Casoria NO.WALL:S. Un ecocampus per l’integrazione e l’ospitalità

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Sedime dell'acquedotto campano. Foto: Urban Innovative Actions Proposal (2016).

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CASORIA NO.WALL:S. UN ECOCAMPUS PER L'INTEGRAZIONE E L'OSPITALITÀ Enrico Formato Anna Attademo 1 >DiARC

Premessa Il testo descrive una ricerca applicata condotta e sviluppata nei primi mesi del 2016 da una parte dell’Unità napoletana del PRIN Re-Cycle Italy2. La proposta, candidata al Programma ‘Urban Innovative Actions’ 2016, promosso dalla Commissione Europea, ha costituito l’occasione di sperimentare sul campo l’integrazione tra istanze di riciclo, infrastrutturazione e welfare locale3. Il progetto ‘NO.WALL:S, New Openess. Wide Accessible Local Life: Scenarios’ è stato elaborato per un’area del Comune di Casoria, uno dei centri ex-industriali dell’entroterra napoletano (circa 80.000 abitanti) caratterizzato da elevata pressione insediativa e da un notevole grado di dismissione degli edifici e delle aree. Si tratta di un Comune in fase di incipiente contrazione abitativa4 a causa del venir meno di alcuni vantaggi di prossimità localizzativa con il capoluogo e soprattutto di una significativa mutazione della condizione socio-economica locale, un tempo – nel dopoguerra – alimentata da una fiorente industria pesante, poi – a partire dagli anni 80 – da un’espansione terziaria e di grandi centri commerciali, oggi anch’essi in crisi. Le aree oggetto dal progetto sono localizzate nella prima corona della espansione urbana del XX secolo; una fascia

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critica per chi si occupa di riciclo territoriale (delle infrastrutture e delle architetture) in quanto in questo bordo si concentrano alcuni degli spunti di riflessione di maggiore complessità ed attualità: quella affrontata a Casoria può essere vista per molti versi come una condizione estrema, seppure affine alle sfide della contemporaneità poste in generale a tante città, italiane e non solo. L’area-studio L’area-studio si trova al bordo meridionale del centro storico, in un contesto caratterizzato dalla accumulazione in epoca moderna (otto-novecentesca) di funzioni urbane di servizio: l’ospedale, la ‘villa comunale’ (a tutt’oggi una delle aree di verde pubblico più estese del Comune), il Mattatoio, l’edificio del Tribunale (ex sede distaccata di quello di Napoli), alcuni edifici scolastici, attrezzature per lo sport (piscina comunale e palazzetto dello sport), i tracciati interrati di due dei maggiori acquedotti di approvvigionamento di Napoli e dell’hinterland (Acquedotto del Serino e Acquedotto Campano). Nell’ambito della espansione urbana del dopoguerra questo settore al bordo della città storica si è progressivamente definito come polo urbano di servizio, aggregando intorno al preesistente Mattatoio – evidentemente non a caso, ed in ragione di precise condizioni legate alla proprietà dei suoli (contesi tra Curia e Stato, uno dei tanti ‘irrisolti’ del Concordato del 1929) – alcune delle funzioni pubbliche ‘moderne’ per la Casoria della ricostruzione post-bellica e del ‘boom’ economico (ed edilizio). Si tratta di una parabola comune a numerosi contesti nazionali che ha segnato il ciclo economico espansivo iniziato con la Liberazione e conclusosi di fatto con la crisi finanziaria della metà degli anni Zero. Una parabola espansiva parzialmente interrotta solo dalla crisi internazionale del petrolio del 1973, che ha comportato, a scala locale, la trasformazione della struttura produttiva con dismissione industriale e sviluppo dei servizi e del commercio. Entrambi i cicli espansivi sono stati accompagnati da una rilevantissimo processo di urbanizzazione, con una esponenziale crescita demografica e dell’edilizia residenziale. Una crescita edilizia tanto repentina quanto sregolata, attuata in assenza di politiche urbanistiche pubbliche e sostanzialmente tesa alla massimizzazione della rendita fondiaria. Una legge espansiva ‘banale’, centripeta, che ha visto la città industriale crescere nell’accumulazione di cospicue espansioni insediative, aggrappate alle fragili infrastrutture storiche, innestando parassitaria-

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Inquadramento dell'area di progetto nel sistema degli Spazi Aperti individuati dal Piano Urbanistico Comunale del Comune di Casoria (2013 - in attesa di approvazione).

