DOPO GLI STUDI, AMAVA SUONARE CON GLI AMICI. QUESTO L’INIZIO. IL RESTO È ATTUALITÀ. RENZO RESTA TRA I PIÙ GRANDI INNOVATORI DEI LINGUAGGI RADIOFONICO E TELEVISIVO CONTEMPORANEI.

questa furia. Mi chiedevo: ma perché? È tutto così rassicurante, così logico. Ancora oggi mi sembra assurdo non recitare le preghiere di notte, prima di addormentarmi. È il momento in cui sento più vicine le persone che non ci sono più, come mia madre. Se prego, mi sembra che mi segua, che mi protegga». Arbore guarda al futuro con la forza dei valori di ieri. Ha salutato il 2015 con la sua Orchestra Italiana al Parco della Musica di Roma. E poi di nuovo tournèe in mezzo mondo. A cantare Napoli e a scovare giovani talenti: «Come don Bosco, emblema di quei “preti in bicicletta” che mi piacciono tanto. Quelli che sanno parlare anche con i poveri peccatori come me». ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Le cose di DON BOSCO di Bruno Ferrero - José J. Gómez Palacies Effatà Editrice, 2014 pagine 80, euro 8,00

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Un cuore in fiamme: per la musica e per i poveri  Il rapporto tra san Filippo e la musica è stato messo in evidenza in diverse circostanze, ad esempio in due famose opere cinematografiche, il vivace State buoni se potete di Luigi Magni (1983), con Johnny Dorelli e musiche di Angelo Branduardi, e la piacevole fiction televisiva Preferisco il Paradiso di Giacomo Campiotti (2010), con Gigi Proietti e musiche di Marco Frisina. In entrambi i casi la colonna sonora interagisce giocosamente con la trama, regalandoci brani di indimenticabile vividezza: Vanità di vanità, Tema di Leonetta, E tu chi sei? Vediamo come si collega tutto questo al nostro santo.

Anche i santi fanno musica, anche la musica può far santi: lo testimonia la figura originale e brillante di san Filippo Neri, secondo protagonista del nostro viaggio tra i “musicisti di Dio”. 48

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ALLE ORIGINI DI UN GENERE MUSICALE   Effettivamente il carisma e l’opera di san Filippo sono stati riconosciuti come fondamentali in rapporto alla nascita di un genere musicale specifico, l’Oratorio, un tipo di composizione e di rappresentazione, prima che un’attività pastorale come quella realizzata da don Bosco, i cui destinatari e protagonisti erano i giovani più poveri ed emarginati della società del tempo. Forse don Bosco ha immaginato di attualizzare l’intuizione che fu di san Filippo nella Roma del pieno Rinascimento, quel ’500 così ricco di mutamenti profondi (la Riforma protestante, il Concilio di Trento, la Controriforma cattolica), in cui il grande santo si mosse con arguzia e genialità, con cuore grande e finezza intellettuale: mettendo l’arte a servizio dei semplici, senza rifiu-


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tare il confronto con forme e personaggi artistici di pregio.   L’Oratorio di san Filippo era un’intuizione innovativa: consisteva nel radunare giovani e ragazzi attraverso la pratica musicale di laudi e di altre composizioni popolari, intervallate da catechesi e formazione morale, nella cornice di magnifiche e serene passeggiate tra le Basiliche di Roma. Semplicissima la formula, ma degni di grande attenzione i partecipanti, tra i quali accurate ricerche musicali fanno scoprire autori di assoluta raffinatezza, quali Giovanni Ancina, vescovo di Saluzzo e riconosciuto modello di composizione corale, così come Francesco Martini e Giovanni Francesco Anerio.   È accertato dal prezioso studio sulla storia dell’Oratorio, curato da Howard Smither, la reciproca conoscenza tra san Filippo e il celebre Emilio de’ Cavalieri, un musicista importante del primo periodo Barocco, che mise in scena la propria musica attraverso una rappresentazione drammatico-musicale in cui i cantanti esprimevano le emozioni con un’embrionale gestualità: il che si può considerare come la lontana premessa del genere musicale operistico, e identificare come Oratorio in senso classico nel momento in cui il soggetto è di argomento biblicoreligioso.

