Retrò Magazine Numero 2.

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125 SETTEMBRE 2012

Qualcosa finalmente si muove. La settimana trascorsa ci consente di avere una panoramica più chiara su ciò che potrà succedere nei prossimi mesi. I giochi non sono ancora fatti, ma sia l'intervento di Bersani a Reggio Emilia, sia l'intervento a Chianciano di Casini sembrano concederci, finalmente, una chiave di lettura sui giochi che si faranno da qui alle prossime elezioni. Ormai è lampante che tutto ruoti intorno alle primarie del centro-sinistra, i sondaggi che preoccupano il Segretario del Pd, danno Renzi in costante crescita, ma lo stesso Vendola non è da sottovalutare. Cerchiamo di capire cosa potrebbe succedere. La vittoria di Bersani, oggi data favorita, porterebbe il Partito Democratico ad una campagna elettorale stile seconda Repubblica, probabilmente con la demonizzazione del centrodestra e la deriva a sinistra della coalizione, nella speranza di recuperare i moderati dopo le elezioni.

La vittoria di Renzi, non così scontanta, potrebbe rivelarsi come la vera novità di questa difficile fase politica. Consentirebbe al Partito Democratico un respiro decisamente più ampio, con una probabile chiusura a molte istanze vendoliane e l'immediata apertura verso i moderati. Sono molti gli italiani, trasversalmente da tutti gli schieramenti politici, che lo

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vorrebbero alla guida del Governo, tutto sta nel capire se le primarie basteranno al Sindaco per dimostrare di esserne all'altezza.

La vittoria di Vendola sarebbe sinonimo di ingovernabilità. Se la bilancia si spostasse decisamente a sinistra le cose si farebbero complicate. La chiusura ai moderati sarebbe immediata, sia prima che dopo le elezioni, e la stessa continuità, che a tutti i livelli ci viene richiesta, sarebbe messa a dura prova. Le posizioni del Leader di Sel rispetto al governo Monti sono chiare.

Al centro le cose cambiano. Pierferdinando Casini, il primo azionista dei tecnici, a Chianciano ha messo finalmente le carte in


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tavola. Ricostruire il campo dei moderati. Una missione che, per quanto nobile, potrebbe risultare al di là delle reali capacità di un partito che non è stato in grado di superare il 6 % in questi anni. Soprattutto non è l'unico a voler pascolare nel campo moderato. Italia Futura, associazione reietta a definirsi partito, si è immediatamente distinta dal progetto neodemocristiano. Ma se le strade di Montezemolo e Casini dovessero incontrarsi gli analisti danno questa formazione intorno al 15-18%. Certo è che un governo che andasse da Renzi a Montezemolo, oltre a garantire la massima continuità rispetto al Governo Monti, garantirebbe di certo un'ottima governabilità, visti i numeri. Bersani, al contrario, avrebbe difficoltà a far sedere allo stesso tavolo il Presidente della Ferrari e il Governatore della Puglia.

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Non si può far altro che attendere che batta un colpo prima di poter azzardare un'analisi. Allo stesso tempo, con uno sbarramento al 5% la Lega oggi rischierebbe di non entrare neanche in Parlamento. La variabile Grillo, sicuramente positiva per le molte istanze condivisibili che cavalca, non

rappresenta altro che la percentuale di certa ingovernabilità nel nostro Paese. Oggi è dato al 18%. La partita su chi sarà il prossimo Presidente del

Il centro-destra sembra che stia preparando l'asso nella manica. Se il Pd si da già vincitore, Berlusconi non ha niente da perdere.

Consiglio, come abbiamo visto, non è così scontata. Niente esclude che determinata la coalizione di Governo allo stesso Monti non si riproponga un Monti bis. Vedremo. EDOARDO LOMBARDO

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do Roca, l’estremità più occidentale - Ph Alberto Londra, The Shard. Il Cabo grattacielo più altro dell’Unione Europea d’Europa frutto del genio di RenzoSchilirò Piano. - Ph Alberto Schilirò