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mente la città moderna sulle preesistenze ambientali5. Negli ultimi tempi, parallelamente alla trasformazione socio-economica e alla riorganizzazione metropolitana del contesto regionale (con conseguente cambio di scala dei servizi e delle attrezzature), il ruolo centrale dei comuni della prima cintura esterna del capoluogo napoletano (come Casoria) è risultato profondamente declassato. Inoltre, la scarsa qualità della vita e l’assenza di opportunità lavorative, hanno determinato una inversione nel trend demografico e la ‘micro-dismissione’ di una parte importante del patrimonio immobiliare residenziale costruito negli anni della ricostruzione e del boom edilizio6. Una condizione dovuta anche alla mutazione dei modi dell’abitare contemporaneo, maggiormente orientati alla ricerca di contesti insediativi con un più stretto contatto con la natura ed il paesaggio (Bianchetti, 2003). Il ciclo di contrazione e di riassetto metropolitano ha avuto conseguenze pesanti anche nel settore urbano dei servizi oggetto della nostra attenzione, dato che diversi edifici pubblici localizzati in queste aree sono stati nell’ultimo decennio dismessi. In particolare: l’ospedale viene declassato a centro sanitario locale; il Mattatoio ottocentesco, dopo aver perso da almeno un trentennio la destinazione originaria, ospita un parcheggio per gli automezzi comunali; i sette piani e la piastra della struttura giudiziaria degli anni 70 vengono dismessi con il trasferimento degli uffici presso il nuovo Tribunale di Napoli Nord ad Aversa; la ‘villa comunale’ è inagibile a causa di alcune urgenti, quanto protratte indefinitamente, operazioni di messa in sicurezza delle alberature e dei manufatti. Nel complesso il contesto perde il carattere di centralità locale. Inoltre, a fronte dell’indebolimento delle funzioni insediate e del decadimento socio-economico, aumenta il grado di chiusura delle singole placche pubbliche: i recinti delle scuole, i sistemi di sorveglianza del Tribunale, il grado di segregazione e specializzazione degli spazi sanitari. Diminuiscono, per impedimento fisico ed irrigidimento degli orari di accesso, le possibilità di utilizzo libero delle aree pubbliche. Allo stesso tempo peggiora la qualità dello spazio della viabilità, dequalificato, in nome di una impossibile modernizzazione carrabile del centro storico e delle sue immediate propaggini, da ‘spazio pubblico’ a ‘infrastruttura di servizio per la mobilità’. Questo processo è accompagnato, come accennato, da una considerevole dismissione del patrimonio abitativo, lasciato inutilizzato, oppure oggetto di filtering a causa della trasformazione dei modi di vivere della popo-