lo trasformarono in un cuore traboccante di amor di Dio, a tal punto da diventare rovente, come ricorda la tradizione agiografica.   E proprio quando la forma musicale dell’Oratorio, adottata da compositori successivi, venne ad allontanarsi sempre più dalla destinazione popolare, divenendo fruizione di un pubblico più ricercato, è allora che la sua natura religiosa parve adombrarsi, pur restando una caratteristica costante degli intrecci e dei testi.   Come a dire: la musica dei santi si riconosce da coloro per cui è scritta, come il cuore si riconosce da coloro per cui si infiamma. CLAUDIO GHIONE redazione.rivista@ausiliatrice.net

SEMPRE DALLA PARTE DEI POVERI   Eppure, i ragazzi-musicisti di san Filippo Neri restarono sempre i più abbandonati, i più trascurati in una Roma contraddittoria e inquieta come quella del ’500: quelli che rubarono il cuore di «Pippo il Buono», come egli si lasciava chiamare, e

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Ecco perché lo amo Una Volontaria di Don Bosco presenta il suo Uomo e il perché della sua scelta.  Ormai lo amo da parecchi anni. Nonostante alcune sue caratteristiche, mi sono innamorata di lui giorno per giorno, fino a decidere di seguirlo definitivamente, ma continuando a fare la mia vita, il mio lavoro, a stare in mezzo alla gente e, cosa forse più strana, senza rivelare a nessuno (almeno ufficialmente) il mio legame con lui!   È un uomo che frequenta strane compagnie, eppure tutti hanno un posto nel suo cuore. Per loro, lui farebbe qualunque cosa, anche dare la vita! Quando ha tempo libero chiede di andare a casa di ladri (Lc 19, 1-6), si lascia lavare i piedi anche da una prostituta (Lc 7, 3639). Per non dire dei suoi vuoti di memoria: basta che un ladro che ha rubato per tutta la vita gli chieda misericordia e lui se lo porta in casa (Lc 23,43).   Questo sua “memoria cortissima” mi affascina. Si dimentica di tutte le volte che gli sono infedele, che mi scordo di lui troppo presa dal mio lavoro e dal mio vivere nel mondo con tutti i problemi che questo comporta! È un uomo non razionale: una volta mi ha raccontato di una sua amica che,

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avendo dieci dracme e avendone persa una, si è messa a ribaltare la casa fino a quando l’ha trovata e per festeggiare lei ha fatto una grande festa (Lc 15, 8-10) e lui partecipava! Oppure di quando esercitando le sue doti di medico, ha guarito una decina di persone, ma soltanto una è tornata indietro a ringraziare (Lc 17,11-19); ma per lui uno vale come dieci. NON “PERCHÉ” MA “PER CHI”   È lui il motore delle mie azioni, l’orizzonte verso il quale mi muovo. Quando ogni mattina mi preparo ad affrontare la giornata, mi rendo conto che la sola risposta alla domanda “perché?” non mi basta, ma se mi chiedo “per chi?”, cioè per

lui, la prospettiva cambia. Eppure come corteggiatore vale poco: ai tempi in cui sapeva che mi stavo innamorando di lui, che mi stavo interrogando se passare tutta la mia vita insieme a lui, anziché solleticarmi con proposte attraenti, mi diceva: Se vuoi venire dietro a me rinnega te stessa, prendi la tua croce e seguimi! (Mt 16, 21-27). Ma si può corteggiare qualcuno così?   Eppure è riuscito ad affascinarmi, a farmi capire che tutte le piccole o grandi croci che mi proponeva di prendere erano fatte per me, per mettermi alla prova e dettaglio molto interessante, tutte le volte che riuscivo ad abbracciare quella croce lui era lì. Ogni giorno ci sono alcune croci, ma la pro-