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Primarie a sinistra: il punto. 4/9/2012 Qualche mese fa, con l'estate alle porte, Pierluigi Bersani annunciava le Primarie come strumento per decidere chi sarebbe stato il candidato di sinistra al ruolo di Presidente del Consiglio. Non si tratta dunque di Primarie interne al PD, come quelle del 2009 teatro dello scontro Bersani – Franceschini – Marino il cui compito era quello di eleggere il Segretario di partito, ma riguardano un intero polo. Spazio quindi agli altri schieramenti politici: Di Pietro? Rifiuta cortesemente l'invito, e rilancia: creerà una coalizione politica riformista targata IDV, con la quale si candiderà direttamente alla Presidenza del Consiglio. Casini? Tagliato fuori dallo stesso Bersani, che al Leader dell'UDC ha di recente preferito quello SEL, Nichi Vendola. Rimane proprio il Presidente della Regione Puglia, che il 1 di agosto scioglie la riserva e, “alla fine di un lungo indugio”, si candida “sulla base di una spinta larga”, che viene, sempre secondo Vendola, “dagli organismi dirigenti di Sinistra e Libertà ma non solo”. L'innegabile favorito è Pierluigi Bersani, che secondo gli ultimi sondaggi non dovrebbe avere problemi a ribadire il suo ruolo di leadership all'interno della coalizione che si sta creando. Lo spauracchio tuttavia c'è e si chiama Matteo Renzi, discusso sindaco dei fiorentini nonché portavoce del tanto atteso ricambio generazionale che, in Italia, si auspica dappertutto. Renzi è il volto nuovo e fresco del PD, il prediletto di una forza da non sottovalutare come quella dei Giovani Democratici e, recentemente, il bersaglio della vecchia classe dirigente del suo partito. Renzi infatti non ha alcun timore reverenziale e parla a ruota libera: le dichiarazioni fatte ieri alla Festa Democratica di Reggio Emilia sono pesanti come dei macigni, e suonano come capo d'accusa a molti uomini forti del PD, vedi Rosi Bindi e

Franceschini. I due, infatti, avrebbero “utilizzato le primarie per avere poi un premio: senza fare nomi e cognomi, se uno fa le Primarie e poi diventa Vicepresidente della Camera o Capogruppo, allora è evidente che le Primarie siano uno strumento per definire la propria sistemazione politica”. Attacca le teste di serie, Renzi, ma verso Bersani mostra un atteggiamento conciliante e rispettoso:”la nostra sarà una sfida seria, sui contenuti, col sorriso sulle labbra e senza parlare male degli altri” e ancora “non siamo chiamati ad una ennesima divisione, la regola del gioco è che il giorno dopo chi perde dà una mano a chi vince”. Mentre i riflettori sono puntati i riflettori sullo scontro interno al Partito Democratico, Nichi Vendola continua ad allontanarsi dall'UDC di Casini: non solo i due non correranno insieme in campagna elettorale, ma è in dubbio anche una loro coesistenza in una maggioranza parlamentare. Ce n'è anche per Renzi, che al centro delle primarie dovrebbe porre “il Sulcis, l'Ilva, il lavoro”. La Grande Coalizione auspicata da Bersani è ancora fumosa ed incerta, potrebbe cambiare da un momento all'altro. Le Primarie invece non si discutono, ma se Bersani dovesse perderle allora sarebbe il Caos. Che la sfida abbia inizio. MATTEO FONTANONE

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La democrazia manichea. 7/9/2012 Un commento. Sui palchi democratici e repubblicani stanno le batterie di artiglieria da campagna elettorale. E se al comando dei pezzi ci sono i candidati, allo sparo vengono messe le mogli, i fedelissimi, gli attori di Hollywood. Ogni servente al pezzo ha una palla di cannone imbottita di chiodi e fede nel candidato Romney o nel paladino dei sogni Obama. Le presidenziali statunitensi restano un grande esempio di politica rispetto alla moda italiana, ma fanno sorridere e riflettere. Al contrario dei nostri uomini di cultura e spettacolo, caratterizzati dal nichilismo elettorale e -salvo eccezioni- da attivismo lontano dalle logiche parlamentari, gli esponenti della società civile statunitense sanno sempre dove stare, attori e gente di spettacolo in testa. Li si trova sulle colonne dei giornali -ultimo Woody Allen, a favore di Obama dalle colonne del Paìs-; erano sul palco di Al Gore nel novembre 2000 a festeggiare per la più grande cantonata che il partito democratico abbia preso negli ultimi dieci anni; si schieravano accanto a mamma Kennedy nella corsa per la Casa Bianca di Bob, prima che incappasse in una pistola in cucina; si facevano fotografare accanto a "Tricky Dick" tra un concerto alle Hawaii e una domenica nel coro della chiesa; capita anche che si facciano strada e diventino capi di Stato da guerre stellari. Sanno dove stare. I membri di quell'olimpo del cinema sanno scegliere, e spesso vengono schierati in campo. Hanno i volti di un gruppo rock, o gli occhi di un uomo che sotto la barba ha "solo un altro pugno", le voci di generazioni di cantanti folk o il muscolo del governatore della California. Si mettono in gioco e combattono aspre battaglie tra loro in difesa dei propri candidati -proverbiale Michael Moore che sbriciola il vecchio Callaghan intento a svuotare