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lazione più istruita ed economicamente abbiente. La conseguenza è che questo settore urbano, al pari del centro storico e di tante altre aree della prima corona, è oggi abitato dalle popolazioni con più basso reddito e minore istruzione, oltre che da crescenti quote di migranti e rifugiati. I tassi di disoccupazione raggiungono il 30%, la qualità ambientale è molto bassa, con elevate concentrazioni di polveri sottili e l’elevata impermeabilizzazione dei suoli produce isole di calore estive; gli edifici sono caratterizzati da scarso comfort abitativo, ed inefficienti energeticamente; la quantità e la qualità degli spazi pubblici è critica e le attrezzature (ad esempio, le scuole) sono isolate dallo spazio pubblico; prevale lo spazio aperto impermeabilizzato, sistemato a parcheggio. In generale gli spazi pubblici sono vissuti dai residenti come ‘estranei’ e non di rado vengono vandalizzati (questa è una delle ragioni delle continue manutenzioni della villa comunale). Le politiche pubbliche in corso La proposta presentata al bando Urban Innovative Actions va inquadrata in un ampio e ragionato quadro di politiche pubbliche, messe in campo nell’ultimo triennio dall’Ufficio Urbanistica del Comune con il coordinamento scientifico del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II, e confluite nel ‘living lab’ denominato Step-by-Step Lab, costituito da architetti, ingegneri, operatori sociali del Comune e docenti, ricercatori e tirocinanti provenienti dall’Università. A partire dal 2013 è stato approntato il nuovo Piano Urbanistico Comunale, in corso di definitiva approvazione; nel 2015, inoltre, il Comune di Casoria ha vinto, insieme ad importanti città europee (Anversa, Baia Mare, Area metropolitana di Barcellona, Brno, Düsseldorf, Oslo, Solin, Vienna) il Programma Urbact III, ‘Sub>Urban. Re-inventing the Fringe’, finalizzato alla costruzione di un Piano di Azione Locale adattivo ed incrementale (‘step-by-step’)7. L’areastudio è stata inoltre interessata da alcune opere pubbliche, derivanti dal Programma PIU Europa appena terminato (Fondi FESR 2007-2013), concretizzatosi in sostanza nella manutenzione straordinaria di alcune attrezzature cittadine ed infrastrutture pubbliche. Il Programma PIU Europa è fondato su una logica tradizionale di ‘opere pubbliche’, senza relazione con temi come l’inclusione sociale, la crescita socio-economica, la tutela ambientale. La concezione e l’impostazione del nuovo Piano Urbanistico e il Piano di Azione Locale in corso di definizione nell’ambito del Program-

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ma ‘Urbact’, provano invece a sperimentare un quadro sostanzialmente orientato all’innovazione delle pratiche delle progettazione pubblica e del piano. In questo quadro la proposta NO.WALL:S assume senso compiuto, rappresentandone una prima concreta sperimentazione. Il Piano Urbanistico Comunale8, sfruttando alcune opportunità offerte dalla recente riforma urbanistica regionale9, propone una rigenerazione che interessa più scale ed in cui gioca ruolo chiave il fattore ‘temporale’, lo spazio tra le disposizioni generali e le specificazioni programmatiche (Formato 2013 e 2016). Un piano nuovo, non solo per i contenuti ma anche per la ‘forma’, articolata in disposizioni strutturali (valide a tempo indeterminato) ed estratti operativi, strategici per l’amministrazione in carica. La rigenerazione urbana parte dalla fondazione di un grande parco urbano (circa 3 kmq, un quarto dell’intero comune), un bosco con orti e padiglioni pubblici “leggeri”, che dovrà cambiare l’immagine ed il ruolo di Casoria nei prossimi anni, ripristinando continuità ecologiche e di uso (il parco è inserito nella rete ecologica provinciale e collegherà i nuovi poli metropolitani in corso di definizione: la Stazione Alta velocità di Napoli-Afragola, il sistema eco-urbano di Napoli-Est, il Parco attrezzato lungo l’Asse Mediano previsto dalla Provincia di Napoli). Per la città moderna vengono fornite regole mirate al recupero di spazio non edificato, rigenerazione delle reti pubbliche locali, maggiori prestazioni energetiche e miglioramento della sicurezza antisismica degli edifici. Tali politiche, articolate in rapporto al contesto, saranno oggetto di approfondimenti progettuali da declinare nel tempo lungo in rapporto ad elementi conoscitivi di dettaglio, e costruire mediante la partecipazione dei cittadini alla definizione delle scelte. Per le aree dismesse dalla grande industria, il Piano tratteggia un ruolo di innesco per rigenerazioni urbane più organiche, ma solo dopo che il grande parco pubblico (contenuto nel Primo piano operativo) inizierà a passare dalla carta alla realtà e che il quadro degli inquinamenti lasciati dalla dismissione e dalle relative bonifiche, risulti completamente definito. L’inserimento delle aree dismesse (dall’industria, dal commercio, dall’agricoltura) nel processo di rigenerazione di ambiti urbani più ampi è stata una delle idee guida del piano: queste aree non sono viste come ‘isole’, considerato anche che tale concezione, sviluppatasi nell’ultimo decennio, non ha prodotto che asfittiche discussioni. Esse sono viceversa tenute in rete dagli scarti prodotti dall’insediamento della grandi infrastrutture a rete: le scarpate, i sottoviadotti, le fasce di rispetto, oggi recintate ed in-