UNA CARTA DI CREDITO CON UN PIN IN LETTERE   Questo ha fatto sì che la dimensione della preghiera entrasse nel mio quotidiano, conquistando un posto privilegiato tra le mille attività e cose da fare, preghiera fatta sotto molte sfaccettature: la preghiera della Chiesa, ma anche la preghiera di un semplice affidargli un incontro con una persona, o con una situazione di vita complicata! Poi, ho scoperto il modo di usare la sua “carta di credito”: ha un PIN davvero parti-

colare, non numeri, ma lettere, Sia fatta la tua volontà!. E con mia grande soddisfazione scopro che spesso lascia prelevare dal suo conto più di quanto pensavo.   L’uomo che amo che ha fatto tanti mestieri, anche se in alcuni non ha avuto gran fortuna. Ha provato a fare il ministro dell’economia, ma ha portato il sistema quasi al fallimento. Per esempio, paga tutti allo stesso modo, e al momento del salario tutti sono un po’ scontenti perché ricevono tutti la stessa cifra (Mt 20, 1-16). La sua generosità non gli consente di calcolare se uno ha fatto di più o di meno: per lui siamo tutti uguali.   Forse leggendo queste righe qualche lettore si è chiesto chi è lui e chi sono io. Ebbene, lui è… Lui, Gesù. Io sono una VDB, una Volontaria di Don Bosco, una consacrata secolare salesiana. Cioè ho scelto di consacrare la mia vita a Dio, continuando a vivere nel mondo con stile salesiano. La consa-

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spettiva, tutt’altro che facile, di abbracciarle trovando lui ad aspettarmi mi ha progressivamente portata a vivere con uno stile di obbedienza alla croce, che non è sofferenza, ma strada verso la purificazione. E molte volte ho percepito il suo amore straordinario per me: mi ha fatto sentire unica e irripetibile, mi ha fatto sentire quanto valevo per lui lasciando tutto per venire a cercarmi ogni volta che abbandonavo il cammino.   Quando poi si è trattato di fare di conto, mi sono accorta che con lui, con l’amore che ci mette, i conti tornano sempre. Zaccheo, uno dei suoi strani amici, aveva la pessima abitudine di rubare, ma quando restituisce la metà, non so come, sulla ricevuta trovo scritto che vale quattro volte tanto! Quando gli chiedo qualcosa, se è per il mio bene, lui non bada a spese: a volte si fa pregare e anche molto, ma non si lascia mai vincere in generosità!

crazione ha reso più profondo il sigillo che tutti riceviamo al momento del nostro battesimo; mi ha portato, dopo un lungo cammino di discernimento, a pronunciare i voti di castità, povertà e obbedienza nell’Istituto della Volontarie di Don Bosco. Per il resto, continuo a vivere la mia vita nel mondo, senza segni distintivi. Ho un lavoro, tanti amici, la mia casa. Potrei essere la signora seduta al tuo fianco in questo momento sul bus, o quella che fa la fila con te al supermercato o alla posta. Mi auguro soltanto che il mio modo di fare e di relazionarmi, sia qualcosa che susciti negli altri qualche domanda, del tipo «Ha qualcosa di speciale che non riesco a capire». Come sono arrivata a questa scelta? Beh, se non vi dispiace, ve lo racconto sul prossimo numero. UNA VDB INNAMORATA DEL SUO …UOMO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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La “bellezza” dell’educazione salesiana

I salesiani sono con i giovani, e per i giovani, specialmente quelli più poveri. La Federazione salesiana SCS/CNOS, da questo numero, ci aiuta a comprendere meglio come ci si può prendere cura dei minori, soprattutto se emarginati, con il cuore di don Bosco. LA STORIA DI NANDO  «Vengo da un quartiere di Napoli. E per me la vita non è mai stata facile. Ho fatto tanti sbagli e il peggiore è stato quello di commettere una rapina, quando avevo solo 17 anni”. Mentre la facevo i carabinieri mi corsero dietro e scappando feci l'errore di estrarre la pistola. Fui condannato e recluso nelle carceri di Napoli. Dopo 52