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la sua .44 contro una sedia vuota-. L'uso che la politica americana fa del mondo dello spettacolo non è sbagliato, non intendo dire questo -sarebbe peggio usare i media in campagna elettorale!-, ma mette in mostra un tratto importante della società che sta "dalle foreste rosse alle acque d'oro del Golfo". Una nazione che si distingue profondamente dalla cugina europea, abituata al rigore, alla politica "di mestiere". La corsa per Washington coinvolge, oggi, un agglomerato sociale che non sa stare in disparte, ma che gioca in larghissima parte lo scontro tra democratici e repubblicani, che si schiera sempre in una battaglia dai tratti biblici. Una battaglia alla quale ogni uomo o donna è chiamato, e i cui cavalieri dall'armatura luccicante sono appunto gli attori. Noi e loro, buoni e cattivi, bene e male, Stato e privato. Armageddon. Una nazione che si divide nettamente in bianco e nero. Una nazione manichea. E comunque, una democrazia migliore della nostra. JACOPO CALZI


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rovine delpiùCastello della Fava Europea a Posadafrutto (Nuoro) - Ph Alberto Londra, The Shard. Il Le grattacielo altro dell’Unione del genio di RenzoSchilirò Piano. - Ph Alberto Schilirò

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Termopili: quando il coraggio conta più della forza. 29/8/2012 Ci sono uomini destinati ad entrare nella storia, battaglie che da sole sono in grado di cambiare il corso degli eventi, avvenimenti tali da entrare nel mito, nella cultura popolare, rivivere per secoli nei versi dei poeti, nelle immagine proiettate su uno schermo o nelle tavole di un fumetto. Sono uomini come Leonida, sono battaglie come le Termopili. Era l’agosto del 480 a.C quando il celebre passo fu lo sfondo dello scontro tra due culture, due sistemi di valori, due mondi opposti: da un lato la voglia di rivincita, la presunzione, il senso di superiorità dello scenografico e numerosissimo esercito persiano guidato da Serse, sicuro di riuscire là dove il padre Dario aveva fallito: sottomettere la Grecia; dall’altro lato il coraggio, il senso dell’onore, il valore dei Greci e,

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soprattutto, di Leonida e dei suoi 300 Spartani, pronti a sacrificarsi pur di salvare la libertà delle poleis, delle loro famiglie, delle democrazia e di tutto ciò in cui credevano. Come racconta lo storico greco Erodoto, l’esercito persiano era composto da più di 2000000 di uomini: uno scontro in campo aperto sarebbe stato inutile e disastroso per i Greci. Fu per questo che l’astuto re spartano Leonida decise di cercare di rallentare l’avanzata dei nemici al passo delle Termopili, passaggio obbligato per gli invasori: in quella strettoia la superiorità numerica dei nemici, delle loro armi sarebbe stata ridimensionata, perché sarebbero stati costretti ad incolonnarsi. Era comunque uno scontro senza speranza, ma anche l’unica possibilità per Grecia di riuscire a respingere gli invasori. Fu così, che al di là di ogni aspettativa, Leonida, insieme ai suoi 300 Spartani e altre forze greche


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riuscì a resistere per tre giorni, combattendo sotto il cielo oscurato dalle frecce dei Persiani, respingendo gli assalti del terribili Immortali, i soldati del corpo scelto dell’esercito di Serse. Forse sarebbero riusciti a resistere ancora di più, se non fosse stato per il tradimento del pastore Efialte, che rivelò ai Persiani un sentiero segreto per sorprendere i Greci alle spalle. Ma anche quando fu chiaro che la sconfitta era inevitabile, Leonida ed i suoi 300 guerrieri non si ritirarono: allontanata la maggior parte dell’esercito greco, rimasero a combattere fino alla morte, consapevoli, come ogni Spartano, che da una battaglia si poteva ritornare solo con lo scudo o sotto di esso. Il loro sacrificio non fu inutile: grazie alle Termopili i Greci si resero conto che il temibile esercito persiano non era imbattibile, si riorganizzarono e sconfissero Serse nelle battaglie decisive di Salamina e Platea. Non sappiamo se quanto è stato tramandato da Erodoto corrisponda o meno alla verità, anzi molti studiosi sono oggi convinti del contrario. Ma ciò non toglie nulla a quanto la battaglia delle Termopili continua a rappresentare. Esistono cose per cui nella vita si è disposti a sacrificarsi, anche se si è consapevoli che probabilmente non si riuscirà a vincere. Valori, ideali, persone: ognuno di noi può avere un motivo diverso per combattere le sue Termopili. “Onore a coloro che nella vita hanno scelto le proprie Termopili e vi stanno di guardia” ha scritto il poeta greco Kostantinos Kavafis: ed è quello che dovremmo fare ogni giorno per difendere i nostri ideali e tutto ciò in cui crediamo, anche quando possiamo prevedere “che infine spunterà un Efialte e che i Medi, alla fine, passeranno”