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colte, che si offrono come straordinario elemento di riconnessione tra gli ambiti urbani ed aperti. Il Programma Urbact III, vinto dal Comune di Casoria con il Dipartimento di Architettura federiciano, costituisce un’occasione di concreta applicazione della logica innovativa che fonda il Piano urbanistico. Il Piano di Azione Locale predisposto per l’occasione in collaborazione con le altre città europee della rete, è volto alla progettazione partecipata di parchi urbani pubblici in due aree militari dismesse (porzioni del ‘Grande Parco’ del primo Piano Operativo). Al di là dell’elevato valore, non solo simbolico, che discende dalla creazione di due parchi pubblici ognuno dei quali di circa 5 ettari, il risultato più interessante di questa operazione è individuato nella strutturazione di un’arena pubblica in cui innestare concretamente il ‘progetto urbanistico aperto’, adattivo e flessibile, prefigurato dal Piano strutturale comunale. Questa ‘arena’ sarà il luogo deputato dove affrontare nei prossimi anni, collettivamente ed in trasparenza, le sfida del riciclo delle grandi aree industriali dismesse site nella prima corona urbana del XX secolo e dove definire modi e tempi della trasformazione più generale delle corona urbana, densa ed inefficiente, della prima espansione insediativa del secondo Novecento. L'incoraggiamento della discussione pubblica attorno ad alcuni temi di particolare importanza strategica, con medio-lungo tempi di attuazione, trascende i tempi del progetto, ma il processo educa all’inclusione e alla responsabilizzazione, in particolar modo delle fasce deboli della popolazione, solitamente escluse dai processi decisionali. Il progetto come processo: step-by-step recycles. Il progetto NO.WALL:S, prevede la ridefinizione del settore di attrezzature pubbliche dismesse o sottoutilizzate come ‘campus ecosostenibile per l’integrazione sociale’ composto da aree a parco e greenway ciclo-pedonali. Gli edifici pubblici esistenti e le aree aperte inutilizzate diventano elemento chiave del dispositivo di riciclo della corona urbana del XX secolo, per essere attrezzati ad ospitare attività di sostegno allo sviluppo locale, di assistenza e educazione alla salute. Il tema della povertà urbana e del riciclo delle grandi attrezzature unisce Casoria alle città che vogliono ottenere una migliore qualità della vita senza espandere il territorio urbano nella costruzione di nuove periferie pubbliche: forti potenzialità si riscontrano nei crescenti livelli di sottoutilizzo

