Rivista Maria Ausiliatrice n.5/2012

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Nº 5 - 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE

settembre-ottobre

Main, la casa della felicità

pag. 4 Bartimeo In cammino dietro a Gesù

pag. 18 Proposte

Un anno per riscoprire la fede

pag. 28 Don Bosco

Un leader concreto e sognatore


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II settembre-ottobre 2012

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Il saluto del Rettore

Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra? Carissimi amici, l’anno pastorale inizia il suo cammino e si apre all’azione del Signore che continua a sollecitare una pronta e decisa risposta ai suoi appelli. Siamo pronti ad iniziare con impegno e decisione questa santa avventura. Una frase di Gesù ci lascia pensierosi e preoccupati: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Stiamo vivendo, in particolare nella nostra Europa, un momento non facile per quanto riguarda la fede. Nell’attuale contesto caratterizzato da un forte secolarismo, cogliamo indifferenza, distacco, rifiuto, che portano a “vivere nel mondo come se Dio non esistesse”; altri sembrano gli interessi di tanti nostri fratelli e sorelle del mondo, interessi che alla fine non rispondono a quanto il cuore di ognuno desidera; ancora oggi Sant’Agostino ci provoca: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Conf. 1,1). Tutto questo come credenti non ci può lasciare indifferenti. La Chiesa ha preso atto di questo momento della storia e non rinuncia a lanciare ancora una volta la sua sfida al mondo. Proprio per questo il Papa ha indetto l’anno della fede che avrà inizio l’11 ottobre, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e nel ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il Papa ha anche convocato l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi nel mese di ottobre del 2012, sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà un’occasione propizia per un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Il ricordo di Papa Giovanni Paolo II, a un anno dalla sua beatificazione, ci sproni, sul suo esempio di evangelizzatore coraggioso, ad approfondire la nostra fede e a testimoniarla con coraggio e con gioia. Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata «Beata» perché «ha creduto» (cf Lc 1,45), questo tempo di grazia. Con l’assicurazione del nostro ricordo in Basilica per tutti voi e per quanti generosamente ci aiutano con la loro carità, un caro saluto e la benedizione del Signore. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net settembre-ottobre 2012

foto di Mario Notario


A tutto campo

Il tesoro è nel campo «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo». (Mt 13,44)

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a parabola ci presenta il fortunato scopritore del tesoro mentre lo nasconde di nuovo e, pieno di entusiasmo, fa i suoi conti e raccoglie tutte le sue risorse per “investire” in quel terreno. Una scelta che oggi definiremmo sanamente laica e cristiana. Per l’uomo della parabola il campo è, infatti, quanto di più prezioso possa possedere, e il tesoro potrebbe cambiargli la vita: non gli pesa dover vendere “tutti i suoi averi” per farne l’acquisto. Il tesoro è “nel” campo: la presenza di Dio è già nel campo della nostra piccola storia quotidiana come nella grande storia dell’umanità.

Riflettere cristianamente sulle vicende umane che ci sono affidate ci insegna a pensare e giudicare con rispetto, evitando le rigidità.

Riflettere cristianamente sulle vicende umane La missione cristiana “dal di dentro del mondo” per trovare il “tesoro” è la chiave per cercare con chi ci sta accanto ori-

Dal mondo può scaturire la salvezza: Dio ha posto in esso le ricchezze necessarie alla sua redenzione.

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ginali cammini cristiani di discernimento nell’esperienza quotidiana. In questo modo consentiamo e facilitiamo al nostro ambiente di vita di dare e di mettere a fuoco tutte le potenzialità di bene che possiede. Di assumere e perfezionare la propria identità e funzione a vantaggio delle persone a cui è diretto. In particolare, contribuiamo alla realizzazione, al miglioramento delle strutture in cui operiamo, o anche alla sostituzione delle leggi. Prendiamo su di noi e condividiamo le responsabilità civili ed ecclesiali negli organismi concreti di vita, con i loro vantaggi e i loro limiti. Contestualmente, nutriamo la consapevolezza che il dedicare o l’aver dedicato la propria esistenza a farci cristianamente carico delle situazioni e delle persone ha migliorato e migliora anche noi e il nostro atteggiamento di fronte alla vita. Lo sforzo quotidiano di riflettere cristianamente sulle vicende umane che ci sono affidate ci insegna a pensare e giudicare con rispetto, evitando la rigidità; talvolta è più facile cadere nel luogo comune, nel pettegolezzo, nel pregiudizio, ecc. In questi giorni il figlio di un commerciante del borgo dove vivo, un ragazzo riccioluto e garbato, si è presentato al bancone del


negozio con la “rasta”. I commenti sono stati tanti e vari, e il ragazzo, dapprima divertito, poi non ha più gradito le valutazioni. Anch’io, ignara di quei commenti, ho voluto dire la mia: «Che cosa ci vuoi comunicare con questa novità?». Il ragazzo mi ha guardata stupito: «Lei è la prima che si è accorta di me, di quello che anch’io posso pensare». L’assunzione di responsabilità e l’interesse verso chi ci sta accanto ci fa trovare il “punto su cui far leva” per una comunicazione che può preparare a domande di senso profondo ed anche all’incontro con Dio. È dare uno spazio simpatico all’amorevolezza salesiana che ci fa vedere “in positivo” realtà, comportamenti e la nostra stessa vita; e ci porta a sottolinearne i valori più che i limiti, in definitiva a vivere con ottimismo cristiano. La bellezza della meta nulla toglie alla fatica per perseguirla. Ogni sera ci trova riconoscenti al Signore per la sua fiducia nell’averci affidato il campo di lavoro e di vita. Insieme alla consapevolezza con cui ci rende responsabili di chi vive con noi: «Se la sentinella non avrà suonato il corno, io chiederò conto alla sentinella» (cf Ez 33,6).

Questo mondo è per noi il luogo della nostra santità Infine, «c’è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non ritira dal mondo […] gente che si incontra in una qualsiasi strada. Noi crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità». (Madeleine Delbrêl, Noi delle strade). Essere persone libere per amare di più, per avere la possibilità di provare inte-

La bellezza della meta nulla toglie alla fatica per perseguirla. E ogni sera ci trova riconoscenti al Signore per la sua fiducia nell’averci affidato il campo di lavoro e di vita.

Ti interessa scoprire il tesoro nel campo della tua vita? Puoi essere aiutata da ...

Istituto Secolare Volontarie Don Bosco Volontarie di Don Bosco Via Aureliana 53 - 00187 Roma Telefono: 0 6.4883946 06.45438633 Fax: 06.4870688 info@istitutovdb.it www.volontariedonbosco.org www.facebook.com/ volontarie.didonbosco

resse e solidarietà senza curarci del ritorno, rende preziosa e soddisfatta la nostra vita: è la risposta alla nostra ricerca del “tesoro nel campo” che ci realizza. Nella Famiglia Salesiana le Volontarie di Don Bosco condividono il comune sforzo umano di investire le energie apostoliche nella ricerca della presenza di Dio dove vivono, nella scelta della solidarietà al mondo, in una vera e propria “passione per il mondo”. Lì attualizzano la loro missione-consacrazione professando i Consigli evangelici per la costruzione del Regno di Dio e cui si riferisce la parabola «il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo». E questo come unica scelta di vita. La novità di questo Istituto secolare salesiano è nella scelta dei suoi membri di vivere nel mondo; ma è soprattutto di riconoscere che dal mondo può scaturire la salvezza, che il mondo custodisce il segreto: Dio è presente, ha posto in esso i germi della sua redenzione. Dunque, si tratta non soltanto di immetterveli dall’esterno, ma di scoprirli dal di dentro, di esplorarne le possibilità latenti e di darvi piena espansione e maturazione. È un nuovo stile di incontro con il mondo, il campo in cui il tesoro è già depositato, e in cui farlo riemergere in tutta la sua attrattiva. Il tesoro è nel campo: rimaniamoci operosi! Orma Ricci orma@fastwebnet.it a tutto campo

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Leggiamo i vangeli

Mettersi “sulla via” dietro a C’è qualcuno che vuole seguire Gesù sulla via della croce? Pietro, i Dodici, persino Giacomo e Giovanni avevano mostrato difficoltà a maturare quella scelta. Bartimeo per primo lo farà insegnandoci cosa significhi mettersi “sulla via” dietro a Gesù. geRico, l’oasi dell’incontRo

era caduto nel vuoto, incompreso e disatteso. Come si sarebbe potuto seguire Gesù data la radicalità delle sue proposte e della sorte che lo attendeva? Noi, però, continuiamo a stargli dietro perché è a Gerico che avviene un incontro di grande rilevanza per il discepolo di ogni tempo.

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erico antichissimo centro abitato il cui nome in ebraico significa “luna”, in arabo “profumo intenso”, è la grande città-oasi delle palme posta a quasi 300 metri sotto il livello del mare: di là parte la grande salita per Gerusalemme. Tutti i pellegrini provenienti dalla Galilea – come Gesù – o da altre regioni del Nord che volevano recarsi alla Città Santa, dovevano confluirvi per poi riprendere il viaggio. Non a caso Marco osserva correttamente che il Signore in quell’ora non è solo attorniato dai suoi discepoli, ma da molta folla. Prima di arrivare a Gerico, sulle vie che scendevano verso quella terra, per tre volte Gesù aveva ripetuto l’insegnamento nuovo sulla sua passione e risurrezione. Per altrettante volte esso

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BaRtimeo e gesù

Gerico, la grande città-oasi a quasi 300 metri sotto il mare da cui parte la grande salita per Gerusalemme.

A pochi giorni dalla Pasqua, il tempo in cui l’insegnamento sulla passione e risurrezione si sarebbe inverato, un uomo – mai nominato prima nel racconto – entra in scena: dal Nazareno si fa aprire gli occhi, quelli fisici e quelli della fede. Curioso e sorprendente Bartimeo. È un cieco e di conseguenza un mendicante: non può infatti provvedere alla propria vita, ragion per cui se ne sta ai margini della strada a chiedere l’elemosina. La presenza in città di Gesù era per lui un’occasione da non lasciarsi sfuggire: forse quella persona di nota fama avrebbe potuto fare qualcosa per lui! Ed ecco, il cieco si mette a gridare la propria fede e speranza: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Invano il tentativo di quanti – presumibilmente i Dodici stessi – lo vogliono azzittire: il figlio di Timeo infatti grida ancora più forte! Gesù lo sente e chiede di chiamarlo. È ciò che egli attendeva: non si cura più di nulla, neppure del suo mantello che abbandona frettolosamente e corre, libero, da Gesù. Alla domanda di costui Bartimeo risponde sicuro: «Rabbunì, che io veda di nuovo».


Gesù Parole e gesti di fede Fermiamo per un momento il ritmo incalzante della narrazione: è infatti evidente che lo straordinario incontro toccato a quest’uomo, diventa per l’Evangelista occasione per tessere un sommesso confronto tra la fede piena di speranza di costui e la durezza a capire mostrata ripetutamente dagli Apostoli. Per capire questo rileggiamo con attenzione alcuni momenti del racconto. Innanzitutto i titoli usati da Bartimeo per rivolgersi a Gesù. Il primo è «Figlio di Davide»: chiamandolo così costui mostra di riconoscere e di accogliere nel Nazareno il discendente di Davide, il Messia operatore di prodigi promesso da Dio. Poi il cieco chiama Gesù «Rabbunì». Tutti ricorderanno che la Maddalena saluta allo stesso modo il Signore Risorto presso la tomba vuota (Cf Gv 20,16). «Rabbunì» vuol dire «mio signore»: è un’espressione piena di affetto e di devozione. Alle parole vanno unite le azioni solerti dell’alzarsi e del gettare via il mantello. Per apprezzare fino in fondo questo, bisogna considerare che il mantello era per un mendicante l’unica ricchezza, il solo indumento con cui ripararsi dal caldo e dal freddo. Ebbene, lui lo getta via mostrando di saper dare valore a quello che più conta in assoluto, vale a dire all’incontro con colui che gli avrebbe potuto cambiare la vita. Le parole ed i gesti di costui denotano con chiarezza una fede larga riposta in Gesù: Bartimeo è disposto a tutto pur di farsi incontrare dal Figlio di Davide, suo signore.

La vista degli occhi e la vista del cuore Gesù ascolta, vede; si mostra profondamente colpito da quel cieco mendicante cui dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato».

© Schnoor-Conti

La presenza di Gesù a Gerico è per Bartimeo un’occasione da non lasciarsi sfuggire: forse quell’uomo di nota fama avrebbe potuto fare qualcosa per lui!

È per la sola parola di Cristo che Bartimeo acquista la vista. Non solo questa però. La fine del racconto è tanto più sorprendente quanto più la si confronti con il suo inizio. Al principio del racconto Marco scrive infatti che il cieco era seduto «ai bordi della via»: è la situazione di chi non ha più nulla da sperare, se non qualche moneta o un poco di cibo dato in elemosina. Nella conclusione si legge invece che al recupero della vista corrisponde una decisione: seguire Gesù “sulla via”. Gesto concreto dall’alto valore simbolico: Bartimeo non vuole più stare ai bordi della vita, ma al suo centro, nel suo dipanarsi complesso e meraviglioso. Un doppio dono gli viene fatto dal Figlio di Davide: la vista degli occhi e la gioia di seguirlo sul cammino che lui stesso sta percorrendo. È il pieno ricupero della dignità, anzi ne è l’innalzamento al suo grado più alto, quello significato dal gesto di chi abbandona tutto e consegna se stesso nelle mani di chi sa che unicamente gli potrà dare oltre alla vista degli occhi, anche la vista del cuore: la fede che salva. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net LEGGIAMO I VANGELI

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Maria nei secoli

Il mistero della Casa di Ma Caterina è una mistica tedesca vissuta due secoli fa (1774-1824), dichiarata Beata da Giovanni Paolo II nel 2004. Nelle visioni ha contemplato Maria durante la morte di Giuseppe, alle nozze di Cana e durante la Passione, dopo la deposizione di Gesù dalla croce. piano solo, col tetto piatto e il focolare al centro, tra boschi e al margine della città, perché la Vergine desiderava vivere appartata, è stata scoperta dagli archeologi alla fine del secolo XIX sulla base della descrizione di una mistica tedesca, una suora agostiniana, la Beata Anna Caterina Emmerick, vissuta tra il 1774 e il 1824, che trascorse gran parte della sua vita immobilizzata in un letto. Il Signore volle arricchirla di doni soprannaturali, come la capacità di riconoscere le autentiche reliquie dei santi, il digiuno totale – sicché si nutrì per molto tempo solo dell’Eucaristia – le stigmate per rivivere anche nella carne la Passione di Gesù.

maRia e la moRte di giuseppe

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a chiamano la “Lourdes dei musulmani”. Si tratta di un luogo ove scorre una sorgente d’acqua e sorge una chiesetta, nei pressi della città di Efeso, nell’attuale Turchia, ove i cristiani sono una sparuta minoranza circondata da un oceano di musulmani. Questi ultimi, però, che pure venerano la “Madre di Gesù”, vi si recano per chiedere grazie e spesso le ottengono. Secondo la tradizione, questo piccolo Santuario custodisce i resti della casa ove Maria ha abitato con Giovanni, l’Apostolo cui il Figlio l’aveva affidato prima di morire sulla Croce. Questa abitazione, rettangolare e di pietra, a un

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La piccola casa della Vergine era nei pressi di un bosco, circondata da alberi a forma piramidale. Calma e silenzio regnavano intorno. La Santa vergine abitava sola con la sua domestica, più giovane di lei. Ambedue conducevano una vita serena e ritirata. (Beata Anna Caterina Emmerick).