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8 mesi, all’uscita dal carcere, ad accogliermi ci fu però la casafamiglia per minori casa Pinardi di Caserta. La casa-famiglia è gestita dall’associazione di promozione sociale Piccoli passi grandi sogni, nata nel 2007 dalla volontà dei Salesiani presenti nelle comunità del golfo di Napoli impegnati con i minori a rischio».   L’Associazione, che gestisce

quattro comunità alloggio, è socio dei Salesiani per il Sociale (Federazione SCS/CNOS). Nando continua così la sua storia:   «Avevo 17 anni quando commisi la rapina. Terminato il periodo nella casa-famiglia dei salesiani mi regalarono un libro che raccontava la vita di don Bosco con una dedica, scritta da una delle educatrici: “Sorridi sempre perché don Bosco ha la soluzione a ogni tuo problema”. Uscito dalla casa famiglia e ritornato a casa mia nel mio vecchio quartiere, dopo pochi giorni, mi tornò la voglia di commettere una rapina. Mentre stavo riprendendo la pistola dall’armadio mi cadde, addosso, il libro che raccontava la storia di don Bosco. Mi tornarono in mente le parole scritte nella dedica e capii che non dovevo commettere un'altra volta lo stesso grave errore. Chiamai l’educatrice e andai nella casa famiglia dei salesiani a Torre Annunziata, a Napoli, dove incontrati tanti amici. Tutti insieme mi aiutarono anche a trovare lavoro. Oggi ho un figlio e mi sento migliore. Con don Bosco ho imparato ad aspettare, perché se sei senza lavoro e hai pensieri negativi allora agisci senza riflettere. Oggi mi sento una persona normale e spero che un giorno mio figlio possa essere fiero di me. Mi sento bene... e mi sembra di volare!».


Ora ci sono tante forme di disagio e a pagare per primi sono loro, i più piccoli. Ma per i bambini o giovani in difficoltà, ci sono sempre le case-famiglie dei Salesiani ad accogliergli. Nei prossimi mesi partirà la campagna del 5x1000. Se non sai a chi destinarlo, potresti pensare di farlo in favore dei Salesiani per il Sociale e così anche tu puoi dare una mano nel continuare l’Opera di don Bosco, accanto alla gioventù povera ed abbandonata.

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Da oltre vent’anni i Salesiani per il Sociale, hanno trasformato le parole di don Bosco: «Volete fare una cosa buona? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santa? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santissima? Educate la gioventù. Volete fare una cosa divina? Educate la gioventù». Anzi questa tra le cose divine è divinissima” nella propria mission: “Dare di più chi dalla vita ha avuto di meno”. Sono 31 le Case-Famiglia dei Salesiani per il Sociale (Federazione SCS/CNOS) distinte in Comunità educative, dove quotidianamente, operano educatori qualificati che garantiscono presenza, affetto e professionalità e le Comunità famigliari per minori. In quest’ultime è presente una famiglia che offre il proprio tempo e la propria vita all’accoglienza e all’amorevolezza, dei bambini bisognosi.

Anche le bomboniere dei Salesiani per il Sociale sono un gesto concreto a favore dei giovani poveri ed emarginati. In occasione di matrimoni, battesimi, cresime, comunioni, anniversari, lauree e nascite, festeggia la tua gioia con le bomboniere, pergamene, sacchettini, ceramiche e tableau dei Salesiani per il Sociale. Trasforma la tua festa in un gesto di amore per i “ragazzi di don Bosco” A CURA DI ILARIA M. NIZZO redazione.rivista@ausiliatrice

BOMBONIERE SOLIDALI

la solidarietà in un gesto… Scopri un mondo tutto nuovo e dai un significato più profondo al tuo giorno speciale!