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e dismissione delle aree urbane della prima corona del XX secolo. Molte città presentano, in particolare, una ricorrenza di edifici pubblici dismessi o sottoutilizzati e spazi aperti abbandonati, in cui è stata dismessa l’attività precedente senza che alcuna nuova funzione sia stata inserita. Il riciclo di queste parti urbane in crisi è rivolta ad un background di persone con differenti livelli di reddito, provenienza, istruzione ed età. Pertanto, la sfida consiste anche nel diffondere i benefici della crescita e nella fornitura di alloggi a prezzi accessibili, posti di lavoro e servizi. L’area oggetto della proposta, come accennato, è costituita da attrezzature dismesse (l’ex-mattatoio comunale e l’ex-sede distaccata del Tribunale di Napoli), alcuni edifici scolastici e la Villa Comunale, oltre a un insieme cospicuo di spazi aperti pubblici sottoutilizzati, di difficile accessibilità e bassa qualità. Gli interventi sono tesi a: 1) il recupero degli edifici, attraverso soluzioni innovative di retrofit tecnologico, efficientamento energetico con uso di fonti rinnovabili, miglioramento del comfort interno; 2) la riqualificazione degli spazi pubblici, attraverso l’eliminazione dei recinti e l’inserimento di nuove aree permeabili ed alberate; 3) la costruzione di connessioni ciclo-pedonali attraverso il ri-utilizzo di un percorso chiave, il sedime dell’acquedotto pubblico, che consente di connettere l’area con la stazione ferroviaria Alta velocità del Comune di Afragola. Il ciclo dell’acqua è ciò che tiene insieme le tre linee dintervento in quanto è stato approntato, in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università un complesso meccanismo di riciclo dell’acqua prodotta dagli edifici e delle acque piovane prodotti dagli spazi urbani impermeabilizzati, per l’irrigazione degli spazi verdi e il raffrescamento estivo. Quest’azione aumenta la resilienza idraulica complessiva sgravando la rete fognaria dall’immissione di acque bianche e grigie nei picchi legati agli eventi meteorici, aiuta il metabolismo del parco e consente concrete azioni di abbattimento dell’isola di calore esitiva. L’investimento sugli edifici e quello sugli spazi aperti verrà articolato per fasi: a partire da una progettazione unitaria con la realizzazione di uno schema direttore che fornisce prestazioni e linee guida non derogabili per l’intera area e per tutti gli edifici inclusi nell’intervento, la proposta mira a realizzare all’interno dei tre anni del finanziamento una parte d’innesco della complessa operazione di rigenerazione. Il completamento delle opere verrà affidato a successivi finanziamenti, anche con contributi privati, stimolati dalla presenza di un masterplan di cornice già interamente pro-

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gettato e di un iter progettuale partecipato e supportato dai livelli tecnici dell’amministrazione cittadina. La realizzazione delle opere è prevista dunque per fasi ed usi temporanei, in modo da consentire immediati effetti sulla vita urbana. Il primo ‘step’ di riciclo urbano coincide con l’utilizzo di alcune aree scoperte da mettere in connessione con gli spazi collettivi presenti nelle scuole (palestre, sale comuni, ecc.), utilizzabili in orario extrascolastico dall’intera cittadinanza. Il riciclo dell’ex mattatoio mira a realizzare invece un centro di sostegno alle PMI, con un mercato dei prodotti locali legati alla filiera degli orti urbani in corso di realizzazione nella aree target di Urbact, e uno spazio per attività ricreative (fiere, concerti, spettacoli). Il riciclo dell’ex-Tribunale, infine, è finalizzato alla costruzione di housing sociale ed attrezzature collettive di tipo sanitario. Nell’ambito del progetto UIA (la cui durata è fissata dalla Commissione Europa in 36 mesi) sarà sviluppato il masterplan funzionale di riciclo dell’intero complesso edilizio dell’ex Tribunale e saranno realizzate le prime opere di ‘innesco’ del processo di riuso: attrezzature pubbliche nei piani terra; sostituzione dell’involucro esterno con tecnologie e materiali a basso impatto ambientale, capaci di assicurare elevata efficienza energetica; impianti a basso consumo energetico e ad elevato comfort ambientale; tecnologie per l’autonomia energetica (edificio ad energia netta zero, o quasi zero, in accordo agli attuali target europei e mondiali riguardanti l’efficienza energetica); prime unità residenziali ‘modello’ atte ad ospitare migranti e rifugiati politici e a rilanciare una politica pubblica di housing sociale. Il progetto come spazio collaborativo Le politiche sociali, a Casoria come in tante altri centri italiani, sono di tipo prevalentemente assistenziale. I provvedimenti di sostegno alla povertà si traducono in genere in modesti sussidi elargiti direttamente dal Comune, che non risolvono il problema della disoccupazione e possono favorire il lavoro nero (in quanto i sussidi sono destinati in sostanza agli incapienti). Il progetto NO.WALL:S intende rivoluzionare l’approccio esistente, trasformando il dispositivo assistenziale in un processo collaborativo, teso alla responsabilizzazione degli utenti e alla co-gestione delle attività tra Comune ed associazioni/comunità locali. La co-gestione degli spazi collettivi è vista come occasione per migliorare la partecipazione delle fasce più deboli alla vita pubblica e al contempo occasione per incrementare

