Rivista Maria Ausiliatrice n.6/2013

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NOVEMBRE-DICEMBRE 2013

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO

Nº 6 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE

novembre-dicembre

Natale

di gioia e speranza pag. 10 I “recuerdos salesianos” di Papa Francesco

pag. 46 Al Bano

“Da sempre con l’Ausiliatrice”

A

pag. 50 Don Bosco è qui La sua urna visita l’Italia.


lA pARolA quI e oRA

Non si accorsero di nulla Oggi, tanti parlano anche quando non hanno niente da dire, si concentrano sul non importante. E molti programmi tv fanno giocare i cervelli delle persone con i sentimenti, le ideologie e gli idoli. Così non si parlerà d’altro. ma se ciò di cui si parla è il nulla? Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. (Mt 24, 37-44)

«Non si accorsero di nulla» (v. 39). È la droga di oggi. Diffusissimo, assolutamente di moda, l’effimero ci sta portando alla malora – rapidamente, dolcemente (Baudelaire: «Chaque jour vers l’enfer nous descendons d’un pas»). Quelli che “non si accorgono di nulla” sono persone che conosciamo tutti: ci impongono l’attenzione sui loro problemi, sulle loro questioni, parlano anche quando non hanno niente da dire. Ci obbligano a concentrarsi sul non importante, sul modo in cui si organizzano la vita, sui motivi perché se la organizzano così e non diversamente… Nulla li interessa se non se stessi, e la possibilità di esporre la propria immagine ovunque capiti. È l’effetto dell’esaltazione del «privato», dilagato dalla televisione alla politica. Così abbondano le trasmissioni che si richiamano ai «fatti nostri», ai litigi di condominio, all’espressione dei sentimenti, alle riconciliazioni clamorose e inaspettate, eccetera. Ma soprattutto: finita la puntata di qualche Grande fratello o altra trasmissione simile, ce ne sarà un’altra che parla, analizza, commenta quella

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Il sAluto del RettoRe

foto di Mario Notario

Un anno di bene

Cari amici, al compiersi di un anno è importante fare un bilancio consuntivo sull’anno che è passato e stilarne uno preventivo per quello che verrà. Sui bilanci economici, la situazione è difficile per la società e per tante famiglie. Ci affidiamo quindi con fiducia alla Provvidenza, l’unica che può venire in aiuto, al di là delle tante promesse degli uomini. Ma ognuno di noi è chiamato a fare anche il bilancio della sua vita, a guardare allo sviluppo del cammino di vita cristiana. Abbiamo un po’ tutti la tendenza a vedere ciò che è andato male fuori di noi e dentro di noi: una somma del negativo della nostra vita e forse anche della vita degli altri. Si diventa lamentosi. Papa Francesco ha detto: «Un cristiano che continuamente si lamenta, tralascia di essere un buon cristiano». Le ombre ci sono, ma con l’aiuto del Signore anche quest’anno ha avuto molti momenti positivi e belli. Ci sono certamente state scelte di bene, abbiamo risposto a tante richieste del Signore e dei fratelli, abbiamo amato persone, ci siamo aperti alla grazia del Signore, abbiamo pregato… Non dobbiamo avere paura di riconoscere il bene fatto. Sappiamo che senza l’aiuto del Signore non ce l’avremmo fatta («Senza di me non potete fare nulla»); ma ce l’abbiamo fatta, e di questo dobbiamo ringraziare il Signore. E il bilancio preventivo come sarà? Dovrà essere di fiducia nel Signore, di ottimismo, di bontà, di gioia, di superamento delle difficoltà che potranno sorgere, di essere testimoni credibili della presenza del Signore e del suo amore per tutti. Questa è la speranza cristiana! Il passato è misericordia, il presente è grazia, il futuro è provvidenza! Ci accompagneranno in questi due mesi alcune feste liturgiche che potranno dare luce e forza. Vi auguriamo di vivere intensamente questo tempo di grazia. Vi affidiamo, come sempre, alla protezione di Maria Ausiliatrice, ricordandovi nella nostra Basilica. Don Franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net


sommario

Il sAluto del RettoRe 1

UN ANNO DI BENE

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Il tEsORO DENtRO I VAsI D’ARgIllA

A tutto CAMpo

gIovAnI In CAMMIno 20 CRIstIANI “tROppO” CRIstIANI

ChIesA vIvA

MARIA neI seColI 22 ANtONIO ROsMINI:

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NOI E I sANtI lA VItA BlINDAtA DEl NUNzIO ApOstOlICO IN IRAq 10 I «RECUERDOs sAlEsIANOs» DI pApA FRANCEsCO 12 OgNI gRAzIA è DONO DI DIO

“pARlERò spEssO DI tE, MARIA”

24 Il pREsEpE DI DON BOsCO sfIde eduCAtIve 26 pApA FRANCEsCO E I gIOVANI 28 CREsCUtI IN CONsApEVOlEzzA 33 «ECCOCI!»

leggIAMo I vAngelI 14 lA sCEltA VINCENtE In CAMMIno Con MARIA

segnI e vAloRI

16 DA «ECCO CONCEpIRAI UN FIglIO»

29 l’ANNO sABBAtICO

A «ECCO tUO FIglIO»

DEllO sCRIttORE-EDUCAtORE

AMICI dI dIo

h

18 FRANCEsCA CABRINI:«sORRIDIAMO lO stEssO»

domus mea c i

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

de g a me lor i

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Progetto Grafico: at Studio Grafico - Torino Stampa: Higraf - Mappano (TO)

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lA pARolA quI e oRA 34 NON sI ACCORsERO DI NUllA

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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Foto di copertina: Magdalena Kucova - Deposiphotos

PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani


poster

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52 tEstIMONI DEllA gIOIA

NEl MONDO, è pOssIBIlE!

54 AllA CORtE DI MONsIgNOR gAstAlDI 56 DON BOsCO: Il pADRE DEl sIstEMA pREVENtIVO

58 BEAtA COlEI ChE hA CREDUtO 60 DA MONtà D’AlBA:

MAMMe sulle oRMe dI MARIA 36 VERgINE MADRE,

CARDI Al gORgONzOlA

sU UNA CANDIDA NUVOlA...

posteR

espeRIenze

NAtAlE REgAlIAMO...

38 FEDE E UMORIsMO. 40 42 44 46 48

è pOssIBIlE CONIUgARlI? qUANDO Il gIOCO FA MAlE FEDE E DIsABIlItà: Il CORAggIO DI ANDARE OltRE I lIMItI! FRAtEl lUIgI BORDINO AMARE DIO E glI UltIMI Al BANO: “DA sEMpRE CON l’AUsIlIAtRICE” IO pRENDO tE COME MIO spOsO

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don bosCo oggI 50 DON BOsCO è qUI

21 novembre 2013

giornata mondiale per le claustrali

Foto FOTOLIA: .shock (16); Dmitry Nikolaev (17); Alena Ozerova (37); Tatyana Gladskih (41); Dmitry Bairachny (48); Sandra Thiele SHUTTERSTOCK: Hannes Eichinger (28); tal revivo (38); Yuri Arcurs (39); Luc Ubaghs (40) FLICKR: JMJ Rio 2013 (4-6, 26-27); Rodrigo ¡lvarez Rupert (34-35) DEPOSIPHOTOS: Roman Sigaev (3a cop.); ooGleb (12); jukai5 (13); (14); PicsFive (15); Gennadiy Poznyakov (I); Pakhnyushchyy (36) PHOTOXPRESS: Konstantin Kalishko (4243) SYNC-STUDIO: Paolo Siccardi (8) ALTRI: MAURY54PRT (45); MGS-Italia (52-53);

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A tutto CAMpo

Il tesoro dentro i vasi d’argilla La straordinaria GmG con papa Francesco a Rio de Janeiro raccontata dal vaticanista della Rai Fabio Zavattaro. C’è una frase, un tweet del Papa che mi piace ricordare nel fermarmi a riflettere sulle giornate vissute a Rio de Janeiro: «Tutti noi siamo vasi d’argilla, fragili e poveri, ma nei quali c’è il tesoro immenso che portiamo». Vasi d’argilla sono anche quei giovani che hanno affollato le strade di Rio, il lungomare di Copacabana. Fragili, poveri, deboli, eppure capaci di grandi gesti. Non è un caso che nei giorni della crisi siriana Francesco abbia voluto indirizzare proprio ai giovani più di un messaggio per chiedere loro di pregare, di digiunare per la pace in Siria e in Medio Oriente.

Parole semplici del vescovo di Roma preso «quasi alla fine del mondo», ma che evidenziano il grande valore che anche il fragile vaso d’argilla porta al suo interno: nelle fragili esistenze ci possono essere ricchezze grandi e capacità nascoste. Papa Francesco parla non solo ai giovani chiamati a Rio per la Giornata mondiale della gioventù, anzi la settimana della gioventù come dice ai giornalisti che lo accompagnano nel viaggio verso il Brasile. Si rivolge a tutti i giovani, e anche chi non ha più, anagraficamente, l’età per definirsi tale. Propone un cammino, altra parola importante nel vocabolario


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di Francesco: l’abbiamo ascoltata il giorno della sua elezione quando, affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana, ha parlato di cammino del vescovo e del popolo, «un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi». E camminare è stato il primo dei tre verbi che, il 14 marzo, ha consegnato, nella Cappella Sistina, ai cardinali che lo hanno eletto.

«busso Al vostRo CuoRe» Cammino è stato anche l’incontro a Rio, dove si sono dati appuntamento giovani di tutto il mondo, in prevalenza del Sudamerica. Non è stato né il carnevale, né una partita di calcio a riempire le strade della “cidade maravilhosa”, ma il richiamo di un incontro con il vescovo di Roma, il primo Papa del continente, il primo gesuita, il primo a chiamarsi Francesco. Un Papa che ha conquistato tutti già con le sue prime parole: «vengo a bussare

delicatamente alla porta del vostro cuore». Perché oggi serve una Chiesa capace di accompagnare il cammino dei fedeli, e capace di decifrare la notte che avvolge tanti uomini e donne, accogliendoli nelle loro fragilità e debolezze. Ha guardato ai giovani, Francesco, come alle «pupille degli occhi» proponendo loro un premio più grande della coppa del mondo. Le giornate di Rio, per Papa Francesco, non si sono mai ridotte ad una sorta di happening giovanilista; non sono fuochi di artificio le GMG, un momento magico, una sorta di grande parco giochi con


«Fratelli e sorelle, buona sera!» La vita, le parole e le scelte di papa Francesco Fabio Zavattaro Editori Riuniti 2013 pagine 207, euro 13,60

alle ingiustizie, e una società che abbandona nella periferia una parte di se stessa non sarà mai pacificata. Chiaro riferimento alle violenze che nelle favelas hanno cittadinanza sia da parte di coloro che vivono nella illegalità sia di chi della legalità dovrebbe essere custode. Lo abbiamo visto nell’ospedale dove si aiutano le persone ad uscire dalla droga; lo abbiamo visto ancora con i ragazzi che scontano una pena detentiva, vittime loro per primi della violenza che insanguina le strade dell’emarginazione e della povertà: «mai più violenza» ha detto loro quando gli hanno portato un rosario con i nomi dei meninos de rua, i ragazzi di strada uccisi dagli squadroni della morte davanti la Candelaria.

balli e canti. Sono, appunto un cammino, fatto di impegno, di riflessione, di attenzione all’altro. E in questo cammino ecco che compare un’altra parola importante: dialogo. Innanzitutto tra generazioni perché se i giovani hanno le forze per camminare gli anziani conoscono la strada, sono la saggezza. Giovani che non vanno isolati dalla loro vita, dice ai giornalisti; per questo chiede di combattere la cultura dello scarto, che colpisce i giovani impegnati a costruire il loro futuro – «corriamo il rischio di avere una generazione che non ha avuto lavoro, e dal lavoro viene la dignità della persona, guadagnarsi il pane» – e colpisce gli anziani, in una società dove conta l’efficienza, il produrre.

Fabio Zavattaro Vaticanista Rai TG1 e regista f.zavattaro@rai.it

pApA “dI peRIfeRIA” Francesco è un papa che mira all’essenza delle cose. Lo abbiamo visto a Varginha, favela di Rio; d’altra parte il vescovo di Roma che ha sempre chiesto di andare alle periferie dell’esistenza non poteva non essere là dove più forte si avvertono queste difficoltà: nessuno può rimanere insensibile alle diseguaglianze sociali; bisogna mettere fine

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ChIesA vIvA

NOI e i santi A che cosa servono i santi se non fanno miracoli? Per essere santi si deve essere per forza martiri? Qual è la dimensione della santità? Da un’indagine compiuta nei gruppi di catechismo di terza elementare risulta che la preghiera non è un’abitudine delle giovani famiglie italiane. A pregare sono soprattutto le nonne e le vecchie zie, che magari non vanno a messa, ma frequentano assiduamente gli altari dei loro santi preferiti. I più gettonati risultano essere santa Rita e Padre Pio, perché più miracolosi degli altri, capaci di risolvere tutti i problemi, da quelli economici a quelli sentimentali o sanitari. Sarà duro far comprendere la differenza tra la fede autentica e il ricorso alla preghiera come ad una specie di arte magica, e soprattutto inquadrare il ruolo dei santi, intercessori e non distributori di miracoli a gettone. «Ma se è Dio a fare i miracoli, i santi a che cosa servono?» chiede, deluso, Matteo: «Non hai capito?» (spiega la solita Monica) «ci aiutano, danno forza alla nostra preghiera quando ci rivolgiamo a loro!».

Aggiungo che la vita dei santi è per noi un esempio da imitare, perché la santità è la meta del nostro essere cristiani. La cosa preoccupa molto Lorenzo, che pensando alla tragica fine del suo santo protettore, dichiara grottescamente di non voler finire… in un kebab! Lo tranquillizzo, ricordando l’invito di Giovanni Paolo II alla santità come «misura alta di vita cristiana ordinaria». «Sì, ma come si misura questa misura?» Semplice: non mi resta che proporre la dimensione di don Bosco: far consistere la santità nello stare molto allegri! «Tanta roba! Questo mi piace: io sono sempre allegrissimo!!» strilla Gian Luca, appendendosi alle trecce di Martina. Rimando al prossimo numero l’illustrazione, nei dettagli, dell’allegria salesiana. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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ChIesA vIvA

la vita blindata

del Nunzio Apostolico in Iraq mons. Giorgio Lingua vive per lo più nell’edificio al centro di Baghdad. Per muoversi, gli è imposta la scorta armata. Eppure soltanto l’ambasciata vaticana non ha mai chiuso durante le guerre che hanno insanguinato il Paese. Essere Nunzio Apostolico, praticamente Ambasciatore del Vaticano, non è facile. Vuol dire essere voce della diplomazia papale ma anche portatore dei valori religiosi cattolici ed in questa doppia veste, di conseguenza, essere particolarmente attenti nel muoversi nei diversi ambienti culturali, politici ed economici specialmente se si tratta di Paesi “difficili”, dove imperversa la guerra, dominano i regimi, la povertà o le sciagure, o dove il cristianesimo è minoritario. Ma come si vive nella Nunziatura di uno dei Paesi ancora più pericolosi al mondo? Il racconto che Mons. Giorgio Lingua (53 anni, originario di Fossano, nel Cuneese) fa di una sua giornata tipo è quello di una vita blindata, vissuta per lo più nell’edificio della Nunziatura, nel centro di Baghdad, dove si svolgono molti dei suoi incontri e

che condivide con il suo segretario, due suore e le guardie armate a difesa dell’edificio, giorno e notte.

quellA voltA Che seMbRò In ARResto Allontanarsi dalla Nunziatura per le cerimonie religiose o gli incontri istituzionali che si svolgono nelle altre sedi diplomatiche o nella “Zona Verde” di Baghdad, tuttora inaccessibile alla maggior parte della popolazione civile, prevede infatti una precisa organizzazione. La scorta predisposta dal Ministero degli Esteri composta da uomini armati che su due pick-up precedono e seguono la macchina blindata del Nunzio, deve essere allertata in caso di visita fuori città, tutto deve essere predisposto almeno 72 ore prima.

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Per Mons. Lingua uscire a piedi per Baghdad è, quindi, un evento raro e di ciò si rammarica, convinto com’è che per amare appieno la città bisognerebbe “viverla” senza lo schermo di un vetro blindato. Quando ad esempio vi arrivò, nel novembre 2010, era da poco avvenuta la strage nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, con decine di morti tra i fedeli. Volendo recarvisi, dovette convincere i soldati a scortarlo a piedi, spiegando che si trattava di un pellegrinaggio per i defunti obbligatorio per i cristiani, ma fu costretto a percorrere il tragitto di soli 400 metri scortato da cinque uomini armati, al punto da sembrare il protagonista di un arresto.

Baghdad ha perduto la sua bellezza e non ne è rimasto che il nome. Rispetto a ciò che essa era un tempo, prima che gli eventi la colpissero e gli occhi delle calamità si rivolgessero a lei, essa non è più che una traccia annullata, o una sembianza di emergente fantasma.

ognI seRA AffIdA bAghdAd AllA MAdonnA

gli ortaggi, ed una “sortita” in terrazza per guardare, di nascosto dalle guardie che non lo permetterebbero, quella città allo stesso tempo vicina e lontana, dove la gente soffre e dove i cristiani che sognano di lasciarla per sempre, trovano proprio nella Nunziatura il simbolo della fede che non li abbandona. Perché tra tutte, soltanto l’ambasciata vaticana non ha mai chiuso durante le guerre che hanno insanguinato l’Iraq. E perché proprio da lì ogni sera Mons. Lingua affida la città ed i suoi abitanti alla tenera protezione della Madonna, in attesa che la sveglia al mattino gli ricordi che sta per cominciare un’altra giornata “blindata”.

La vita quotidiana di Mons. Lingua è scandita dagli obblighi diplomatici e di amministrazione veri e propri e da quelli religiosi, desiderando di «amare Gesù e cercare di essere un’altra Maria perché, come spiega citando Papa Francesco, una Nunziatura non è una ONG (Organizzazione Non Governativa) e neanche una normale ambasciata. Tutte queste attività sono inframmezzate da altre che servono a diluire la tensione e ad assicurare il movimento che la pericolosità della città riduce notevolmente: i contatti via web con il resto del mondo e con il professore di arabo, una passeggiata nel piccolo giardino per controllare i fiori e

Luigia Storti redazione.rivista@ausiliatrice.net

Mons. giorgio lingua Nato a Fossano, in provincia di Cuneo, il 23 marzo 1960. Ordinato sacerdote il 10 novembre 1984, laureato in Diritto Canonico, è entrato nel servizio diplomatico della santa sede il primo luglio 1992, prestando successivamente la propria opera nelle rappresentanze pontificie in Costa d’Avorio

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e negli stati Uniti d’America, nella sezione per i Rapporti con gli stati della segreteria di stato, nelle nunziature apostoliche in Italia e in serbia. Conosce anche il francese, lo spagnolo e l’inglese.