Il suo segretario, Clemente Brentano, registrò tutte le visioni della Beata Emmerick che, con dovizie di particolari, descrisse vari episodi della vita terrena di Gesù e della Madonna. Ne nacquero così dei libri che hanno aiutato molte anime a rivivere la Passione del Signore con intensità ed amore. Leggendo, dunque, le pagine di questi testi ispirati dalla fede intensa e dalla pietà sincera di questa donna che amava dire «tutti portiamo anche i dolori degli altri», apprendiamo alcuni particolari della vita della Madonna che, anche se non sono storicamente confermabili, ci aiutano ad aumentare la nostra devozione per Lei. Per esempio, nelle sue visioni, Caterina intuì tutta la tenerezza con cui Maria assistette il suo sposo Giuseppe: «Quan-


ria ad Efeso do Giuseppe morì, Maria, seduta al suo capezzale, lo teneva tra le sue braccia e Gesù stava in piedi al suo fianco». Fu un momento di grazia straordinaria: la mistica, infatti, riferisce di aver visto l’umile camera ove Giuseppe spirò tutta piena di angeli e di luce.

Maria alle nozze di Cana Non mancano delle osservazioni teologiche pertinenti nelle visioni mariane di Caterina, come quelle riportate nella descrizione del miracolo avvenuto a Cana di Galilea. Ella spiega, infatti, che Gesù chiamò Maria “donna” per attribuirle un titolo denso di significato biblico con cui le riconosceva la maternità divina. «Le disse “donna” e non “madre mia”, perché stava per compiere un’opera misteriosa davanti ai suoi Discepoli e a tutti i suoi parenti in qualità di Messia e come Figlio di Dio, vale a dire egli era là con il suo potere divino». Tutti ci siamo chiesti perché Gesù, proprio a Cana, abbia usato un’espressione apparentemente dura nei confronti della Madonna: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Gli esegeti hanno scritto fiumi di parole per comprenderne il motivo. La Beata Caterina, però, che ebbe anche la percezione sensoriale di quel dialogo, riferisce che il tono di Gesù era dolce ed accondiscendente e che, in quelle parole, c’era solo venerazione ed amore per la Madre.

Maria con Gesù deposto dalla Croce È senza dubbio toccante la visione con cui rappresenta la scena della deposizione dalla Croce del corpo straziato di Gesù. È assai verosimile che la Madonna

La Beata Anna Caterina Emmerick, ha gridato la dolorosa passione di nostro Signore Gesù Cristo e l’ha vissuta sul suo corpo. È opera della grazia divina il fatto che la figlia di poveri contadini, che con tenacia ricercò la vicinanza di Dio, sia divenuta la nota “Mistica del Land di Münster”. (Beato Giovanni Paolo II).

abbia svolto quei gesti descritti dalla nostra mistica: «Vidi la Santa Vergine lavare il capo insanguinato ed il volto di Gesù. Via, via che Ella detergeva quel corpo, si mostravano nei particolari le orribili crudeltà esercitate su Gesù; da una ferita all’altra aumentavano la compassione e la tenerezza per tante crudeli sofferenze. La Santa Vergine lavò le piaghe del capo, il sangue che riempiva gli occhi, le narici e gli orecchi con una spugna e un piccolo lino steso sulle dita della mano destra, allo stesso modo pulì la bocca semiaperta, la lingua, i denti e le labbra. Ella suddivise la capigliatura di suo Figlio in tre parti, una parte per ogni tempia e l’altra dietro il capo e, quand’ebbe sgrovigliati i capelli davanti e li ebbe resi lucidi e lisci, li fece passare dietro agli orecchi. Quando infine il capo fu ripulito lo velò, dopo aver baciato il Figlio sulle guance». A queste visioni si è ispirato anche il celebre regista Mel Gibson per produrre quel film che ha commosso milioni di spettatori: The Passion of the Christ. Efeso, Loreto, Nazareth, Gerusalemme: sono luoghi importantissimi per la pietà mariana. Sono luoghi ove, con ragionevole certezza, sappiamo che è passata Maria nella sua esistenza storica prima di essere assunta in Cielo ove regna gloriosa prendendosi cura dei suoi figli ancora pellegrinanti sulla terra. Ad Efeso, in particolare, si svolse, secondo Caterina, una scena alla quale, forse, non abbiamo mai pensato, e che ci induce a tanta meditazione: «Giovanni si alzò, estrasse dal suo seno una scatola di metallo e ne estrasse una busta di lana fine, nella quale si trovava un pannolino bianco che conteneva la santa Eucaristia. Allora egli pronunciò in tono grave e solenne alcune parole e donò la santa Comunione a Maria». Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net MARIA NEI SECOLI

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Maria nei secoli

La “Madonna d’Ognissanti” di Giotto Realizzata attorno al 1310, su richiesta della potente comunità degli Umiliati, fu posta sull’altare maggiore della chiesa fiorentina di Ognissanti. Oggi è conservata nella Galleria degli Uffizi.

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econdo la versione più accreditata, Giotto, figlio di Bondone, era nato verso il 1267 a Vespignano, presso Vicchio nel Mugello. Il padre era un contadino e in un primo momento lo allogò come apprendista nell’Arte della lana a Firenze, permettendogli di frequentare la bottega di Cimabue. Poi, vista l’inclinazione del figlio, si risolse di mandarlo dal pittore senza altra occupazione. I suoi primi impegni sono tutti ipotetici: forse lavorò nella decorazione della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, affrescando alcuni episodi tratti dall’Antico Testamento. Nel frattempo, è quasi certo che abbia compiuto un viaggio a Roma, dove ampliò la sua cultura artistica avvicinando le opere dell’antichità classica, le pitture di Pietro Cavallini e le sculture di Arnolfo da Cambio. Ritornò, poi, ad Assisi, dove affrescò le storie di San Francesco, sempre nella Basilica Superiore. È, forse, di questo periodo il frammento in San Giovanni in Laterano, dove Giotto rappresentò Papa Bonifacio VIII che indice il primo giubileo della storia.

a seRvizio degli scRovegni e di RoBeRto d’angiÒ Dal 1303 iniziò a lavorare agli affreschi della cappella degli Scrovegni, a Padova. Il committente era Enrico degli Scrovegni. Il ricco banchiere patavino aveva fatto co-

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struire una cappella di famiglia sui resti dell’antica arena cittadina. Terminati i lavori, Giotto tornò a Roma per attendere ai cartoni del mosaico della Navicella in San Pietro. Lavorò, poi, a Firenze, in Santa Croce, alle cappelle Peruzzi e Bardi. Fu al servizio di Roberto D’Angiò a Napoli, ma non resta nulla che possa ragguagliarci sui progressi del maestro nell’arte sua, se non un segno evidente nella produzione dei pittori locali. Il 18 luglio 1334 pose le fondamenta del campanile della cattedrale fiorentina. Ma non giunse a vederne la conclusione; morì l’8 gennaio 1337 e fu sepolto con tutti gli onori in Santa Reparata, l’antica cattedrale di Firenze. La Maestà fu realizzata attorno al 1310 e posta sull’altare maggiore della chiesa fiorentina di Ognissanti. Committente era la potente comunità degli Umiliati, che si erano stabiliti in quella zona fuori dalle mura cittadine ed erano dediti, oltre che alla perfezione religiosa, alla lavorazione della lana e del vetro.

una novità assoluta nella pittuRa dell’epoca Nonostante la presenza di arcaismi, come il fondo oro e la proporzione gerarchizzata delle figure, la Maestà di Giotto è di una novità assoluta nell’ambito della pittura fiorentina del primo Trecento. In quest’opera, il pittore recupera la spazialità tridimensionale empirica propria


degli antichi e supera la frontalità tipica delle icone bizantine. Le innovazioni interessano anche le figure di Maria e del piccolo Gesù, che hanno una solidità mai vista in opere precedenti. Anche il chiaroscuro dei panni è netto e teso a dare “verità alle vesti”. Maria è seduta su un trono cuspidato, di schietto gusto gotico con aperture a bifore trilobate, creato con una prospettiva che rimanda al seggio della Madonna di Santa Trinità di Cimabue, oppure al trono della “Giustizia” nella Cappella degli Scrovegni, affrescato dallo stesso Giotto; è decorato con marmi variegati e con ornamenti vicini alla produzione cosmatesca. Gli sguardi di tutti i personaggi che la affiancano, sono rivolti alla Vergine; gli angeli in primo piano recano doni: i primi due hanno vasi colmi di fiori (primi esempi, in ambito medioevale, di “natura morta”), metafore della purezza e della santità di Maria, i successivi una corona e un cofano, simboli della sua regalità. Interessanti sono i due personaggi che si intravvedono nelle due aperture ai fianchi del trono: creano una sorta di trittico, del quale occupano i due sportelli laterali. Differenziandosi dalle pitture più antiche, Giotto colloca le diverse figure di contorno spaziate, le une dietro le altre, non appiattite su un unico piano e, se pur ancora rigidamente simmetriche, tutte hanno una fisionomia ben definita. La tavola è conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze, dove è collocata vicina a due analoghe composizioni, una di Cimabue (la Madonna di Santa Trinità), l’altra di Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai). natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net marIa NeI secoLI

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La parola qui e ora

Chi è il più grande? Anche tra i cristiani, c’è chi punta ad essere il “primo” e di conseguenza, in perfetto stile “clientelare”, si interroga su come regolare i conti nel “gruppo dirigente” e stabilire chi debba essere il “secondo”. Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9, 30-37)

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La logica del potere impone di puntare a traguardi sempre più ambiziosi.

esù parla esplicitamente della sua passione, morte e risurrezione. Porta, anzi, i discepoli lontano dalla gente che li segue, proprio per creare un clima di silenzio e ascolto tra loro, ai quali ha da dire cose importanti, fondamentali. Ma i discepoli hanno altro in mente e si mettono a discutere tra di loro su chi sia il più importante. Allora il Signore prende un bambino e dice che è lui il modello. C’è un collegamento diretto tra i discepoli, che non comprendono il mistero centrale della fede, e le dispute di potere, che essi lasciano nascere e crescere. Si direbbe che occuparsi e preoccuparsi dei primati terreni sia il modo migliore per rimanere ignoranti e sprovveduti rispetto alle cose veramente importanti della vita. Il fatto è che i discepoli, a questo punto del racconto di Marco, non hanno ancora capito che cosa Gesù sia davvero venuto a fare sulla terra. Arrivano, in questo passo del Vangelo, da una stagione di miracoli e guarigioni, cioè di grandi successi, in Galilea e in Giudea. Hanno visto l’evento incredibile della Trasfigurazione (cf Mc 9,2ss). Sono sinceramente convinti che il loro rabbì può tutto quel che vuole e che dunque loro con lui saranno destinati al potere su Israele e sulle nazioni. Di conseguenza, in perfetto stile clientelare (o mafioso, a scelta), si interrogano su come regolare i conti all’interno del “gruppo dirigente”, e stabilire chi debba essere il “secondo”, il “terzo” e così via (in questo senso, Giuda sarebbe solamente uno che ha capito meno degli altri, e che decide di mandare in corto circuito l’intera lobby azzerando il


vertice…). Non diversamente è accaduto, nell’Occidente “cristiano” come nell’Oriente pagano, per venti secoli: la logica del potere non può mai essere diversa da se stessa e all’interno di una struttura è inevitabile che si riproducano, come colture di bacilli, dinamiche di competizione e selezione. Appunto, i discepoli non hanno capito nulla. Si dimostrano tutt’altro che sprovveduti “secondo il mondo”, ma quanto mai arretrati rispetto alla “logica del Regno”. L’unico segno di buona fede che va loro accreditato è che si vergognano di spiegare al Signore il soggetto della loro conversazione (cf v. 34). Oggi invece, per esempio, va di moda non vergognarsi affatto delle proprie bassezze, soprattutto per quanto riguarda la fame di denaro e di potere. Il bambino che Gesù mette in mezzo ai Dodici è il simbolo, prima ancora che dell’innocenza e del disinteresse, della cattiva coscienza dei discepoli. Sui bambini, come sulle donne, i maschi adulti ebrei avevano diritto di vita e di morte: loro contavano meno di nulla. Più in basso, nella scala sociale ebraica, ci sono soltanto le vedove e infine i lebbrosi. Il bambino non è uno che si vergogna del potere: semplicemente ne fa a meno, vive senza, ha di meglio da pensare.

Anche se riconosciamo il “potere” della Parola di Dio, cediamo facilmente alla tentazione di lasciarci sedurre da altre priorità.

... E preso un bambino, Gesù lo pose in mezzo a loro e disse: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me».

In realtà, c’è un’altra dimensione importante che Gesù collega al simbolo “bambino”: la capacità di ascoltare e di accogliere. L’ascolto è l’altro tema sotteso nel brano: Gesù parla della sua morte e risurrezione (cioè del destino stesso del mondo) e i discepoli si distraggono su chi sarà il “capobastone”; non accade così anche a noi, quasi sempre? Riconosciamo il “potere” della Parola di Dio, abbiamo a memoria il significato della sua importanza: ma cediamo facilmente alla tentazione di pensare ad altro, di lasciarci invadere da diverse priorità. L’ascolto che chiede Gesù è il preliminare dell’accoglienza: e soltanto chi accoglie un essere insignificante per amore di Dio sta davvero accogliendo il Signore. Rispetto all’ascolto e all’accoglienza i credenti stessi, forse, corrono due rischi opposti. C’è chi si distrae subito perché pensa al potere e ha in mente il protocollo di gerarchie tra esseri umani (razza, religione, censo, nascita, titolo di studio, ecc.). E c’è chi, esagerando sul versante opposto, si butta su ogni povero, divinizzando la sua miseria invece di cercare di redimerla. L’uno e l’altro atteggiamento favoriscono la continuità di quel “potere del mondo” che il Signore è venuto a ridicolizzare e delegittimare. La strada per il Regno, a quanto sembra, è ancora lunga. Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it LA PAROLA QUI E ORA

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Mamme sulle orme di Maria

Quando i nostri figli si innamorano Una mamma come tante scopre che il figlio diciannovenne si innamora di una ragazza più grande di lui: che fare? Dirgli tutta la sua contrarietà? Fare finta di niente? Cercare di allontanarlo dalla ragazza? Oppure parlarne con lui, cercare di capire e provare ad accettarlo così com’è nonostante tutto…

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ssere madre è un “mestiere” difficile, da sempre! Non parlo certo delle madri della pubblicità televisiva che sollevano consensi anche solo nel portare in tavola scatolette di carne sprofondate in una foresta di insalata, o cotolette surgelate, levigando i loro pupi con creme protettive, o volando nella notte su biscotti stellati come il cielo. Parlo delle madri “vere”che quotidianamente si confrontano, si incontrano e si scontrano con i loro figli, come nel caso che sto per raccontare. La mamma in questione si è trovata ad affrontare un qualcosa che sicuramente aveva messo in bilancio: l’innamoramento di suo figlio diciannovenne… Ma l’imprevisto è che la ragazza che ha fatto na-

Essere madri è un “mestiere” difficile, perché ci vogliono solidità, coraggio e tanto amore per confrontarsi, incontrarsi e scontrarsi quotidianamente con i figli.

scere in lui questo sentimento è più grande di ben otto anni e totalmente diversa da ciò che lei, come madre, si sarebbe aspettata potesse piacere a suo figlio. È un amore di cui il ragazzo non le ha mai parlato apertamente, che va avanti già da un po’ di tempo e del quale si è resa conto solo perché è allenata ad osservare suo figlio ed a cogliere quei messaggi criptati che lui tende da sempre a lanciarle. Non sono state dette vere e proprie bugie per giustificare uscite e assenze, ma la verità è stata... aggirata e discretamente velata. Il giovane, infatti non ha un carattere aperto, espansivo e bisogna cavargli le parole di bocca! Inoltre, la signora non può contare sulla collaborazione del marito poiché lui fa parte di quel numero di uomini (forse un po’ troppo elevato) che io definisco presenze/assenze, che preferiscono non approfondire troppo per non doversi assumere delle responsabilità, fare delle scelte e magari diventare impopolari. Lei invece sa con chiarezza che non riesce, non vuole e non deve continuare a far finta di niente ed escludersi dal mondo affettivo di suo figlio.

dialogo, sempRe L’elemento primario della sua “pedagogia materna” infatti è sempre stato il dialogo, poiché solo con questo mezzo si riesce

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a tenere vivo e significativo un rapporto d’amore, materno e non solo e a mostrare concretamente attenzione per l’altro, anche se a volte è complicato trovare le parole giuste. La nostra mamma in difficoltà ha però da sempre un punto di riferimento: Maria, la dolce ragazza di Nazareth che ha accettato di entrare a far parte del grande mistero divino diventando la madre di Gesù, ma che è anche stata colei che ha vissuto giorno dopo giorno le ansie, le paure, le difficoltà di una madre terrena, che ha accompagnato suo figlio dalla culla alla croce con la sua presenza, il suo sostegno, la sua capacità di accettazione ed il cui modello di maternità è attualissimo, sia nei grandi eventi della vita, sia nella quotidianità. Quindi, essendo per la mamma del diciannovenne di cui sopra, prioritario mantenere in ogni circostanza “le porte aperte” ai bisogni di suo figlio come per dirgli: «Ci sono sempre per te», ha deciso di affrontare apertamente l’argomento ed ha espresso il desiderio di conoscere la persona che in questo momento ha un posto così importante nel cuore del suo ragazzo, senza fare altre domande, come fosse scontato che lei era al corrente di questa storia d’amore. In cuor suo ha temuto una chiusura, un rifiuto ed invece si è resa conto che suo figlio non aspettava altro e che prontamente ha afferrato la sua mano tesa, come quando era piccolo, e ha risposto positivamente ed organizzato l’incontro, in modo estremamente informale.