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Editore: Associazione Retrò - Giovani per Torino. Direttore responsabile: Laura Siviero. Vicedirettore responsabile: Edoardo Lombardo Caporedattrici: Giulia Pescara, Gabriella Dal Lago. Art Director: Alberto Schilirò. Ritrattista: Bobby Saluvskij Redattori: Alessandro Antonioli, Miriam Barone, Mariagrazia Berardo, Nicola Berardi, Lorenzo Berto, Guglielmo Brugnetta, Clara Callipari, Jacopo Calzi, Silvio Carnassale, Leonardo Castagno, Germano Centorbi, Giacomo Conti, Alessandra Coppo, Giulia De Gennaro, Fabrizio De Gregori, Stefano Demarie, Filippo Durazzo, Matteo Fontanone, Alessio Giaccone, Margherita Giampiccolo, Dalila Giglio, Virginia Giustetto, Michael Glaxo, Matteo Griseri, Luca Guastini, Paola Iacovino, Tommaso Litrico, Andrea Magnano, Matteo Mancarella, Maria Musso, Stefano Nada, Marco Palladino, Federico Rovea, Sofia Roveta, Giulia Scarpa, Edoardo Schiesari, Andrea Testa, Jacopo Turini, Giancarlo Zema Registrazione n.15 del 16 Marzo 2012 presso il Tribunale di Torino.

MARIAGRAZIA BERARDO

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Trent anni fa moriva Carlo Alberto Dalla Chiesa. 3/9/2012 Era appena atterrato all'aeroporto di Palermo. Gli avevano offerto la macchina per raggiungere la Prefettura. Ma lui, no, preferiva non dare già subito così nell'occhio. Preferiva prendere un taxi come un cittadino qualunque, ma lui non era un cittadino qualunque. E i giornalisti speravano sempre in una sua intervista, quando lo vedevano uscire dall'auto, dai palazzi in cui andava e tornava, ma lui niente. Le uniche cose che diceva erano sempre "Non ho niente da dichiarare", magari attirandosi le antipatie dei giornalisti, che lo etichettavano come scorbutico. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, era arrivato a Palermo con un solo obbiettivo: combattere la mafia. Un compito che, come ha dichiarato, avrebbe svolto senza se e senza ma. Era stato mandato lì, a Palermo, appena dopo l'omicidio del politico comunista che dava tanto fastidio alla mafia per il suo 416: Pio La Torre. Il Prefetto avrebbe fin da subito sofferto della carenza dei poteri da parte dello Stato, "Mi hanno mandato qui con gli stessi poteri che avrebbe il Prefetto di Forlì!". Sicuri che il Prefetto non venne mandato lì solo per privarlo dei poteri necessari, e che quel Prefetto non fosse invece una minaccia per tutto il marciume della politica italiana? In quei suoi 100 giorni a Palermo, alla mafia stava già dando troppe seccature: aveva arrestato 10 boss corleonesi, smantellato una raffineria di eroina (erano gli anni in cui i corleonesi utilizzavano la droga come principale fonte di guadagno) e stava portando avanti un indagine sul rapporto 162 (sui boss della cosiddetta Nuova Mafia). Era il 3 settembre 1982, verso sera, la moglie al volante e lui nel sedile affianco. Due motociclette