ChIesA vIvA

I «recuerdos salesianos» di papa Francesco seconda parte

In una lunga lettera scritta nel 1990, l’allora padre Jorge mario Bergoglio S.J. ha raccontato alcuni suoi “ricordi salesiani”. Rivelando aspetti inediti – che merita conoscere – della sua affascinante personalità. Ad Almagro – il quartiere di Buenos Aires in cui Papa Francesco ha conosciuto i salesiani – essi all’inizio del secolo scorso avevano costruito una solenne basilica di Maria Ausiliatrice in stile neo-romanico lombardo. Lì Jorge impara ad amare la Madonna. Divenuto vescovo, si riserva abitualmente di presiedere i riti del 24 maggio. Si reca a trovare l’Ausiliatrice alla chetichella: vestito da semplice prete, giunge con l’autobus alla basilica, sale sulla cupola dove c’è la statua di Maria alta cinque metri, si siede e prega. In quella chiesa è stato battezzato, e nei suoi recuerdos annota: «Quando vado a far visita

alla Madre Ausiliatrice sono solito passare anche presso il battistero, e ringraziare per il dono del Battesimo».

nel CollegIo, lA voCAzIone Nel cuore dei Bergoglio occupa un posto speciale padre Enrique Pozzoli, il don dell’oratorio di Almagro. È per loro uno di famiglia. Accompagna le vicende liete e tristi dei Bergoglio: da quel prestito di 2000 pesos ottenuto per ricominciare da zero durante la crisi del ‘29, al matrimonio di Mario e Regina, al battesimo dei figli. E poi nel momento difficile, 1949, dopo la nascita del quinto figlio.

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Mamma Regina esce dall’ultima maternità con la salute compromessa, non può accudire i figli. Padre Pozzoli trova il modo di «collocare come interni i tre figli maggiori»: «ottenne che io e il mio secondo fratello potessimo entrare nel collegio Wilfrid Barón in Ramos Mejía… e mia sorella, la terza, con le Figlie di Maria Ausiliatrice». In collegio Jorge frequenta l’ultimo anno della scuola primaria, è in «Sesta B». Nella foto di classe, rintracciata, risulta ragazzo solido e slanciato. Scrive nei Recuerdos salesianos: «La vocazione sacerdotale l’avevo sentita la prima volta in Ramos Mejía. Però poi


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cominciai la scuola secondaria, e ciau...». Con quel saluto in piemontese allude all’appannamento spirituale da lui attraversato nei sei anni successivi. Ma la pagella finale del collegio lo rivela diligente, col primo premio in Condotta e in Religione. Poi, durante le vacanze, ecco la sua fidanzata in erba: Amalia, vicina di casa, compagna di giochi e dodicenne come lui. Jorge disegna una casa bianca col tetto rosso (la loro futura casa) su un foglio, glielo consegna, e quasi la minaccia: «Se non mi sposi mi faccio prete». Il foglio è sequestrato dalla mamma, che lo riduce in briciole e la sgrida. Il fidanzamento finisce lì. Amalia ancora oggi risiede nel Barrio Flores, e nel marzo 2013, quando Jorge succede a Benedetto XVI, le sue parenti e amiche l’hanno festeggiata per quel suo fidanzato diventato Papa.

«l’InteRvento deCIsIvo RIguARdo AllA MIA voCAzIone» Padre Pozzoli, si legge ancora nei Recuerdos, «ebbe un intervento decisivo nel 1955 riguardo alla questione della mia vocazione». Jorge sta terminando gli studi di

chimica, e va a trovare il suo consigliere spirituale. «Esaminò la mia vocazione, mi disse di pregare, e di lasciare la cosa nelle mani di Dio. Mi diede la benedizione di Maria Ausiliatrice». Jorge ne parla in famiglia, nonna Rosa è raggiante, papà e mamma non proprio: preferirebbero che, se mai, decidesse dopo l’università. Padre Pozzoli, chiamato a consulto, osserva: «Va bene la questione dell’università. Però le cose vanno prese quando Dio vuole che si prendano…». E racconta la sua vocazione, il suo sì pronto e senza rimpianti. «A questo punto i miei genitori avevano già sciolto il loro cuore». Padre Pozzoli provvede all’ingresso di Jorge nel seminario. L’anno successivo gli è accanto quando si ammala e passa tre giorni fra la vita e la morte. A fine anno, ancora consultato da Jorge, approva la sua scelta di entrare nella Compagnia di Gesù, e compie i passi necessari per farlo. «Era il padre spirituale della famiglia… A lui ricorrevamo ogni volta che c’era un problema». E nei suoi onomastici e compleanni «ci riunivamo tutti per festeggiarlo con i ravioli». Jorge nel 1982 scrive il suo primo libro, e nella prefazione ricorda il suo primo maestro di spirito, ringraziandolo per la «forte incidenza» che ha avuto sulla sua vita, e per l’indimenticabile «esempio di servizio ecclesiale e di consacrazione religiosa» che gli ha dato.

peRChé Con I fIglI dI sAnt’IgnAzIo? Per una scelta radicale: voleva «di

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Nel 1949 Jorge Mario Bergoglio frequentò, assieme al fratello minore, il collegio salesiano “Wilfrid Barón” di Ramos Mejía, nella classe 6° B. Come prova l’elenco dei premiati di quell’anno, ricevette anche il primo premio in Condotta e in Religione e Vangelo più». Non dagli altri, ma da sé. Una volta accertata la sua vocazione, cerca un impegno totale, che trova nella ferrea Compagnia di Gesù, fondata dall’ex militare Ignazio di Loyola. Per essere «in prima linea», a servizio non di un regno della terra ma del Regno dei cieli. Con un’obbedienza perinde ac cadaver: senza offrire resistenza, allo stesso modo di un cadavere. Col quarto voto di speciale obbedienza al Papa (già… e adesso che il Papa è lui?). Papa Francesco potrà apparire accomodante nel trattare con gli altri, ma poi lo si scopre severo e intransigente con se stesso.

un MessAggIo peR oggI? Certo. La sua è stata una giovinezza sbrigliata e a volte fuori dalle righe: con la predilezione per il tango, un paio di novias, il ruolo di buttafuori svolto qualche volta in una sala da ballo. Trascorsi giovanili, che sono però come un cartello indicatore: dicono che ogni ragazzo cristiano può sempre voltare pagina, ricominciare da capo, e diventare… Papa. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net


ChIesA vIvA

Ogni grazia è dono di Dio Gesù ha assicurato ai discepoli che nulla è impossibile al Padre, ma troppo spesso i cristiani non sono capaci di domandare con fede. gesù non è un pIAzzIstA dellA fede Gesù rassicura i discepoli che nulla è impossibile a Dio e assicura loro: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». Non di rado, però, i cristiani non sono capaci di chiedere perché non coltivano abbastanza la fede, la speranza e l’amore. E questo impedisce a Dio di far loro molti doni. Racconta Matteo che quando Gesù fa ritorno a Nazaret, il paese in cui tutti lo conoscono perché vi ha trascorso l’infanzia e la giovinezza, riesce a compiere soltanto un piccolo numero di miracoli perché le persone non credono in lui. «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? - si interrogano l’un l’altro -. Non è egli forse il figlio del carpentiere e di Maria?». Di fronte all’autosufficienza e all’aridità del loro cuore Gesù è disarmato: non può guarire chi non riconosce nei suoi gesti il gesto salvifico di Dio. Perché Gesù non è un piazzista della fede, un imbonitore pronto a ricorrere a “effetti speciali” per convincere la piazza della bontà dei prodotti che offre. Non sfida gli increduli dicendo: «Non credete? Non c’è problema! Ora vi sbalordisco con una raffica di miracoli e, se non crederete per amore, crederete certo per paura o per convenienza».

Ci sono cristiani che immaginano Dio come un vecchio re sprofondato su una nuvola d’incenso. Un sovrano che, attorniato dalla Madonna, dagli angeli e dalle schiere dei Santi, presta l’orecchio alle preghiere che gli giungono dalla Terra sentenziando, di tanto in tanto: «Sì, lei mi è simpatica, va a Messa tutte le domeniche: le sia concesso ciò che chiede… Lui, invece, no. È vero, l’ho creato io, ma troppo spesso non si comporta bene. Se mette la testa a posto lo esaudirò magari più avanti…». E Maria e i Santi insistere: «Signore, pensaci bene! Guarda che anche lui ha i suoi meriti: tre mesi fa ha donato trentaquattro centesimi a un povero…», fino a quando Dio, esausto, conclude: «Va beh… Mi avete convinto: concedo la grazia anche a lui». Per fortuna le cose non funzionano così… Grazie a Dio!

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e il pane dei poveri

MARIA e I sAntI, CoMpAgnI dI stRAdA

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vani, comunicando loro le bellezza della vita consacrata, la devozione a Maria Ausiliatrice e alle sante piaghe di Gesù. Malgrado la scarsa scolarizzazione e la modesta cultura riusciva a convincere persone di ogni ceto sociale con la sua semplice catechesi, radicata nella fede e in una profonda vita interiore. Nella ventata di anticlericalismo che scosse la Spagna degli anni Trenta, Suor Eusebia offrì la propria vita a Dio per la salvezza della Patria e della Chiesa. Morì il 10 febbraio 1935, dopo una lunga malattia. Ebbe il dono della chiaroveggenza. Negli spasmi dell’agonia rivelò alla direttrice, Suor Carmen Moreno, che la vegliava, la visione profetica di una guerra imminente, in cui sarebbe stato versato sangue salesiano, anche di chi, in quel momento, le stava molto vicino. Suor Carmen morirà nel 1936, fucilata durante la guerra civile spagnola. Entrambe le religiose sono state beatificate da Giovanni Paolo II. A Suor Carmen Moreno si deve la trascrizione dei Fioretti di Suor Eusebia e degli appunti di cucina dettati dall’umile cuoca, con alcune ricette ideate per riciclare gli avanzi, come quella del pasticcio di pane raffermo. Eccola: sistemare in una teglia imburrata grossi pezzi di pane raffermo ben inzuppati nel latte. Coprirli con fettine di formaggio morbido, tipo fontina. Stendere sul formaggio fette di prosciutto o mortadella. Montare a neve gli albumi di tre uova, aggiungervi i tuorli e versare sul pasticcio di pane. Infornare a 180 gradi per trenta minuti.

Per rinvigorire la troppo poca fede, la troppa poca speranza e il troppo poco amore che talvolta rendono opaca la vita di un gran numero di cattolici, la Chiesa non si stanca di proporre l’esempio di Maria e dei Santi, che hanno confidato nell’amore di Dio anche nei momenti di sconforto e di difficoltà. Don Bosco era sicuro che ogni mattone del Santuario di Maria Ausiliatrice fosse frutto e testimonianza di una grazia concessa da Dio attraverso l’intercessione della Madonna. A tal proposito, è interessante notare come don Bosco - incantato dalla fiducia di Maria nei confronti di Dio - all’inizio della propria missione fosse solito invocarla Maria Musso Freni con il titolo di «Immacolata», che significa Anna che ha redazione.rivista@ausiliatrice.net sempre risposto sì a Dio. E che, con il trascorrere del tempo, si fosse reso conto che i ragazzi dell’oratorio guardavano alla Madonna non tanto come a un modello da imitare quanto come all’«ultima spiaggia» per sconfiggere miseria, disoccupazione e fame che impedivano loro di porre le basi per un’esistenza da buoni cristiani e onesti cittadini. Poco a poco si convinse che «Maria vuole che i Salesiani la venerino sotto il titolo di aiuto dei cristiani, di Ausiliatrice». Ma senza fare sconti, avvertì: «Sono molti quelli che vogliono ottenere grazie da

www.ssfrebaudengo.it tel. 011 2340083 p. zza Conti Rebaudengo, 22 - torino info@ssfrebaudengo.it Maria Ausiliatrice. Sappiano che se non cercano d’imitarla non avranno niente!».

evItARe le “polpette AvvelenAte” Non tutte le grazie che i cristiani invocano nella speranza di migliorare la propria vita o quella dei fratelli sono davvero per il loro bene. Quanti - per esempio - se ottenessero di “sbancare” il SuperEnalotto vincendo una fortuna da nababbi potrebbero rischiare di smarrire il sentiero della fede e di allontanarsi da Dio? Con il conto in banca a sei zeri e l’illusione di poter vivere un’esistenza a cinque stelle potrebbero cedere alla tentazione di sostituire il Dio Unico e Trino con il «dio quattrino». E, a lungo andare, non si rivelerebbe un gran guadagno… Come una mamma o un papà non metterebbero in mano al proprio figlio un rasoio affilato per farlo giocare, così Maria e i Santi non aiuteranno mai i cristiani a ottenere grazie che potrebbero rivelarsi armi a doppio taglio. È questo il motivo per cui Dio, la Madonna e i Santi - quando si tratta di concedere o di supplicare una grazia - si domandano come verrà usato il dono richiesto, se contribuirà alla realizzazione autentica o all’infelicità della persona. Dove l’uomo vede solo il guadagno, loro vedono la perdita che può celarsi dietro quel guadagno. Ezio Risatti redazione.rivista@ausiliatrice.net

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leggIAMo I vAngelI

© Roberta Contiero

la scelta vincente

La lavanda dei piedi è vero prologo della storia della Passione secondo Giovanni. Un gesto esemplare che Gesù ordina di ripetere, come a perpetuare il suo dono di amore. È sulla qualità di quell’amore che l’Evangelista vuol catturare la nostra attenzione. unA deCIsIone peR l’AMoRe

(vv. 12-17). Nella risposta data alla Madre a Cana, avevamo imparato che l’«ora» di Gesù non era ancora giunta. Ora apprendiamo invece che «l’ora di passare da questo mondo al Padre» è arrivata. Gesù ne è consapevole. Per farci capire al meglio l’importanza di quest’«ora», l’Evangelista inserisce nel racconto un suo breve, ma memorabile commento: Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine». Con una sola frase ci viene chiarito che il Signore non solo ha amato costantemente fino al termine cronologico della sua vita, ma ha amato al massimo della possibilità dell’amore, ossia offrendo se stesso fino a mori-

Dopo aver rianimato il corpo morto dell’amico Lazzaro, Gesù entra trionfalmente in Gerusalemme, sale al Tempio ed offre insegnamenti decisivi sulla sua persona e missione. Poi la scena cambia: si è condotti nel Cenacolo per ascoltare l’ultimo discorso di Gesù agli Apostoli. Gv 13,1-17 è una narrazione ricca, da porsi proprio all’inizio di quelle parole di addio: Gesù si cinge di un grembiule e lava i piedi agli Apostoli (vv. 1-5), poi dialoga lungamente con Pietro, dato che egli non vuole accettare quel gesto (vv. 6-11). Alla fine Cristo definisce esemplare e quindi da ripetere quanto ha fatto

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re. Gesù che ha dunque sommamente deciso per l’amore, si alza da tavola e lava i piedi agli Apostoli. Nell’ambiente giudaico il lavare i piedi a qualcuno era un’azione normalmente compiuta da chi si riteneva più piccolo in dignità, a favore di uno più grande. Il gesto non era ritenuto servile, ma di doverosa accoglienza, capace di mostrare sentimenti di rispetto e di premura, perfino di amore.

peRMetteRe Che l’AMoRe dI CRIsto CI RAggIungA Per Pietro non è però ammissibile quanto il Signore sta facendo: è il più piccolo che deve lavare i piedi a chi gli è più grande, non viceversa. No, Pietro non concederà al suo Signore di lavargli i piedi! Solo quando Gesù lo avverte che un rifiuto impedirebbe all’Apostolo di «prendere parte» con lui, allora accetta. Lo fa forse perché Pietro ritiene che il condividere la parte promessagli da Gesù significhi ricevere qualcosa, quasi ereditare un bene, mentre gli sfugge che il Signore gli sta piuttosto indicando una piena condivisione con la sua stessa sorte di morte e di gloria. Perché però tanta riluttanza ad accogliere quel gesto? Cosa Pietro non capisce? Non capisce che lavando i piedi ai Dodici, Gesù vuol spiegare il senso del suo morire sulla croce come di un atto di amore. Non capisce che chi non è disposto ad accogliere quell’amore non potrà essere partecipe della salvezza che sgorga da quella morte! Non ca-

pisce che nella comunità cristiana ciò che conta è la carità e non la maggior importanza di una persona o di un compito rispetto ad un altro. Pietro è ancora lontano da tutto ciò. Lo capirà più tardi, al tempo in cui il Risorto, incontratolo sul mare di Galilea, gli rivolge per tre volte la domanda essenziale: «Mi ami tu?». La lavanda dei piedi ha dunque un valore simbolico e spirituale altamente rilevante: la morte di Gesù è atto di amore limpido e totale che purifica e rinnova chi lo accoglie.

l’eseMplARItà del gesto CoMpIuto (vv. 12-17) Quanto Gesù ha fatto è così significativo da dover essere fissato per sempre in un insegnamento: se Gesù, riconosciuto dagli Apostoli come «il Maestro e il Signore», ha lavato loro i piedi, a maggior ragione costoro, che sanno di essergli inferiori in tutto, dovranno lavarsi i piedi reciprocamente. È fondamentale che Pietro e gli altri recepiscano almeno che il gesto di Gesù dovrà essere imitato e ripetuto perché già in sé è capace di dire amore pieno. Insieme a Pietro apprendiamo ancora che l’unica condizione capace di farci beneficiare dei doni della salvezza che sgorgano dalla Pasqua, consiste sia nell’essere disposti a far nostra la totalità di amore divino con cui Cristo si dona sia nell’ imitarla. Se così non fosse, ne rimarremmo esclusi. Giunto quasi al momento conclusivo della sua esistenza terrena,

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gesù è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è “il più alto” deve essere al servizio degli altri

Gesù ci lascia un insegnamento ed un modello da imitare. Tutto è perfettamente in linea con quanto in altre occasioni egli aveva già detto di sé: «… il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,43-45), ed anche: «… io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Solo la grata contemplazione dell’amore donato da Cristo fino al massimo della possibilità, potrà convincerci che accoglierlo ed imitarlo è per noi scelta vincente. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net


In CAMMIno Con MARIA

Da «ecco concepirai un figlio» a «ecco tuo figlio» La “peregrinazione della fede” di maria, da Nazaret al Calvario. Lei accoglie ogni figlio affidatole dal Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre. Maria, la Theotókos, la Madre di Dio, è l’“epifania” delle sorprese d’amore più sconcertanti di Dio fatte all’umanità. L’esperienza unica e prodigiosa di generare nella carne l’Autore della vita ha riempito di stupore la stessa Maria. La Chiesa riconosce in questo mistero il primo e fondamentale dogma su Maria e per secoli lo contempla nella liturgia. Maria è Madre di Dio. È l’unica in tutto l’universo e in tutta la storia umana a poter dire, rivolta a Gesù, ciò che gli dice il Padre Celeste: «Tu sei mio Figlio; io ti ho generato!» (Sal 2,7; Eb 1,5).