Una mamma sa vigilare discretamente sulle situazioni e andare oltre le apparenze. Non si lascia scoraggiare da un piercing o da un tatuaggio usato magari come maschera difensiva.

Oltre i piercing Senza ipocrisie o buonismi la signora ammette che la giovane donna non l’ha entusiasmata, è rimasta abbastanza stupita della scelta del figlio e la notevole differenza di età la turba abbastanza. Ha visto però suo figlio felice nel capire che, nonostante le preoccupazioni, sua madre era disposta a condividere con lui anche questo suo momento della vita. Lo

ha visto più sereno, più aperto e persino più loquace... Faticosamente lei ha evitato di esprimere giudizi, manifestare perplessità, avanzare dubbi: ha accettato questo amore di suo figlio proprio per l’amore che prova per lui. Questa scelta le ha permesso di vigilare discretamente sulla situazione, di parlare con la ragazza, di conoscere quella parte più profonda di lei che non salta subito all’occhio, come invece avviene per i suoi tatuaggi o il piercing, e di cogliere la spiritualità che c’è in ogni essere umano, magari sommersa e celata dietro a maschere difensive. Ora anche la madre è più serena: sa che suo figlio ha chiaramente colto il messaggio che lei gli ha inviato e cioè poter sempre e nonostante tutto contare su di lei. Inutile pontificare sui nostri figli, sul loro futuro, anche se è vero che tendiamo a farlo, forse perché ci pare normale desiderare per loro il meglio: difficile però sapere quale sia questo “meglio” e non confonderlo con proiezioni di nostri desideri che non siamo riusciti a realizzare in gioventù. L’obiettivo di noi genitori dovrebbe essere sempre e solo quello di anteporre i nostri figli a noi stessi, i loro progetti alle nostre aspettative, i loro sogni alle nostre troppo concrete realtà e semplicemente (e proprio perché è semplice, non è facile) far loro sentire la nostra presenza, la nostra attenzione, la nostra capacità di accettarli come sono e non sognare al posto loro! Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net

È inutile pontificare sui nostri figli e sul loro futuro, anche quando ci pare normale desiderare per loro il meglio.


Amici di Dio

Ildegarda, nobile e santa «La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio femminile” apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e a tutte le nazioni». Così ha scritto Giovanni Paolo II nel documento Mulieris Dignitatem. Tra queste donne da ringraziare c’è senza dubbio S. Ildegarda di Bingen, vissuta nella Germania del XII secolo (1098-1179). Una figura di donna, di monaca, di scrittrice, di mistica e di santa dalla personalità straordinaria, che ha esercitato un grande influsso grande come merita. La Chiesa Cattolica ne ha sancito la grandezza e la profondità del messaggio (era chiamata la “profetessa del Reno”) dichiarandola, nell’ottobre 2012, Dottore della Chiesa. oh tu, fRagile cReatuRa ... paRla e scRivi ciÒ che vedi

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ldegarda nacque vicino ad Alzey (30 km da Magonza) in una famiglia nobile. Due particolarità nella bambina Ildegarda: era di intelligenza pronta ed acuta ma anche di salute fragile, ed ebbe le prime visioni a cinque anni, come lei stessa raccontò: «Nel mio quinto anno di vita vidi una luce così grande che la mia anima ne fu scossa. Però, per la mia tenera età, non potei parlarne». Entrata nel monastero benedettino di Disibodenberg all’età di otto anni, fu affidata alla maestra Jutta, una giovane donna di famiglia nobile. Il secondo maestro fu il monaco Volmar, assistente spirituale della clausura ed in seguito suo primo segretario. Giunta all’adolescenza Ildegarda decise liberamente di entrare nell’Ordine, ponendo così la sua vita al totale servizio di Dio. Per trent’anni non successe nulla, ma quando morì Jutta, la sua maestra, le monache la elessero Badessa. Seguirono cinque anni di ordinaria amministrazione poi a 42 anni la svolta decisiva. Sentì la voce di Dio che le diceva: «Manifesta le meraviglie che apprendi ... Oh tu fragile creatura... parla e scrivi ciò che vedi

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«Dio pervade l’anima degli eletti con la luce della verità e la salva in tal modo per la felicità eterna. Egli deliberò a suo tempo di salvare i cuori di molti con l’effusione dello Spirito profetico».

e senti». Un particolare: più lei resisteva alla Voce, più aumentavano le sofferenze. Finalmente, dietro consiglio di Volmar, cominciò a scrivere. E anche le forze ritornarono.

conosci le vie Il primo frutto fu l’opera Scivias (Conosci le vie). In 35 visioni c’è tutta la storia della salvezza. È un invito pressante a «conoscere le vie, a prestare attenzione, a guardare, scrutare, discernere le vie divine, i percorsi, rettilinei o contorti, le circostanze belle o brutte nelle quali Dio ci viene incontro. Tutte le vie portano ad un’unica meta, pertanto in ogni circostanza si può desiderare Dio e conoscerlo». La sua fama intanto cresceva sempre di più, fino ad arrivare alle orecchie del Papa Eugenio III, che era a Treviri per un Concilio, e, dietro suggerimento di San Bernardo di Chiaravalle, la incoraggiò a mettere per iscritto le visioni, a beneficio di tutta la Chiesa. Uno dei frutti della sua fama (e santità) fu il grande numero di ragazze nobili che bussavano alla porta del suo monastero. Anche per questo, non senza difficoltà, riuscì a fondarne un altro vicino a Bingen. Possiamo dire che Ildegarda era una mo-


naca atipica. Non era tutta casa (monastero) e chiesa; non era una donna segregata dal mondo e tutta incentrata su Dio. Viveva profondamente delle vicende del suo tempo. Non solo il Papa si era accorto di lei, ma anche Federico Barbarossa, l’Imperatore. I due si scrissero varie lettere (dal 1154). Ma questa corrispondenza non le impedì di essere molto chiara e dura quando lui “elesse” un antipapa contro il legittimo Alessandro III. Ildegarda usò parole di fuoco (frutto di una visione): «Colui che è dice: la ribellione io la distruggo… guai, guai alle male azioni dei sacrileghi». Il Barbarossa non si vendicò, tanto era il prestigio della monaca Ildegarda (la sua distruzione politica arrivò anche con la sconfitta di Legnano nel 1176).

Tratto in forma ridotta da:

in viaggio, malata, peR amoRe alla chiesa Ildegarda intraprese anche quattro grandi viaggi di predicazione, pur essendo non più giovane e malaticcia. Predicò anche a Treviri e a Colonia. La sua grandissima autorità spirituale (“prophetissa teutonica”) le permetteva di parlare senza paura. È rimasta famosa la predica di Treviri nel 1160: «Io povera creatura, a cui mancano salute, vigore, forza e istruzione, ho udito nella luce misteriosa del vero volto le seguenti parole per il clero di Treviri: i doctores e i magistri non vogliono più dar fiato alla tromba della giustizia, perciò è scomparsa in loro l’aurora delle buone opere». Stessa dura requisitoria contro il clero di Colonia colpevole di non istruire il popolo di Dio. La sua fama era grande, l’attività incessante e le malattie tante. Tuttavia Ildegarda aveva l’intelligenza (e la santità) di fare anche della autoironia: «Perché non insuperbisca Dio mi ha costretta a letto».

Io invisibile Vita In questo passo stupendo Ildegarda riferisce le parole pronunciate da Cristo:«Io, suprema forza di fuoco che accese ogni scintilla di vita, da cui nulla uscì di mortale, io decido di tutto ciò che è. Al cerchio dell’universo con le mie ali, cioè volandogli intorno con la mia sapienza, ho dato il giusto ordine. E di nuovo io, infiammata vita del divino essere originario, scintillo sulla bellezza dei terreni dei campi, brillo nelle acque, ardo nel sole, nella luna, nelle stelle. Con un soffio di vento, invisibile vita che dona pienezza, tutto trasformo in vita... Dunque io sono la forza di fuoco che segretamente riposa in tutto questo, tutto arde grazie a me, come il respiro tiene incessantemente in vita l’uomo e come nel fuoco si leva una fiamma accesa».

meriti della vita in cui tratta del grande tema dell’armonia tra legge di Dio e volontà dell’uomo. Nel terzo scritto Libro delle opere divine riprende l’immagine dell’uomo posto in una struttura complessa di rapporti fra microcosmo e macrocosmo. Le sue opere in campo medico e scientifico hanno ridestato nuovo interesse tra gli studiosi. È interessante notare come le sue visioni sono originali, contenenti straordinarie figurazioni intellettuali e immaginifiche, sviluppate sulla base dell’immaginario collettivo del Medio Evo. Vi sono presenti anche molti elementi naturalistici e astrologici ereditati dall’antichità pre-cristiana. Dio parlava ad Ildegarda, come già ai profeti, all’interno della sua cultura. All’uomo d’oggi Ildegarda dice di non fare di se stesso un idolo, sacrificandogli tutto. La sua battaglia fu contro l’autonomia umana idolatrata, contro l’uomo centrato su di sé e pieno di egoismo, contro l’uomo che parla con superbia ed empietà: «Non voglio ubbidire né a Dio né a qualsiasi uomo». E Ildegarda monaca esorta fortemente l’uomo al rispetto non solo di Dio e del prossimo ma anche del Creato (messaggio ecologico), evitando cioè lo sfruttamento selvaggio della natura. Tutto attuale, anche oggi. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

messaggio peR l’uomo d’oggi Ildegarda ci ha lasciato varie opere. Dopo la prima Scivias scrisse anche il Libro dei amIcI DI DIo

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Giovani in cammino

Il più grande tra voi sia il vostro servo «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate ed osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché dicono e non fanno». Così inizia il capitolo 23 del Vangelo di Matteo.

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n questo capitolo Gesù è di una violenza incredibile e minacciosa. È un susseguirsi di «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti… guai a voi, guide cieche… serpenti, razza di vipere… sepolcri imbiancati». Viene quasi da dubitare che sia il “nostro” Gesù a parlare. Certamente sembra molto diverso dal Gesù delle parabole della misericordia (cf Lc 15).

un monito peR la comunità cRistiana Gli sta molto a cuore il discorso che sta facendo e non vuole che i suoi discepoli cadano nella trappola nella quale sono caduti gli scribi e i farisei che sono sotto giudizio. Ci sono argomenti che noi riteniamo importanti e ai quali Gesù ha dato scarso rilievo. Ma sulla questione dei primi posti, dei titoli onorifici, degli inchini, dei baciamani, delle adulazioni è stato di una chiarezza, di una radicalità e di una insistenza tali da rendere evidente che questo costituiva una parte centrale del suo messaggio. Il “fariseo” al quale si rivolge Gesù non è un personaggio di un’altra epoca, ma rappresenta un modo di pensare, di giudicare, di comportarsi opposto a quello evangelico; i ragionamenti e le convinzioni dei farisei si infiltrano in modo subdolo fra i discepoli e vengono facilmente assimilati. Gesù parla alla folla dei suoi discepoli, a noi. Siamo noi che corriamo il rischio di comportarci da “farisei”. Sia-

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mo noi ad essere chiamati in causa dai suoi rimproveri. Guardiamo allora alcuni aspetti del fariseismo per verificare se, dove e come si ripresenta nelle nostre comunità.

dico ma non faccio La legge non si cambia, dice Gesù. Ma lui è venuto a portarla a compimento, dicendoci che il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato e che il comandamento che da senso a tutti i comandamenti è quello dell’amore di Dio e del prossimo che riassume tutta la Legge e i Profeti; trasformando in positivo leggi che puntano solo sul non fare (e i peccati di omissione?); dicendo che tutto quello che vogliamo che gli altri facciano a noi, noi dobbiamo farlo per primi a loro; e quindi: non condannare, non giudicare, non guardare la pagliuzza negli occhi degli altri ma la nostra trave. Certamente occupo una cattedra che non mi spetta se sono fuori da questa logica di Gesù e riduco il rapporto con il Signore all’osservanza di norme e precetti, sostituendo la profezia con i codici di leggi, predicando un giuridismo che soffoca la spontaneità e toglie la gioia di sentirsi sempre e comunque amati e accolti da Dio e quindi diffondendo la spiritualità farisaica. Se poi sono incoerente, dico ma non faccio, mi presento come persona devota, pronuncio bei discorsi sull’amore, sulla

«I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. 26Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve» (Lc 22,25-26).


pace, sul rispetto degli altri, ma evito ogni testimonianza sono a tutto campo uno a cui Gesù rivolge il suo discorso.

mi piacciono le telecameRe

«Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (Mt 11,28-30).

Gesù dice che i farisei caricano pesi insopportabili sulle spalle degli altri con conseguenze devastanti: riducono la fede e l’amore di Dio alla pratica della religione; predicano la fedeltà a precetti, osservati i quali ci si può tranquillamente sentire a posto e in pace; non fanno niente per aiutare chi si sente schiacciato dal peso di tali precetti. «Non vogliono muoverli neppure con un dito», sempre pronti con le pietre in mano per lapidare i colpevoli e mai attenti a considerare le circostanze concrete, a cercare interpretazioni meno rigide, a salvare l’essenziale. Gesù si commuove di fronte a questa situazione e interviene per liberare la gente da un carico divenuto insopportabile: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,2830) e invita a prendere su di sé il suo giogo, dolce e leggero, quello dell’amore che è l’unica legge sulla quale saremo interrogati: «avevo fame, sete, ero nudo, in carcere…» e «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Se tento di imporre carichi assurdi e in-

sopportabili, se detto arbitrariamente norme, se mi preoccupo di minuzie cui Gesù non da importanza, se “filtro il moscerino e ingoio il cammello” sono un ottimo fariseo. Se poi godo di mettermi in mostra, di praticare le opere buone davanti agli uomini per essere ammirato, per attirare gli sguardi e avere le telecamere puntate su di me, pubblicizzando il bene che faccio, rientro a pieni titoli nel capitolo 23.

il capovolgimento dei cRiteRi «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così!; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane e chi governa come colui che serve» (Lc 22,24-26). I titoli “rabbi, padre, maestro” sono riservati a Dio, noi siamo soltanto “fratelli, sorelle, discepoli, servi”. Gesù si è espresso in modo inequivocabile: le sue parole sono tra le più chiare e le più disattese. Oggi non sarebbe meno rigido su questo punto. Inutile escogitare interpretazioni riduttive e concilianti o ricorrere a sottili disquisizioni, per tentare di giustificarci. O seguo lui o mi spetta l’attestato “fariseo doc!”. Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

GIoVaNI IN cammINo

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Chiesa viva

Il Papa ci invita all’Anno della fede Che cosa si aspetta Benedetto XVI dai cristiani di tutto il mondo? Come si potrà vivere l’Anno della fede? E prima ancora: perché accettare il suo invito? Ecco nelle parole dirette del Papa la sua proposta.