Inoltre, sono tanti i modi per sostenere l’infanzia che soffre. GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Don Nicola Faletti:

«Papa Francesco mi ha detto di continuare a fare il buon pastore» GIOVANNI COSTANTINO redazione.rivista@ausiliatrice.net

«Viva don Bosco!». Così papa Francesco ha calorosamente salutato don Nicola Faletti, ricevendolo il 24 ottobre scorso in Santa Marta. L’incontro con il Santo Padre è stato un regalo del vescovo di Pinerolo, mons. Pier Giorgio Debernardi per i 70 anni di messa del sacerdote salesiano. Allievo di don Faletti all’istituto professionale di San Benigno, mons. Debernardi ha reso possibile questo incontro per il suo ex assistente scolastico ed amico fraterno. «Al termine della messa mattutina – racconta don Faletti - papa Francesco si è avvicinato a noi sacerdoti con molta affabilità e semplicità. Quando ha saputo che in quest’anno festeggio 70 anni di messa mi ha baciato le mani, ancora prima che io baciassi le sue. Mi ha abbracciato, mi ha detto di continuare a fare il buon pa-

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store e ha salutato tutti con un “viva don Bosco”. Un padre affettuoso, un uomo buono». «Avevo molte aspettative e molta gioia per questo incontro, - continua - ma non avrei mai pensato che si fosse svolto con questa intensità e vicinanza con papa Francesco». UNA VOCAZIONE CHE SCATURISCE DALLA SENSIBILITÀ MISSIONARIA   Don Nicola Faletti, classe 1917, originario di san Raffaele Cimena, nel chivassese, quando entrò a Valdocco per frequentare le scuole medie venne presentato al beato don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore e terzo successore di don Bosco, ricevendone la sua benedizione. Il 9 giugno 1929 poté assistere commosso alla traslazione della salma di don Bosco dal


CUSTODE DELLA MEMORIA DI SAN CALLISTO CARAVARIO   Diversi anni dopo proprio don Nicola Faletti diverrà zelante ed infaticabile custode della memoria dei luoghi e della memoria del martire canavesano, nato a Cuorgnè (Torino) l’8 giugno 1903. In questa veste ogni anno, specialmente in estate, don Nicola accoglie gruppi di giovani e di fedeli provenienti dall’Estremo Oriente per visitare il paese d’origine di san Callisto Caravario. Non ultimi i gruppi di Hong Kong e di Macao che tra luglio ed agosto 2014 hanno fatto tappa a Cuorgnè sulle orme del “loro” santo.

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collegio di Valsalice alla basilica di Maria Ausiliatrice. In questi anni, ammirato dai racconti dei missionari salesiani, maturò in lui la vocazione che lo porterà ad essere ordinato sacerdote il 2 luglio 1944. Nel marzo 1930 con i compagni di scuola partecipò come cantore alla messa di trigesima ordinata a ricordo dell’eccidio in Cina di don Callisto Caravario. Il missionario salesiano era stato martirizzato insieme al vescovo Luigi Versiglia il 25 febbraio 1930 nel tentativo di salvare alcune ragazze della missione di Linchow (Cina) da un gruppo di pirati bolscevichi. Alla celebrazione nella basilica di Maria Ausiliatrice partecipava anche Rosa Morgando, madre del religioso trucidato.