Ma per Maria l’essere madre non è una realtà statica che si acquista una volta per sempre. Lungo la sua “peregrinazione della fede” ella ha fatto un cammino di crescita e di maturazione nella sua maternità vivendo tutta una gamma di sentimenti materni. C’è l’attesa silenziosa, la gioia intima alla nascita e l’amore di tenerezza verso il figlio neonato, la soddisfazione e la fierezza nel presentarlo ai pastori e ai magi. C’è il dolore della fuga e dell’esilio. C’è il misterioso preannuncio della spada che le trafiggerà l’animo. C’è la dolcezza d’intimità negli

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anni di Nazaret, educando Gesù che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). C’è, poi, l’esperienza difficile e sconcertante dello smarrimento di Gesù dodicenne nel Tempio. Anche nel corso della vita pubblica di Gesù l’unione della madre con il figlio continua a svilupparsi e ad approfondirsi. E proprio sul Calvario, assistendo alla morte del figlio, la maternità di Maria raggiunge la sua dilatazione più ampia e il culmine supremo.


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seMpRe e tutto peR AMoRe La morte in croce è il segno più sorprendente dell’amore di Dio per l’umanità. È già un evento di inconcepibile grandezza che Dio si faccia uomo, un creatore che si metta a livello delle sue creature; è sorprendente che questo Dio fatto uomo abbia voluto condividere non solo il lato più bello dell’uomo, ma anche il lato più oscuro, ha sofferto dolore fisico, psicologico e spirituale nella sua esistenza umana. Lo stupore arriva al culmine quando vediamo che questo Dio che è immortale, che è la vita stessa, abbia voluto fare una cosa così contraria a sé: morire da uomo. E quale morte? La morte più dolorosa, più ignominiosa esistente a quel tempo, una

Maria condivide la passione del Figlio per noi. è entrata nella passione del Figlio mediante la sua compassione. Maria non misura: semplicemente ama morte che è legata alla maledizione, una morte da peccatore. Tutto questo per amore! Un amore «sino alla fine», dice Giovanni (Gv 13,1), un amore oltre ogni limiti e misura, un amore che «sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,19), un amore che arriva alla «follia» e allo «scandalo» (1Cor 1,23), dice Paolo. Ecco perché la croce è il punto di attrazione verso cui Dio attira tutti a sé (cf Gv 12,32). Ecco perché la croce è la massima e la più sor-

prendente rivelazione di Dio che è amore.

unA MoltItudIne dI fIglI Innalzato sulla croce, il figlio di Dio si rivela «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29); intorno a lui si radunano in unità tutti «i figli dispersi di Dio» (Gv 11,52), e Maria si scopre madre di una moltitudine di figli. È Gesù che glieli affida. L’avanzare nella “peregrinazione della fede” è per Maria contemporaneamente un avanzare nello sviluppo della sua maternità. Come la peregrinazione della fede culmina nell’evento pasquale del Figlio, così anche il cammino di maternità. A Nazaret Maria iniziava il suo cammino di fede e di maternità accettando il progetto misterioso di Dio: «Ecco concepirai un Figlio»; ora è questo Figlio che le propone una nuova maternità universale. Il racconto di Giovanni termina con: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Da quel momento, mentre l’umanità redenta accoglie la Madre, Maria accoglie ogni figlio affidatole personalmente dal suo Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net

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AMICI dI dIo

Francesca Cabrini: «sorridiamo lo stesso» sognAvA lA CInA… e lA tRovò In AMeRICA Nata nel 1850 a S. Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia: fu educata cristianamente ma non solo, anche italianamente. I genitori infatti le instillarono un giusto amor patrio, che Francesca non dimenticherà mai, specialmente nel suo lavoro in America con gli emigrati. Diplomata maestra, accettò subito un lavoro come supplente a Vidardo. E qui dimostrò subito non solo le sue capacità educative ma anche la sua determinazione. Vinse infatti la battaglia contro il sindaco anticlericale ottenendo il permesso di insegnare la dottrina cristiana in classe. Il sogno di Francesca però era diventare missionaria. Fece anche i voti religiosi nella Casa della Divina Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili («ho pianto molto» dirà in seguito) ma lei non si arrese. Tre incontri provvidenziali. Il primo: il vescovo di Lodi la consigliò di dedicarsi agli emigranti italiani in America, fondando un istituto religioso che si chiamerà Missionarie del S. Cuore. Secondo: l’incontro con mons. G. B. Scalabrini, che non sfociò in una collaborazione piena ma impresse una svolta alla sua vita e al suo sogno missionario. Accettò infatti la direzione di una scuola e asilo a New York. Il terzo incontro provvidenziale: con il papa Leone XIII, che le disse: «La vostra Cina sono gli Stati Uniti dove vi sono molti emigranti italiani che hanno bisogno di assistenza». Erano gli input giusti di cui aveva bisogno: li lesse come volontà di Dio, che concretizzavano il suo sogno missionario. E partì per l’America. Ma fu addirittura l’arcivescovo Michael A. Corrigan a remare contro il suo progetto. In sostanza le diceva: non basta la fede, ci vuole money molto money, e questo denaro Francesca non l’aveva. Consiglio: tornare in Italia. Ma Francesca aveva fede, molta fede. E così la Provvidenza non la dimenticò. E arrivò anche il money attraverso una ricca signo-

È una santa sociale moderna, molto stimata per la sua opera in favore degli emigrati italiani in America, per i quali lavorò con molto coraggio, creatività e determinazione, rafforzando la loro identità cristiana e italiana. Dal 1950 è “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Francesca Cabrini non è una santa vissuta nel profondo Medio Evo, e non è nemmeno una martire. È moderna, è nostra contemporanea essendo morta meno di cento anni fa, ed ha speso tutta la vita, “sudando” per Dio e per i suoi figli: nel suo caso erano le migliaia di emigrati italiani in America.

Con la tua grazia, amatissimo gesù, io correrò dietro di te fino alla fine della corsa. E ciò per sempre, per sempre.

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Non so dirti come, ma so che soffrendo mi avvicino sempre più al mio Diletto, so che sopporto qualche cosa per Colui che ha fatto tanto per me e questo mi basta a farmi contenta. ra cattolica, moglie di un illustre emigrato italiano, il Conte Luigi Palma di Cesnola, archeologo e generale, direttore del Metropolitan Museum. La strada era aperta, il progetto era chiaro: missionaria tra gli emigranti italiani.

Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici 2011 pagine 936, euro 29,00

teologiche che non ha scritto, o per le rivelazioni ed esperienze mistiche che non ebbe, ma per il suo impegno totale per amore del prossimo, nel ricordo di Gesù, dietro il quale lei voleva “correre”. Aveva scritto: «O Gesù, io correrò dietro di te fino alla fine della corsa». La sua vita (e quindi la santità) fu vissuta, come lei disse, «a lavorare, sudare, faticare per Dio e per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare». Qui sta il suo programma spirituale ed il messaggio per noi. Il tutto naturalmente fatto per amore di Dio e con gioia. Non amava lamentarsi nelle difficoltà e malattie anche quando ne aveva diritto. Con e per Dio si doveva lavorare sempre con gioia. Una volta fermò una sua suora in partenza, perché aveva detto ai parenti che faceva volentieri quel “sacrificio” dicendole: «Dio non vuole importi sacrifici così gravi». Lavorare per Dio con coraggio creativo e con fede, nella fatica affrontata con gioia e… nel sorriso. Lo raccomandava spesso alle sue Figlie (e a noi!). Diceva: «Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso». E questo, se non siamo santi, non è né facile né scontato.

un pRInCIpIo guIdA peR lA suA AttIvItà Francesca (o Madre Cabrini come la chiamavano) dimostrò subito una grande capacità come educatrice religiosa e organizzatrice dell’assistenza a numerosi emigrati, che, come diceva lei stessa: «sono trattati come schiavi… bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita. Lei e le sue suore non ebbero paura ad impegnarsi in un lavoro di assistenza anche nei quartieri più degradati per la miseria che vi regnava e pericolosi per la violenza. Madre Cabrini voleva aiutare questi emigrati ad inserirsi nella realtà sociale americana, facendone cioè dei buoni cittadini, e nello stesso tempo rafforzando o facendo riemergere l’identità italiana. Compito arduo, ma svolto egregiamente, e con lavoro duro ed estenuanti viaggi transatlantici. Un principio la guidava nella sua attività, anche per rispondere al problema del money di cui c’era bisogno. Lei sosteneva apertamente che gli italiani i più ricchi (cioè già sistemati bene) dovevano aiutare gli altri connazionali, ancora in difficoltà di inserimento.

Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

fRAnCesCA dAllA sAntItà “ACCostevole”

Non voglio che le mie figlie facciano quello che non fa la loro Madre (così disse nel 1892 a New Orleans ad una consorella che la dissuadeva ad andare a fare la questua, per evitare umiliazioni e situazioni di disagio).

Leone XIII già nel 1898 diceva di lei: «È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti». In altre parole: una santità “accostevole”, cioè alla portata di tutti. Certo non ricordiamo Madre Cabrini per le opere

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gIovAnI In CAMMIno

Cristiani “troppo” cristiani Come “i Dodici” anche noi spesso ci sentiamo migliori di Colui che seguiamo e siamo sempre pronti a ricordargli con le nostre lagnose preghiere i suoi doveri in quanto Dio. Purtroppo, dobbiamo ammetterlo, sovente il nostro Dio è distratto, poco attento, spericolato, fa preferenza per quelli che non se la meritano, non so, i peccatori per esempio o quelli che non vanno a messa alla domenica! Se non facciamo qualcosa per tempo «questo qui» va a finire che porta davvero «peccatori e prostitute più in alto nel regno dei cieli». ma dove andiamo a finire? E a noi che lo seguiamo da tanto tempo «neanche un capretto»…!?

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Il RIsChIo dI un CRIstIAno Ateo Quando un cristiano si ritiene migliore del Dio nel quale dice di credere è un ateo. Non mi sovviene chi l’ha detto ma così me la ricordo. Brilla in questo caso Pietro prima di diventare san Pietro. Lui sa di religione e risponde in modo perfetto alla domanda «Tu sei il Cristo», però subito dopo prende Gesù in disparte per spiegargli come deve pensare perché Gesù dice delle cose strane, non so, dovrà essere preso, soffrire, morire, risorgere… E alla lavanda dei piedi? «Mai mi laverai i piedi», perché Gesù sta facendo un grosso errore, si comporta da servo, ma capisci? E subito dopo: «Morirò con te» ma prima che il gallo facesse tre gargarismi…Ma anche gli altri “undici” non sono da meno.


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dIsCutono A ChI è pIù gRAnde Seguono Gesù ma parlano e pensano a tutt’altro. I nostri pensieri ci allontanato dai pensieri di Dio. Si immaginano grandi onori e primi posti al banchetto finale. I due Zebedei addirittura si prenotano per stare uno a sinistra e l’altro alla destra della grande poltrona, sostenuti in questo dalla madre. Ah le madri! Bontà loro che non si offrono addirittura per sedersi al posto di Dio! Cristiani atei. E Gesù «preso un bambino, lo mise in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse loro: “Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me”. I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev’essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve”».

doRMono nell’oRto deglI ulIvI Pietro, Giacomo e Giovanni sono i tre più attenti e sempre presenti nei grandi eventi raccontati. Eppure! Sono sul monte Tabor e “sparano cavolate”. Sono coinvolti nel momento più tragico della vita di Gesù. E come si comportano? Lui suda sangue e loro dormono. Sono appesantiti e non riescono a stargli vicino. Una fede che fa sonnecchiare. Cristiani atei. Una fede rassegnata, abitudinaria, ripetitiva, opportunistica. E Gesù «dopo aver pregato, si alzò, andò dai discepoli e li trovò addormentati per la tristezza, e disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pre-

gate, affinché non entriate in tentazione”».

InvoCAno Il fuoCo «Poi, mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme. Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. Veduto ciò, i suoi discepoli dissero: “Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?”. Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò. “Maestro, noi abbiamo visto un tale che scacciava i demòni nel tuo nome, e glielo abbiamo vietato perché non ti segue con noi”. E Gesù: “Non glielo vietate, perché chi non è contro di voi è per voi”». Aveva già detto: non giudicate! non condannate!

In due lo tRAdIsCono Pietro e Giuda, due su dodici, lo tradiscono. È una percentuale altissima. Fallimentare. Uno lo vende. L’altro dice di non conoscerlo. Ahimè! Cristiani atei. «Mentre parlava ancora, ecco una folla; e Giuda la precedeva, e si avvicinò a Gesù per baciarlo»… «Giuda, tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?»… «E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò. E il Signore, voltatosi, guardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detta: “Oggi,

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prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E, andato fuori, pianse amaramente». Sul più bello scappano tutti e hanno paura e si chiudono nel cenacolo o tornano a fare i pescatori. E ai piedi della croce «si beffavano di lui, dicendo: “Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!”».

AlCunI veRbI ContRo l’AteIsMo CRIstIAno ASCOLTA «Qual è il più importante di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore (perciò) ama il Signore Dio tuo… (e) ama il tuo prossimo come te stesso”». SMETTILA DI PENSARE A TE STESSO «Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua». VENDI TUTTO, VIENI E SEGUIMI Gesù, guardatolo, l’amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni». Quanta zavorra! È il rischio dell’“ateismo”! Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net


MARIA neI seColI

Antonio Rosmini:

“parlerò spesso di te, Maria” te in tempo di morte; il Papa Pio IX che chiese la sua consulenza teologica prima di proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione; il nostro don Bosco che dall’Abate Rosmini ricevette sempre sostegno morale e materiale. Amava moltissimo la Chiesa e, quando l’autorità ecclesiastica non ritenne vantaggiosa la lettura di un suo opuscolo, intitolato Sulle cinque piaghe della Chiesa, anziché ribellarsi superbamente come, talvolta, reagiscono certi teologi moderni, egli con umiltà si sottopose al giudizio subito. Per contribuire al bene delle anime fondò un doppio istituto religioso, maschile e femminile, che volle porre sotto la protezione della Madonna Annunziata: l’Abate Rosmini, infatti, e i suoi primi compagni emisero i voti religiosi proprio il 25 Marzo.

Io pARleRò spesso dI te Un personaggio ricco di tante virtù non poteva che essere devotissimo della Madonna. Quando predicava, inculcava nei fedeli l’amore per la Madonna. Egli stesso formulò questo proposito: «Io parlerò spesso di te a questo popolo, lo formerò alla tua devozione». Rimase fedele a tale risoluzione. Alcuni suoi discorsi furono raccolti e stampati. In uno di essi tratta dell’importanza del rosario. Alcune sue osservazioni sono utili anche a noi per apprezzare questa preghiera mariana. Per esempio, l’Abate Rosmini fa notare che la ripetizione delle “Ave Maria” nasce dal cuore perché «è costume dell’amore ripetere le stesse voci». In altre parole, se uno ama la Madonna, non si stanca mai di dirglielo! Nei Misteri del Rosario, inoltre, non solo c’è una

Scorrendo l’elenco dei santi dell’epoca contemporanea, non è facile trovare un filosofo. Anche per questo motivo la figura del beato Antonio Rosmini Serbati, (1797-1855) sacerdote, filosofo, scrittore, fondatore di istituti religiosi, è degna di attenzione. Vissuto nel secolo XIX, questo sacerdote pio, umile e zelante, si è distinto per la dottrina esposta in opere poderose, frutto di lunga meditazione e vasta cultura. In esse sono contenute opinioni filosofiche non sempre condivisibili, ma sempre ispirate dal sano principio che la retta ragione e la fede autentica operano in armonioso accordo.

ho sempre nutrito e nutro tuttora la più schietta e leale venerazione per l’Istituto della Carità e pel veneratissimo suo fondatore [Antonio Rosmini] (Don Bosco).

stIMAto dA peRsonAggI IllustRI Personaggi illustri lo hanno molto stimato, come lo scrittore Alessandro Manzoni, che lo assistet-

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Reputiamoci pienamente felici, se otteniamo per favore singolarissimo della Vergine di vivere in modo da piacere a gesù. sintesi degli avvenimenti più importanti della vita di Cristo, ma anche di quelli di ogni uomo, perché nell’esistenza di ciascuno di noi si alternano momenti di gioia e momenti di dolore, tempi di luce e tempi di oscurità. Il rosario, infine, come rileva il nostro autore, che fu anche uno storico ben preparato, ha impetrato la protezione del Cielo in momenti di grande pericolo per la Chiesa intera. Invocando la Madonna con questa preghiera a Lei molto gradita, si ottengono strepitose vittorie contro i peggiori nemici, cioè quelli dell’anima. Il nostro Abate non solo conosceva perfettamente la Bibbia, ma aveva letto anche il libro religioso dei Musulmani, il Corano, in cui si tesse più volte l’elogio di Maria, Madre di Gesù. Il Rosmini pone una domanda pertinente ed interessante: Maometto e i suoi primi discepoli, vissuti nel VII secolo in Arabia, da chi attinsero queste notizie? La risposta è inequivocabile: dai Cristiani che vivevano in quella regione. Pertanto, la verginità e la Concezione Immacolata di Maria, attestate persino in quel libro, sono verità di fede antichissime, testimoniate persino dai non Cristiani!

considera questo inno di lode una sorta di profezia o anticipazione del Vangelo annunciato da Gesù. Infatti, nel suo cantico la Madonna compendiò il tema del Vangelo: la salvezza degli uomini da parte del Padre e la sua predilezione per i piccoli, gli umili, i poveri. In altre parole, dal canto del Magnificat si apprende, dietro l’insegnamento del Rosmini, che la Madonna è stata la più grande profetessa. Questa la sua spiegazione: «Ella dunque già ode col suo spirito ciò che il suo Figlio avrebbe predicato agli uomini, ne sente l’efficacia, ne prevede gli effetti come fossero oramai compiuti». Il Beato Rosmini morì con un solo rimpianto, quello di non aver composto una trattazione completa sulla Madonna che aveva progettato di inserire in un suo saggio di antropologia per mostrare come la creatura umana perfetta è Maria Santissima: a Lei ogni uomo ed ogni donna possono e devono ispirarsi per diventare migliori. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

CoMMento Al MAgnIfICAt L’Abate Rosmini, in uno dei suoi discorsi poi dato alle stampe, commenta il Magnificat. Giustamente Vista del paese natale del beato Antonio Rosmini, Rovereto.