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o deciso di indire un Anno della fede… Sarà un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale a un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede» (Tutte le citazioni del Papa qui riportate provengono da «Porta fidei», il documento ufficiale di indizione dell’Anno, pubblicato il 17 ottobre 2011).

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peRchÉ l’anno della fede Benedetto XVI ha preso spunto dalla situazione attuale: «Una profonda crisi di fede ha toccato molte persone…». Ha spiegato: «La fede si trova a essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che - particolarmente oggi - riduce l’ambito delle certezze razionali a

quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto, perché ambedue anche se per vie diverse tendono alla verità». Quindi, Anno della fede perché «non possiamo accettare che il sale diventi insipido, e la luce sia tenuta nascosta sotto il moggio». In concreto le attuali difficoltà sono per il Papa solo l’occasione per rilanciare in positivo la vita di fede e la testimonianza cristiana nel mondo. Ricorda che «non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli apostoli Pietro e Paolo nel 19°centenario della loro testimonianza suprema».

dunQue che faRe? Benedetto XVI ha dedicato l’intero documento sull’Anno della fede a esporre e motivare le sue proposte ai cristiani, valide per il «momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo». Alcune prevedibili, ma altre singolari e stimolanti. Anzitutto capire. «I contenuti essenziali della fede, che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti, hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova, al fine di dare testimonianza coerente in

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Perciò, la Liturgia. «Questo Anno sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella Liturgia, in particolare nell’Eucaristia».

condizioni storiche diverse dal passato.» Ricuperare il Vaticano II. «È necessario che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari - ha proposto il Papa citando Giovanni Paolo II - vengano letti in maniera appropriata, vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero all’interno della Tradizione della Chiesa...».

Di conseguenza, l’impegno morale. Di fatto «la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori, ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento». E il Papa sollecita a vivere la carità: «L’Anno della fede sarà occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità». Secondo l’ammonimento di San Giacomo: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?... La fede se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta».

Ricuperare il Catechismo della Chiesa (libretto che nel prossimo ottobre compie vent’anni di vita). «Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso e indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II». Perciò il Papa chiede «un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede, che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica… Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai maestri di teologia ai santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede».

Un percorso per i cristiani Aggiunge Benedetto XVI: «Vorrei delineare un percorso. San Paolo scrive: “Con il cuore si crede… e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia, la quale agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo. La conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia. Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza e un impegno pubblici… La professione della fede è un atto personale e insieme comunitario».

L’inizio dell’Anno. L’11 ottobre 2012, 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. La sua chiusura. Il 24 novembre 2013, solennità di Cristo re dell’universo. Gli avvenimenti di rilievo. Sono già in calendario 15 eventi che prevedono la partecipazione diretta del Papa. Tra essi: 13 ottobre 2013: i Movimenti mariani... Per saperne di più, navigare nel sito: www.annusfidei.va, che viene continuamente aggiornato.

Infine, evangelizzare. «L’amore di Cristo che colma i nostri cuori, ci spinge a evangelizzare, ci invia per le strade del mondo a proclamare il suo Vangelo a tutti… Oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione, per riscoprire la gioia nel credere, e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede». Il presente tentativo di riassumere Porta fidei è riduttivo, e fa torto al documento del Papa, che contiene pagine dense su cui merita cimentarsi. Ai cristiani non resta che augurarsi a vicenda un buon Anno della fede, perché - come già diceva da Roma caput mundi in dialetto romanesco un allegro predicatore laico, Trilussa, «la fede è bella senza li chissà, / senza li come e senza li perché». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net CHIESA VIVA

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Chiesa viva

L’importanza di chiamarsi... Q

uando negli incontri di catechesi si parla del Battesimo, i bambini sono invitati a rivivere con le famiglie il momento del primo ingresso ufficiale nella Chiesa, rispolverando album di fotografie, interrogando genitori e padrini sulla festa e soprattutto sui motivi della scelta del nome. La piccola ricerca li rende consapevoli della bellezza del proprio nome di Battesimo ed è per i genitori occasione per riscoprire il valore di una scelta. E forse, il valore della fede. Svolti i vari compiti, Elena con orgoglio comunica l’importanza del proprio nome: «quello della mamma di un grande imperatore, Costantino, il primo che non ha perseguitato i Cristiani. Una Santa cui la leggenda attribuisce il merito di avere scoperto la Croce di Cristo». Ha grande effetto sui compagni, subito surclassata da Monica: «La mia Santa è più importante: è la mamma di Sant’Agostino, uno dei più grandi Santi e dei più grandi scrittori della Chiesa». Il papà di Rebecca ha scelto questo nome perché biblico, anche se non ricordava bene le vicende del personaggio di riferimento. Il papà di Lorena, impiegato all’Alitalia, ha chiamato così la figlia in onore della Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori. Gian Luca, titolare del nome di due evangelisti,

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Negli incontri di catechesi dedicati al Battesimo i bambini scoprono, con l’aiuto di genitori e padrini, i motivi della scelta del proprio nome e acquisiscono familiarità con il proprio santo protettore.

pretenderebbe di essere autore dei due testi evangelici, subito emulato da Marco e Matteo. Ci troviamo dunque in una galleria di personaggi importanti! A parte le battute divertenti, è piacevole constatare con quale fierezza i ragazzi acquistano familiarità con il proprio Santo protettore. Impareranno a rivolgergli qualche preghiera nel mese e nel giorno a lui dedicato; troveranno un nuovo amico. Da oggi più nessuno di loro si permetterà di scherzare sul nome dei compagni o di storpiarlo con diminutivi poco appropriati. Simone, solitamente distratto e assente, oggi particolarmente agguerrito, interviene per un finale con effetti speciali: «Dovete stare tutti zitti. Il nome più importante è il mio perché a uno che si chiamava come me Gesù ha dato il comando della sua Chiesa!» «Sì, ma prima gli ha cambiato nome e lo ha chiamato Pie…» vorrebbe protestare Monica. Non conclude la frase, fulminata da un’occhiataccia del sedicente vicario di Cristo. Volevo timidamente aggiungere che ho l’onore di portare il nome della mamma e della nonna di Gesù, ma di fronte a tanta autorità chi osa ancora fiatare? Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net


Segni & Valori fotografie di Renzo Bussio

Michele Mescia nasce il 14 settembre 1945 a Orsara di Puglia, in provincia di Foggia. Oggi il suo atelier è in via Bertola, nel centro di Torino.

Il sarto dalle forbici d’oro M

ichele Mescia nasce il 14 settembre 1945 a Orsara di Puglia, in provincia di Foggia. Inizia ad imparare il mestiere giovanissimo. Già nel 1964 riceve una borsa di studio in denaro come miglior lavorante d’Italia (1° Concorso Armando Calzoni). Nel 1966 riceve un encomio solenne dal Ministero della Difesa in seguito al suo impegno dopo l’alluvione di Firenze. Durante il servizio militare affina le sue conoscenze frequentando un corso professionale. Nel 1968 riceve un premio di ricerca per giovani sarti ma è negli anni ‘70 che arrivano i primi riconoscimenti importanti: Mescia riceve l’Oscar della moda conferito dalla Camera di Commercio di Torino, fa parte della delegazione italiana al XIV Congreso Mundial de Maestros Sartres e nel 1975 si classifica al secondo posto al premio internazionale di moda maschile Camel Award. Nel 2004 riceve il premio più prestigioso della categoria a livello italiano: le Forbici d’oro. Maestro Michele Mescia spesso La definiscono sarto dei presidenti, sarto dalle forbici d’oro, stilista oppure in dialetto ‘u cusutore... Qual è il termine che più Le si addice? «In effetti il termine dialettale cusutore è quello che mi definisce meglio: io taglio, cucio e assemblo. Se all’inizio della mia carriera forse ero più vicino alla figura

Negli anni ‘70 e ‘80 una macchina per fare le tasche costava 90 milioni di Lire e io non potevo permettermela. Grazie ai miei clienti mi concentrai sul lavoro manuale, classico.

dello stilista, in realtà nella mia vita professionale non ho inventato nulla per poter definirmi tale e con il tempo il mio gusto è cambiato, sono tornato al lavoro tradizionale al quale mi ha indirizzato la mia stessa clientela. La ricerca di uno stile classico che mi soddisfa e mi si addice di più».

seGNI & VaLorI

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Segni & valori Come è cambiato dal dopoguerra in avanti il mestiere sartoriale? «Il mestiere è cambiato molto. Per quanto mi riguarda ci sono state due fasi: sono partito svolgendo il mestiere nel modo più tradizionale poi mi sono lasciato trasportare e sono andato verso una lavorazione più aggiornata e veloce con l’uso della macchina da cucire. Però non mi sentivo soddisfatto perché il lavoro qui, seppur presentasse bene, non aveva quella morbidezza, quell’elasticità tipica dello stile classico fatto esclusivamente a mano. Fu un mio cliente a dirmi che stavo intraprendendo una strada sbagliata, mi disse: “Signor Mescia, se vengo da lei è perché voglio un prodotto unico, artigianale, che non posso trovare altrove”». Detto, fatto. Quali valori quindi sono indispensabili per soddisfare il cliente, con il quale nasce un rapporto di complicità e spesso anche di amicizia? «In questo mestiere come nella vita di tutti i giorni la prima cosa che metto davanti a tutto e a tutti è l’onestà, quindi la pazienza e soprattutto le capacità tecniche, stilistiche ed esecutive. Al cospetto di una persona onesta il cliente si sente garantito. Inoltre una mia caratteristica è quella di dare il massimo, quando ci sono riuscito vado a dormire tranquillo. Nel mio

Michele Mescia con il libro Il Sarto del 1932 che lui conserva gelosamente e utilizza ancora.

Un uomo importante veste sempre con abiti sobri ed essenziali nella lavorazione.

lavoro cerco di dare il meglio, quello che so insomma, per essere a posto con la mia coscienza e per la soddisfazione del cliente che rappresenta una priorità». Tra i libri che ho visto nel suo atelier ha attirato la mia attenzione un testo antico: Il Sarto edito dalle Scuole professionali salesiane dell’Opera di Don Bosco e stampato nel 1932. Di cosa si tratta, pezzo da collezione o manuale di lavoro?

Le Forbici d’oro con le quali vengono premiati i migliori sarti italiani.

«Questo è il Vangelo della sartoria ed è fatto talmente bene che anche un profano potrebbe apprendere alcune fasi del lavoro, soltanto guardando le immagini e le posizioni descritte. Ancora oggi, per me, insieme al libro sul metodo di taglio, è un po’ come il vocabolario per un scrittore. Ammetto di andare spesso a consultarlo. Al suo interno sono spiegate tutte le lavorazioni principali: dalle imbastiture, alle fodere fino al lavoro con il ferro. Sono valori da riprendere e tramandare». Restando sull’argomento quale messaggio si sente di lanciare ai giovani e quali aspetti vanno presi in considerazione oggi per avvicinarsi ad un mestiere artigianale come il suo? «Perché ci sia una continuità in questo

22 settembre-ottobre 2012


Poster

Mistica ed ecologia U

n binomio azzardato e senza senso? Non mi sembra. Si potrebbe anche dire, per esempio: mistica e politica, intendendo non la politica dei partiti che tendono a fare e disfare tutto, secondo il proprio interesse, ma nel senso di “polis”, di città cioè abitata da uomini, in un ambiente fisico da rispettare. Tutto acquista significato partendo dall’Incarnazione. Dio stesso, mediante Gesù Cristo, si è fatto presente nella nostra storia. Non ha preso le distanze dal nostro mondo, ma è vissuto in e per esso. Nei mistici dell’occidente cristiano il loro vissuto spirituale fatto di esperienza unitiva, di dialogo e di contemplazione di Dio, non li ha mai distolti dal loro impegno storico, ma traevano invece proprio da quella fonte la motivazione del proprio agire. Pensiamo ad Agostino e Gregorio di Nissa, Francesco e Caterina; ricordiamo Ignazio che cerca e trova «Dio

in tutte le cose» nella natura e nella storia, Teresa d’Avila nella riforma del Carmelo, Don Bosco definito “l’unione con Dio” e “mistico nell’azione”. I Santi sono tutti vissuti, in modalità diverse, di contemplazione di Dio e di azione per il prossimo. Anche Ildegarda di Bingen, Santa e mistica del Medio Evo e dottore della Chiesa. Dotata di grande intelligenza, fin da piccola ebbe la grazia di esperienze mistiche, che lei poi mise per iscritto. Partecipò concretamente, come poteva in quanto monaca, alle vicende della Chiesa del tempo, rimproverando, per esempio, il Barbarossa per la sua difesa dell’antipapa, e predicando anche al clero di Treviri e Colonia. Questa mistica ci ha lasciato un messaggio non solo teologico, ma… ecologico. Tante volte ci si lamenta dell’inquinamento delle nostre grandi città. La qualità della vita sembra essere sempre più in pericolo

(vedi l’effetto serra). Per Ildegarda è l’uomo che non ha rispetto né per Dio né per l’ambiente che causa il lamento terribile della creazione: «E udii – ha scritto – come gli elementi si volsero a quell’uomo con un urlo selvaggio. E gridavano: “Non riusciamo più a correre e a portare a termine la nostra corsa come disposto dal Maestro. Perché gli uomini con le loro cattive azioni ci rivoltano sottosopra come in una macina. Puzziamo già come peste e ci struggiamo per fame di giustizia”». A tutti Ildegarda raccomanda di rispettare e ascoltare la natura, perché è Dio stesso che ci parla. Anch’essa infatti può diventare una via per conoscere il suo Amore che salva. Ecco il suo messaggio. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net


rIVIsta marIa ausILIatrIce N. 5-2012

Del tuo spirito

Signore


è piena la Terra


TUTTO IL MONDO È VANGELO

CONDUCIMI TU, DOLCE LUCE

Io credo, Signore, e sento arrivare la tua parola nel lamento del vento o di un’anima sola. Anche nel fiore del croco ti sento favellare: si alza a poco a poco il viso dell’estate. Tutto il mondo è Vangelo Per chi può capire, tutto il mondo è cielo, cielo di un sol dì.

Conducimi tu, dolce luce, tra il buio che mi circonda, sii tu a condurmi. Custodisci i miei passi: non ti chiedo di vedere la scena lontana: un solo passo per volta mi è più che sufficiente. Non sono stato sempre così, e non ho pregato sempre perché fossi tu a condurmi. Amavo scegliere e vedere il cammino; ma ora sii tu a condurmi. Amavo il giorno luminoso, e, nonostante le paure, l’orgoglio reggeva la mia volontà: non ricordare gli anni passati.