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li raggiunsero e iniziarono a sparare selvaggiamente contro di loro con dei Kalashnikov. Silenzio. La gente che aveva lasciato le finestre aperte, si affacciò, altri accorsero in strada urlando "che è successo?" e appena videro la carneficina si spaventarono correndo a chiudersi in casa lasciando sul luogo del delitto solo i poliziotti. Tutti andarono a letto terrorizzati. Ma quando spuntò l'alba, davanti al luogo dove avevano ammazzato il Generale, il sole illuminò una scritta che aveva lasciato qualcuno di quei veri siciliani: "Qua finisce la speranza dei palermitani onesti". No Signori miei! Non è vero che finì lì, quel giorno, la speranza dei palermitani onesti! La Sicilia non è tutta mafia! Bisogna sconfiggerla la mafia, siciliani e non! Dopo trent'anni da quella tragica morte, quel popolo non deve vergognarsi a urlare: "Sono siciliano!" GIULIA DE GENNARO


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Tutti sul ponte. 4/9/2012 Sono circa le 20 di sabato primo settembre quando una folla festante di giovani provenienti da ogni parte del mondo si raduna sullo storico Ponte delle Catene dopo aver sfilato per il centro di Budapest. Il colpo d'occhio è di quelli che non si dimenicano: dodicimila sciarpe colorate vengono tese verso il cielo in un silenzio surreale. Musica all'improvviso, e le sciarpe iniziano a passare veloci di mano in mano in una rete rumorosa e divertita. La musica si ferma. Ancora silenzio, ancora braccia tese verso la stellata ungherese. Riparte la musica ed esplode la festa. Questa partecipatissima performance (il più grande flash mob nella storia di questo tipo di happening) è l'avvenimento conclusivo del Genfest, il raduno mondiale dei giovani del Movimento dei Focolari, movimento nato in seno alla chiesa Cattolica che oggi conta appartenenti di tutte le principali religioni del mondo. "Let's bridge" è il titolo dell'incontro che vuole rendere visibile una cultura giovanile interraziale basata sul dialogo, sull'ascolto reciproco e sulla ricerca PH ALBERTO SCHILIRÒ

costante di un rapporto sincero con l'altro.Sul gettare ponti tra le persone, appunto. Giovani da ogni parte del mondo sono arrivati a Budapest per partecipare al raduno che non si teneva da dodici anni, quando la città ospitante era stata Roma. La location questa volta è stata scelta per la sua valenza simbolica: nata dall'unione dei centri di Buda e Pest sulle due rive opposte del Danubio, la città è stata presa a modello di quell'intento di mettere in relazione culture e popoli diversi costruendo ponti di dialogo. La Sport Arena della capitale ungherese è stata teatro per tre giorni di concerti, performance e testimonianze di un popolo di giovani autenticamente disposti a spendersi per dare vita ad un popolo nuovo. Tuttavia lo spettacolo più coinvolgente sono state le aggegazioni spontanee, le canzoni nelle lingue più disparate e le eterogenee compagnie incontrate per le vie del centro, testimone di una vera e propria invasione. So let's bridge guys! FEDERICO ROVEA

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La ruota della discordia. 7/9/2012 Alla fine Torino avrà la sua ruota panoramica? Il capoluogo piemontese potrebbe essere la prima città italiana ad ospitare l’attrazione che è divenuta ormai il simbolo delle principali città europee. L’Agis, ovvero l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, aveva già presentato il progetto nel 2011, in modo che la nuova attrazione turistica fosse pronta per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Alla fine non è stato così, ma in questi giorni si è di nuovo tornati a parlare della ruota panoramica: una commissione della Circoscrizione Otto sta infatti vagliando un nuovo progetto, sempre dell’Agis, che sarebbe disposta a finanziarlo. Sessanta metri di altezza, 336 posti distribuiti su 42 gondole per un’attrazione che dovrebbe diventare un nuovo simbolo e polo turistico di Torino, come è stata la London Eye per la capitale del Regno Unito o la Wiener Riesenrad per Vienna. La ruota dovrebbe essere installata all’interno del Parco del Valentino, davanti all’Istituto Galileo Ferraris, in modo da assicurare la miglior vista sulla città e sulla collina. Ma non mancano le polemiche. Molte associazioni, come Pro Natura, sono contrarie alla scelta del luogo: collocare l’attrazione nella principale area verde della città comprometterebbe ulteriormente una situazione ambientale già critica, comportando un aumento del traffico in una zona che è già sede di iniziative sportive e commerciali, oltre che di locali notturni. Secondo Pro Natura sarebbe quindi preferibile optare per un altro luogo, come il Parco della Pellerina, ma questo, secondo i promotori,