PARROCO DI CAMPAGNA DIMOSTRA UNA FORZA IMPRESSIONANTE PER I FRATLLI   Per oltre mezzo secolo don Faletti è stato punto di riferimento degli istituti salesiani di San Benigno e Cuorgnè: insegnante, catechista, animatore, organizzatore di varie attività artistiche e culturali. Gli oltre 20 anni di ministero parrocchiale a Villa Castelnuovo (dal 1971 al 1974 e dal 1986 ad oggi) e i 38 anni di servizio sacerdotale a Castelnuovo Nigra lo hanno sempre visto accanto ai fedeli. Non a caso i Comuni di Castelnuovo Nigra e di Cuorgnè hanno conferito all’umile don Nicola la cittadinanza onoraria. «Umile servo di Dio e figlio fedele di don Bosco – spiega Piero Cravero, che da poco ha realizzato una biografia su di lui – don Faletti non appare mai, ma agisce sempre. È mite ma al tempo stesso determinato. Il suo sorriso, il suo esempio e la sua fede cristallina trascinano ciascuno di noi. Con il suo stile da umile parroco di campagna dimostra una forza impressionante in grado di sorreggere ciascuno di noi nella nostra fragilità». «Un personaggio straordinario, un prezioso uomo di Dio che ha saputo conquistarsi l’affetto anche dei non credenti» – come ha sottolineato Giuseppe Pezzetto, sindaco di Cuorgnè conferendogli la cittadinanza onoraria.

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VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org

al 9 agosto 2015. Si inserisce provvidenzialmente nell’anno in cui si celebra il Bicentenario della nascita di Don Bosco e in cui la Chiesa dedica una particolare attenzione alle sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.

Il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), è un evento di tutta la Famiglia Salesiana e si terrà a Torino e al Colle don Bosco dal 6

Il motto: Hic domus mea, inde gloria mea - Dalla casa di Maria alle nostre case, vuole indicare la presenza materna di Maria, Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei cristiani, nel far vivere la bellezza dell’essere famiglia. Dalla sua casa Maria Ausiliatrice e Madre della Chiesa vuol fare lievitare gli affetti della Chiesa e della Famiglia Salesiana su nuove profondità e verso più ampi orizzonti. Il lavoro dell’amore che si chiama famiglia si è visto sopravanzare per troppo tempo da temi di emergenza.   Anche Papa Francesco riconosce l’estrema attualità di una rinnovata attenzione sul tema, convocando la Chiesa in Sinodo e chiedendo intelligenza e amore. Il cammino sinodale è sulla famiglia: le sue ricchezze, i suoi problemi. La realtà di uomini e donne che si vogliono bene e tirano su creature, lottando ogni giorno con le tensioni e i fallimenti dei loro legami d’amore.   In sintonia con la Chiesa anche la Famiglia Salesiana riserva una particolare attenzione alla famiglia, soggetto originario dell’educazione

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Il Logo del Congresso vuole esprimere questi concetti nei suoi tre elementi: • la Basilica di Valdocco simboleggia il centro carismatico della Famiglia Salesiana, del suo spirito e della sua missione;

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e primo luogo dell’evangelizzazione. “Casa” e “famiglia” sono i due vocaboli frequentemente utilizzati da Don Bosco per descrivere lo “spirito di Valdocco” che deve risplendere in tutte le comunità e in tutti gli ambienti salesiani. Don Bosco ha molto da dire oggi alla famiglia: la sua storia, il suo sistema educativo e la sua spiritualità si fondano sullo spirito di famiglia che a Valdocco è nato e si è sviluppato attraverso l’affidamento a Maria.

• Maria Ausiliatrice esprime la presenza viva e operante di Maria nella storia di Don Bosco e del movimento che da lui ha preso origine; • la famiglia è il luogo della presenza di Gesù e di Maria, per un rinnovato impegno di educazione e di evangelizzazione.   Ogni mese attraverso l’ADMAonline (www.admadonbosco.org) è possibile condividere il cammino formativo di preparazione al Congresso che ne presenta le prospettive e gli obiettivi.   Sul sito www.mariaausiliatrice2015.org si potranno trovare tutte le indicazioni operative necessarie nelle varie fasi di iscrizione e partecipazione al Congresso.

