PF, IL NUMERO DI NOVEMBRE

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significa continuare a credere nella scuola intesa non solo come istituzione, ma anche e soprattutto come “corpo vivo”, come didattica e quindi come apprendimento ed insegnamento costanti, come adesione umana e vitale, ragione e sentimento e ancora, credere in una scuola in movimento -copernicana e galileiana- oltre i pregiudizi e le strettoie burocratiche o fiscali in senso lato, ebbene questo credo di averlo fatto con buona e piena coscienza. Solo che, mentre come insegnante sei più “ignorato”, come preside, se non sei allineato, sei molto più criticato. A me questo è andato benissimo e non mi pento. Mi spiace per quelli che hanno dovuto sopportarmi, anche se li guardo con una certa commiserazione (si tratta per lo più degli “aristotelici” o dei “gesuiti”, tanto per mantenere il riferimento di cui sopra). Come sono cambiati nel corso degli anni i giovani? Ha riscontrato problematiche diverse rispetto a quelle delle generazioni passate? La malinconia non è più quella di un tempo, i giovani sì. Loro continuano ad essere uguali a se stessi, teneri

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e umani pur nella loro spavalderia, monelleria (il bullismo è altro discorso), indolenza e pigrizia, furbizia. Ma soprattutto nella loro intelligenza o genialità, ora come allora. E’ scontato che, rispetto a quelli delle passate generazioni, hanno cambiato pelle, ma l’anima è sempre la stessa. Il cambiamento della pelle è dovuto ad un processo naturale, di cui non possiamo chiedere a loro la causa. Chi come me è stato più di quarant’anni nella scuola può testimoniare che l’essenza, è rimasta pressoché inalterata. Come pure inalterati sono rimasti stili e modi comportamentali e protestatari. Si pensi alle manifestazioni o agli scioperi. Sia pure in tono minore e senz’altro più discreto, già ai miei tempi protestavamo, manifestavamo, scioperavamo. Non parliamo dal sessantotto in poi. Casualmente ho “partecipato” (per la prima volta, dalla finestra di casa!) alla manifestazione dell’8 ottobre contro la Gelmini. Mi sono divertito, ma anche commosso. Gli slogan, gli striscioni, i canti e gli urli erano quelli di un copione classico e quindi previsto. L’anima invece, coniugando il passato (i giovani di un tempo) e il presente (i giovani di oggi), eternamente

giovane nel suo “slancio vitale”. E poi, se mi è consentito, quel “Gelmini vaffanculo” scandito così di cuore, pur se scontato e tipico per colore, umore e folclore di ogni manifestazione che si rispetti, personalmente l’ho percepito più come un affettuoso, paterno “togliti dai piedi” che non un irriverente insulto. In non pochi casi i giovani possono essere più saggi e sagaci di certi insegnanti (quelli del terzo stile). Più consapevoli e concreti della stessa Gelmini: la scuola non può e non deve essere chirurgicamente “tagliata”, ma responsabilmente e sapientemente salvaguardata. Che tipo di scuola lascia e cosa si dovrebbe ancora fare per migliorarla? Lascio una scuola sfasata e disorientata, che nell’ultimo decennio ha subìto troppi colpi e contraccolpi tra il dire e il contraddire, il fare-disfare-rifare. Una scuola “circo” più che una scuola “palestra”. Si è fatto certamente del buono, ma sempre per il genio e il sentimento italico, nella fattispecie dei docenti e degli alunni, gli uni e gli altri abilissimi nell’arrangiarsi per non affogare. I ministri dell’istruzione più disastrosi: D’Onofrio e Gelmini, alla quale va comunque riconosciuto se non il merito, almeno il buon senso di aver fissato certi “paletti”, specie riguardo al rispetto di certe regole (ma lei esegue diligentemente quanto le viene richiesto). Per migliorarla bisognerebbe cambiare sistema politico pensando la scuola non come “una cosa qualunque”, ma come una risorsa insostituibile per il paese. Come? In primo luogo, in fatto di riforme, non vanificando importanti e consolidate esperienze sulle quali eventualmente innestare modifiche o integrazioni migliorative. A proposito della “riforma” Gelmini: ha senso concepire i licei classici secondo il vecchio schema gentiliano? Certamente valido in passato, non più oggi. Il Latino e Greco, per quanto materie di indirizzo, non possono continuare a considerarsi specialistiche (siamo una della università ultime in graduatoria in Europa). Si provi a guardare i più recenti testi scolastici di letteratura latina o greca: a confronto neanche quelli in uso nella facoltà di Lettere quarant’anni fa! Che cosa se ne fanno gli alunni di oggi di tante minuzie critico-filologicoglottologico? E ancora, è concepibile che in un paese come il nostro la Storia dell’Arte e la Musica continuino ad essere considerate un’appendice, e neanche

in tutte le scuole? Dunque, che tipo di scuola e di formazione? Pragmatica? Tecnicistica e/o tecnologica? Attenzione, anche per la Matematica siamo agli ultimi posti in graduatoria. Una volta si parlava di nozionismo: non sapremmo più che cosa preferire. Ci chiediamo se l’aspetto culturale interessi veramente anche se ora si parla di Licei musicali e coreutici (una bella, ma non nuova invenzione). Siamo sempre al punto di partenza: parcellizzare settorializzare. E’ chiaro che gli studenti che intenderanno approfondire le lingue classiche o la musica al giorno d’oggi si conteranno sulle dita. Secondo una strana o malintesa logica politico-ministeriale la cultura è altro, forse un patrimonio solo ideale o astratto. Sono i fatti che contano purché siano pratici e sotto controllo. Gli intellettuali dello Sturm und Drang coniarono uno slogan: “[solo] I pensieri sono liberi dal pagamento del dazio”. Purtroppo temo che si stia andando in questa direzione, sempre più fatti, sempre meno idealità o “belle arti”, anche perché la media dei docenti e dei dirigenti scolastici italiani è stata sempre propensa a pensare una scuola “chiusa” anziché “aperta”, ad attenersi alla lettera o alla normativa. E’ chiaro che tanto le regole quanto le normative vanno rispettate ed applicate. Si tratta solo di interpretarle o risolverle al punto giusto da non impedire la circolazione delle idee, il respiro della creatività, della legittima elasticità, soprattutto mentale. Da non lasciarsi soffocare dalla fiscale applicazione di regole che, come tutte le regole, prevedono comunque le dovute, spesso salutari eccezioni. Con i tempi che corrono e che si prospettano dubito che ciò possa verificarsi, neanche con l’introduzione della meritocrazia. E’ giusto che finalmente ci sia un riconoscimento per coloro che meritano, ma il discrimine tra plus-valore e pluslavoro è sottile, addirittura subdolo. Insegnanti di sicuro valore nella scuola italiana ce ne sono molti, tantissimi e in tal caso gli incentivi per merito provocherebbero la bancarotta della bancarotta. Ciò significa che sarà molto importante sapersi dare da fare, a parte il merito, per dimostrare di produrre di più. Questo tipo di abilità è decisamente più accessibile a chiunque, ed è la più riconoscibile e valutabile “al dettaglio”. Tutto sta a capire quale tipo di superproduzione (qualità/quantità) convenga maggiormente in termini economico finanziari, così allo Stato come alla scuola.

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