Collegio Rosmini a Stresa.

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Il presepe di don Bosco

Il pResepe dI CAstelnuovo Nella imminenza ormai del secondo centenario della nascita di don Bosco (16 Agosto 1815/2015), il sig. Aldo Villa di Albiate MI, grande ammiratore del Santo, ha pensato di realizzare un magnifico Presepe ambientato proprio nella frazione dei Becchi di Castelnuovo. Accanto alla casetta, imbiancata dalla neve, ma piena di vita contadina, il tempietto che ricorda il sogno dei nove anni, accoglie la scena del Natale: il Bambino Gesù nella mangiatoia con accanto Maria e Giuseppe. Sullo sfondo campeggia la Madonna che, nel sogno, incoraggia Giovannino e gli indica la trasformazione di quei tanti animali feroci in miti agnellini. A completare la scena, un pastorello indica al suo piccolo gregge il significato dell’evento: tutto inizia da Betlemme, e per Giovannino Bosco la missione parte dalle parole di Gesù, nel sogno: «Io ti darò la Maestra!... A suo tempo tutto comprenderai»!

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Il pResepe A vAldoCCo A completamento della sua opera, il sig. Villa ha realizzato ancora un altro Presepe, ambientato in Valdocco, con la Madonna che indica a don Bosco il luogo e lo sviluppo del suo Oratorio: la Casa Pinardi, la prima Chiesa dedicata a San Francesco di Sales, e la grande Basilica di Maria Ausiliatrice, sul luogo del martirio dei Santi Solutore, Avventore ed Ottavio. «Questa è la mia casa, di qui la mia gloria!» . La realizzazione di questi due Presepi, esposti nella Mostra organizzata dal Centro Salesiano di Documentazione Mariana, sono un omaggio, da parte del sig. Aldo Villa, alla memoria della propria mamma, grande devota di Maria Ausiliatrice e di don Bosco. Noi siamo grati al sig. Villa per la felice opportunità che ci offre di vivere il Santo Natale in serena amicizia con don Bosco. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

15a MOSTRA di PRESEPI e la Devozione a Maria dal 14 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014

rugiada

Nella Cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice (a sinistra guardando la facciata) Feriali: ore 15-18 casa e narra il fatto alla mamma, che e Festivi: ore 10-12 ; 15-18 però nonDomenica lo prende in considerazione. Il giorno dopo alle tre del pomeriggio Ingresso libero facilitato ai disabili la bambina ritorna per pregare e no-

ta che l’immagine sacra è coperta di sudore. Meravigliata, fa notare la cosa a due uomini di passaggio i quali, constataCentro salesiano di Documentazione stoto il fatto, esclamano: “ragazza, è brutto segno”. rica e popolare Mariana le pareti dell’edicola per trovare se vi La fanciulla dopo molto tempo vesia32 qualche spiegazione della presenVia Maria Ausiliatrice, 10152 torino de passare una donna, Maria Bertorelliza di quel sudore “lucente come la ruCattaneo, e la chiama tel. perché011 constati 52 24giada”. 254I documenti - 822 parlano di guariil prodigio; convince poi la mamma a gioni prodigiose regolarmente regie-mail: csdm.valdocco@gmail.com venire essa pure alla Cappella per vestrate e conservate negli archivi. dere la Madonna, il Crocifisso e i SanIl 19 febbraio si celebra la festa per ti che sudano. ricordare il fatto miracoloso che diede per Comitive-scolaresche è possibile prenotare visite: Il fatto si ripete nei giorni successiorigine al Santuario.1 vi sempre dalle ore 15 e alle 17 e si diwww.accoglienza.valdocco.it/museo-mariano Mario Morra vulga in modo inspiegabile. Il Parroco morra.rivista@ausiliatrice.net del paese Don Piero Conti, il sindaco Luigi Marchesi e l’ingegnere Enea Ru1 GIAMBATTISTA BUSETTI, Santuari mariani delbini procedono ad esaminare il tetto e la Bergamasca (Bergamo, Velar 1984).

per informazioni

U La le del ta Ver ta di

MUSEO MARIANO Orario di visita:

Domenica e festivi ore 10,00 -12,00 / 15,00 -18,00 Per visite guidate: tel. e fax 011.52.24.254 E-mail: csdm.valdocco@gmail.com Internet: www.donbosco-torino.it

C Consu on-lin docum verete ticoli, appro www.d

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sfIde eduCAtIve

papa Francesco e i giovani

hanno lasciato i ragazzi indifferenti. Sono accorsi a milioni ai suoi appuntamenti nel mondo. La sua sicurezza, la sua “teatralità”, il suo indomito coraggio nell’affrontare la malattia hanno fatto scattare le molle dell’ammirazione e dello stupore. Tuttavia, Giovanni Paolo II per i giovani è sempre stato troppo grande per essere preso come modello di vita. Lo ascoltavano presi dalla soggezione, ma i suoi messaggi rimanevano lettera morta quando si trattava di trasformarli in regola di vita. Assenti erano dalla vita della Chiesa e tali sono rimasti. Credono, ma non appartengono alla Chiesa. Più o meno lo stesso andazzo è proseguito con Benedetto XVI. Un papa mite, dolce, venato di timidezza perenne. Intellettuale e semplice. In certi aspetti egli si pone agli antipodi del suo predecessore. Non grandi proclami, ma un pensiero profondo presentato con garbo ed ironia. Anche lui riempie gli animi di ammirazione, ma non accende il desiderio della sequela. L’elevato spessore culturale, la sua stringente razionalità, il suo attaccamento ai principi “non negoziabili”, le sue scarpe rosse, il

Nell’ambito della moderna sociologia, da qualche tempo a questa parte, si parla della necessità di raccogliere le sfide della cosiddetta “seconda modernità” che, secondo il sociologo tedesco Ulrich Beck, fa vivere il «reincanto del sacro» alla faccia della moderna e dilagante secolarizzazione. Questa corrente carsica di interesse verso il sacro è testimoniato dal dilagare di fenomeni come i pellegrinaggi mariani di Medjugorje, il pullulare dei gruppi di preghiera di Padre Pio, dalla quotidiana presenza nei talk-show televisivi di numerosi preti, dall’attenzione dei quotidiani, attraverso i vaticanisti, ai fatti e misfatti del mondo ecclesiastico. Ma la più spettacolare manifestazione di interesse verso il sacro, nel mondo giovanile, è dato dall’irruzione delle folle oceaniche dei papa-boy.

Il fenoMeno deI pApA-boy Giovanni Paolo II ha saputo coagulare attorno alla sua persona l’attenzione e la simpatia delle masse giovanili. La forza della sua personalità e la sua capacità di toccare le corde del cuore di tutti non

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«Andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e lui ci dà questo coraggio!»

suo camauro si frappongono come limite invalicabile tra l’ammirazione e la condotta di tutti i giorni. Le Giornate della Gioventù continuano ad essere un formidabile mezzo di partecipazione, ma non incidono sull’appartenenza ad una realtà di fede. Ora i ragazzi sono chiamati dalla Provvidenza a confrontarsi con Papa Francesco.

a cui essi dedicano tempo e denaro. Il suo desiderio di incontrare prima i poveri di una favela e poi i rappresentanti della società civile sbriciola i protocolli del perbenismo e delle convenzioni. Le sue scarpe nere che portano i chiari segni di molte riparazioni fanno sentire loro terribilmente stretti le sneakers costose e di marca che portano ai piedi. I suoi prolungati silenzi durante i momenti di preghiera, parlano più di tanti aulici discorsi e pie esortazioni. Al silenzio i giovani non sono abituati. Ne hanno paura. Li costringe a riscoprire la voce della coscienza ed il significato genuino dell’esistere. Presi dai vortici esistenziali moderni, non sono più capaci di parlare a se stessi. Quella borsa di cuoio nero ormai consumato dall’uso, stretta saldamente tra le mani lungo la scaletta dell’aereo, è un segnale di essenzialità e di libertà che sorprende ed interpella. Il suo partire dalle persone e non dai principi, il suo non essere ossessionato dalla dottrina, la sua semplicità di porsi, la sua libertà davanti ai protocolli, il suo voler vivere in mezzo agli altri, la sua furbizia mescolata ad una semplicità bonaria, il suo inginocchiarsi di fronte ad una giovane musulmana per lavarle i piedi, le sue telefonate di solidarietà a chi si trova immerso nella sofferenza toccano i cuori dei giovani non solo in occasione dei grandi raduni ma li raggiungono e snidano nel bel mezzo della loro quotidianità. Papa Francesco non si limita ad esortare ma testimonia nella concretezza della vita con coerenza e rispetto. Parla chiaro senza accusare, non tesse i peana dell’amore ma ama aldilà degli stereotipi perbenisti. Non indica la strada della carità, la percorre. Nessuno, neanche gli adolescenti, può rimanere indifferente ed impassibile.

Il fenoMeno fRAnCesCo ll suo modo di vivere e presentare la fede li sorprende e li spiazza. Egli non li provoca a livello di grandi dogmi e di sublimi principi morali, ma li prende in contropiede con la sua libertà e semplicità di vita. Il suo scorazzare per Rio de Janeiro a bordo di una utilitaria e non del solito macchinone li ghiaccia. Francesco non parla di sobrietà, la vive. Quella sgangherata idea mette in crisi i loro sogni frutto della società consumistica che li spinge a desiderare macchine potenti su cui scorazzare. Solo gli “sfigati” vanno in giro su simili catorci. Il suo abbracciare bambini e persone down, piccona il mito giovanile della bellezza e prestanza fisica

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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Cresciuti in consapevolezza

maria Grazia Colombo, presidente dell’Agesc, Associazione genitori scuole cattoliche: «Possiamo dare un contributo alla costruzione del nostro Paese e non soltanto sulle questioni legate alla famiglia».

Maria Grazia Colombo, presidente dell’Agesc, Associazione genitori scuole cattoliche, ha guidato l’assemblea tematica sulle alleanze educative in particolare con la scuola, durante la 47a Settimana sociale che si è svolta a Torino, dal 12 al 15 settembre scorso, sul tema Famiglia, speranza e futuro per la società italiana. Madre di sei figli (la prima ha 40 anni, l’ultima 15), da sempre impegnata nel mondo dell’educazione e della scuola, evidenzia, rispetto alla Settimana sociale svoltasi a Reggio Calabria nel 2010, un cambiamento di clima non solo nei lavori del suo gruppo, ma anche in assemblea. Faccia qualche esempio… «Il card.

Bagnasco ha detto che per essere significativi, per contribuire al cambiamento occorre essere cristiani seri e competenti. In quei giorni ho incontrato tante persone impegnate, serie e competenti, consapevoli del loro ruolo nelle parrocchie, nelle diocesi e soprattutto dove ogni giorno sono impegnati come genitori, come lavoratori, come amministratori, insomma nella società civile. Sul tema dell’educazione mi pare che ci siamo convinti che educare oltre che essere possibile è bello e che come credenti e come Chiesa dobbiamo sempre più convincerci che l’educazione è una forma di carità e missionarietà». Tutto bene, allora?

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«I problemi rimangono e le Settimane sociali non danno la ricetta per risolverli. Però ritorniamo più consapevoli del nostro ruolo. Un esempio: parlando di emergenza educativa spesso ci rendiamo conto di come sia pesante la fragilità e la solitudine educativa nella nostra Chiesa locale, nelle parrocchie. Spesso ci preoccupiamo dei risultati, delle questioni organizzative; invece le famiglie hanno bisogno di parrocchie che accolgono i ragazzi, cercano nei sacerdoti e nei catechisti degli “alleati” che li aiutino ad educare i figli. Per “agganciare” le famiglie occorre andare dove vivono, condividere ansie, preoccupazioni, non giudicarle. Questo non significa che la Chiesa debba sostituire la famiglia nel compito educativo. Significa però diventare compagni di strada». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net


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segnI & vAloRI

foto di: Renzo Bussio

Fabio Geda, scrittore torinese classe 1972, ci racconta il suo rapporto con la scrittura. Dopo undici anni di lavoro come educatore ottiene il successo nel campo letterario trasformando questa passione in un lavoro. Geda porta con sé un bagaglio importante: la sua formazione e l’esperienza maturata nelle attività culturali e di educativa, in particolare con i minori, influenzano l’approccio ai temi che ispirano i suoi scritti.

l’anno sabbatico

dello scrittore-educatore Lo abbiamo incontrato durante un “anno sabbatico” e abbiamo cercato di scoprire qualcosa sul passato, sul presente ma anche sul futuro dell’autore di “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani”, “L’esatta sequenza dei gesti” e “Nel mare ci sono i coccodrilli”. 29


Fabio Geda, qual è il percorso professionale e formativo che ha anticipato l’attività di scrittore con il quale oggi lei si identifica? «Alla fine degli anni Novanta sono stato obiettore di coscienza presso l’oratorio San Luigi di Torino. Insieme a me, tra gli altri, c’era Sergio Durando (attuale direttore della Pastorale Migranti della Diocesi di Torino nda.). Ci occupavamo dell’animazione giovanile e proprio in quegli anni, insieme a noi, l’Asai (associazione salesiana di animazione interculturale fondata a Torino nel 1995) muoveva i primi passi. Quella prima esperienza è stata totalizzante e mi ha avvicinato all’educativa che da quel momento in poi ha coinciso con il mio lavoro». Per alcuni anni la sua attività di educatore e quella di storyteller hanno convissuto. La scrittura invece come è entrata a far parte della sua vita? «Scrivo da quando sono nato (ride nda.), non ricordo precisamente quando ho cominciato a divertirmi scrivendo sebbene ho la percezione di me che scrivo racconti già alle scuole elementari. Per me scrivere è sempre stato un po’ come per molti è andare a correre o suonare la chitarra. L’altra grande passione è quella legata proprio all’incontro con il disagio giovanile, purtroppo però lo stipendio da educatore era basso e il lavoro molto faticoso e coinvolgente. Sebbene la passione fosse grande, ad un certo punto ho creduto di non farcela più comprendendo che non avrei potuto proseguire tutta la vita con questa attività. In undici anni da educatore - dal 1998 al 2009 - ho vissuto una narrazione, una drammaturgia interna al mio lavoro. Poco prima di innamorarmi del lavoro in strada, mi ero laureato in Scienze della Comunicazione con una tesi in Marketing: un percorso diverso ma che non mi ha precluso di intraprendere strade nuove. Dopo l’amore, c’è stato il momento della consapevolezza, in cui ti accorgi dei pro e dei contro. Quindi è arrivato il momento della stanchezza: essere educatori in Italia è massacrante e ci scontra spesso con la sensazione che chiunque abbia più voce in capitolo di te, sentendosi poco valorizzati. Quando il fuoco si spegne, è difficile mantenerlo acceso soprattutto in situazioni estreme. I rapporti tra educatore e minore sono faticosi: non ci si può aspettare affetto perché la maggior parte del

tempo si vivono situazioni conflittuali. Così sono arrivato al punto in cui mi sono rigettato a scrivere, che era la cosa più naturale per me e gli ultimi tre anni da educatore hanno coinciso anche con il mio riavvicinamento alla scrittura». In quale momento però scrivere è diventato un vero lavoro, l’unico lavoro? «Devo ammettere che inizialmente non pensavo di farne un lavoro, volevo semplicemente riprendermi uno spazio mio per esprimere e buttare fuori emozioni e apprezzare la bellezza di frequentare ambienti diversi da quelli del volontariato e del sociale. Avevo bisogno di uno spazio nuovo, mio. E così nel 2003 mi sono iscritto ai corsi serali della scuola Holden (dove oggi è docente nda.) e mi sono rimesso a scrivere. Prima di quel momento avevo sempre provato a produrre romanzi ma non ero mai riuscito a finirne uno. Da quel momento invece ho iniziato a lavorare a un romanzo: è stato il primo che ho terminato ed è diventato anche il mio primo pubblicato».

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Natale regaliamo…. A Natale siamo tutti più buoni. Forse. Speriamo di esserlo anche nei giorni seguenti, quando i pii sentimenti e le emozioni, i viaggi e le vacanze, le cene ed i pranzi saranno un ricordo. E i regali magari già dimenticati. Diciamo la verità. C’è un pericolo che anche milioni di credenti corrono: lasciarsi sedurre, conquistare, quasi ossessionare dalle ”Cose del Natale”, dimenticando che il centro di tutta la Festa è il Figlio di Dio. Venuto a noi come un Bambino indifeso e bisognoso di tutto, da guardare, contemplare, accogliere, amare come il vero e più grande dono di Dio Padre all’umanità. La Liturgia del Natale ce lo ricorda: «È nato per noi un Bambino, un Figlio ci è stato donato». È qui il significato profondo del Natale: il Dono di Dio a ciascuno di noi, il più bello e più grande regalo che ci potesse fare. Questa verità deve penetrare e scuotere il nostro io profondo, dove si prendono le decisioni esistenziali e gli orientamenti per i valori per la vita. E come possiamo noi, credenti (o quasi, ma comunque uomini e donne di buona volontà) rispondere a questo immenso e preziosissimo Dono o Regalo di Dio? È semplice ma impegnativo, perché da vivere tutti i giorni. Che cosa regalare? Regaliamo Gioia: dimentichiamo le nostre tristezze, ipocondrie, umore nero e difficoltà dovute a situazioni economiche o di malattia, di vario tipo, che ci opprimono. Gli altri hanno bisogno di questo dono. Regaliamo Perdono: Gesù Bambino è veramente il Dono ed il Perdono di Dio all’umanità. Ce n’è bisogno a tutti i livelli, pubblico e privato, in comunità e in famiglia. Regaliamo Tempo: quello che abbiamo è un dono di Dio da usare bene, e la migliore forma è donarlo al prossimo, nel nostro lavoro. Regaliamo Ottimismo: è una merce rara, preziosissima, di cui c’è estremo bisogno. È come l’olio per i nostri ingranaggi esistenziali. Altrimenti? Tutto è più faticoso. Regaliamo

Fiducia e Incoraggiamento: non solo il bambino ma ogni uomo e donna ne hanno bisogno, per crescere, lavorare, amare e relazionarsi agli altri. Regaliamo Pace: uno dei titoli del Bambino è “Principe della Pace”, e ci chiede di essere operatori di pace, cominciando dalle piccole paci in famiglia o sul lavoro. Regaliamo Amore: il dono più grande (1Cor 13), più necessario del pane quotidiano, dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo. Non dimentichiamo mai: «Dio è Amore» (1Gv 4,16). E senza il nostro amore il mondo è più povero, più freddo, più triste. Regaliamo questi doni per il Natale e per il dopo Natale. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net


Quanta luce sul mondo, quanta grazia per tutto il cielo. Quale fulgore quando Cristo uscì dal grembo di maria in uno splendore mai visto…. Salve santa madre, che hai partorito il Re; colui che regge il cielo e la terra nel tempo, e la cui divinità e il cui dominio… sono senza fine… Sedulio Celio, V secolo

Gherardo delle Notti, Adorazione del Bambino (Firenze, Galleria degli Uffizi)


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poster n. 6-2013

O Vergine Santa O Vergine santa Che hai generato nella carne il Verbo, santifica le anime nostre, donaci di vivere in fedeltà , noi che in ogni tempo ti lodiamo e ti acclamiamo: salvaci, o porta della salvezza, proteggici, o Madre della verità ; soccorri i fedeli che ti onorano o immacolata; evitaci le possibili innumerevoli cadute o purissima; proteggi, difendi, custodisci coloro che sperano in te. Libera da ogni tentazione coloro che ricorrono a te‌. Sergio di Costantinopoli (+ 626)

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Si dice che molti scrittori e professionisti della parola in genere abbiano la sindrome della pagina bianca. Per “superarla” tu ti sei affidato a un’immagine in particolare, un segno, un simbolo, quale?

dai soldati, descritto come si trattasse di una scena cinematografica. Ha voluto omaggiare lo scrittore piemontese o è un caso? «Amo molto Fenoglio, anche se forse quel passaggio non è volutamente riconducibile a lui».