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diminuirebbe il potenziale turistico dell’attrazione. Ma che cosa ne pensano i Torinesi? Accanto a coloro che evidenziano i vantaggi, anche commerciali, che la ruota potrebbe portare, sono molti i cittadini contrari a questa nuova attrazione: sarebbe sufficiente recarsi in collina, magari al Monte dei Cappuccini, per poter godere di una splendida vista sulla città. Il futuro della ruota panoramica torinese sembra quindi essere ancora incerto e non resta che augurarsi che, alla fine, non siano solo gli interessi economici a determinare la scelta definitiva. MARIAGRAZIA BERARDO


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Al via il vertice ONU a Torino. 7/9/2012 E’arrivato alle 8.15 al Castello del Valentino il Segretario Generale dell’ ONU, Ban Ki-moon accompagnato dal Vice Segretario Jan Eliasson e dalla Presidente Michelle Bachelet, attualmente impegnata per l’ONU: ad attenderlo nel cortile aulico della Facoltà di Architettura il Sindaco di Torino Piero Fassino, il Presidente della Regione Roberto Cota, il Presidente della Provincia, Antonio Saitta, il Presidente della Compagnia di San Paolo, Sergio Chiamparino, il Rettore del Politecnico Marco Gilli, il Presidente della Fondazione CRT Andrea Comba, il Prefetto di Torino Alberto Di Pace. Nel corso dell’incontro che ha preceduto l’inizio del seminario il Segretario Generale Ban Kimoon ha espresso alle Istituzioni locali la propria soddisfazione per il fatto di ritrovarsi per la terza volta a Torino e il proprio ringraziamento verso una città che si

adopera nel supporto e nel sostegno alle istituzioni dell’ONU insediate in città, sottolineando inoltre la volontà delle Nazioni Unite di promuoverle e rafforzarle. Cordiale il saluto del Sindaco Fassino e dei Presidenti Cota e Saitta: “Torino – ha ribadito Fassino- è orgogliosa di ospitare importanti

istituzioni delle Nazioni Unite ed è interessata ad incrementarne le attività con nuove iniziative che la città è pronta ad accogliere ”. A nome delle Istituzioni il Segretario Ban Kimoon ha ricevuto dal Sindaco una penna stilografica Aurora della Collezione Italia 150, con il cappuccio decorato con intarsi del toro rampante, simbolo della città, e di Palazzo Madama. EDOARDO LOMBARDO

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I 10 orrori dell’estate 2012. 6/9/2012 L’estate sta finendo. Le foglie ingialliranno, le scuole riapriranno i propri infernali battenti e i costumi da bagno lasceranno il posto a berretti e sciarpe. E di questa estate 2012, che cosa resterà? Il ricordo di un bacio, di una risata sulla spiaggia, degli spruzzi delle onde sul viso, del vivido colore degli ombrelloni. E poi loro. I tormentoni, i simboli, gli indelebili marchi di questi ultimi mesi. Di molti di loro avremmo volentieri fatto a meno, eppure il loro allucinante ricordo continuerà a perseguitarci nei giorni a venire. Trash, insopportabili, irritanti: ecco l’hit parade degli orrori che hanno segnato l’estate. 10 – Il Meme di Balotelli. Perché vederlo esultare è stato esaltante, rivederselo proposto in tutte le salse nei fotomontaggi – compresa una profetica carrozzina – anche divertente, ma “mobbasta veramente però”. Altrimenti anche i postini inizieranno a mettersi in posa dopo aver consegnato le lettere. 9 – “Mama Lover”. Perché le sconfinate terre russe hanno molto altro da offrirci: mentre le Pussy Riots marciscono in carcere, le Serebro sfrecciano per le strade infilando preservativi ai ghiaccioli e straziandoci con il più tormentante (e incomprensibile) dei tormentoni. 8 – Federica Pellegrini. Perché va bene tutto, ma tenere alti i colori italiani non vuol dire incarnare fino in fondo una delle più meravigliose caratteristiche nazionali: se le cose vanno male, la colpa è sempre degli altri. 7 – “Il Pulcino Pio”. Il declino della civiltà occidentale è pienamente incarnato dallo straordinario successo di un pezzo che, avrebbe detto il Sommo, fa tremar le vene e i polsi; e,