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il numero degli occupati nei settori dei servizi sociali, del sostegno alle imprese, nell’industria verde e nel comparto della salute: le associazioni riceveranno delle forme di finanziamento per le attività di co-gestione, che saranno erogate sulla base di bandi pubblici e procedure trasparenti di selezione. Il Comune promuoverà l'organizzazione di micro eventi culturali e attività sociali, gestiti dalle associazioni attori della gestione, nelle strutture pubbliche esistenti e negli spazi aperti, al fine di ottenere risultati immediati per la qualità della vita nella comunità. Il riciclo temporaneo dello spazio aperto e dell’attrezzatura dismessa diventano così il motore di prefigurazione di un futuro possibile. Sin dalla sua costituzione, uno dei principali obiettivi del Gruppo di Azione Locale di SbS_Lab è stato quello di coinvolgere associazioni e cittadini alla cura del ‘bene comune’10. La comunità locale che emerge dal processo partecipativo è un corpo sociale spinto da un lato da scelte individualistiche e particolarismi gruppali, dall’altra, all’estremo opposto, profondamente bloccato da sensazioni di impotenza e diffidenza verso le istituzioni. Una condizione che nasce da una storia di ripetuti fallimenti, e all’origine dell’abitudine diffusa di delega passiva della decisionalità. Il quadro negativo di cittadini inattivi/diffidenti perché individualisti o perché impotenti, ha determinato nel tempo l’assenza di un concetto di bene comune, come diritto all’uso, al godimento e responsabilità nella cura dello spazio pubblico. Inoltre, si vive spesso il territorio senza conoscerlo realmente: i cittadini non sono sempre a conoscenza delle destinazioni d’uso delle aree, anche di quelle che appartengono al loro vissuto quotidiano, e spesso non le identificano geo-localmente. Permane in questo disinteresse una traccia dell’alterità legata alla immigrazione novecentesca che a tutt’oggi divide “casoriani” e “napoletani”, attratti dallo sviluppo industriale e da residenze più accessibili rispetto a quelle del capoluogo. Come noto, il bene comune come spazio della città, in quanto prodotto di un’azione umana di disegno del territorio, trova le ragioni della sua esistenza e del suo mantenimento nella cura e nelle pratiche quotidiane di una comunità che lo vive e lo protegge con continuità, che lo tramanda nel tempo, assumendosene la responsabilità (Mattei, 2012). In alcuni territori, l’uso collettivo del bene comune può essere insidiato da interessi particolaristici, che ne neghino la fruizione allargata: è il caso dei recinti e della barriere che hanno individuato delle enclaves nell’area-studio, di cui la comunità, col tempo, ha dimenticato di poter fruire, confondendole con