«Si tratta del ponte Isabella, a Torino, dove è ambientata la prima scena del primo capitolo della mia opera prima: Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani. È stato come se avessi cominciato a scrivere per la prima volta. Lo definirei un romanzo buffo. Come molti scrittori, ho un rapporto strano con i miei libri, quasi imbarazzato. Ogni libro appartiene a un momento della propria vita che dopo qualche anno non ti appartiene più, quindi subentra un certo distacco. Il primo romanzo che ho pubblicato è anche il primo che ho finito. Dai 14 ai 33 anni ho provato e riprovato a finirne uno ma senza riuscirci».

Enaiatollah, il giovane protagonista, racconta la sua fuga dall’Afghanistan con un’ironia molto sottile... Come è nato questo libro, quali valori veicola? «È un libro che nasce dall’ascolto, come diceva Simon Weil “L’attenzione è la più grande forma di altruismo”. Il mio primo rapporto con i rifugiati è stato proprio conoscendo “Enaiat” e diventando suo amico: ho impiegato due anni prima di iniziare a scrivere il libro. Quando vado nelle scuole in cui ci sono ragazzi stranieri, mi accorgo che spesso molti di loro hanno storie interessanti da raccontare e magari i loro compagni s’incuriosiscono dopo aver letto il mio libro senza aver mai chiesto prima a un loro compagno la storia della sua famiglia prima di arrivare in Italia».

In un passo di un altro libro (Nel mare ci sono i coccodrilli), invece, quando Enaiatollah – il protagonista e in un certo senso il coautore – racconta la sua fuga, mi è tornato in mente il partigiano fenogliano che corre inseguito

Fabio geda (al centro) insieme a Emanuele Franzoso e Abdullahi Ahmed coautori di un progetto simile per certi versi realizzato dallo scrittore torinese insieme a Enaiatollah Akbari. si tratta di un diario di viaggio che racconterà la vera storia di Abdul, promettente giovane fuggito dalla somalia in guerra e “rinato” in Italia dove vive, lavora e si impegna ogni giorno per costruire un mondo più vero e migliore.

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Cosa sta facendo oggi Enaiatollah?

zo. Ho scelto New York come destinazione anche perché un pezzo della storia sarà ambientato lì. È una storia che ho in mente da due o tre anni...».

«Studia Scienze Politiche, vive a San Donato e il pomeriggio lavora come magazziniere presso la facoltà di Biotecnologie di Torino. È contento ma forse un po’ stanco anche a causa dei molti appuntamenti che le presentazioni del libro - del quale abbiamo diviso i diritti – comportano».

Non ci può anticipare nulla, un particolare almeno? «La storia non l’ho ancora scritta, ce l’ho in testa. Posso dire semplicemente che il tema è la ricerca di sé. Vorrei raccontare la vicenda di un professore delle scuole medie che non riesce a svolgere il suo lavoro per via del precariato e per tutta una serie di vicissitudini diventa clandestino. Questo personaggio entra negli States con un visto da turista e poi, dopo aver fatto scadere il permesso temporaneo, ci resta da clandestino». Un’ultima curiosità, quando riesce a capire quale sarà il soggetto del suo prossimo racconto? «Le storie che entrano nei miei romanzi sono storie che mi ossessionano, non devo smettere di pensarci. Se sono storie che senza appuntarmi continuano a ritornare, sono storie che chiedono di essere raccontate».

Che cosa ha rappresentato il 2013 per Fabio Geda: dieci anni dopo aver intrapreso la carriera da scrittore, ha deciso di “fermarsi” un attimo? Perché? Quali progetti ci sono nel cassetto? «Il mio 2013 lo posso definire un “anno sabbatico”. Mi sono fermato per varie ragioni e ho scritto poco. Sono stato sei mesi a New York per imparare l’inglese, ho lavorato un mese e mezzo in Colombia, poi in Bulgaria e poi ancora due mesi negli States per perfezionare la lingua. Ciò che ho capito è che voglio semplicemente raccontare storie, a me non interessa fare il giornalista, l’opinionista mentre il mio rapporto con Internet si limita a Facebook e Twitter che mi servono più per chiacchierare ma le vere relazioni con le persone le vivo nella vita reale».

Emanuele Franzoso redazione.rivista@ausiliatrice.net

Il prossimo libro sarà ambientato in America? «In America ho incontrato un sacco di storie che in modi diversi entreranno nel prossimo roman-

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sfIde eduCAtIve

«Eccoci!» L’hanno gridato, a Torino, 400 allievi di enti di ispirazione cristiana piemontese: «Chi ha responsabilità politiche metta in cima alle priorità del Paese la scuola e la formazione».

«Nella formazione professionale ci aspettano, ci preparano, ci accompagnano per il nostro progetto, per il nostro lavoro… Eccoci!»: è lo slogan che sabato 14 settembre 2013, 400 allievi dei sette enti di ispirazione cristiana piemontese (Enaip, Salotto e Fiorito, Ciofs, Cnos Fap, Engim, Casa di Carità Arti e Mestieri, Immaginazione e Lavoro) hanno lanciato da Torino, organizzando un flash mob, davanti al Teatro Regio, dove si svolgeva la 47a Settimana Sociale dei Cattolici. «Dalla città dei santi sociali come don Bosco e il Murialdo, in cui è stata “inventata” la formazione professionale per dare un mestiere ai giovani più poveri - spiega Monica Di Martino, una degli organizzatori - con il linguaggio tipico dei ragazzi che in questi giorni hanno iniziato l’anno for-

mativo, abbiamo voluto lanciare un messaggio di speranza. La formazione professionale è al servizio della famiglia perché insieme alla famiglia educa i giovani, ma è anche al servizio del Paese, perché contribuisce a dare futuro alle nuove generazioni, insegnando loro un mestiere nell’ottica del lavoro come servizio. Il nostro “eccoci” che abbiamo urlato durante il flash mob e che richiama l’“eccomi” di Maria, oggi vuole dire ad una città e ad un Paese in crisi: “Noi giovani degli enti di formazione cristiana ci siamo e vogliamo contribuire alla ripresa dell’Italia. Dateci fiducia. E a chi ha responsabilità politiche diciamo: mettete in cima alle priorità del Paese la scuola e la formazione”». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net

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lA pARolA quI e oRA

Non si accorsero di nulla Oggi, tanti parlano anche quando non hanno niente da dire, si concentrano sul non importante. E molti programmi tv fanno giocare i cervelli delle persone con i sentimenti, le ideologie e gli idoli. Così non si parlerà d’altro. ma se ciò di cui si parla è il nulla? Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. (Mt 24, 37-44)

«Non si accorsero di nulla» (v. 39). È la droga di oggi. Diffusissimo, assolutamente di moda, l’effimero ci sta portando alla malora – rapidamente, dolcemente (Baudelaire: «Chaque jour vers l’enfer nous descendons d’un pas»). Quelli che “non si accorgono di nulla” sono persone che conosciamo tutti: ci impongono l’attenzione sui loro problemi, sulle loro questioni, parlano anche quando non hanno niente da dire. Ci obbligano a concentrarsi sul non importante, sul modo in cui si organizzano la vita, sui motivi perché se la organizzano così e non diversamente… Nulla li interessa se non se stessi, e la possibilità di esporre la propria immagine ovunque capiti. È l’effetto dell’esaltazione del «privato», dilagato dalla televisione alla politica. Così abbondano le trasmissioni che si richiamano ai «fatti nostri», ai litigi di condominio, all’espressione dei sentimenti, alle riconciliazioni clamorose e inaspettate, eccetera. Ma soprattutto: finita la puntata di qualche Grande fratello o altra trasmissione simile, ce ne sarà un’altra che parla, analizza, commenta quella

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singolo individuo stabilisce per se stesso e cerca di imporre agli altri. Forse è per questo che un “mondo” simile è destinato a non durare molto, e che i credenti sono chiamati a mettersi in atteggiamento di attesa dei tempi nuovi. Gesù istituisce un paragone diretto tra il tempo del diluvio e la sua venuta: è una rivoluzione, un cambiamento radicale su tutta la terra. Ma mentre il diluvio di Noè si impone fuori di noi stessi, il “diluvio – Cristo” entra dentro ciascuno di noi; la rivoluzione che porta, il cambiamento o il disastro, sono prima di tutto interiori.

Il teMpo del sIgnoRe è “Adesso” Le immagini dei versetti 40 e 41 spalancano la visione su uno scenario da apocalisse: la separazione tra vita e morte, salvezza e perdizione diventa immediatamente evidente, irreparabile. La venuta del Signore ferma il mondo: i due uomini nel campo, le due donne alla macina ci appaiono figure immobilizzate, fissate nel momento decisivo. Come la statua di sale che diventa la moglie di Lot (Gen 19,26), che lo stesso Gesù ricorda in un altro annuncio del Regno (Lc 17, 32). Come quelle figure fermate dalla morte che il Novecento ci ha obbligato a vedere e non dimenticare più: le montagne di cadaveri di Auschwitz, i corpi ridotti a schema folgorato di Hiroshima… L’ammonimento a vegliare (v 42) è molto più che un consiglio, un suggerimento: è in realtà l’unica cosa che c’è da fare, il solo atteggiamento costruttivo rispetto alla vita. Anche per un altro motivo, più profondo. Gesù dice: «Non sapete quando il Signore vostro verrà». E in realtà lo sappiamo bene: è “adesso” il tempo del Signore, il momento in cui la parola di Dio si incarna nella storia attraverso di noi. Il tempo d’Avvento che inizia con questa domenica sta a ricordare, nel ciclo del nostro anno, che l’attesa del Signore è qualcosa che costruiamo prima di tutto dentro di noi stessi: cioè nel sapere che è il nostro cuore il “centro del mondo” in cui ha da abitare la parola di Dio. Senza questa consapevolezza l’intera nostra vita rischia di trascorrere senza senso, come quella dei contemporanei di Noè.

puntata. Poi, si darà spazio a interviste e impressioni sul concorrente espulso dalla trasmissione perché ha bestemmiato o fatto cose che era meglio non facesse; e l’ufficio stampa farà un comunicato per scusarsi, ma anche per dire che non bisogna demonizzare la trasmissione, «perché in tv passa ben di peggio» (Corriere della sera, 6 novembre 2004, pag. 38).

Il pARAgone tRA Il dIluvIo e lA venutA dI gesù Se va in onda l’Isola dei famosi non potrà più starci un reportage sulla Cambogia, o una ripresa teatrale. Se si fanno giocare i cervelli dei cittadini con i loro sentimenti, le loro ideologie e i loro idoli, non penseranno ad altro, non parleranno d’altro. «Non si parla d’altro»: ma se ciò di cui si parla è il nulla? È parlando e pensando sempre a se stessi, che non ci si accorge di nulla. Questi meccanismi puerili, questa figurazione adolescenziale della vita ha come conseguenza di azzerare qualunque priorità. Nulla è “importante”, se non quanto ogni

Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it

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MAMMe sulle oRMe dI MARIA

Vergine madre, su una candida nuvola…

Una mamma qualunque contemplando l’immagine dell’Assunta riflette sulla maternità, sulle gioie e sui dolori del mestiere più difficile del mondo: fare i genitori. ma maria che ha vissuto nella sofferenza estrema con la morte del Figlio l’esperienza della maternità è modello e consolazione per tutte le madri. Il giorno di Ferragosto Elena ha partecipato alla Messa per la festa dell’Assunta, nella chiesa parrocchiale del suo paese e, come quando era piccola, si è fermata ad osservare la vetrata dell’abside, attraversata dalla luce del sole, che ritrae Maria assunta in cielo, su una candida nuvola accompagnata da un coro di angeli. È un’immagine un po’ ingenua, secondo la tradizione iconografica, ma a lei è molto cara perché da bambina le piaceva pensare che Gesù, il figlio di Dio, avesse desiderato riavere vicino a sé, anche fisicamente la propria madre, e lei, bimba, conosceva bene come fosse importante la presenza materna ed allora lo sapeva ammettere senza falsi pudori. La predica del parroco è stata, come al solito, mol-

to alta di contenuto e magistralmente declinata per tutti i livelli dell’uditorio. Ha ricordato come fosse stato papa Pio XII a proclamare il dogma dell’Assunzione e come il mistero del corpo assunto in cielo della Madonna fosse un’anticipazione della resurrezione della carne che per tutti noi avverrà solo alla fine dei tempi, con il Giudizio universale.

fIglIA del tuo fIglIo Sentendo le sue parole ad Elena è tornato in mente un commento positivo del grande psicanalista Carl Gustav Jung, rimasto molto impressionato dal dogma ritenendolo «l’evento più rilevante della storia del Cristianesimo dai tempi della riforma» e ne aveva apprezzato in particolare «l’estensione

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simbolica della Trinità ad una “quaternità”» che finalmente si apriva alla dimensione femminile, cioè alla totalità. Le sono risuonati poi in mente i versi di Dante che nel Paradiso chiama la Maria cristiana «Vergine Madre, figlia del tuo figlio/umile e alta più che creatura/termine fisso d’eterno consiglio/tu se’ colei che l’umana natura/nobilitasti sì, che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura», esaltandone la maternità umana e divina insieme. Elena tornata a casa si porta dentro l’immagine della Madonna e si rende conto di non avere mai pensato a lei come l’ultima incarnazione di quelle dee madri proprie dell’umanità prima dell’avvento del patriarcato, ma come una madre vera nella quale è facile riconoscersi e ritrovarsi nella complessità del suo compito di madre, simbolo della grazia e mater dolorosa.

razionali discorsi di autoconvincimento. È difficile gestire il distacco dai figli, quando la loro necessità di separarsi da te li rende irritanti, scostanti, contestatori: devi imparare ad aiutarli a lasciarti, a costruirsi una loro identità mentre in realtà, dentro di te, con senso di colpa, ti accorgi che sarebbe l’ultima cosa che vorresti avvenisse ed allora ti senti inadeguata e confusa. Elena pensa che forse si era sentita così anche Maria, ritrovando fra i dottori nel Tempio non il bambino che aveva smarrito, ma un Gesù improvvisamente cresciuto.

neAnChe un gRAzIe… «I figli sono così, sono figli»- dice spesso una saggia amica di Elena - «Si aspettano tutto da una madre, senza neanche chiedere, senza ringraziare, normalmente, come quando succhiavano da lei il latte e strillavano quando non c’era!». Sa che la maternità è un investimento a lunga scadenza e che i frutti non sempre sono quelli che ti eri immaginata e nuovamente ripensa alla Madonna, che pur essendo stata scelta quale benedetta fra le donne, aveva pagato con molta sofferenza questo suo privilegio e prima della Resurrezione di suo figlio aveva dovuto affrontarne la crocifissione. La sera Elena pensa ancora all’immagine della vetrata. Al buio non sarà più visibile, ma la sua luce le è scesa nel cuore dolcemente, è la luce di Maria, celeste madre di tutti noi, la luce della Vergine Madre.

donnA dolCe e foRte Specialmente da quando era diventata mamma di due figli, Elena aveva sempre sentito molto vicino la figura di Maria, la sua femminilità dolce e forte ad un tempo ed aveva cercato di prenderla a modello. Maria come lei aveva portato in grembo un figlio, lo aveva partorito, allattato, curato; forse anche lei aveva desiderato per lui una vita “perfetta”, come tutte le madri del mondo, pur sapendo che il suo era un figlio speciale, nato per salvare l’umanità. Il parroco nel corso della predica aveva parlato di Gesù come figlio misterioso di Maria, in quanto non conoscibile a fondo perché divino, ma forse i nostri figli mortali non sono altrettanto misteriosi alla loro stessa madre?

Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net

fIglI-bARoMetRo Lo sa bene Elena, i cui figli fin dalla nascita erano stati i protagonisti della sua vita, le figure centrali, il suo barometro! Da quando erano cresciuti però era stato molto più difficile poiché avevano cominciato ad avere bisogno di lei in un modo diverso, meno gratificante, meno diretto, meno corporeo, più difficile da soddisfare. Quando poi l’amore era entrato nelle loro vite, lei aveva dovuto imparare a farsi da parte e a dividerli con altri: non era però così facile e scontato nonostante le letture di manuali di psicologia, o

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espeRIenze

Fede e umorismo.

è possibile coniugarli?

Che te la immagini la tua prima messa. Negli anni di seminario ci hai pensato. Quella predica, la prima, nei giorni precedenti l’Ordinazione sacerdotale, l’hai letta e provata perché vuoi che sia significativa e importante. E fai bene i conti dei tempi e degli effetti, cerchi di essere brillante ma umile insieme perché sai di essere solo una debole ombra sotto il sole del Vangelo. E quel giorno vai sul pulpito, lo vedi la prima volta dall’altra parte, e annunci: «Il Signore sia con voi...» e vedi. Allora, con drammaticità, vedi. Vedi le facce della tua gente, della tua parrocchia. E trovi volti distratti, alcuni, annoiati la maggior parte. E ti chiedi: ma non sono nemmeno partito... Possibile che li abbia già annoiati?