Biagio Marin (1891-1985)

O SANTISSIMA MARIA, chi ti dona titoli venerabili e gloriosi non viene meno alla verità, resta anzi al di sotto dei tuoi meriti. Guardaci benevolmente dal cielo! Governaci nella pace; guidaci poi, senza che se siamo intimoriti, dinanzi al trono del giudice; e facci degni di sedere alla sua destra, per essere rapiti al cielo e diventare con gli angeli cantori della Trinità eterna, conosciuta e glorificata nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, ora e sempre per tutti i secoli dei secoli. Amen. Basilio di Seleucia ( 459)

Beato John H. Newman (1801-1890)


Segni & Valori mestiere bisogna tornare alla bottegascuola, non c’è alternativa... L’altro giorno leggevo di un ingegnere laureato in chimica che possiede un brevetto importante nella sua specialità ma impiega il suo tempo libero nell’imparare il mestiere di calzolaio da un amico. Anche qui da me accade esattamente lo stesso: il giovane Iacopo Nesta (nella foto a destra), un ragazzo laureato in informatica e con la passione per la sartoria, con molta umiltà e sacrificio viene per imparare le basi del mestiere». Sappiamo che ci sono nomi importanti tra i suoi clienti... «Io ho appreso molto dai miei clienti. Una figura fondamentale che ha rappresentato una svolta nella mia vita professionale è stato lo scrittore Alain Elkann che con il suo gusto nel vestire mi ha portato a concepire l’abito nella sua essenzialità, nello stile e nelle lavorazioni. Un altro mio cliente e amico, il professor Giorgio Scagliotti mi dice sempre: “Nessuno può avere talento senza l’applicazione metodica quotidiana, solo così si diventa parte di un’eccellenza”». Maestro Mescia, la sua storia personale inizia nel profondo Sud, a Orsara di Puglia dove ha avuto modo, da bambino, di osservare da vicino le botteghe di un tempo. E presto la sua vita sarà raccontata in un libro.

Un pensiero quasi poetico che mi è rimasto nel cuore lo scrisse mio fratello alcuni anni fa per presentarmi al pubblico: «A mio fratello, per essere il meglio negli sport dovete avere i regali fisici, nelle arti dovete essere dotato, un artigiano ha lo spirito divino di servire il prossimo, dare il meglio di se stesso nel suo lavoro: questo è mio fratello, il miglior sarto d’Italia».

Visto che ci ha già svelato qualche suo piccolo segreto, può dirci qualcosa in più? «La mia storia professionale non inizia a Orsara in quanto vengo da una famiglia di commercianti ma nella mia mente ho ancora nitide le immagini delle botteghe sartoriali, che frequentavo in Puglia. Una era di un caro amico di mio padre, davanti alla porta aveva un pergolato con l’uva che oggi non c’è più. Un altro sarto lavorava nel corso principale del paese, anni fa si trasferì a Foggia. Ne ricordo un terzo dal quale si serviva il mio maestro elementare: una volta mi mandò a portare dei pantaloni ed io rimasi affascinato dall’atmosfera di quella bottega; poi c’erano le falegnamerie e il fabbro con un sacco di allievi e io mi soffermavo a osservarli per ore. Già da bambino giocavo a costruirmi una piccola bottega arrotondando e smussando le pietre e i cocci di vetro con un ferro che gli altri bambini e bambine mi commissionavano. Questa avventura umana e professionale fatta di sfide, di passione per il lavoro, di luoghi e di incontri sarà un libro. Tra i suoi protagonisti principali ci sarà la mia famiglia: un valore indispensabile». Emanuele Franzoso redazione.rivista@ausiliatrice.net seGNI & VaLorI

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Don Bosco oggi

Exallievi, come luce e sale Venerdì 27 e domenica 29 aprile a Valdocco si sono ritrovati oltre 400 Exallievi salesiani provenienti da tutti i continenti in rappresentanza di 22 nazioni: sono oltre 83 mila gli iscritti all’Associazione a cui si affiancano milioni di giovani e non che hanno frequentato in modi diversi le opere di Don Bosco. «

C

ari Exallievi, viviamo tempi esaltanti e sfidanti. Non è questo un tempo per la nostalgia o l’irresponsabilità. Non possiamo ridurci ad essere dei consumatori o degli spettatori della storia. Abbiamo davanti un mare aperto: la propria famiglia, il campo di lavoro e della comunicazione, le attività sociali e politiche, la gioventù, la stessa Famiglia Salesiana, il mondo. Voi siete responsabili di portare nella società i valori cristiani ed educativi salesiani». L’esortazione del Rettor Maggiore è risuonata vigorosa nella giornata conclusiva del Congresso Mondiale degli Exallievi salesiani. © Giacomo Iacurti

24 settembre-ottobre 2012

identiKit dell’eXallievo

Cari Exallievi, voi siete responsabili di portare nella società i valori cristiani ed educativi salesiani.

Da venerdì 27 a domenica 29 aprile a Valdocco si sono ritrovati oltre 400 Exallievi salesiani provenienti da tutti i continenti in rappresentanza di 22 nazioni. L’Associazione raggruppa tutti coloro che sono venuti a contatto con la realtà educativa salesiana frequentando scuole, parrocchie, oratori, centri di incontro e di assistenza. Agli oltre 83 mila iscritti si affiancano quindi i milioni di giovani e non che hanno frequentato in modi diversi le opere di Don Bosco. «L’appuntamento – spiega il presidente mondiale, l’italiano Francesco Muceo – ha ripercorso la nostra storia per ripartire da Torino con una nuova progettualità». Da anni anche in Italia numerose realtà vedono coinvolti gli Exallievi con responsabilità e creatività in un cammino a fianco dei giovani, soprattutto dei più emarginati. In Puglia operano anche all’esterno degli oratori svolgendo azione di prevenzione delle tossicodipendenze e della piccola criminalità. Grazie all’impegno degli Exallievi siciliani da alcuni anni nell’isola sono attivi i CEPLA (centri di promozione lavoro) per favorire concretamente l’occupazione giovanile nelle zone più depresse. Sono numerose le esperienze di gruppi che si fanno carico della conduzione di oratori e realtà di assistenza ed accoglienza. Già oggi alcuni Centri di Formazione Professionale e Scuole continuano la loro opera esclusivamente grazie all’apporto degli exallievi. Basti citare la scuola emiliana


© Giacomo Iacurti

di Montechiarugolo (PR), dove la locale Unione ha garantito la sopravvivenza della scuola media mantenendo un saldo legame di condivisione e collaborazione con la sua ispettoria.

Veri Exallievi sono coloro che sono riusciti ad essere “gli onesti cittadini e i buoni cristiani” che voleva Don Bosco.

Nell’onomastico di Don Bosco La nascita dell’Associazione Exallievi risale al 24 giugno 1870. Quel giorno, onomastico di Don Bosco, un gruppetto di loro guidato da Carlo Gastini, capo rilegatore della tipografia salesiana, gli portarono in dono un piccolo servizio da caffè. Stretti da grande affetto e gratitudine per il loro antico maestro si impegnarono a coinvolgere il maggior numero di loro amici in questa manifestazione di stima ed esperienza di ricarica spirituale. «Contemplare con ammirazione e riconoscenza la storia salesiana – continua Muceo – è stato un invito ad affrontare con lucidità e coraggio il presente (entusiasmante e stimolante) e le sue grandi sfide economiche, sociali, politiche e religiose». L’appuntamento congressuale si è inserito nel cammino verso i festeggiamenti del bicentenario della nascita del Santo dei giovani nel 2015. «Dobbiamo programmare il futuro – ha sottolineato durante i lavori del congresso il delegato mondiale degli Exallievi don Josè Pastor Ramirez. - Per attuare un vero impegno sociale, politico ed economico, occorre avere molto a cuore e difendere ad ogni costo i valori, soprattutto la vita, la libertà

e la verità. Come Confederazione Exallievi puntiamo alla crescita del senso di appartenenza alla Famiglia Salesiana, all’approfondimento della spiritualità cristiana e salesiana e, soprattutto, ad un rafforzamento dell’impegno sociale ed ecclesiale degli Exallievi».

A breve: il “progetto solidarietà”

INFO web Federazione Italiana Exallievi ed Exallieve di Don Bosco Via Marsala 42 - 00185 Roma Telefono e Fax: 06.44.68.522 www.exallievidonbosco.com

Nel suo messaggio conclusivo don Chávez ha esortato i presenti ad essere «sale e luce della terra» sviluppando professionalità e testimonianza nella vita e negli ambiti personale, sociale ed ecclesiale. «Gli Exallievi sono, di per sé per l’educazione ricevuta, particolarmente preparati, ad assumere una responsabilità di collaborazione secondo le finalità proprie del progetto salesiano». – ha sottolineato - «Veri Exallievi sono coloro che sono riusciti ad essere “gli onesti cittadini e i buoni cristiani” che voleva Don Bosco». «Per attuare questo incitamento – conclude Muceo - la presidenza mondiale darà a breve avvio al “progetto solidarietà” finalizzato a dare di più a chi ha di meno, aiutare la crescita delle unioni/ federazioni costituite più di recente (necessitanti quindi di sostegno per la loro fortificazione in termini di formazione), sostenere i giovani affinché possano addivenire ad un migliore inserimento nel mondo del lavoro». Giovanni Costantino redazione.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Don Bosco Oggi

Nino Baglieri: «Il nostro traguardo è Dio» In precedenza abbiamo presentato la vita del Volontario con Don Bosco, del quale a marzo è stata avviata la causa di beatificazione. Ora il postulatore ne approfondisce la spiritualità.

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abato 3 marzo 2012 nella Cattedrale di Noto (Siracusa), in concomitanza con il quinto anniversario della morte, è stata avviata la causa di beatificazione di Antonino Baglieri (1951-2007), Volontario con Don Bosco: un’esistenza di fedeltà e di amore alla vita, vissuta nel solco della spiritualità salesiana, con intenso senso ecclesiale, nella luce della nuova evangelizzazione. La biografia di Nino è densa di trofei, come quella degli atleti che stupiscono con le loro performances. Per 39 anni, la sua vita è quella di un tetraplegico. Dopo aver toccato la disperazione, aveva iniziato la corsa dell’atleta dello spirito, nutrendosi della Parola di Dio, pregando per tanti fratelli sofferenti, testimoniando quanto grande è l’Amore di Dio. Aveva imparato a scrivere con la bocca e questo gli ha permesso di lasciare preziose testimonianze: «Nessuno è escluso dalla santità, dipende da noi, da come diciamo il nostro “sì” al Signore. E se qualcuno sente nel proprio cuore la voce del Signore che lo chiama a seguirlo più da vicino nella vita consacrata, non abbiate paura di dire il vostro “sì” totale. Un sì alla vita!». Chi ha conosciuto Antonino Baglieri, e anche chi lo accosta attraverso gli scritti e la documentazione multimediale a disposizione, rimane impressionato della sua esperienza così poco ordinaria, eppure segnata dalla semplicità e dalla ferialità. Egli stesso esprime il passaggio di

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Dio nella sua esistenza, con quella naturalezza e con un linguaggio immediato che nulla concede alla supponenza e alla contraffazione, a interpretazioni spiritualiste o alla richiesta di commiserazione.

dalla caduta dal QuaRto piano al veRtice dell’amoRe di dio

INFO web Secolari Consacrati Salesiani Vorresti capire se è la proposta giusta per la tua vita? Naviga su:

www.volontaricdb.altervista.org www.sdb.org/cdb

Ha scritto: «La caduta dal quarto piano ha messo a nudo la mia debolezza e fragilità umana. Non servivo più a niente, buttato in un letto, bisognoso d’ogni cosa, privo del più piccolo movimento. Dov’è finita la mia fierezza, la mia forza? Quelle gambe che correvano e saltellavano ora sono ferme, nessuna forza le può muovere. Le mani, che volevano conquistare il mondo, ora non sono buone neanche a cacciare una mosca. Nonostante ciò, da tutto questo tuttavia ho capito di dover ringraziare Dio per ogni cosa. Ecco perché: il Signore ha potenziato l’unica parte del corpo che riesce ancora a muoversi. Mi ha concesso ancora la funzionalità degli


occhi per vedere il colore delle Sue meraviglie; del naso per odorare i profumi della terra; dell’udito per ascoltare la Sua Parola. Il Signore mi ha lasciato libero il cervello per pensare, ragionare e discernere il bene dal male. Ha lasciato battere ancora il mio cuore per amare. L’anima vive ancora in me, la vita è in me, ma la cosa più bella è che Dio sia dentro di me. Lui mi ama. È Padre ed io sono suo figlio. Lui mi da la grazia di riscoprire i semi che ha seminato nel mio cuore. Innaffiati con la preghiera sono germogliati dentro di me e, crescendo, hanno cambiato la mia vita. La fede che mi da forza e fiducia per accettare la mia croce, ringraziare e lodare Dio per il dono della vita. La speranza, perché so che queste mie sofferenze non sono fine a se stesse, ma delle offerte a Dio che, accompagnate dalla preghiera, possono aiutare tanti fratelli a incontrare Gesù. La carità, via sicura che ci apre la porta del cielo, perché solo sull’amore saremo giudicati. Ringraziamo Dio per tutti i doni che ci da. Ogni parte del nostro corpo è dono Suo. Gli occhi per vedere la luce del creato; le orecchie per ascoltare i suoni melodiosi della natura; l’olfatto per odorare i profumi dei fiori; la bocca per parlare e annunziare la buona novella; il cuore per amare tutti e per farne una dimora del nostro Signore. Le gambe per camminare sulle Sue vie, le mani per aiutare i fratelli in difficoltà. Mettiamoli a disposizione degli altri e tutto ci verrà ricompensato con il centuplo» (N. Baglieri, In cammino verso la luce, Elledici, pp. 70-71).

Nino ha curato tantissimo le relazioni, testimoniando, nella sua condizione, il Vangelo della gioia e della speranza.

si fa vittima di espiazione e riparazione, non manifesta visioni mistiche. Accetta la sua lunga crocifissione, docile all’azione di Dio in lui, e giunge a testimoniare una gioia più autentica, che può diventare sorella e compagna della sofferenza quando quest’ultima è illuminata dalla croce gloriosa di Cristo; una gioia che gli permette di incarnare, in modo intenso ed originale, un altro caratteristico aspetto del carisma salesiano, il dinamismo e la passione per l’annuncio del Vangelo, nonostante la sua condizione di disabile. La forza della sua testimonianza è espressione del fatto che Nino aveva preso sul serio la vita, anche nella sua durezza. Perché senza croce non c’è santità. «La vita - ha detto - va affrontata. Non è determinante il punto di partenza, ma quello di arrivo. L’importante è arrivare al traguardo, ed il nostro traguardo è Dio». Nino ha alzato lo sguardo e ha incontrato il volto di Dio che è diventato l’ideale della sua vita. Ha tracciato un cammino, andando controcorrente e perseverando sino alla fine, lasciando così delle orme da seguire. don Pierluigi Cameroni, postulatore pcameroni@sdb.org

INFO web

www.ninobaglieri.altervista.org cdb.segreteria@gmail.com postulazione@sdb.org g.buccellato@tin.it (vice-postulatore)

Non conta il punto di partenza, ma quello di arrivo La spiritualità della Famiglia di Don Bosco è, ordinariamente, incline a sottolineare la gioia e l’orizzonte di una santità “a portata di mano”, che coniuga le esigenze del Vangelo con l’allegria e la festa. L’esperienza spirituale di Baglieri è caratterizzata dalla semplicità. Antonino non DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Don Bosco a Valdocco Gli inizi dell’Oratorio non sono facili per Don Bosco. Deve misurarsi con situazioni politiche, sociali ed ecclesiastiche ingarbugliate. Solo la sua forte personalità e la sua fede rocciosa gli permettono di rendere storia il sogno dei nove anni. la solitudine degli inizi

di larghezza con due piccoli vani annessi. Ben poca cosa, ma è il punto di partenza dell’avventura educativa salesiana nel mondo ad opera di un prete «solo di operai, sfinito di forze, di sanità malandata». Questa struttura ben modesta ha l’unico pregio di liberare Don Bosco ed i suoi ragazzi dall’inquietudine del dover perennemente vagabondare alla ricerca di un luogo stabile in cui ritrovarsi senza dover dipendere da nessuno.