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aggiungeremmo, anche un po’ prudere le mani. La crisi non è solo economica, ma anche sociale e morale, se quest’estate trionfa la melodia perfetta per un’irritante suoneria da cellulare. 6 – Carrobbio & Masiello. Vedere accuse sparate contro ogni possibile bersaglio – purché sia a strisce bianche e nere – sta diventando quantomeno bizzarro. A meno di dare ragione a Palazzi quando chiedeva tre anni e mezzo per Bonucci usando come prova il fatto che si fosse seduto, durante un viaggio in pullman, nel posto accanto a quello di Masiello: uno talmente credibile che non riusciva nemmeno segnare un autogol che non sembrasse tratto da un film di Mr. Bean. 5 – Antonio Di Pietro. Perché, se l’antipolitica da spiaggia è il nuovo sport nazionale, rincorrere il più becero populismo è qualcosa che al massimo può fare Grillo: i rigurgiti anticasta di chi è da millenni in Parlamento e nelle cui liste sono comparsi illuminati statisti del calibro di Razzi, De Gregorio e Scilipoti sono credibili quanto un libro di fiabe per bambini. 4 – Le “Cinquanta Sfumature”. Tomi dall’aspetto accattivante che ci occhieggiano accanto al bancone degli autogrill, migliaia di copie vendute, le librerie invase di cattivo gusto, maleducazione e voyeurismo. Il porno sdoganato su carta, scene terrificanti e brividi ogni volta che si prova a sfogliare un volume della trilogia e ci si imbatte nell’ennesimo siparietto sadomaso. La letteratura è ben altra cosa.


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3 – Nicole Minetti. Arrivare nei posti di comando della più importante regione italiana per meriti non ben precisati (in attesa che il tribunale li precisi meglio) dovrebbe far scendere in piazza il popolino con i forconi, ma evidentemente è più piacevole ritrovare la bella Nicole su tutti i rotocalchi, e con Corona e con il Cruciani. Forse è più gratificante vomitare ingiurie su Napolitano e intanto rimirare beati l’avvenente consigliere? Come si dice, panem et burlesques. 2 – Il Paris Saint Germain. Perché ammazzare dei talenti per costruire un’elaborata raccolta di figurine è degradante per l’intero calcio. E, considerando il denaro speso, per il mondo intero. 1 – Gusttavo Lima. Perché “gata, me liga, mais tarde tem balada” è accattivante la prima volta che lo senti ma poi diventa una coltellata ai timpani. E siccome è già la seconda volta, dopo “Ai se eu te pego”, che Neymar dà il via all’invasione del nuovo tormentone, c’è solo da sperare che non succeda lo stesso con il suo nuovo taglio di capelli. MATTEO MANCARELLA

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Picchio - Ph Alberto Schilirテイ


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La nostra isola felice. 3/9/2012 Anche il clima ci ha avvisato: l’estate sta finendo e gli italiani si preparano ad affrontare la triste realtà con valigie, abbracci, saluti tra amici e qualche lacrima. Ogni anno si abbandona la spiaggia di sempre con gli occhi di un cittadino che parte e ritorna tra le sue mura e il suo cemento, lasciando per undici mesi quel paradiso naturale fatto di sabbia, mare e cielo. Noi siamo italiani per diversi motivi: pasta, pizza, mafia e Berlusconi ma anche perché amiamo le ferie ad agosto. Come la tradizione vuole, ogni anno si cerca di tornare nella solita cittadina marittima nella quale siamo cresciuti o abbiamo passato parte della nostra infanzia. Quello è il luogo dei nostri ricordi, dove abbiamo scambiato il nostro primo bacio, dove abbiamo mosso per la prima volta le braccia in mare senza l’ausilio dei braccioli, dove abbiamo imparato i balli di gruppo e dove abbiamo amato per la prima volta. Le vacanze estive non rappresentano quindi solo un momento di relax, di distacco dalla frenesia cittadina o di evasione ma sono la culla delle

nostre esperienze, sono il luogo e il momento in cui ci affacciamo in una vita parallela, dove impariamo a diventare grandi con altri amici, i così detti amici del mare, dove impariamo ad amare grazie agli “amori estivi” che a volte durano giusto il tempo di una stagione, a volte invece durano per sempre. Agosto assomiglia dunque a Babbo Natale: è in grado di regalare emozioni uniche, che rimangono impresse nel cuore e nelle nostre fotografie. È quel mese che porta il regalo più grande, ossia la libertà e la spensieratezza, dove né lo spread, né Montecitorio né la crisi possono entrare a disturbare la quiete dopo la tempesta. Agosto regala anche amicizie che dureranno per sempre, che si rinnovano ogni anno, che sembrano esistere da una vita proprio perché è da una vita che si coltivano. Quando salutiamo i nostri amici ad inizio agosto rimaniamo stupiti del loro sviluppo sia fisico che mentale ma alla fine loro sono sempre uguali e non cambieranno mai. Le vacanze estive regalano quei valori che sono difficili da recuperare in un mondo allo sbando