ColpA MIA? No, caro predicatore novello. Non sei tu il colpevole, almeno non ancora. E del tutto non lo siamo nemmeno noi, tuoi predecessori, almeno non del tutto. Una buona parte sì, è per colpa nostra se le assemblee domenicali hanno lo stesso entusiasmo della coda all’ufficio postale. Ma anche la gente si porta dietro la sua responsabilità di affossamento della straordinaria avventura eucaristica. Noi cristiani partecipiamo alla vita liturgica della Chiesa con il cipiglio del Venerdì Santo, non con

la scossa dell’Alba di Risurrezione. E questo non solo per poca convinzione di fede (la Presenza Reale di Cristo poco tocca il nostro cuore, ecco perché l’entusiasmo è sul basso andante) ma perché ogni aspetto della vita cristiana siamo riusciti a dipingerlo a tinte scure. Per paura, per timidezza, per bigottismo, perché è più facile ed in discesa, perché c’è la secolarizzazione, ...metteteci quello che volete... ma tant’è che nell’opinione pubblica alla parola “cattolico” si pensa più facilmente a sofferenza e tristezza che a gioia ed entusiasmo per la vita.

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l’uMoRIsMo è unA vIRtù! Uno degli ingredienti che in casi tristi del genere manca è l’umorismo, una virtù che dovrebbe essere riscoperta. Aiuta a renderci conto delle macchiette umane che i nostri difetti ci costringono ad essere, da il giusto peso alle cose (quante sono le volte che delle questioni microscopiche hanno dato origine alle guerre?), ci ricorda una parte del grande mistero di Dio che sa rendere felici gli occhi semplici che lo contemplano e - non ultima cosa in quest’e-


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poca di preoccupazioni pastorali - mantiene lontana la noia, suscitando invece interesse per le cose di Dio. Tra chi frequenta per dovere e chi partecipa con piacere c’è una certa differenza! Eppure in certi cuori malati di controllo della gioia, altrui - oltre che la propria, sembra che il sorriso sano, non volgare (ci mancherebbe, è ovvio), genuino perchè sorge dal cuore ed è ispirato da alcune pieghe simpatiche che la vita ogni tanto sa prendere (Divina Provvidenza?), sia quasi pericoloso come il più temibile dei peccati. Anche in campo accademico teologico il profumo dell’allegria è spesso coperto dalla puzza della seriosità. Quando ci sono volumi pieni zeppi di altisonanti citazioni complicate che vogliono incensare l’intelligenza indubbia dell’Autore capace di copiare e riportarci gli altrui pensieri, piuttosto che semplici volumetti che sappiano introdurre al mistero di Dio, con la profondità e l’immediatezza delle parabole del Signore, le anime che desiderano incontrare la Verità, la teologia sta svolgendo il suo compito? Ci vuole tanto a mettersi per iscritto davanti prima di iniziare a scrivere, a preparare un incontro, una predica, per noi preti, per voi vescovi (ops, scusate... Eccellenze, ma certe volte...), per i catechisti, per i giovani animatori dell’oratorio (davvero tutto è perdonabile nell’arte della comunicazione ecclesiastica ma un giovane che annoia è al limite della sopportazione...) un semplice foglietto che ci ricordi: 1. parla per loro non per te. 2. semplifica, semplifica, semplifica. 3. me-

glio strappare un sorriso che uno sbadiglio... Il primo e il secondo consiglio necessitano un cervello elastico e disponibile a mettersi in discussione. Per il terzo invece occorre un cuore, perché l’umorismo ha casa lì, e solo un cuore che batte, funzionante perché nutrito dalla vita, riesce a dare vero peso alle vicende dell’esistenza e quindi a ridere delle sproporzioni dell’egoismo e della supponenza.

soRRIdIAMo dI pIù Quando salgo sul pulpito, quando inizio una conferenza e vedo l’attesa negli occhi della gente sento tutto il peso della responsabilità. Non solo per la grandezza del messaggio che il Signore si è degnato di consegnarmi come sacerdote. Ma anche di quello che le persone in ascolto mi stanno comunicando: sconvolgici pure con la forza del Vangelo, ma ricordati che siamo qui per stare bene alla fine, per ricordarci che

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oltre ogni nostro limite vige la sua misericordia che tutto spera, che sempre incoraggia. Il sorriso non va cercato a forza. Non siamo dei pagliacci. Non è questo il compito più importante. E non c’è nulla di più triste pastoralmente, dopo la noia di certe prediche, di uno che pensa più a far sorridere le pecore piuttosto che nutrirle con la Parola di Dio. Questo è l’eccesso opposto da evitare. Ma tra ciò e maciullare le anime con un entusiasmo morto e un contegno di vita sempre pronto al giudizio ce ne passa. Se il Regno doveva essere consegnato di nuovo ai Farisei, Cristo poteva evitarsi il disturbo, non credete? Suvvia, oggi, come... penitenza... sorridiamo di più. Di certo saremo di migliore testimonianza e forse qualche spiffero di speranza in più sarà possibile respirarlo in questi tempi difficili di crisi e pessimismo. Diego Goso dondiegogoso@icloud.com


espeRIenze

quando il gioco fa male

Il flagello dell’era moderna ha un nome simpatico: ludopatia. Si tratta di un business tra gli 8 e i 12 miliardi. Come evitarne le trappole? Se il gioco si fa duro... bisogna mettergli un freno. Di fronte a un milione di italiani “malati” di slot machine, perfino i proverbi si devono adeguare. Tutta colpa del gambling, meglio noto come ludopatia. Un termine all’apparenza innocuo, dietro a cui si nasconde invece un vero e proprio dramma. Per farsene un’idea, basta scorrere la pagina dedicata sul portale del Ministero della Salute: «È una condizione molto seria che può arrivare a distruggere la vita – si spiega – Durante i periodi di stress o depressione, l’urgenza di dedicarsi al gioco d’azzardo per le persone che ne sono affette può diventare completamente incontrollabile… La ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio».

prattutto, come uscirne? La ludopatia è una forma di dipendenza, e come tale si basa su uno strano mix: un bisogno irrefrenabile e, insieme, la tendenza a trasformare un gesto in un’abitudine. Che in brevissimo tempo diventa un comportamento compulsivo. Sparisce anche il senso di colpa iniziale (perché chi è vittima del gambling sa che si tratta di un atteggiamento sbagliato e autolesionista), e si entra in un automatismo perverso. I meccanismi mentali che fanno percorrere l’intero calvario sono complessi e non si possono ridurre a poche righe. L’aspetto importante è però cercare di capire come si arriva a cadere nella trappola del gioco. Il fattore scatenante è un sogno: diventare ricchi in un modo immediato e sorprendente. Proprio come accade nelle favole che siamo stati abituati ad ascoltare, da Cenerentola in poi. Non esiste un identikit “ideale” del gambler. Alcuni tratti, tuttavia, si ripetono con una certa frequenza:

Che Cos’è Ma che cos’è esattamente? Come ci si cade? So-

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l’età (giovanissimi e anziani); scarsa stima di sé; fattori ambientali e stress (specie tra i liberi professionisti, dove alberga una forte competitività); altre dipendenze; la presenza in famiglia di altri casi. La ludopatia colpisce come una droga ma, a differenza di quest’ultima, non ha bisogno di sostanze esterne per fare “sballare”. Fa tutto il cervello. Per questo, inizialmente il fenomeno era sottovalutato. Gli effetti sono però devastanti, a cominciare dallo svuotamento del portafogli. Altro che diventare ricchi… Poi tocca al lavoro (troppo concentrati a “giocare”), alla casa (si chiedono soldi in prestito, non disponendo più di risorse proprie), agli affetti (si perde la fiducia e la stima di chi ci sta a fianco). L’escalation verso l’inferno è peggiorata dal fatto che il malato di gioco minimizza: «So quando smettere, ho la situazione sotto controllo», è la frase di rito. In un contesto del genere, è fondamentale il ruolo di familiari e amici, cui spetta il primo passo, contattare un medico o un centro specializzato per la terapia di disintossicazione. Oggi in molte regioni sono attivi percorsi riabilitativi specifici.

la percentuale di chi si avvicina almeno una volta nella vita alle scommesse legali sia cresciuta del 5%, per un totale di quasi un italiano su due. Un dato che di per sé non preoccupa. I guai cominciano quando ci si accanisce: la ludopatia riguarderebbe almeno un milione di giocatori, tra cui anziani e studenti, complici anche i numerosi siti online dedicati. Non è tutta colpa delle slot o dei casinò virtuali: in cima ai sogni di ricchezza degli italiani ci sono Lotto, Superenalotto e affini, oltre a una varietà di Gratta &Vinci.

lo stAto CosA fA? L’altra faccia del gioco d’azzardo è il business. Tralasciamo, per ragioni di spazio, il racket illegale, contrastato da continue azioni della Guardia di Finanza. Quanto alle scommesse legali, l’intero sistema, dato in concessione ad alcune grosse società con gara d’appalto europea, frutta allo Stato tra gli 8 e i 12 miliardi di euro all’anno. Una somma che in tempi di crisi può contribuire a “fare cassa” e (oltre a reinvestire parte della quota nel settore) a progettare interventi sul territorio, o a evitare aumenti di tasse e imposte. L’impressione è però di trovarsi davanti a un quadro schizofrenico: da una parte, il Governo promuove cura e prevenzione della ludopatia, inserita con il Decreto Legge n. 158/2012 nei livelli essenziali di assistenza (LEA). Dall’altra, ammette il gioco d’azzardo, pur regolamentandone la promozione e la diffusione. La proposta in Parlamento di congelare per un anno l’apertura di nuovi centri dedicati, a inizio settembre, ha scatenato il putiferio. Attualmente sono allo studio nuovi regolamenti più stringenti contro gli abusi dell’azzardo. Con il rischio di fare come chi spende per abbuffarsi e poi si affanna e paga ancora di più per cercare di tornare al peso forma. Non sarebbe meglio provvedere prima?

quAlChe dAto Da un recente studio del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) emerge come negli ultimi anni

Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net

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espeRIenze

fede e disabilità: il coraggio di andare oltre i limiti! L’Anno della fede è un percorso con cui la Chiesa ci invita a meditare sull’essenza del nostro Credo. Proseguiamo il nostro cammino di catechesi tramite un colloquio con don Ermis Segatti, teologo e docente universitario di Storia del cristianesimo, e Angelo Catanzaro, 30 anni, presidente A.I.P.S. (Associazione Italiana Paralisi Spastica). «Angelo, presentaci la tua attività di presidente AIPS...» Angelo: «Lo scopo della mia vita è quello di cercare di essere portavoce delle persone con disabilità: lo faccio ormai da 10 anni, da quando abbiamo fondato l’Aips. Noi intendiamo promuovere l’eccellenza delle persone con disabilità, superando il pietismo, l’assistenzialismo e le barriere mentali e culturali che impediscono ad un disabile di realizzarsi pienamente, nella vita e nel lavoro». «Come si può fare? Non è certo semplice in questo periodo di crisi...» Angelo: «L’associazione opera da anni per superare tutte le barriere

culturali e le limitazioni che zavorrano i disabili. Ad esempio, con IO LAVORO H, una job fair dedicata alle persone con disabilità, mettiamo in contatto le aziende con le persone disabili che cercano di realizzarsi professionalmente, contribuendo alla crescita dell’impresa stessa e non aspettando eternamente e passivamente l’assistenza dei servizi sociali e dei Centri per l’Impiego». «Ma l’AIPS è anche cultura...» Angelo: «Certo. In questo decennio abbiamo promosso numerose mostre, esposizioni ed eventi culturali incentrati su artisti con disabilità. E poi c’è Oltre i Limiti, rassegna di incontri che abbiamo realizzato in collaborazione con

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la Città di Torino (giunta alla sua seconda edizione), che ci dà la possibilità di riflettere sugli aspetti culturali, psicologici e personali della ricerca del superamento dei limiti di ogni genere e natura, non per forza legati alla disabilità».

fede e dIsAbIlItà «Qual è il tuo rapporto con la fede?» Angelo: «Il mio percorso di fede è iniziato a Valdocco, quindi la mia matrice cristiana è di “stampo” salesiano! Il binomio disabilità-fede è davvero particolare: ad esempio, nella mia associazione ho volontari che negano la fede per rabbia nei confronti della propria condizione, oppure altri che vi si attac-


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era affetto da disabilità, e san Pio da Pietrelcina per devozione personale e per quanto ha saputo fare per malati e indigenti». Don Ermis: «Hai scelto tre esempi meravigliosi caro Angelo. Personalmente ritengo di essere altamente empatico con chi vive la disabilità poichè spesso ne ammiro la forza e il coraggio. Anch’io come te non condivido l’approccio pietistico nei confronti della disabilità: penso non sia rispettoso, spesso viene confuso con la carità e la bontà».

le bAttAglIe CIvIlI «Quindi la battaglia condotta dall’AIPS è essenzialmente culturale...» Angelo: «Al centro di tutto c’è la cultura, perchè se non si danno gli strumenti alla gente per conoscere e sapere cosa vuol dire essere disabili risulta inutile ogni monito e appello alla sensibilità nei confronti di chi vive questa condizione». Don Ermis: «Condivido questo approccio: la cultura è il fulcro su cui far leva per cambiare la mentalità comune». «Come vivi il rapporto con la tua famiglia? Ti senti sostenuto, incoraggiato?» Angelo: «Io adoro la mia famiglia: i miei famigliari mi hanno sempre sostenuto nelle mie battaglie, sono i miei angeli custodi. Ricordo però che la persona con disabilità a volte vive esperienze di sofferenza anche all’interno del proprio nucleo famigliare: spesso per troppo amore, il disabile viene “soffocato” dai famigliari, eccessivamente tutelato. Lasciateci vivere la nostra vita, senza sensi di colpa!».

cano proprio per reagire alla loro frustrazione. Sinceramente io vivo sulla mia pelle questo contrasto, non è semplice viverla serenamente!». «Quali possono essere i santi da cui prendi esempio e a cui sei più devoto?» Angelo: «Visti i miei trascorsi...certamente san Giovanni Bosco rappresenta per me un modello importante da seguire. Ma non solo. Poi san Giuseppe Cafasso, per una sorta di gemellaggio poichè

«Angelo, ritieni sia facile andare oltre i propri limiti? Ci vuole molto coraggio...» Angelo: «Sicuramente non è un qualcosa di immediato e semplice, bensì il frutto di un percorso condiviso con le persone care. Io ho intenzione di provarci, in ogni modo, con il mio impegno civile: la disabilità non è solo un ostacolo, ma può diventare un’opportunità. Prima di essere disabile io sono una persona, un ragazzo che non vuole fermarsi di fronte ai muri che la nostra società spesso spontaneamente erige».

Angelo Catanzaro Classe 1983, laureato in giurisprudenza presso l’Università di torino. presidente dell’A.I.p.s. Onlus che da dieci anni è impegnata per l’abbattimento delle barriere mentali nelle quali troppo spesso i diversamente abili sono costretti ad inerpicarsi.

Alberto Castellaro redazione.rivista@ausiliatrice.net

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espeRIenze

fratel luigi bordino amare Dio e gli ultimi

C’era una volta, e c’è ancora, un piccolo borgo nel Roero cuneese, Castellinaldo, circondato da campi e da filari di viti. Là, il 12 agosto 1922, era nato Andrea, terzogenito di otto figli dei coniugi Bordino, buoni e semplici lavoratori. In quella numerosa famiglia aveva imparato l’arte del silenzio e dell’ascolto. La profonda interiorità di questo fanciullo “maturo fin dall’infanzia” si esplica in ogni ambiente: il lavoro dei campi, l’amore per la preghiera... Quando alla sera suonavano le campane del Vespro, sospendeva di giocare, e si recava in chiesa, divenendo presto un modello per i piccoli amici che presero ad imitarlo. Anche come delegato dell’Azione Cattolica non intrattenne mai i suoi uditori con discorsi lunghi e noiosi: gli erano sufficienti poche parole in dialetto. Stava al suo posto senza darsi la minima importanza, lasciando spazio agli altri, ma soprattutto all’altro che è Dio.

© Lia Laterza

Il voto AllA ConsolAtA

Prigioniero durante la seconda guerra mondiale, fa un voto alla madonna. Diventato religioso cottolenghino, muore nel 1977, a soli 55 anni. Nel 2003, papa Giovanni Paolo II lo dichiara Venerabile. 44

La tranquillità di questa vita intessuta di lavoro e di preghiera venne improvvisamente turbata dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Il 15 Agosto 1942, solennità dell’Assunzione, arruolato nell’Artiglieria alpina della divisione “Cuneense”, partì col fratello Risbaldo alla volta della Russia, istallandosi presso il villaggio di Rossosh, nelle retrovie del fronte che era presso il fiume


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Don. Nel gennaio del 1943 i fratelli Bordino caddero prigionieri e vissero insieme la tragica ritirata. Con loro era il Cappellano militare don Aldo del Monte, poi diventato Vescovo di Novara. Una notte, esposti al rischio continuo di morte per assideramento, i Bordino emisero un voto alla Madonna della Consolata: se fossero rimasti in vita, una volta tornati a casa, si sarebbero consacrati al Signore. Durante la prigionia ma soprattutto nel viaggio verso la Siberia, Andrea si rivelò vero angelo di consolazione: non si lamentava mai, accudiva con dedizione i commilitoni infermi e moribondi nel lazzaretto di Spassh, ed il suo parlare era solo: «Dunque, pregare e consolare». Nel settembre del 1945 rientrò in patria col fratello. Sulla dura esperienza della guerra non volle mai raccontare nulla, ma tutti si accorsero che qualcosa era cambiato in lui. Seppur sempre gioviale ed amabile con tutti, divenne più taciturno: trascorreva il tempo nel lavoro e nella preghiera.

bero essere narrate e comprese! I servizi più umili li riservava sempre per sé. Infermiere espertissimo, anche di fronte a calunnie ed ingiusti provvedimenti, rimase in silenziosa obbedienza. Divenuto, poi, Superiore dei suoi fratelli, sapeva ottenere la disciplina e l’osservanza delle regole solamente dandone l’esempio. Tuttavia la malattia aveva visitato anche lui. Nel 1975 fu colpito da leucemia mieloide. Per due anni convisse colla sua sofferenza accettata ed offerta. Negli ultimi giorni di vita ricevette la visita del cardinale Michele Pellegrino, anch’egli consapevolmente malato, il quale, ad un sacerdote che gli domandò cosa mai si fossero detti, rispose: «Fratel Bordino diceva niente; Fratel Bordino semplicemente era». Andò incontro al Signore il 25 luglio 1977: cinquantacinque anni vissuti nell’amore a Dio ed ai fratelli. Che cos’altro dire di questo no-

CARItAs ChRIstI uRget nos Il 23 luglio 1946, insieme alla sorella Ernestina, partì per Torino per farsi religioso cottolenghino: entrambi erano sospinti dal grido: «Caritas Christi urget nos», (l’amore di Cristo ci spinge). Le vette dell’eroismo quotidiano che furono raggiunte da Luigi della Consolata - questo il nome che scelse da religioso in omaggio al voto - difficilmente potreb-

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Nella sua esperienza la sofferenza e la morte umana conservavano tutta la loro naturale ripugnanza, tuttavia queste, senza perdere la sostanza del loro mistero s’illuminavano, diventavano importanti e preziose sulla filigrana del disegno divino. (fr. D. Carena)

stro umile fratello? Chiediamo al Signore di imitarne la fede intrepida e l’apostolico coraggio, e preghiamo che presto venga glorificato anche in terra. E grati al Dio per il dono che ci ha fatto in lui, esclamiamo riconoscenti: «Deo gratias». Luciano Cardinali redazione.rivista@ausiliatrice.net


espeRIenze

Al bano:

“da sempre con l’Ausiliatrice” Innamorato dell’Ausiliatrice e di don Bosco. I suoi concerti in tutto il mondo - dal Giappone alla Russia, dagli Stati Uniti all’America Latina sono stati seguiti da milioni di fans.