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on Bosco sbarca a Valdocco “solo in mezzo a quattrocento ragazzi”, così ci racconta nelle sue Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales. Perché questo? Perché il suo sogno educativo risulta essere troppo azzardato per gli altri suoi collaboratori, ad eccezione di don Borel. Addirittura alcuni suoi confratelli diocesani cominciano ad evitarlo ed ad osteggiarlo pubblicamente, spingendosi fino a tentare di farlo rinchiudere in manicomio. Persino don Cafasso rimane perplesso ed interdetto di fronte alla sua forza di volontà ed alla inflessibilità dimostrata nel difendere la propria libertà ed autonomia di azione al cospetto di vari tentativi di omologazione. In una conferenza tenuta il 10 maggio 1864 racconta di aver sognato per ben tre volte la casetta Pinardi. Dopo il primo sogno, decide, accompagnato da don Borel, di fare un sopraluogo. L’impressione avuta è completamente deludente. Si rende conto che la zona è una tra le più malfamate di Torino. La bettola Giardiniera catalizza ubriaconi e sfaccendati poco raccomandabili. Solo la voce, udita durante il terzo sogno, «Non temere di andarvi» l’aiuta a vincere le proprie perplessità e lo spinge a stipulare l’atto notarile del contratto d’affitto che porta la data 1 aprile 1846. Si tratta di una povera tettoia, bassa, appoggiata ad un lato della casa Pinardi, con un muretto tutto intorno, il che gli conferisce le sembianze di una baracca di 15 metri di lunghezza e 6

28 settembre-ottobre 2012

I primi oratoriani non sono dei bimbetti docili, ma dei giovanotti dai 15 anni in su, abituati a confrontarsi con la durezza del vivere, senza famiglia, incattiviti a motivo dello sfruttamento a cui sono sottoposti negli ambienti di lavoro. © Nino Musio

l’impoRtanza del “poteR giocaRe in casa” Il poter “giocare in casa” permette a Don Bosco di rivelare a tutti la sua esplosiva e magmatica personalità di uomo e di prete. Non è una persona zuccherosa e malleabile. È forte moralmente e fisica-


mente. Ha in mente un progetto preciso ed originale. È un leader che vuole essere libero ed autonomo, non amante delle cordate e delle ammucchiate. Deve confrontarsi duramente con i suoi ragazzi, con l’ambiente umano di Valdocco, con i preti con cui deve relazionarsi.

i pRimi oRatoRiani I primi oratoriani non sono dei bimbetti docili, ma dei giovanotti dai quindici anni in su, abituati a confrontarsi con la durezza del vivere, senza famiglia, incattiviti a motivo dello sfruttamento a cui sono sottoposti negli ambienti di lavoro, senza fissa dimora, profondamente ignoranti, facili a venire alle mani. Uno di loro, Stefano Carpano, in una sua testimonianza parla di «ragazzi scarmigliati, sudici, impetuosi e capricciosi». Durante i giochi, molte volte, costringono Don Bosco ad intervenire vigorosamente per sedare risse e scazzottate. La sua vigoria fisica si rivela un ottimo strumento di evangelizzazione, ma non gli evita di beccarsi, a volte, una bella zoccolata in faccia. Anche la vita nella piccola cappella è piuttosto agitata e varia. Succede che le lodi sacre vengano coperte dalle canzonacce che gli avventori della Giardiniera cantano a squarciagola. Anche in questi casi egli reagisce con coraggio. Si libera degli abiti liturgici e non esita ad andare a zittire gli avvinazzati buontemponi. Nel frattempo il clima politico a Torino subisce un brusco colpo di accelerazione. Il quieto vivere dell’establishment sabaudo viene scosso e messo sotto sopra dalle mutate condizioni politico-sociali. L’elezione a papa di Pio IX solleva entusiasmi che vanno ben al di là del buon senso e della prudenza. Gli animi si accendono, tutti vogliono liberare l’Italia dallo straniero. I giovani sono i più esposti al contagio. Il clero non è immune: molti preti si lasciano imbarcare nell’entusiasmo patriottardo. Don Cocchi ed i suoi giovani dell’oratorio Vanchiglia vanno a combattere contro l’Austria a Novara.

© Nino Musio

Durante i giochi in oratorio , molte volte, i ragazzi costringono Don Bosco a intervenire vigorosamente per sedare risse e scazzottate. La sua vigoria fisica si rivela un ottimo strumento di evangelizzazione.

Anche a Valdocco la febbre è alle stelle. Don Bosco non si lascia intruppare. Al grido di «Viva Pio IX» sostituisce quello di «Viva il Papa» riuscendo a frenare i bollori guerreschi e rivoluzionari dei suoi giovani. Questa differenza di comportamento genera tensioni, rancori e rappresaglie che durano per qualche tempo disturbandolo non poco. Questi avvenimenti rafforzano la sua convinzione educativa, ma lo fanno sanguinare nel fisico e nel morale. Si attacca rabbiosamente e caparbiamente al sogno dei nove anni. Resiste, reagisce e sopporta tutto barricato nei novanta metri quadri del suo oratorio. È un prete lottatore, audace, capace di leggere i segni dei tempi, coraggioso nel prendere decisioni anche quando queste si rivelano essere piene di insidie o comportano troncare amicizie che si rivelano non essere leali e corrette. Nel suo cuore si radicano due certezze granitiche che danno unità e senso a tutta la sua attività: fedeltà al Papa (e non a Pio IX!) ed alla Chiesa, devozione filiale alla Madonna. Il suo essere fedele non ha nulla del servilismo e dell’adulazione. Il sentire Maria come madre e protettrice lo porterà un giorno a confessare che nulla da lui è stato realizzato senza la sua diretta protezione. Sono due insegnamenti che dobbiamo riscoprire urgentemente se vogliamo rimanere nella via tracciata dal nostro Padre. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net DoN bosco oGGI

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Don Bosco oggi

Maria ci invita a volgere lo M

aria nel suo Magnificat, canta che Dio “ha guardato l’umiltà della sua serva”. Dio guarda: è un’espressione che indica l’amore attivo di Dio che pensa ad intervenire in aiuto dei suoi. Qui “guarda” a Maria per arrivare alla salvezza dell’umanità. Tutti siamo in certo modo “guardati” da lui. Egli ha pensato per me, per te, una magnifica storia, ha previsto per la tua vita uno splendido disegno. Possiamo vivere questa storia, realizzare questo disegno se compiamo ogni giorno, ogni attimo la volontà di Dio. Maria non parla della sua umiltà, Lei la vive. Maria tiene davanti a Dio l’atteggiamento più perfetto: ella si presenta al Signore del cielo e della terra, al creatore dell’universo, con una completa apertura alla sua parola, con un’assoluta disponibilità al suo volere, con una piena coscienza della propria piccolezza. Noi diventiamo protagonisti del disegno di Dio nella misura in cui accettiamo di morire a noi stessi per lasciare posto all’agire di Dio. Maria ci prende per mano e ci invita a guardare in alto, a tenere fissi i nostri occhi in Dio, per essere salvati dall’inquietudine e dalla disperazione. Ci invita a volgere il nostro sguardo verso il suo Figlio crocifisso, fonte della nostra salvezza e della nostra redenzione. Ci esorta a non chiuderci in noi stessi, a non tenere il cuore chiuso e a non vanificare l’opera della redenzione, ma a confidare nel suo amore di Madre e ad adorare suo Figlio, restando a lui uniti come i tralci alla vite.

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Pierluigi Cameroni, Animatore spirituale ADMA pcameroni@sdb.org

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adma al vii incontRo 1 mondiale delle famiglie (milano, 29/5 - 3/6/2012) In occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano, l’ADMA è stata presente con un proprio stand alla Fiera della Famiglia e con una nutrita partecipazione agli incontri con il S. Padre. Per conoscere i contenuti dell’esperienza dell’ADMA ed avere informazioni visitare il nostro sito www.admadonbosco.org

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sguardo verso Dio

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

itaJat (BRasile) 5 L’Associazione di Maria Ausiliatrice dell’Ispettoria di Porto Alegre ha tenuto, il 10 giugno 2012, presso il Collegio Al fine di rivitalizzare l’Associazione di Maria Ausiliatrice salesiano di Itajat, il 3° Incontro ispettoriale, per riunire i nell’Ispettoria di Guadalajara, presso il Santuario di San membri dell’Associazione, per coltivare la spiritualità saGiovanni Bosco di León, si è sviluppato un progetto pi- lesiana, la fraternità e l’animazione. lota per l’inserimento dei giovani, che ha dimostrato la ricchezza di interazione tra i giovani e i soci adulti. Per toRino – BicentenaRio matRimonio ora sono gli stessi giovani di León ad aver coinvolto altri mamma maRgheRita e fRancesco Bosco 6 7 giovani aspiranti. Il 24 giugno 2012 a Torino-Valdocco, presso il Santuario di Maria Ausiliatrice è stato commemorato il bicentenario madRid – incontRo ispettoRiale adma 3 L’Associazione di Maria Ausiliatrice dell’Ispettoria di Ma- del matrimonio tra Francesco Bosco e Margherita Occhiedrid ha tenuto sabato 9 giugno la riunione annuale di na. Oltre 200 le persone che hanno partecipato: una bella tutti i gruppi. Oltre 200 persone si sono ritrovate presso rappresentanza dal paese nativo di Mamma Margherita, i il Santuario di Nostra Signora di Fuencisla per salutare la membri dell’Associazione Mamma Margherita, che raccoVergine e poi nella chiesa del Convento di S. Josè, dove si glie i genitori dei Salesiani, e numerosi soci dell’Associazione di Maria Ausiliatrice. trova la tomba di S. Juan de la Cruz.

leÓn, guanaJuato (messico) 2

BangKoK, thailandia 4 Don Pierluigi Cameroni, Animatore Spirituale dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, ha incontrato il gruppo locale ADMA di Bangkok, composto da 40 soci guidati da don Joseph Peter Nopphadon, Delegato di Pastorale Giovanile.

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Don Bosco oggi

Suor Eusebia e il pane dei poveri A

veva potuto comprendere bene il valore del pane, “dato per amor di Dio” Suor Eusebia Palomino, nella sua poverissima infanzia, costretta a mendicare con il padre attraverso i villaggi della Spagna vicini alla natia Cantalpino. Per sostenere economicamente la famiglia, Eusebia, dodicenne, trova lavoro come domestica a Salamanca. Nella grande città il contatto con l’ambiente salesiano dell’oratorio festivo fa maturare in lei la vocazione religiosa, alla quale risponderà con entusiasmo, diventando Figlia di Maria Ausiliatrice nel 1924. L’obbedienza la manderà nel collegio salesiano di Valverde del Camino (Spagna sud occidentale) dove le saranno affidate la cura della cucina, dell’orto, del guardaroba e l’assistenza all’oratorio festivo. In questa mansione Suor Eusebia diventerà amica, confidente, catechista delle gio-

Suor Eusebia riusciva a convincere persone di ogni ceto sociale con la sua semplice catechesi, radicata nella fede e in una profonda vita interiore.

vani, comunicando loro le bellezza della vita consacrata, la devozione a Maria Ausiliatrice e alle sante piaghe di Gesù. Malgrado la scarsa scolarizzazione e la modesta cultura riusciva a convincere persone di ogni ceto sociale con la sua semplice catechesi, radicata nella fede e in una profonda vita interiore. Nella ventata di anticlericalismo che scosse la Spagna degli anni Trenta, Suor Eusebia offrì la propria vita a Dio per la salvezza della Patria e della Chiesa. Morì il 10 febbraio 1935, dopo una lunga malattia. Ebbe il dono della chiaroveggenza. Negli spasmi dell’agonia rivelò alla direttrice, Suor Carmen Moreno, che la vegliava, la visione profetica di una guerra imminente, in cui sarebbe stato versato sangue salesiano, anche di chi, in quel momento, le stava molto vicino. Suor Carmen morirà nel 1936, fucilata durante la guerra civile spagnola. Entrambe le religiose sono state beatificate da Giovanni Paolo II. A Suor Carmen Moreno si deve la trascrizione dei Fioretti di Suor Eusebia e degli appunti di cucina dettati dall’umile cuoca, con alcune ricette ideate per riciclare gli avanzi, come quella del pasticcio di pane raffermo. Eccola: sistemare in una teglia imburrata grossi pezzi di pane raffermo ben inzuppati nel latte. Coprirli con fettine di formaggio morbido, tipo fontina. Stendere sul formaggio fette di prosciutto o mortadella. Montare a neve gli albumi di tre uova, aggiungervi i tuorli e versare sul pasticcio di pane. Infornare a 180 gradi per trenta minuti. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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LA PAROLA QUI E ORA

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Sfide educative

Quando l’amore ti cambia l Quando l’innamoramento, “campione gratuito” d’amore, può trasformarsi in un ingrediente capace di rifondare la vita? Ne abbiamo parlato con don Ezio Risatti.

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In un’idea di amore perfetto, chi ama sente risuonare dentro di sé tutta la gioia dell’altro e in lui non c’è spazio per l’invidia.

entare di spiegare cosa sia l’amore è, forse, la “mission” più “impossibile” dell’universo. Come provare a descrivere il sapore dell’uva che, in questi giorni d’inizio autunno, viene raccolta per essere servita in tavola o trasformata in vino. Solo chi ha la fortuna di vivere l’esperienza dell’innamoramento e di abbandonarsi alla sua forza travolgente può avere un saggio di cosa sia l’amore. Anche se non è detto che si tratti di quello con la “A” maiuscola… Per provare a capirne di più ci siamo rivolti a don Ezio Risatti, preside del corso di laurea in Psicologia della comunicazione, che ha sede nella Scuola Superiore di Formazione “Rebaudengo” di Torino.

apRiRe il cuoRe all’altRo Quando possiamo dire di aver intrapreso un cammino di maturazione affettiva? «Quando acquisiamo la consapevolezza che è innamorandoci che impariamo ad amare. Quando, anche se la storia che credevamo fosse “per sempre” è finita, diventiamo comunque più capaci d’innamorarci. Il cammino verso la maturità affettiva, infatti, consiste proprio nell’accrescere la capacità di innamorarci delle persone che ci circondano in maniera sempre maggiore e più profonda». Come in una specie di reazione a catena? «Sì. Ogni amore comincia con un innamoramento e può coinvolgere un numero illimitato di persone. Se il partner di cui siamo innamorati ha – per esempio – un fratello e una sorella, impareremo

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a innamorarci anche di loro. Si tratterà, naturalmente, di un tipo d’innamoramento diverso da quello che proviamo per il partner, ma che ne conserverà intatte le caratteristiche essenziali: la caduta della barriera dell’incomunicabilità, l’apprezzamento per il loro valore come persone al di là dei difetti e dei limiti… Una persona affettivamente matura vuole bene al partner, ai figli, ai parenti, ai vicini, ai colleghi di lavoro: belli e brutti, ha imparato ad amarli tutti». Un amore che sembra non conoscere barriere… «La verità è che chi sa amare, ama le persone più diverse. È come un bravo ritrattista, che sa riprodurre le fattezze dei corpi belli e di quelli brutti. Ammirando gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina notiamo che non raffigurano solo persone belle, ma non ci sogniamo di affermare che egli non sapeva dipingere perché raffigurava esseri brutti. La sua grandezza sta, anzi, nell’aver saputo riprodurre anche la bruttezza. Allo stesso modo, la capacità di amare spinge a innamorarsi non solo delle persone affascinanti, ma anche di quelle che il fascino non sanno neppure dove stia di casa. Leggendo la vita di molti Santi scopriamo che amavano gli ultimi, i poveri e i malati. E non li amavano certo perché fossero belli, fascinosi e attraenti, ma perché erano capaci di amare».