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come quello di oggi. Arrivare al mare e tornare nella stessa spiaggia di sempre vuol dire essere sicuri di trovare sentimenti veri, vuol dire provare un senso di casa e famiglia a prescindere dal tempo che è passato e dai contatti che durante l’inverno sono venuti meno perché tra tutti sottace una segreta verità: il mare è come Las Vegas, ovvero tutto ciò che succede al mare rimane al mare. E lo stesso vale per le amicizie: le amicizie del mare rimangono confinate tra le onde perché così non verranno intaccate dalle paure, dai problemi, dalle arrabbiature invernali. Gli amici del mare sono congelati là, in uno spazio altro, lontano da tutto e tutti. Il regalo che però l’estate ci offre porta con sé anche un aspetto negativo, ossia il ritorno in città. Quando guardiamo per l’ultima volta il mare, quando salutiamo i visi di sempre, quando si cerca di farne di tutti i colori l’ultima sera è perché abbiamo bisogno di un distacco netto da quell’isola felice che ci siamo creati tutti insieme. PH ALBERTO SCHILIRÒ

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Il mare rimane un momento a sé, un mese lontano da tutto e tutti, un momento di condivisione profonda e divertimento. Il mare insieme ai nostri amici rimane lì ad aspettarci, pronto ad accoglierci ancora l’anno seguente, nella solita routine che però ha qualcosa di meraviglioso, di naturale e ancestrale. Carichiamo quindi la nostra macchina con le valigie piene di vestiti, pasticcini e affetto. Non proviamo angoscia nel tornare a casa perché sappiamo che vicino o lontano c’è un posto che ci aspetta e ci aspetterà per sempre. Quella è la nostra seconda casa, quella è la nostra seconda vita, quella è l’isola felice e che per fortuna esiste. ALESSANDRA COPPO


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125 SETTEMBRE 2012

La Siria brucia, Assad non molla. 6/9/2012 Ogni bomba che cade, ogni civile che viene ucciso, ogni palazzo che viene distrutto, la Siria si allontana sempre di più dalla speranza. La battaglia di Aleppo è destinata ad essere ricordata sui libri di storia come una delle più atroci e sanguinose degli anni recenti. Una lotta folle ed incessante, centimetro per centimetro di quella che ormai è una città fantasma: i suoi abitanti o muoiono per una guerra che non è loro o fuggono verso la frontiera turca, a pochi chilometri dalla città (100.000 profughi nel solo mese di agosto, un dato allarmante). Aleppo è l’ombelico della guerra civile, ma tre mesi di atrocità e sofferenze l’hanno scarnificata, svuotata: da quattro milioni di cittadini si è passati, secondo dati che non garantiscono mai certezza totale, a meno di due milioni. Cosa ne è stato dei due milioni che mancano non è dato sapersi; molti sono morti, molti sono fuggiti, ma ci sono ignote le percentuali. La guerra civile da che mondo è mondo è il simbolo massimo della disumanizzazione; Assad sta radendo al suolo la propria terra, sta uccidendo senza pietà i propri fratelli con un esercito efficiente e dotato di ottime apparecchiature. Dall’altra parte della barricata, i ribelli, gli attivisti, gli insorti: combattono con armi di fortuna o con quelle che arrivano dai paesi che li sostengono, si rendono anch’essi protagonisti di azioni efferate e barbare, se resistono alle meglio organizzate e milizia di Bashar Assad è grazie alla forza dell’odio. Muoiono i ribelli, muoiono i lealisti, muore la gente comune, muoiono

troppi bambini. Dov’è allora la giustizia? Dove la verità? Dove la ragione? Erdogan, premier turco, e Morsi, premier egiziano, fanno appello ad Assad affinché questa strage senza frontiere abbia fine, con il primo che si sbilancia e bolla Bashar come “terrorista” in seguito all’ennesima strage ingiustificata di bambini. Nel frattempo la comunità internazionale tace, nulla si smuove: Pechino resta immobile e la Casa Bianca è insoddisfatta e preoccupata. Anche l’ONU prospetta un intervento immediato ma, bocciato il piano Annan, dal Palazzo di Vetro non hanno idea di come muoversi. Dalla Germania il Ministro degli Esteri Westerwelle sostiene che Assad abbia le ore contate e che il regime si stia sgretolando di minuto in minuto: quanti altri civili dovranno cadere ingiustamente prima che ciò accada? MATTEO FONTANONE

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