«Il demonio ha paura della gente allegra» diceva don Bosco. E Al Bano Carrisi, una vita sull’onda del successo a emozionare grandi e piccoli dai palchi di mezza Europa, di quella massima imparata da piccolo frequentando l’oratorio di Cellino San Marco guidato da don Francesco Epifani, «un vero appassionato del santo di giovani», ne ha fatto tesoro nel momento del bisogno: «Purtroppo molte volte nella mia vita ho sperimentato la presenza malefica del demonio. Ma gliele ho “cantate” per bene, con la musica e la preghiera».

più che di speranze. Se hai fede non hai bisogno di sperare») sognava per lui una vita nelle vigne, e la madre Jolanda l’avrebbe volentieri dirottato verso gli studi. «Anche per un ragazzo della campagna pugliese la figura di questo santo del Nord che seppe aprire scuole, costruire laboratori, realizzare officine offrendo un’alterativa a chi aveva smesso di sognare era di un magnetismo impressionante. Don Bosco ti fa guardare in alto, è un’ancora di salvezza. La mia terra natale, Cellino San Marco, mi ricordava un po’ la zona del chierese che gli ha dato i natali: è un luogo tranquillo che vive d’agricoltura. Nell’aria c’è l’odore del vino, del pane, della terra. Per me l’undicesimo comandamento è: non inquinare».

nellA nAtuRA, CoMe don bosCo Al Bano ha conosciuto il carisma di don Bosco negli anni della prima adolescenza, mentre il padre Carmelo («un uomo con una fede fatta di certezze

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MAMMA JolAndA CoMe MAMMA MARgheRItA Al Bano vive come un contadino. Da sempre. Gira il mondo a cantare, poi si rintana tra le sue viti, i suoi trattori, le sue pietre, la sua famiglia. Un paradiso in terra. «La musica mi fa volare – dice -, la fede mi disseta. Cerco di mettere i valori dentro le emozioni». Parlare con Carrisi è come parlare con un vecchio amico: onesto, sincero, con il dono della spontaneità. Quella che l’ha reso famosissimo cantando in modo semplice, quella che gli fa dire «resto un estraneo nello show business. Forse anche perché quando ricevi il dono della fede non riesci proprio a vivere la vita in modo diverso da come ti hanno insegnato». Racconta di sua madre Jolanda, «una grande mamma», e sempre ricordando gli anni dell’oratorio la paragona a mamma Margherita: «donne vere. Semplici sono le mie radici, semplice è stata lei che per prima mi ha insegnato a fare il segno della croce, e io sono il frutto di tanta ricchezza umana».

“Io tI CeRCo”: dedICAtA A don bosCo

Al Bano Io ci credo. Perchè con la fede non mi sono arreso mai Al Bano Piemme 2012 pagine 217, euro 13,60

stessa grazia: se fossi diventato famoso avrei costruito in quel luogo una chiesa. Sono diventato famoso e la chiesa l’ho costruita». Sfoglia l’album dei ricordi e decide di regalare al nostro giornale due foto cui tiene particolarmente: quella con Madre Teresa di Calcutta, madrina di sua figlia Cristel, e quella dall’incontro con Giovanni Paolo II. Musica e fede, ma quale brano del suo immenso repertorio dedicherebbe a don Bosco? «Non ho dubbi: “Io ti cerco”. Fa così: “Tra le nevi e le foreste di montagna/Tra le strade pulite di campagna/Tra le rose dei giardini e i sorrisi dei bambini/ Io ti cerco nella strada che farò...”». Un inno alla vita, scritto con il cuore, per quell’amico che «ha evitato che mi perdessi…». Andrea Caglieris Giornalista Rai Segretario Ordine Giornalisti Piemonte redazione.rivista@ausiliatrice.net

Ricorda la visita alla Basilica di Maria Ausiliatrice nel giugno 2008, in occasione del “Concerto per i ragazzi di strada” per le Missioni Don Bosco in piazza Vittorio a Torino: «Quando ero bambino, nella campagna di famiglia c’era una cappella votiva con l’immagine della Vergine Maria, l’Ausiliatrice. Quando passavo davanti chiedevo sempre la

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Io prendo te

come mio sposo

Un papà e una mamma “sposano” la figlia e donano alcune “briciole di saggezza” vissute in prima persona. Ecco che cosa hanno detto ad Elisa e Gabriele. «Abbiamo scritto queste parole partendo dalla premessa che il cristiano non è padrone di se stesso, ma è al servizio di Dio e che le sue opere buone sono il deposito per ricevere poi il compenso a cui ha diritto. Non basta essere chiamati cristiani: bisogna esserlo davvero, essere di esempio nella fede, nel comportamento e nella carità. Elisa e Gabriele progredite insieme nel cammino di fede: nella vostra famiglia la preghiera venga prima di ogni altra cosa, perché senza di essa non è possibile trovare la via che conduce a Dio. Nelle difficoltà della vita, nelle eventuali incomprensioni, non chiudetevi, ma appoggiatevi l’uno all’altro, pregate perché il Signore vi è sempre vicino. Nel vostro comportamento non allineatevi ai molti che aderiscono a decisioni e scelte che ledono la dignità umana e ricordatevi sempre, in tutti gli àm-

biti della vostra vita, di non mettere in naftalina la coscienza. Siate di esempio nella carità, perché Dio cammina in particolare nei poveri e negli ammalati. La vocazione fondamentale che il Signore ha dato a ciascuno di noi è amare Lui e il prossimo come noi stessi, cioè tutte le persone, nessuna esclusa, con le loro diversità, e in particolare chi è nel bisogno, nella fatica, nella prova, nella solitudine. Il matrimonio sia il punto di partenza di una vita di crescita a due. Vi auguriamo di andare insieme verso chi ha bisogno, di trovare il tempo per farlo senza farvi frenare dagli alibi del troppo lavoro o della carriera. Noi preghiamo e pregheremo Dio perché doni a voi ed a tutti noi lo spirito di misericordia e di amore». redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre. sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. E insieme nella silenziosa memoria di Dio. Ma vi sia spazio nella vostra unione, E tra voi danzino i venti dei cieli. Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione d’amore: piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime. Riempitevi l’un l’altro le coppe, ma non bevete da un’unica coppa. Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo, Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale. Donatevi il cuore, ma l’uno non sia di rifugio all’altro, poiché solo la mano della vita può

contenere i vostri cuori. E siate uniti, ma non troppo vicini; le colonne del tempio si ergono distanti, E la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro. Kahlil gibran poeta libanese (1883-1931)

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don bosCo oggI

In questi mesi l’urna del Fondatore sta “visitando” tutte le Regioni italiane, suscitando ovunque entusiasmo e fede. Un’occasione per prepararci ai 200 anni della sua nascita.

Dopo il trionfale giro in tutto il mondo, l’urna di Don Bosco ha iniziato a “visitare” le sei Ispettorie italiane. Ed ovunque, è festa. Si incontra l’“amico” e “padre” dei giovani (e non solo). Si vive un’esperienza di Chiesa. Si gioisce di essere cristiani. Perché, come è stato detto, il metodo salesiano si ripete. Un tempo era don Bosco in persona a uscire per le strade, a recarsi sui luoghi di lavoro, sulle piazze per incontrare i giovani, per amarli e farli sentire amati, per lasciare in loro la gioia, per farne «onesti cittadini e buoni cristiani». E oggi, come recita anche il più noto canto salesiano, Don Bosco ritorna. Torna nelle nostre città, nelle nostre realtà sociali, ci sollecita ad essere testimoni, ad uscire dalle “piccole cose” quotidiane e dai “recinti” per diventare, sul suo esempio, protagonisti del progetto d’amore di Dio.

Inoltre, come ha ricordato il Rettor Maggiore, don Pascual Chávez Villanueva, la peregrinazione dell’urna è un’eccezionale opportunità per prepararsi ai 200 anni della nascita di don Bosco, che si celebrerà il 16 agosto 2015. Questa ricorrenza è, infatti, «un grande avvenimento per noi, per tutta la Famiglia Salesiana e per l’intero Movimento Salesiano, che richiede un intenso e profondo cammino di preparazione, perché risulti fruttuoso per tutti noi, per la Chiesa, per i giovani, per la società».

un MoMento dI gRAzIA Così, l’urna con il suo corpo ha già attraversato l’Ispettoria Meridionale (Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) dal 20 settembre al 10 ottobre, e poi, dall’11 al 31 ottobre, l’Italia Centrale (Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria, Toscana, Liguria e Sardegna). In que-

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sti giorni, dall’1° al 20 novembre, sta visitando la Sicilia. Poi, dal 21 novembre al 13 dicembre, salirà nel Nord-Est: Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Nei giorni successivi, dal 13 dicembre al 31 gennaio 2014, quasi a festeggiare il Natale nei luoghi d’origine e nella culla della Famiglia Salesiana, l’urna sarà in Piemonte e Valle d’Aosta. Infine, concluderà il viaggio attraverso la Penisola, percorrendo in tutto il mese di febbraio la Lombardia e l’Emilia Romagna. Dopo ancora, dal 1° al 16 marzo, si sposterà in Lituania, Paese che fa parte della Ispettoria Piemontese (ICP). Don Stefano Martoglio, Ispettore della ICP, osserva: «L’evento sarà sicuramente un momento di Grazia straordinario per i giovani, per la Chiesa locale, per le nostre comunità e, ovviamente, per tutti gli appartenenti e i “simpa-


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21 Novembre - 13 Dicembre INE (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia)

13 Dicembre - 31 gennaio ICP (Piemonte e Valle d’Aosta

1 Febbraio - 28 Febbraio ILE (Lombardia Emilia-Romagna

11 Ottobre - 31 Ottobre ICC (Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna)

20 Settembre - 10 ottobre IME (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria)

“Don Bosco è qui” non solo è uno slogan ma un’affermazione che invita ad alzarci e andare incontro a lui, proprio come faremmo in occasione di una visita di amici o parenti. per poter donare e accompagnare don Bosco durante il suo tour nell’Italia salesiana è possibile visitare il sito www.donboscoèqui.it e scegliere un progetto tra quelli suggeriti. quando don Bosco sarà passato potremo dire di averlo accompagnato, accolto e salutato proprio come lui ha fatto con molti di noi nelle sue tante Case. tizzanti” della Famiglia Salesiana. Don Bosco torna nella sua terra dopo aver visitato in tre anni tutte le Ispettorie del mondo, suscitando ovunque entusiasmo, fede e devozione superiori ad ogni aspettativa. Anche per noi, sarà un’occasione per prepararci, anzi lasciarci preparare al suo duecentesimo “compleanno”. E ricordarci il sogno che non lascia tranquilli i santi: che tutti gli uomini siano salvi o come diceva Don Bosco,

che tutti siano «felici nel tempo e nell’eternità”».

Il sIto InteRnet Don Luca Barone, coordinatore della peregrinazione nell’ICP, oltre che incaricato Vocazionale e prenoviziato dell’ICP stessa, dice: «Per quanto riguarda la ICP, tutti i vescovi del Piemonte e Valle d’Aosta e quelli della Lituania hanno accolto con grande entusiasmo la proposta. La peregrinazione ha,

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1 Novembre - 20 Novembre ISI (sicilia)

infatti, due coordinate di fondo: un evento di Chiesa locale, con il più ampio coinvolgimento della diocesi, e un altro di esplicita espressione vocazionale». Non a caso, ricorda che lo slogan scelto è «Don Bosco è qui», che il sito internet preparato per l’iniziativa è, appunto, www.donboscoèqui.it e che l’elemento grafico sul quale hanno puntato le sei Ispettorie italiane è proprio la “è”, che “pone l’accento” sul nostro essere cristiani, «proprio come fece don Bosco dando vita al sistema preventivo e alla Congregazione come “accento” sulla vita dei giovani di Torino e del mondo». Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net


don bosCo oggI

testimoni della gioia nel mondo, è possibile!

Il mandato del Rettor maggiore ai 1200 giovani presenti al confronto mGS Italia. unA spIRItuAlItà fRIzzAnte e gIoIosA

Non è certo facile descrivere i giorni del Confronto MGS Italia senza far ricorso a tutti i superlativi che abbondano nella lingua italiana. Dopo un’attesa durata 18 anni Valdocco ha finalmente accolto un evento così importante da segnare, senza ombra di dubbio, il trampolino dal quale il MGS Italia potrà spiccare il grande salto che lo condurrà al 2015, anno del Bicentenario della nascita di don Bosco. La rincorsa è stata lunga, negli ultimi sei anni si sono celebrate due Assemblee Nazionali, due Workshop Nazionali, un Confronto Europeo, una Agorà e la grande partecipazione alla GMG di Madrid. Segno di un progetto importante per il Movimento e per una crescita legata non all’entusiasmo creato dagli eventi ma a un processo partecipato da molti e che ha permesso di esistere a quegli stessi eventi.

Questa estate, dal 10 al 16 agosto i 1200 giovani provenienti da tutta Italia hanno vissuto un’esperienza intensa e coinvolgente, ritmata dalla musica e dalla festa, ma anche dalle celebrazioni e dai momenti di preghiera; vissuta nell’ascolto delle tematiche proposte, ma anche nel dialogo e nel confronto delle esperienze; valorizzando i luoghi della storia salesiana e sociale della città di Torino, ma anche scoprendo la spiritualità e la bellezza di Mornese, Chieri e Colle don Bosco. Il tema guida del Confronto, Testimoni della Gioia, ha sicuramente aiutato a fare sintesi di tutti questi elementi, realizzando quanto don Bosco proponeva ai suoi giovani nell’introduzione al famoso libro Il giovane provveduto: «Io voglio insegnarvi un me-

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todo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento». La settimana del Confronto è stata così una vera settimana di vita immersa nella spiritualità giovanile salesiana, facendo esperienza di quella gioia vera che giovani di tutto il mondo trovano nel “cortile salesiano”.

le tRe “peRle” dI don pAsCuAl peR I gIovAnI Il 16 agosto, 198 esimo compleanno di don Bosco, don Pascual Chávez ha parlato a cuore aperto ai giovani radunati nella “Betlemme salesiana”, come lui stesso l’ha definita. Il dialogo nato dalle domande dei giovani ha messo in luce la loro voglia di andare alla radice del senso della vita e di ciò per cui vale la pena, oggi, donarla. Con le sue calde parole, don Pascual, alla sua ultima visita al Colle don Bosco come successore di don Bosco, ha donato ai giovani d’Italia e di tutto il mondo tre perle da incastonare nel programma di vita di ciascuno. «Imparate a nuotare controcorrente. È l’unico modo di essere fecondi nell’amore», «Coltivate desideri! Nessuno può sognare in grande se non ha visto le stelle», «Non sprecate la vostra vita.

Dovete mettere in gioco la vostra esistenza!». Tre indicazioni cristalline che tracciano il cammino di ciascuno e del MGS nel suo insieme. Essere Testimoni della Gioia è lasciarsi avvolgere dalla carità pastorale, ovvero da quella espressione particolare della carità, che richiama la figura di Gesù Buon Pastore. Ciò diventa per tutti impegno per annunciare il Vangelo, l’educazione alla fede, la formazione della comunità cristiana, centro e sintesi della spiritualità salesiana, che ha il suo punto di partenza nell’esperienza di don Bosco stesso, che nel nuovo anno pastorale è indicato come vero maestro di vita spirituale.

dopo Il ConfRonto: sI InIzIA AllA gRAnde! La sfida, raccolta e fatta propria dai partecipanti all’evento nazionale, non si ferma ai giorni vissuti in Piemonte in comunione con i luoghi salesiani, ma continua nei propri centri e nelle situazioni di vita quotidiana a stretto contatto con quelle realtà sociali ed ecclesiali in cui ogni giovane è chiamato a condividere i doni della gioia e della speranza, della responsabilità e della solidarietà,

della prossimità e della cura dei più piccoli e dei più bisognosi. Essere oggi «buoni cristiani ed onesti cittadini» per essere domani «futuri abitatori del cielo»: due espressioni che indicano con chiarezza il concreto radicamento nell’oggi che ci è donato, ma anche l’orizzonte e il traguardo verso cui siamo incamminati e da cui attingiamo la forza della testimonianza e della gioia: il Cielo! Il futuro di tutti i giovani e del MGS è infatti quello di essere concretamente Testimoni della gioia, così come afferma Madre Yvonne nel suo messaggio: «La sorgente dell’autentica gioia? È Gesù». Lasciandoci incontrare ogni giorno dal suo sguardo (che è sempre uno sguardo di amore!) nasce la vera gioia, quella duratura che nessuno può rubarci e si sperimenta in quell’energia interiore che ci rende missionari tra i giovani. In queste espressioni si raccoglie l’insegnamento di vita di don Bosco e dei santi della Famiglia Salesiana. Sotto la spinta e con la forza di questo insegnamento i 1200 giovani partecipanti al Confronto sono partiti per tornare nelle proprie città con la forza per testimoniare e la certezza di condividere questo impegno con tanti altri fratelli e sorelle in tutta Italia. Marco Lardino Segr. Naz. mGS redazione.rivista@ausiliatrice.net