un amoRe più foRte della moRte In linea teorica, quanto tempo ci vuole per innamorarsi di una persona?


a vita «Dipende. Mi emoziona sempre il capitolo diciannovesimo del Vangelo di Matteo, quando Gesù, un giorno, incrociò un giovane che gli domandò: “Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. E Gesù gli rispose: “Osserva i comandamenti!”. “Ma quali comandamenti?”, replicò il giovane. “Non rubare, non dire falsa testimonianza, onora tuo padre e tua madre”, continuò Gesù. “Maestro, ma io queste cose le ho fatte fin da quando ero piccolo!”, affermò il giovane. E Gesù - racconta Matteo - lo guardò e lo amò. Immaginiamo di cronometrare quell’incontro: quanto c’è voluto perché Gesù si innamorasse di quel giovane? Trenta secondi? Un minuto? Veramente poco! La vita di Gesù è costellata di episodi simili». Quali sono le “conseguenze” della capacità di amare? «Innanzi tutto la gioia della gioia dell’altro. In un’idea di amore perfetto, se l’altro prova cento di gioia, io sento risuonare dentro di me tutta la sua gioia: la sua gioia è la mia più grande gioia e non c’è spazio per l’invidia. San Francesco di Sales, a questo proposito, definisce l’amore “qualcosa che esce da me e va verso l’altro” ed è in questo senso che - nella realtà dell’amore - due persone che si amano non hanno bisogno di nulla per essere felici: è sufficiente per loro il fatto che si amino». Ed è per questo che si è disposti a compiere rinunce per la gioia dell’altro? «Sì. Essere consapevole che la gioia dell’altro rappresenta per me una gioia più grande fa sì che io sia disposto a compiere rinunce per procurare gioia. Se è rimasta una pagnotta di pane e siamo in due ad aver fame, so che se la mangio io sono contento e che se la mangia la

persona che amo lo sono ancora di più. E allora gliela lascio. Episodi simili accadono tutti i giorni e possono giungere fino all’offerta della vita. Non per nulla Gesù, nel Vangelo, dichiara che “non c’è gioia più grande, non c’è amore più grande, di chi dà la vita per i propri amici”. E lui, che di amore se ne intendeva, ha affrontato la passione e la croce per una gioia più grande: la sua sofferenza è stata immensa, ma era motivata dall’amore. Ed è lecito pensare che se avesse scelto qualche “scorciatoia” egoistica alla passione e alla croce avrebbe indubbiamente sofferto di più».

Il cammino verso la maturità affettiva consiste nell’accrescere la capacità di innamorarci delle persone che ci circondano.

Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

Gesù ha affrontato la passione nella consapevolezza che «Non c’è gioia più grande, non c’è amore più grande, di chi dà la vita per i propri amici».

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Sfide educative

Buoni o cattivi educatori? L’educazione non consiste nell’osservare passivamente i danni educativi provocati dalla post-modernità e dall’uso improprio della cibernetica, ma necessita una reazione fatta di modelli di vita congrui e di padronanza della tecnologia.

È

uscito, di recente, un libro della psichiatra francese Hirigoyen MarieFrance che porta il titolo Abus de faiblesse et autres manipulations, edito da Lattès. L’autrice si ferma a studiare e ad analizzare certi condizionamenti del vivere moderno che educatori e genitori non possono ignorare se vogliono portare a termine, in modo adeguato, la loro missione educativa. I nostri giovani sono condizionati e bombardati dai mass media in modo continuo e scientifico. Se vengono lasciati soli, facilmente subiscono un sottile plagio psicologico cadendo vittime di manipolazioni affettive che possono rasentare l’abuso di incapace.

le fRagilità degli adolescenti di oggi La seduzione dei messaggi e la sollecitudine nel rispondere a bisogni artificialmente indotti, trasformano i giovani in facili prede che una propaganda a tamburo battente priva di abilità critica indebolendone la capacità di organizzarsi la vita in modo autonomo. Il modello sociale attuale, che va per la maggiore, è intriso di esasperata concorrenza, di sfrenata

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La prevenzione migliore è quella di accompagnare i ragazzi nella vita e nel cyberspazio con maturità, conoscenza, inventiva e, soprattutto, tanta santa furbizia.

corsa dietro il mito del successo ad ogni costo, di un consumismo facile e compulsivo. Inoltre la liberazione dei costumi ha allargato di molto i confini della libertà individuale, mettendo in discussione ogni limite ed ogni regola. Ma l’assenza del limite crea nei giovani grandi insicurezze dovute all’incapacità di rispondere alle attese, sempre esagerate al massimo, che la modernità induce. Di fronte alla richiesta di essere sempre più bravi, più forti, più intraprendenti, più eleganti, più belli gli adolescenti rimangono disorientati ed in crescenti difficoltà. Cercano di sfuggire a questa trappola rifugiandosi in un narcisismo nevrotico, per mascherare il loro intimo disagio generato dalla patologica ricerca di autostima e dalla crisi della propria immagine percepita. Recentemente un noto quotidiano riportava la richiesta di una ragazzina italiana di otto anni alla nonna residente negli Stati Uniti: «Nonna mi porti il costume da bagno con il reggiseno imbottito di Victoria Secret’s e il pezzo di sotto senza cuciture?». Questo a otto anni! Ma da quando le nostre bambine usano l’intimo rinforzato? Basta dare un attento sguardo ad un gruppo di adolescenti delle scuole medie inferiori per prendere atto di quanti reggiseno push up, di leggins push up, di sigarette fumate nevroticamente, di scollature abissali, di pantaloncini inguinali, di tacchi vertiginosi e di make up pesanti sia composto il loro look. Tutte queste cose non sono il frutto della libera scelta di ragazzine senza pudore, ma la manifestazione esterna


della spinta sociale esercitata su di esse a dare, sempre più precocemente, segnali di femminilità accentuata. Questo modo di comportarsi è più una reazione acritica che un’azione liberamente scelta. I principali fattori che si intrecciano nel dare vita a tanti comportamenti adolescenziali, secondo il sessuologo Marco Rossi, sono tre; la precocità dello sviluppo; l’esasperato bisogno di piacere agli altri e di catturarne, a tutti i costi, l’attenzione; i modelli che ci sono in famiglia, sia da parte maschile che da parte femminile. Una adolescente che fin dalla prima infanzia ha giocato con bambole in assetto da bayadère, ha visto telenovelas mielose ed amorali, è stata accanto ad una madre tutta rifatta da pesanti lifting, non può non fare suoi i modelli comportamentali ricevuti.

le soluzioni da attivaRe e Quelle da evitaRe Che cosa fare? Prendere una posizione troppo dura può ottenere l’effetto contrario. Quindi non proibire nulla, ma vigilare con intelligenza e flessibilità, sforzandosi di proporre progetti di vita alternativi altrettanto seducenti in termini di felicità e realizzazione personale. Le unghie laccate di una bambina di otto anni non devono far ridere per niente. A quella età un genitore normale deve avere la capacità di imporsi, anche perché non si tratta ancora di quella fascia di vita in cui il parere di un’amica conta più di quello dei genitori. Se questo non avviene, allora è la stessa capacità di educazione da parte dei genitori a risultare nulla e drammaticamente priva di senso. La cosa che maggiormente sconcerta è il panico e la paura che caratterizza troppi papà, mamme ed educatori vari. Incapaci di vivere valori positivi, cercano di reprimere con la forza della polizia o con lo spionaggio informatico. Negli USA furoreggia, da parte degli adulti, il ricorrere ai servizi di uKnowKids che permette, all’insaputa degli interessati, di monitorare i loro profili

La seduzione dei messaggi e la sollecitudine nel rispondere a bisogni artificialmente indotti trasformano i giovani in facili prede.

di Facebook e di Twitter, le loro attività cibernetiche, i loro contatti e, addirittura di leggere gli sms. Il software è in grado anche di segnalare le parolacce usate e di tradurre gli astrusi slangs giovanili in termini comprensibili agli adulti. Ma questa è un’attività di spionaggio che ha nessuna ricaduta in campo educativo. Non basta utilizzare TextPlus, applicazione per iPhone che permette di leggere in copia tutti i messaggi di testo che un adolescente invia (inclusi quelli mandati alla fidanzatina), per sentirsi educatori. Per esserlo veramente mamma e papà, nonni e nonne, insegnanti ed educatori devono stare al passo con i tempi. Solo così possono mettere in guardia i loro figli e figlie nel diffidare dell’applicazione Skout che permette loro non solo di flirtare in rete, ma anche, allo stesso tempo, di cadere facilmente vittime di voraci “predatori della rete”. Limitarsi ad invadere la privacy è inutile. Occorre trovare il tempo per guardare i propri figli direttamente negli occhi, non limitarsi a spiarli dal buco della serratura. Don Bosco ci insegna che prevenire è meglio che reprimere. La prevenzione migliore è quella di accompagnare i ragazzi nella vita e nel cyberspazio anche se questo richiede maturità, conoscenza , inventiva e, soprattutto, tanta santa furbizia di vita.

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net sFIDe eDucatIVe

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Sfide educative

Valori in gioco Individualisti o aperti al bene comune? Nel pieno della crisi economica, gli italiani si scoprono “affamati” di valori.

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erché io valgo!», recita una nota pubblicità di cosmetici. Uno dei tanti modi per esaltare l’individualismo nascosto in ognuno di noi. Ma forse la réclame non conta più come un tempo. In un momento in cui ogni certezza dell’uomo moderno sembra “in crisi”, dal lavoro in fabbrica alle vacanze estive, gli italiani si scoprono “affamati di valori”. Insomma, dopo il miracolo economico degli anni Sessanta, infatti, la vera sorpresa di questi ultimi mesi è la ripresa della ricerca di un sistema di valori oggi: dal bene comune alla famiglia, al rispetto della legge, alla moralità e perfino alla spiritualità. È tutto documentato da una recente indagine del CENSIS, che fotografa la nuova mappa dei riferimenti etici nel Belpaese. Come si evidenzia nello studio, se negli anni ‘70 la crescita generale del reddito destinato alla spesa offre il primo slancio a «una società dei comportamenti individuali, dei consumi come fattore caratterizzante degli individui», e negli anni ‘80 l’individualismo diventa «lo straordinario motore dello sviluppo di massa, ma anche il modo di essere, di percepire la propria esistenza ovunque, non solo nell’economia e nell’impresa», l’avvento della cosiddetta «società liquida» ha eroso un poco alla volta il sistema di sicurezze dell’uomo moderno, lasciando spazio alla precarietà ad ogni livello. Compreso quello dei sentimenti e delle relazioni tra le persone. Così, a furia di svagarsi tra i negozi del centro commerciale e i monitor lcd all’ul-

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timo grido, chattando con mezzo mondo dal chiuso di una stanza, in tanti hanno iniziato a percepire un grande vuoto attorno, e nessun salvagente a cui aggrapparsi. E sono corsi ai ripari, alla ricerca di un riferimento concreto.

alla RiceRca di una Boa nella società liQuida

A forza di svagarsi tra i negozi del centro commerciale e i social network dal chiuso di una stanza, in tanti hanno iniziato a percepire un grande vuoto attorno.

Il senso della famiglia resta al primo posto tra i valori condivisi dalla popolazione. Nell’oceano delle incertezze, le figure di mamma e papà recuperano un’autorevolezza (e una responsabilità) che sembravano destinati a perdere: il 65,4% degli italiani ha scoperto l’importanza come modello delle figure genitoriali, e in particolar modo del padre. Un sentimento più accentuato al Sud e nelle isole (75,2%), meno al Nord Ovest (55,1%), ma sempre molto alto. Nel 1988, allo stesso quesito la risposta era stata totalmente differente: meno del 15% vedeva il padre come esempio. Al più, i modelli potevano essere uomini politici, rock star o supereroi. Ma in generale, per quasi il 37% degli intervistati il vero modello era se stesso. Oggi, invece, ad avere bisogno di un maestro ispiratore è più del 59%. È vero che la società liquida ha precarizzato anche i legami affettivi, ma più del 90% della gente si dichiara comunque soddisfatto delle relazioni familiari. Per il 76% degli italiani il matrimonio è ancora considerato un’istituzione ferrea, e il 54% gli riconosce il ruolo di garante della solidità della coppia. Nei rapporti con il prossimo, oltre la metà


della popolazione considera fondamentale la solidarietà: «una fiducia reciproca di cui nessuno parla, fatta di piccole gentilezze, ma anche di controllo sociale, di attenzione, di vigilanza – spiegano gli esperti del CENSIS – è il bisogno di riscoprire l’altro, iniziando dal più vicino. Anche se è un processo ancora embrionale, emerge un desiderio di ‘uscire’ da sé per andare verso gli altri; un bisogno diffuso e profondo di ricominciare a “darsi del tu”».

oltRe l’umano A sorpresa, però, dopo il gusto per la qualità della vita – chi non ha mai detto, almeno una volta: «se c’è la salute c’è tutto»? –, sul terzo gradino del podio dei valori la ricerca demoscopica mostra la ricerca di Dio. Secondo quanto dichiarato al CENSIS, l’82% degli italiani è convinto che al di là della realtà materiale deve esistere qualcos’altro. E mentre parla, guarda per così dire “in alto”. Pensa cioè a una sfera trascendente. Il dato potrebbe non stupire, considerato che l’Italia è storicamente una nazione cattolica, vicina di casa del Vaticano. Ma nel corso degli ultimi decenni la mentalità è cambiata, complici il benessere e un forte impatto dei mass media. Evidentemente aumenta il numero di chi sente il bisogno di porsi le domande fondamentali sull’esistenza, rinunciando al primato dell’“io”, anche se – dopo anni trascorsi a lezione dalla tv – faticano a individuare la via da percorrere.

INFO web www.censis.it Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964. L’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, redatto dal Censis sin dal 1967, viene considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana.

Questo almeno sembra trasparire dai dati raccolti dal CENSIS: mentre, infatti, il 66% di chi si è accorto dell’importanza della sfera spirituale si dichiara credente (e il 16% lo pensa pur non dichiarandosi osservante), la stessa percentuale dice di non essere entrata mai in una chiesa, contro un 33% che sostiene senza remore di recarvisi almeno una volta alla settimana. Tuttavia, l’indagine evidenzia anche che il 68,9% degli intervistati è convinto che la forza spirituale degli italiani sia ancora accesa. Una sensazione che non ha età e coinvolge perfino i più vecchi, che eravamo abituati a sentirsi lamentare dei «valori di una volta che non ci sono più». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Esperienze

Tu, dimora di felicità A colloquio con Suor Caterina Cangià, sceneggiatrice e produttrice del film “Maìn. La casa della felicità”, realizzato in occasione del 140° anniversario della fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA). La pellicola è dedicata a Suor Maria Domenica Mazzarello, cofondatrice insieme a San Giovanni Bosco delle FMA.