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Grandi frutti per le famiglie appartenenti all’ADMA  Nel corso di quest’anno particolarmente dedicato a livello ecclesiale alla famiglia e in occasione del bicentenario della nascita di don Bosco vogliamo condividere le nostre esperienze di vita di famiglie che fanno parte dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) o ne sono simpatizzanti. Siamo famiglie che, guidate da sacerdoti salesiani, percorrono insieme un cammino che sta dando molti frutti: un amore tra coniugi che si rinnova ogni giorno; una crescita spirituale come singoli e come famiglie; una formazione come genitori nel difficile compito educativo; un'amicizia tra i nostri figli che li rende capaci di condividere la fede e di testimoniarla agli altri.   Tutto questo non senza fatica, ma sicuri che questo cammino è completamente affidato al Signore e a Maria. Queste condivisioni vogliono anche accompagnare la preparazione dell’Associazione al VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatri-

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ce che sarà celebrato a Torino e al Colle don Bosco dal 6 al 9 agosto del 2015. SONIA E FRANCESCO   «L’incontro con il gruppo di famiglie dell’ADMA ci ha certamente portato a un maggiore affidamento alla Provvidenza e alla nostra mamma del cielo, Maria. Inizialmente, soprattutto per Sonia, era duro seguire le indicazioni ricevute durante la direzione spirituale, mi sembravano parole ardue e lontane dal mondo. Col tempo, la preghiera e l’aiuto di mio marito i colloqui sono diventati momenti importanti per ritrovare serenità personale o di coppia o familiare. Il grande insegnamento che ne abbiamo tratto è che più tempo passiamo senza parlare col direttore spirituale, più i problemi sembrano grandi e ci tolgono energia, così come abbiamo imparato che le situazioni vanno sempre contestualizzate e calate sul personale e ciò che è chiesto ad un’altra famiglia può non essere opportuno per noi.   Un'altra bella abitudine portata nella nostra casa dall’adesione all’ADMA è stato iniziare il Rosario di famiglie. Ormai da quasi un anno condividiamo con altre tre famiglie questo momento, che ci ha permesso di approfondire la conoscenza reciproca e creare legami duraturi di amicizia e mutuo soccorso che sono diventati vitali per noi. I bimbi spesso ci chiedono: “Ma quando andiamo dagli amici dell’ADMA, quando facciamo una merenda assieme?”. Ovviamente oltre al Rosario c’è sempre il momento conviviale che aiuta molto!


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L’appartenenza all’ADMA ci ha aiutato anche a iniziare a pregare e affidare persone bisognose di serenità durante la preghiera serale o novene iniziate per chiedere qualche grazia o consiglio. Un tempo il Rosario significava solo funerale e la novena non aveva significato, ora sono un modo per chiedere aiuto e dire “da soli non ce la facciamo”. Un esempio concreto di novena è stato per la scelta del padrino e madrina del nostro terzo figlio. Abbiamo chiesto a Maria di farci capire se la coppia a cui avevamo pensato fosse quella giusta e Lei ce lo ha confermato con tanti piccoli segni… è stato molto bello!   Ringraziamo davvero di cuore Maria per il bel cammino di sposi e famiglie, per averci dato questi sacerdoti e preghiamo davvero perché ci siano delle belle vocazioni anche tra i nostri figli».

come uno dei tanti impegni da assolvere, ma come fonte continua a cui attingere. La preghiera in famiglia è un altro regalo bellissimo, riscoperto in questi ultimi anni: ci rasserena e arricchisce tutti ed è sorgente ricchissima di grazie.   Infine, Maria ci aiuta a essere fedeli all'Eucaristia quotidiana che è davvero un pilastro nella vita coniugale; ti permette di affrontare la giornata e unisce la coppia alla luce di Gesù». ADMA FAMIGLIE redazione.rivista@ausiliatrice.net