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don bosCo oggI

Alla corte di

Monsignor gastaldi Allora ci rimangono tre domande, mi hai concesso… Don Bosco mi e si versa ancora un bicchiere di vino e annuisce. db Concesso volentieri. dg Però saranno tre domande scomode… db Mi hanno sparato quando ero in vita… credi di potermi fare più male con quella penna… e poi qui, vicino a Dio? Arrossisco. dg Ehm, nessuna intenzione di farti del male, mai avuta giuro. Ma forse qualche lettore potrebbe avere qualche colpo di cuore. Il Santo alza le mani ridendo. db Per una cosa letta? Eh che sarà mai… dimmi, dimmi tutto… dg Dunque… ehm… - concludo con un soffio di voce: la Chiesa ti ha mai fatto soffrire? db Partita a scopa - risponde secco don Bosco. dg Partita a scopa? - ripeto convinto di aver capito male. db Con mons. Gastaldi. Stasera alle 21,00, orario di Roma. Qui in paradiso. Ogni settimana ci dedichiamo un buona ora per giocare a carte. Sono abbastanza sicuro che il prete santo mi stia prendendo in giro. dg Partita a scopa. Tu e il vescovo che non ti ha mai approvato. db Consigliato male. dg Che ti ha cercato di far internare in manicomio perché pensava che eri pazzo… db Lo sono - annuisce il santo dg

lo sono pazzo. Pazzo di Dio, dei giovani e del paradiso. dg Ma lui diceva pazzo… e basta… - oso ribattere. db Aahhh - allontana il pensiero alzando una mano - quello lo dicevano alcuni miei confratelli che aveva accanto e che non accettavano il mio vivere sopra le righe… sai… l’invidia è il terribile peccato degli ecclesiastici… dg Ecco, ci siamo. Sapevo che saremmo arrivati al punto che il Direttore della Rivista mi avrebbe censurato. db Perché? È simpatico il ragazzo, ha una bella risata… vuol dire buon cuore… dg Sì, ma vacci piano con gli ecclesiastici… - poi mi rendo conto che non mi sto comportando in maniera molto professionale e prendendo coraggio mi correggo - …se puoi…

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Potrei, ma non ci vedo nulla di male a dire che non mi piace molto questa Chiesa… Per fortuna che lo Spirito Santo ci ha regalato Papa Francesco… sai, lo Spirito Santo è la sorpresa di Dio… dg Bella definizione - approvo. db Va per la maggiore da queste parti. Lo sentiamo arrivare come una calda coperta che ti viene messa addosso al sorgere del sole, quando stare a letto al calduccio è più bello… Mi spiace interromperlo ma devo capire. dg Scusa, ma perché… dormite anche qui in Paradiso? db Qui fai quello che vuoi, basta farlo con amore… dg Robe da pazzi. db No. I pazzi siete voi… dg Cioè? - la cosa mi incuriosisce. db I pazzi siete voi che non sapete db


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vivere. Sulla terra fate molto controvoglia, con fatica, senza impegno e passione. È ovvio che poi la vita diventa insopportabile. Mi sento un po’ preso in mezzo e metto qualche giustificazione… in realtà cercando di portarlo fuori dal discorso degli ecclesiastici che non vorrei toccasse troppo… dg Sai… non tutti possono fare quello che desiderano nella vita. Qualcuno nasce e vive nell’indigenza. db Guarda che parli con un povero prete, mica con un ricco banchiere. dg Sì, ma tu hai fatto quello che ti piaceva. db Certo. E la vita non mi ha aiutato. E nemmeno il mio vescovo, e nemmeno i miei confratelli. E nemmeno la mia diocesi. Ma non mi sono seduto arrabbiato e sconsolato per questo. La fede aiuta a trasformare la vita in una occasione straordinaria al di là di come secondo il mondo vanno le vicende della vita. dg Bè, tu però sei un vincente anche agli occhi del mondo…

Qualche onore da vecchietto, e solo per un po’ di cattolici… il resto del mondo era disinteressato alla nostra opera, allora come oggi. E mi dispiace davvero, non lo dico per me, ma per il fatto che così si sono perse e si perdono tante occasioni per aiutare ancora di più i giovani – si porta il bicchiere alla bocca e ne assaggia un sorso assaporando con calma il vino. Dischiude le labbra soddisfatto – sì, bisogna assaporarla la vita. Gustarla ad ogni sorso. Solo così merita di essere vissuta. dg Quindi… la vita… come viverla… - sto cercando di deviare ancora il discorso ma il santo prete ha mantenuto la memoria che aveva in terra, quando ricordava tutto di ogni suo singolo giovane. db Dunque dicevamo. Mons. Gastaldi… ci siamo chiariti… tutto bene adesso. Anzi… ha ricevuto la tessera di ex-allievo onorario… in fondo anche lui ha frequentato don Bosco abbastanza. dg Eh… già… Mons. Gastaldi… ex-allievo onorario… questo sì che è uno scoop. db E poi la Chiesa… non mi piacciono alcuni aspetti di quella di oggi che poi erano gli stessi di quella di allora… Mando giù la saliva, so che sta per arrivare la tempesta. dg Signore Pietà - esclamo. db Appunto - concorda don Bosco - ci vuole una santa pietà per certe cose - ad esempio i funzionari del sacro, quei preti convinti che sono i curatori degli affari di Dio sugli altari e si dimenticano dei cortili delle canoniche, dell’ascolto appassionato dei fedeli, delle famiglie in difficoltà economiche della loro parrocchie e vivono in club borghesi tutti attenti db

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a commentare solo le notizie di curia. dg Davvero, caro Padre, vacci piano… db Sono proprio quelli che hanno contestato l’opera che il Signore ha pensato di realizzare attraverso la mia povera persona. Una delle cose più tristi per un ecclesiastico è non saper andare oltre se stesso, pensare che solo lui sia il metro di ogni cosa: della sua parrocchia, della chiesa, della fede… alla fine misuri così anche Dio stesso e ovviamente ne soffochi la grandezza. dg Ehm… già… parliamo ovviamente di una Chiesa ipotetica. db No, no… proprio di quella di oggi. Quella più interessata ad un paramento lussuoso dove nascondersi che ad aprire la porta di un cortile per far dare due calci al pallone ai ragazzi di strada, passando un poco di tempo con loro piuttosto che a disquisire sull’oggettività della verità… bello scioglilingua tra l’altro. dg Ho diritto ad altre due domande, vero? db Si, ma poi non ti lamentare se le risposte sono più scomode di quello che pensi. dg Imbarazzato rispondo: - È che a proposito di verità penso che ogni tanto possa fare male. db Quando è detta senza carità. Altro difetto della chiesa dei funzionari che lo stesso nuovo Papa sta rimproverando in terra. dg Ti piace proprio il Papa Francesco vero? db Ho sempre avuto buoni rapporti con i pontefici. dg E proprio di questo adesso ti volevo chiedere… (continua Diego Goso dondiegogoso@icloud.com


don bosco: il padre del sistema preventivo

© Mario Bogani

don bosCo oggI

È il più bel dono lasciatoci dal nostro fondatore. Nel vivere la ricorrenza del bicentenario della nascita di don Bosco è quanto mai importante concentrarsi a studiare e a riscoprire il sistema educativo da lui elaborato e maturato con tanta dedizione e passione. Egli vive in un secolo quanto mai fecondo di cultura e di riflessione pedagogica. Molti suoi, quasi contemporanei, dalla Montessori a Decroly, da Winnetka a Comenio, da Pestalozzi a Froebel, hanno scritto pagine o elaborato metodi che sono rimasti nella storia della pedagogia. Figlio del suo tempo, così viene presentato da don Ceria: «Al pari di chi nasce poeta o musico o filosofo, don Bosco nacque educatore». Se le cose stanno veramente così, noi suoi poveri figli, siamo moralmente obbligati e chiamati a fare nostra la sua prassi educativa se vogliamo continuare ad essere salesiani credibili. Dobbiamo farlo con molta circospezione e delicatezza. Non si tratta di compiere delle scorrerie intellettuali fra infinite pagine intrise

di fine teoria, ma di penetrare in un cuore che ha fatto della missione educativa il principale motivo del suo essere persona e prete. È importante celebrarlo non tanto nella rievocazione della grandezza della sua personalità e delle realizzazioni da lui felicemente portate a termine, quanto piuttosto non esitare a violare la sua privacy per fare nostre le sue più intime motivazioni che lo spinsero ad agire con passione ed intelligenza pratica instancabile verso l’educazione umana e cristiana della gioventù.

le RAdICI del sIsteMA pReventIvo Il “sistema preventivo” nasce dalla sua capacità di saper concretizzare un’azione educativa e benefica approfittando del nuovo clima creatosi a Torino in seguito allo Statuto Albertino (1848) ed all’avvento dell’età cavouriana ricca di novità sociali e politiche. Non si blinda nella elaborazione teori-

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ca di una pedagogia astratta, ma le sue intuizioni trovano origine dalla quotidiana frequentazione di cortili, scuole, galere, ambienti lavorativi, laboratori e nascenti attività imprenditoriali del tempo. Il metodo educativo non è chiuso da principi teorici intoccabili, ma lo si deve assimilare e adattare continuamente in base all’esperienza maturata a contatto con una realtà sociale magmatica ed in continua evoluzione. L’intelligenza, l’esperienza e la passione educativa sono le tre colonne su cui si fonda. È perennemente in progress. Di questo non dovrebbero dimenticarsi alcune testoline di giovani salesiani attuali che, beati loro, sostengono di doversi liberare della memoria del passato per poter rifondare la Congregazione. Questo è un brutto segno della veridicità del dubbio, maturato nel corso degli anni, del grande tradimento educativo verificatosi e che han portato alla devitalizzazione del Sistema Preventivo dovuta al fatto di averlo incapsulato nella pletora delle chiacchiere più o meno accademiche ed averlo così alienato nel limbo delle buone intenzioni allontanandolo dalla prassi quotidiana. Non essendo più innervate dalla linfa educativa salesiana, molte istituzioni mantengono solo più il blasone della scuola seria e selettiva senza essere supportate da una equivalente azione educativa.

e di delazione, e da una accurata selezione acritica fatta attraverso valutazioni scolastiche non sempre obiettive. L’ordine e la disciplina camuffano la carenza di ragione, religione ed amorevolezza. A volte i pur brillanti risultati agli esami di Stato non sono accompagnati da una altrettanta buona riuscita in termini di fede e maturità. In occasione del bicentenario faremmo bene tutti a riflettere su quanto don Bosco scrive: «I giovanetti sogliono manifestare uno di questi caratteri diversi: indole buona, ordinaria, difficile e cattiva. È nostro stretto dovere di studiare i mezzi che valgono a conciliare questi caratteri diversi per fare del bene a tutti senza che gli uni siano di nocumento agli altri». L’accostamento al singolo, la non ricerca di consensi collettivi, l’educazione critica e consapevole, il rispetto della coscienza, la cura dell’ambiente umano in termini di libertà, maturità e solidarietà, il rispetto della libertà, il rifiuto di ogni servilismo, il radicale rifiuto dell’adulazione, la capacità di scegliere collaboratori capaci, critici e leali, sono tutti pilastri del sistema educativo di don Bosco. Sarebbe bello riscoprirli e viverli radicalmente. La più bella celebrazione del bicentenario consiste non nel bearsi dei bei tempi che furono, ma nel liberare da ogni tradimento il carisma educativo che don Bosco, con tutte le sue forze fino alla morte, ci ha lasciato in eredità.

le Rughe AttuAlI del sIsteMA pReventIvo e glI AntIdotI L’empatia educativa, dove, secondo don Bosco, la familiarità, l’accettazione, la ragione e la fede giocano un ruolo essenziale, si è un po’ ossidata. Spesso esse sono sostituite dal peso del registro e della valutazione scolastica, dalla disciplina e da una condotta più formale che coerente. Don Braido ci ricorda che il “sistema preventivo” esige per definizione la più viva ed attenta preoccupazione per gli individui e le singole “personalità” degli educandi. Soltanto nel sistema “repressivo” è possibile la manovra e la manipolazione delle masse, attraverso ordini precisi e perentori, il cui rispetto è garantito da ben organizzati servizi di controllo

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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don bosCo oggI

beata colei che ha creduto

La prima enciclica di papa Francesco, Lumen fidei, si conclude con due numeri e con una preghiera dedicati a Maria, donna di fede. A conclusione dell’Anno della fede li proponiamo perché crediamo che Maria Ausiliatrice ci aiuta a vivere la nostra fede e a testimoniarla con gioia. 58. Nella parabola del seminatore, san Luca riporta queste parole con cui Gesù spiega il significato del “terreno buono”: «Sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Nel contesto del Vangelo di Luca, la menzione del cuore integro e buono, in riferimento alla Parola ascoltata e custodita, costituisce un ritratto implicito della fede della Vergine Maria. Lo stesso evangelista ci parla della memoria di Maria, di come conservava nel cuore tutto ciò che ascoltava e vedeva, in modo che la Parola portasse frutto nella sua vita. La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dirà santa Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). In Maria, Figlia di Sion, si compie la lunga storia di

fede dell’Antico Testamento, con il racconto di tante donne fedeli, a cominciare da Sara, donne che, accanto ai Patriarchi, erano il luogo in cui la promessa di Dio si compiva, e la vita nuova sbocciava. Nella pienezza dei tempi, la Parola di Dio si è rivolta a Maria, ed ella l’ha accolta con tutto il suo essere, nel suo cuore, perché in lei prendesse carne e nascesse come luce per gli uomini. San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito “fede e gioia”. Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede. Nella sua vita, Maria ha compiuto il pellegrinaggio del-

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la fede, alla sequela di suo Figlio. Così, in Maria, il cammino di fede dell’Antico Testamento è assunto nella sequela di Gesù e si lascia trasformare da Lui, entrando nello sguardo proprio del Figlio di Dio incarnato. 59. Possiamo dire che nella Beata Vergine Maria si avvera ciò su cui ho in precedenza insistito, vale a dire che il credente è coinvolto totalmente nella sua confessione di fede. Maria è strettamente associata, per il suo legame con Gesù, a ciò che crediamo. Nel concepimento verginale di Maria abbiamo un segno chiaro della filiazione divina di Cristo. L’origine eterna di Cristo è nel Padre, Egli è il Figlio in senso totale e unico; e per questo nasce nel tempo senza intervento di uomo. Essendo Figlio, Gesù può portare al mon-


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ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

www.admadonbosco.org do un nuovo inizio e una nuova luce, la pienezza dell’amore fedele di Dio che si consegna agli uomini. D’altra parte, la vera maternità di Maria ha assicurato per il Figlio di Dio una vera storia umana, una vera carne nella quale morirà sulla croce e risorgerà dai morti. Maria lo accompagnerà fino alla croce (cfr Gv 19,25), da dove la sua maternità si estenderà ad ogni discepolo del suo Figlio (cfr Gv 19,26-27). Sarà presente anche nel cenacolo, dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù, per implorare con gli Apostoli il dono dello Spirito Santo (cfr At 1,14). Il movimento di amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito ha

percorso la nostra storia; Cristo ci attira a Sé per poterci salvare (cfr Gv 12,32). Al centro della fede si trova la confessione di Gesù, Figlio di Dio, nato da donna, che ci introduce, per il dono dello Spirito Santo, nella figliolanza adottiva (cfr Gal 4,4-6). 60. A Maria, madre della Chiesa e madre della nostra fede, ci rivolgiamo in preghiera. Aiuta, o Madre, la nostra fede! Apri il nostro ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata. Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e acco-

gliendo la sua promessa. Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede. Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare. Semina nella nostra fede la gioia del Risorto. Ricordaci che chi crede non è mai solo. Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino. E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!

Maria aiutaci a camminare uniti nella gioia

Maria proteggi i piccoli

Maria aiutaci a credere come te e con te!

Maria tieni unite le nostre famiglie

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don bosCo oggI

Da Montà d’Alba: cardi al gorgonzola

Definito “uno dei più interessanti avvenimenti architettonici del Roero” il Sacro Monte di Montà d’Alba, il più piccolo del Piemonte, è meta di importanti itinerari devozionali soprattutto nella prima domenica di maggio, in cui le popolazioni dell’Alta Langa si radunano nel santuario dei Piloni. Il nome deriva dalla presenza delle tredici cappelle che completano il complesso sacro, sparpagliate nella valle di Diana, denominazione legata al culto della divinità pagana diffuso in epoca romana nei boschi langaroli. La chiesa, dedicata ai santi Filippo e Giacomo, sorge sui resti di un piccolo oratorio costruito nei primi secoli dell’era cristiana, soppiantando presumibilmente un tempietto funerario dedicato alla famiglia di un legionario romano. Tale origine sarebbe testimoniata dalla presenza di due mascheroni di marmo bianco, attualmente posti sulla facciata del santuario, che subì, nel corso dei secoli, diverse ricostruzioni, fino alla seconda metà del Seicento. Alla seconda metà del Settecento risale la costruzione dei Piloni, riproducenti le stazioni della Via Crucis, demoliti e ricostruiti dopo un secolo, culminanti nella Cappella del Santo Sepolcro, cui è legato il racconto di fatti miracolosi. Sulle colline albesi, note per i vigneti e i noccioleti,

prosperano anche ortaggi invernali come i cardi, ingrediente base della seguente ricetta: Cardi al gorgonzola Ingredienti: un cardo, 2 dl di latte, 1 dl di panna, 100 g di gorgonzola, 50 g di parmigiano grattugiato. Cuocere il cardo, tagliato a pezzi, in acqua salata per 30 minuti. Scolare e adagiare in una pirofila. Tagliare il gorgonzola a cubetti e scioglierlo a fuoco lento in una miscela di latte e panna. Versare la crema sui cardi, disposti a strati. Cospargere di parmigiano e cuocere in forno a 180° per 30 minuti circa. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

• Un cardo • 2 dl di latte • 1 dl di panna • 100 gr di gorgonzola • 50 g di parmigiano grattuggiato

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Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. (Gv 1,9)

Che immagine abbiamo di Dio? Forse ci appare come un giudice severo, come qualcuno che limita la nostra libertà di vivere. Ma tutta la Scrittura ci ricorda che Dio è il Vivente, colui che dona la vita e che indica la via della vita piena. papa Francesco

A TUTTI E A CIASCUNO AUGURIAMO BUONE FESTE

agendiaria 2014 Agenda-diario 14 mensilità formato tascabile, calendario liturgico arricchito con le festività proprie della Famiglia Salesiana, ogni mese “don Bosco” ci racconta la sua storia. per info e prenotazione: tel. 011 52 24 203 diffusione.rivista@ausiliatrice.net Acquista on-line: www.donboscotorino.posteecommerce.it

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Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice Tel. 011 52 24 253 - Fax 011 52 24 262 - m.ausiliatrice@tiscali.it

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NOVEMBRE-DICEMBRE 2013

Nº 6 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE

novembre-dicembre

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di gioia e speranza pag. 10 I “recuerdos salesianos” di Papa Francesco

pag. 46 Al Bano

“Da sempre con l’Ausiliatrice”

A

pag. 50 Don Bosco è qui La sua urna visita l’Italia.

Rivista Maria Ausiliatrice – Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino Fax: 011.5224677 – email: diffusione.rivista@ausiliatrice.net Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 – IBAN: IT 15 J 076 0101 0000 0002 1059 100

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