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iascuno di noi può essere “dimora” di felicità per chi lo avvicina». È questo, in estrema sintesi, il messaggio che le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno voluto trasmettere con il film Maìn. La casa della felicità, realizzato in occasione del 140° anniversario della fondazione del loro Istituto. La pellicola è dedicata a Suor Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), beatificata da Pio XI nel 1938 e canonizzata da Pio XII nel 1951, cofondatrice insieme a San Giovanni Bosco delle FMA. Il 5 agosto 1872 Maria Mazzarello, chiamata affettuosamente Maìn dai familiari, dava inizio con dieci compagne all’Istituto delle FMA, che oggi conta 13.382 suore e 271 novizie, in 94 Paesi dei cinque continenti. Un esercito allegro e operoso che, nella figura della sua promotrice, testimonia ancora oggi che «la santità è possibile ed è impastata con le cose di ogni giorno». Il film è stato realizzato seguendo i canoni della grande cinematografia: la regia

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sapiente è di Simone Spada, talento torinese formatosi per anni come aiuto di registi illustri; la fotografia luminosissima è di Alessandro Pesci, Nastro d’Argento 2011 per il film Habemus Papam di Nanni Moretti; la musica dolce e carezzevole è del maestro Roberto Gori. La sceneggiatura, puntuale e documentata, è opera di Suor Caterina Cangià, conosciuta come “Sisternet” dal popolo del web per la sua missione evangelizzatrice nel continente digitale. Docente dell’Università Pontificia Salesiana e della LUMSA, Suor Caterina è anche ideatrice e anima della casa cinematografica Multidea, produttrice della pellicola. Suor Caterina, il film ha richiesto quasi tre anni di lavoro: quali sono state le principali difficoltà nella sceneggiatura? Scegliere gli episodi e le frasi scritte o dette da madre Mazzarello, che ne tratteggiassero il ritratto più fedele ma anche più rispondente alle istanze di oggi. Una volta fatta questa selezione, era anche necessario individuare una “cifra” che desse coerenza e coesione al tutto e l’ho trovata nella spiritualità di Maìn, nella sua intimità con Dio. Come si è preparata per scrivere la sceneggiatura? Quanto tempo le è occorso? Ho trascorso circa sei mesi a rileggere le diverse biografie di madre Mazzarello, la cronistoria dell’Istituto, gli atti dei proces-

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si di beatificazione e canonizzazione, e le biografie delle prime quattro religiose che hanno portato avanti la sua opera: Caterina Daghero, Emilia Mosca, Petronilla ed Enrichetta Sorbone. Alla fase di lettura e documentazione è seguita la scrittura, che ho realizzato con la supervisione del Consiglio Generalizio. Qual è stata, in questi tre anni, la soddisfazione maggiore? La collaborazione con la squadra di lavoro. Ho ricordi bellissimi sia della preproduzione che della produzione. Dovrei qui nominare ogni persona che ha fatto parte del cast artistico e tecnico: dal regista al direttore della fotografia, dagli attori ai genitori delle piccole comparse. Tutti hanno accolto la sceneggiatura e il piano di lavorazione con entusiasmo, rispetto e spirito di condivisione. Non posso però trascurare la grande gioia della prima a Roma, il 4 maggio scorso, a cui hanno partecipato quasi 700 persone. Vedere il lavoro su grande schermo e ascoltare le parole di Maìn, in quella luce e con quella musica, è stato molto emozionante.

condò l’operato di madre Mazzarello. Quale insegnamento se ne può trarre? Le critiche, purtroppo, ci sono state e ci saranno sempre. Chi opera il bene, infatti, non lascia indifferenti gli altri: può suscitare nel loro animo sentimenti di invidia, perché riesce a raggiungere obiettivi a essi irraggiungibili. Per madre Mazzarello è stato così e il film lo dice con molta chiarezza. Forse in passato non se ne parlava molto, ma se don Pestarino decise di allontanare Maìn da Mornese per un po’ di tempo, le ragioni c’erano e si chiamavano gelosia e pettegolezzo. L’insegnamento che se ne può trarre è che occorre essere costanti e fermi nel portare avanti progetti e idee orientati al bene del prossimo.

Quanto è fedele il film alla vita di madre Mazzarello e in quale misura, invece, si concede licenze per così dire “poetiche”? Il film è estremamente fedele alla vita di madre Mazzarello. Quasi tutte le battute dell’attrice protagonista sono tratte dalle lettere di Maìn o riprese dalle testimonianze degli atti del processo di beatificazione e canonizzazione. La poesia che ne deriva, dunque, è tutta sua ed è densa di spiritualità e vero amore di Dio. Maìn, ad esempio, si è davvero rivolta al Signore dicendo: «Sono stata un quarto d’ora senza pensare a te. Mai più un quarto d’ora senza pensarti!». Questo lo può affermare solo chi è terribilmente innamorato di qualcuno. E chiunque lo sia stato sa che non è una “licenza poetica”… Il film denuncia anche il clima di ostilità e invidia che per molto tempo cir-

La sceneggiatura si rivolge a un pubblico prevalentemente cattolico: quali elementi parlano anche agli spettatori non credenti o atei?

Il film su madre Mazzarello verrà doppiato e sottotitolato in 11 lingue. La versione originale in italiano è nelle sale dal 21 maggio (per eventuali richieste di programmazione rivolgersi a www.multideafilm.com, tel. 06.871.32.317). L’opera sarà presto distribuita anche in DVD e in Blu-Ray. È in fase di valutazione, invece, il passaggio in tv.

A chi non è cattolico la storia di Maìn mostra che ci sono “mondi” stupendi che, per quanto non gli siano familiari, possono rendere felici e intraprendenti. A chi non crede il film insegna il dono di sé, il desiderio di far crescere i più piccoli nel modo migliore, la forza dell’amicizia, l’incidenza della bontà e anche che non tutto può essere compreso con la ragione. La storia di Maìn può incuriosire sui fatti dello Spirito e suscitare il desiderio di capire perché l’amore di Dio renda felici. Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net esperIeNZe

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Esperienze

Una vacanza diversa Anna Florio e Agostino Albo hanno vissuto un’estate all’insegna della condivisione e della solidarietà, ospiti del Centrul Don Bosco di Chisinau, nella Repubblica di Moldova. Anna ha 27 anni, vive a San Benigno Canavese e da pochi mesi ha conseguito l’abilitazione in Psicologia. Come molti coetanei in cerca di lavoro e di prospettive per il futuro, frequenta uno stage presso un Servizio di Psicologia occupandosi di minori e di famiglie disagiate. Nel tempo libero adora leggere e ascoltare musica. Di un anno più giovane, Agostino abita a Volpiano e sta per laurearsi in Scienze politiche per coronare il sogno di specializzarsi in sviluppo e cooperazione internazionale. Appassionato di fotografia e di snowboard, lavora da qualche anno come educatore. Entrambi hanno scelto di concedersi un’estate speciale all’insegna della condivisione e della solidarietà. La loro meta? Il Centrul Don Bosco di Chisinau, capitale della Repubblica di Moldova. Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro esperienza.

il coRaggio di metteRsi in gioco Come è maturata l’idea di trascorrere una vacanza da volontari?

Agostino abita a Volpiano e sta per laurearsi in Scienze politiche. «Mi sono messo in viaggio con il desiderio di comprendere meglio che cosa Dio volesse comunicarmi».

Anna: «Me lo ha proposto un sacerdote salesiano dell’oratorio della mia città, dove sono animatrice. Poiché nel 2004 ero già stata in Madagascar per conoscere “sul campo” i diversi aspetti del volontariato e dell’essere missionari, ho accolto l’invito sicura che si sarebbe rivelato un’occasione importante di crescita». Agostino: «Per me è stata la terza esperienza. Le prime due, in Nigeria, mi hanno aperto gli occhi sull’opportunità di mettere a disposizione degli altri il tempo, le vacanze, i talenti... Questa volta mi sono messo in viaggio con il desiderio di comprendere meglio che cosa Dio volesse comunicarmi attraverso la vita missionaria». Come vi siete preparati? Anna: «Abbiamo frequentato il Corso partenti proposto dall’Ispettoria salesiana: una vera e propria scuola di mondialità aperta a chi desidera vivere un’esperienza di missione. Un’occasione per approfondire sia i temi legati ai processi di sviluppo dell’economia e della società sia le motivazioni interiori che spingono a voler condividere, anche solo per lo spazio di una vacanza, la vita dei missionari. È un corso che consiglierei a tutti i giovani perché insegna a essere buoni cristiani e onesti cittadini». Dove avete svolto la vostra missione? Agostino: «Siamo stati ospiti dei Sale-

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siani del Centrul Don Bosco di Chisinau, capitale della Repubblica di Moldova, che si trova tra Ucraina e Romania. Sorto nel 2006, il Centrul si compone di un oratorio, di una casa famiglia e, presto, di una scuola di formazione professionale. La maggior parte del nostro tempo, però, lo abbiamo speso a Voinova, un paesino di 700 abitanti a un’ora di pulmino dalla capitale, dove abbiamo collaborato con gli animatori locali per dar vita a un centro estivo che ha coinvolto circa 200 bambini. Abbiamo messo a loro disposizione le nostre competenze e il nostro entusiasmo, ma - prima di tutto - abbiamo cercato di sentirli fratelli e di condividere con loro il piacere di stare insieme».

Un amore senza confini Come è stato l’impatto con la realtà rispetto a quanto immaginavate? Anna: «In Madagascar credevo di aver incontrato la povertà e la sofferenza nei suoi aspetti più visibili e laceranti, ma constatare che esistono forme di estrema miseria e di disagio nel cuore dell’Europa mi ha sconcertato. La Repubblica di Moldova, infatti, è definita la nazione degli “orfani dell’emigrazione” perché un bambino su tre cresce in una famiglia in cui manca la presenza di uno o di entrambi i genitori, costretti dalla fame a cercar fortuna all’estero». Agostino: «Dopo aver visto la Nigeria ammetto di aver quasi considerato la Moldova come una destinazione “di serie B”. Mi sbagliavo e ho imparato che non esistono poveri “di serie A” e “di serie B” ma solo povertà diverse: al posto della fame e della miseria devastante della Nigeria, in Moldova ho incontrato prostituzione, degrado morale, alcolismo, abbandono minorile, aridità spirituale e altre pesanti eredità lasciate dal regime comunista. E ho cominciato a guardare all’Europa dell’Est con occhi diversi».

Anna ha 27 anni, da pochi mesi ha conseguito l’abilitazione in Psicologia. «Siamo stati ricevuti ovunque con affetto, calore e disponibilità. Soprattutto dai bambini».

Anna: «Di certo una lezione di autentica accoglienza. Siamo stati ricevuti ovunque con affetto, calore e disponibilità. Soprattutto dai bambini. Mi sento in debito per tutti i doni che ho ricevuto e sono consapevole che è davvero poco ciò che ho dato in cambio. Il ritorno a casa, poi, è stato segnato da un rinnovato senso di responsabilità per testimoniare, non solo a parole, quanto ho vissuto». Agostino: «Il ritorno è certamente il momento più duro perché, una volta a casa, vengono d’un tratto a mancare il gruppo che ti dà forza, il contesto del campo che ti stimola e i bambini che ti motivano. È lì che inizia la vera missione: portare Cristo ai vicini, ai parenti, agli amici, ai colleghi... Tornato a casa ho pregato, mi sono confrontato con la guida spirituale e mi sono regalato la possibilità di vivere un’esperienza di missione più lunga e profonda: sono felice di affermare che Dio ha risposto ai miei interrogativi e di annunciare che presto partirò in missione con i Salesiani per un anno». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

Che cosa vi ha regalato questa esperienza? ESPERIENZE

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Lettere a Suor Manu

Tagliare il cordone ombelicale tò il fatto ad un suo amico, questi gli disse: «Ma perché l’hai fatto?». E lui rispose, semplicemente: «Per amore». Tornando ai nostri figli penso che una possibilità sia quella di accompagnarli… “a distanza”, fare in modo che trovino il coraggio di affrontare la vita, di realizzare il progetto pensato per loro, ma abbiano anche la certezza di non essere soli. L’amore che ci lega a loro ci aiuta innanzitutto a favorire la scoperta della vera libertà, loro e nostra. Quasi ci dicessero «Se mi ami aiutami ad essere libero!». Facile? Penso proprio di no, ma sono convinta che sia l’unica strada che porta ad essere felici!

Il passaggio alla scuola media è difficile, non solo per i ragazzi, ma anche molto per i genitori. Vorremmo ancora proteggerli, ci sembra che il loro bene sia aiutarli a non soffrire, non riusciamo a fare a meno di sostituirci a loro, per questo noi genitori di oggi siamo tanto apprensivi, per questo li difendiamo anche quando sono solamente da rimproverare… Sono una mamma che ha accompagnato il passaggio di due figli dalla scuola primaria alla scuola media, ma sono anche insegnante e mi ritrovo a lamentarmi delle mamme come me. Perché è tanto difficile lasciare che i nostri figli “prendano il volo”?

L

a cosa più difficile è l’equilibrio! Ci sono genitori che lasciano così tanta libertà ai propri figli da far pensare che li trascurino, altri così protettivi da rischiare di soffocarli. Un uomo un giorno trovò una volpe. Era in fin di vita, ferita da alcuni cacciatori. L’uomo se ne prese cura e dopo vari mesi miracolosamente la volpe guarì. La volpe era molto grata a quell’uomo: erano diventati perfino amici. Anzi la volpe era diventata la migliore amica di quell’uomo. Ma la volpe guardava ogni giorno fuori dalla finestra: era il richiamo del bosco, ma come poteva lasciare quell’uomo che le aveva dato la vita? In fin dei conti non stava male lì, anzi, ma non era quella la sua casa. L’uomo vedeva la scena tutti i giorni e notava nella volpe la nostalgia del bosco. D’altra parte era molto affezionato a lei, ed erano molti mesi che vivevano insieme. Un giorno, però, si decise: la portò nel bosco e le disse: «Va’, segui il tuo richiamo!». La volpe lo guardò un’ultima volta e se ne andò. Quando raccon-

44 settembre-ottobre 2012

Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net

La cosa più difficile per un genitore è trovare l’equilibrio tra il lasciare i propri figli liberi e proteggerli dai pericoli.

Lettere a suor maNu


Ciao a tutti, siamo Maria Chiara, Francesca e Paola Bernardelli. Che Maria Ausiliatrice, la mamma di tutti, ci protegga sempre e ci guidi. Leggete la rivista! È bellissima!

Con Maria faremo sorridere anche il piccolo Francesco.

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In questo numero il saluto del RettoRe 1 QUANDO IL FIGLIO DELL’UOMO RITORNERÀ, TROVERÀ ANCORA LA FEDE SULLA TERRA?

a tutto campo 2 IL TESORO È NEL CAMPO leggiamo i vangeli 4 METTERSI “SULLA VIA” DIETRO A GESÙ maRia nei secoli 6 IL MISTERO DELLA CASA DI MARIA AD EFESO 8 LA “MADONNA D’OGNISSANTI” DI GIOTTO la paRola Qui e oRa 10 CHI È IL PIÙ GRANDE? mamme sulle oRme di maRia 12 QUANDO I NOSTRI FIGLI SI INNAMORANO amici di dio 14 ILDEGARDA, NOBILE E SANTA

segni e valoRi 21 IL SARTO DALLE FORBICI D’ORO don Bosco oggi 24 EXALLIEVI, COME LUCE E SALE 26 NINO BAGLIERI: «IL NOSTRO TRAGUARDO È DIO» 28 DON BOSCO A VALDOCCO 30 MARIA CI INVITA A VOLGERE LO SGUARDO VERSO DIO 32 SUOR EUSEBIA E IL PANE DEI POVERI sfide educative 34 QUANDO L’AMORE TI CAMBIA LA VITA 36 BUONI O CATTIVI EDUCATORI? 38 VALORI IN GIOCO espeRienze 40 TU, DIMORA DI FELICITÀ 42 UNA VACANZA DIVERSA letteRe a suoR manu

giovani in cammino 16 IL PIÙ GRANDE TRA VOI SIA IL VOSTRO SERVO chiesa viva 18 IL PAPA CI INVITA ALL’ANNO DELLA FEDE 20 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI...

44 TAGLIARE IL CORDONE OMBELICALE

posteR MISTICA ED ECOLOGIA

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