MONICA E BEPPE   «La vicinanza di Maria si è manifestata in tutto l'arco della nostra vita: da quando eravamo ancora giovani fino ad oggi, genitori di due ragazzi adolescenti. Ne siamo sempre stati consapevoli, ma ogni giorno che passa ci rendiamo sempre più conto della sua prossimità. Si manifesta prima di tutto nella vicinanza di tante persone che si sono avvicendate in tutti questi anni e ci hanno accompagnato. Sono state un po' come il Cireneo, ci hanno aiutato a portare le piccole croci quotidiane oppure a ritrovare la strada che talvolta si è smarrita. Sentiamo di far parte di un gruppo che cammina nella stessa direzione, con cui ci si può confrontare, aiutarsi o semplicemente essere amici.   Maria ci ha anche aiutato a riscoprire il dono della preghiera, non GENNAIO-FEBBRAIO 2015

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Due spighe… e la tartrà Saggezza biblica di Mamma Margherita e antichi dolci campagnoli.  Alla cascina Moglia, dove Giovanni Bosco, adolescente, aveva trovato lavoro come garzone di stalla per poter studiare in pace, in seguito a gravi dissapori con il fratello Antonio, il sogno di poter frequentare regolari corsi per diventare sacerdote sembrava molto lontano. Nella modesta stanza che gli era stata assegnata, il ragazzo leggeva fino a tarda notte, alla luce di un mozzicone di candela. Attento e laborioso, era benvoluto dai benestanti agricoltori che lo ospitavano. Ma quando, al suono dell’Ave Maria, Giovanni interrompeva per pochi minuti il lavoro e si inginocchiava a pregare, il vecchio Giuseppe, zio del padrone, con tirchieria contadina, incominciava a brontolare. Non gli sembrava giusto che un garzone perdesse tempo a pregare mentre i padroni si spaccavano la schiena nel duro lavoro dei campi. Con gentilezza e decisione, Giovanni rispondeva che la preghiera rendeva produttivo il lavoro: «con la preghiera due spighe diventano quattro, senza la preghiera quattro spighe possono diventare due». Glielo aveva insegnato sua madre, con uno dei tanti consigli, divenuti quasi proverbiali, su cui poggiava la pedagogia di Margherita Occhiena: il fondamento del metodo educativo di don Bosco. Eccone altri: «la coscienza è come il solletico: chi lo sente e chi non lo sente!», «dopo la ferita ci vuol sempre l’impiastro» (come dire che dopo ogni litigio occorre fare la pace), «anche le unghie vengono a proposito per togliere la pelle all’aglio», «scende chi vuole e sale chi può». «Mondo rotondo, catino senza fondo, chi non sa navigare va a fondo». Pur senza saper navigare, quel bravo figlio di Margherita Occhiena avrebbe attraversato il mondo con le sue missioni, spargendo, con il Vangelo, quei frammenti di saggezza paesana, antichi e semplici come la ricetta di questo dolce, lontano parente del bonet. ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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2 uova intere e 4 tuorli 1 litro di latte 3 cucchiai di zucchero 6 a maretti di media grandezza

3c ucchiai di cacao zuccherato

mescolare le uova con lo zucchero, il cacao, il latte e gli amaretti sbriciolati. versare il composto in uno stampo da budino imburrato, con foro centrale, e cuocere a bagnomaria, in forno a 180°, per un’ora circa.

‘na bontà!


Sindone Pier Giuseppe Accornero Paoline, 2014 pagine 248, euro 15,00

Il manuale della perfetta Diego Goso Effatà Editrice, 2014 pagine 176, euro 8,50

Riapproparsi della democrazia Mario Toso Libreria Editrice Vaticana, 2014 pagine 62, euro 6,00

Natale è... Usi Tradizioni storia leggende Lorenzo Bortolin Effatà Editrice, 2014 pagine 96, euro 9,00

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO

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4 IL RETTOR MAGGIORE: «STARE CON I GIOVANI»

20 L’AUSILIATRICE

NELLA “DIVINA COMMEDIA”

46 RENZO ARBORE: «ALLEGRIA E MUSICA ANTICIPI DI PAR ADISO»

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