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pertinenze private e inaccessibili. La questione dell’uso collettivo diviene centrale per definire il grado di partecipazione alla gestione futura delle attrezzature, a valle di un percorso partecipativo che consenta di ampliare la conoscenza intorno alle potenzialità dell’uso collettivo stesso. L’approfondimento del concetto passa attraverso la consapevolezza che non è più possibile soffermarsi esclusivamente sulla natura ‘pubblica’ dei beni, ma che è necessario informare/formare la comunità sull’autonomia d’uso dello spazio, a prescindere dalla proprietà, pubblica o privata (Magnaghi, 2012). Per questa ragione, le associazioni coinvolte nella co-gestione, avranno la responsabilità di fornire servizi di utilità pubblica, curando lo spazio pubblico ed assicurandone una ampia apertura. Al fine di sviluppare servizi sociali adeguati, la specificazione esecutiva delle opere sarà sviluppata di concerto con i futuri utenti, coinvolgendo tutte le parti interessate e i fornitori di servizi formali e informali, sin dalla fase iniziale. Per questo, nel progetto è previsto un periodo di training delle associazioni, guidato dall’Università, per arrivare a costruire una capacità collettiva di gestione e auto-sostentamento. La proposta è concepita, infatti, come ‘progetto pilota’ scalabile e iterabile in altri quartieri analoghi in ambito metropolitano e internazionale. Conclusioni La proposta NO.WALL:S costituisce una anticipazione operativa di un progetto urbanistico ampio ed articolato, profondamente orientato alla innovazione del planning tradizionale e alla integrazione tra progetto urbanistico e spazio pubblico. In questo modello, la decostruzione del piano tradizionale secondo uno schema flessibile e processuale è accompagnata da un parallelo coinvolgimento della comunità locale nella definizione delle concretizzazioni operative di progetto. A Casoria, periferia Nord di Napoli, il ‘training’ è in corso a partire dalla definizione di alcuni progetti di spazi pubblici, ma nel prossimo futuro sarà esteso alla definizione operativa di ampie porzioni di città novecentesca. Il processo è volto ad assicurare la massima trasparenza decisionale, spostando il campo di definizione delle proposte in una arena pubblica, sulla base di serrati confronti tra attori portatori di interessi confliggenti. D’altro canto, al fine di garantire la continuità, la coerenza e la forza del processo di trasformazione, la strutturazione di un contesto locale vigile e partecipe alle scelte urbanistiche non si esaurisce alla fase deliberativa, ma è volta ad assicurare un ‘presa

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in cura’ degli spazi pubblici cittadini secondo un modello di co-gestione delle opere tra Comune ed associazioni. L’obiettivo è quello di rafforzare la consapevolezza che la cura dello spazio pubblico è responsabilità comune, condivisa tra Istituzioni ed utenti, superando il tradizionale meccanismo di delega passiva che allontana nel Meridione d’Italia i cittadini dallo spazio pubblico (molto spesso in cattive condizioni di manutenzione, perché sentito ‘estraneo’). Uno dei più rilevanti temi urbani di Casoria, come accennato è quello legato al recupero di ampie aree industriali dismesse. A tal riguardo, l’Amministrazione potrà ampliare nei prossimi anni, il processo partecipativo ai soggetti privati, proprietari delle aree, i quali saranno chiamati a sviluppare collettivamente le ipotesi operative di trasformazione urbana. Anche questo processo sarà organizzato lungo una time-line complessa e gestito con trasparenza nella pubblica arena costituita in occasione del Programma Urbact. L’ipotesi è quella di consentire una dialettica trasparente tra proponenti privati ed associazioni locali, con l’Amministrazione a fare da arbitro della contesa, sulla base delle regole stabilite nel Piano strutturale comunale. Il ‘gettone’ che i proponenti privati ‘pagheranno’ per accedere all’arena pubblica è la concessione all’uso pubblico di alcune aree oggi recinte, nelle quali istallare, da subito, usi temporanei di valenza collettiva. La concreta disponibilità di nuove aree verdi pubbliche in un contesto urbano denso ed asfittico, trasportata temporalmente alla fase iniziale di un procedimento complesso, che esigerà tempi lunghi di elaborazione tecnica e deliberazione politica, potrà avere esiti importanti, aumentando nell’immediato la fiducia della comunità locale e assicurando la solidità del concreto interesse dei privati proponenti. Tornando alla proposta pilota illustrata nel presente saggio, il progetto di partecipazione non è solo strumentale alla responsabilizzazione dei cittadini e delle associazioni nella gestione del ‘bene comune’, ma è anche volto a definire uno standard realizzativo e degli usi in linea con le aspettative della comunità locale. L’integrazione riguarderà inoltre alcuni aspetti specifici a cui il progetto è direttamente ispirato: il tentativo di comporre in un nuovo settore urbano propriamente ‘urbano’: spazio verde naturale ed attrezzature riciclate, senza recinti né rigide separazioni; l’integrazione tra funzioni, di tipo produttivo, residenziale, di spazio pubblico ed attrezzature, di sostegno alle imprese, di tipo educativo e per la salute; la spinta all’integrazione etnica e sociale, mediante soluzioni processuali,

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morfologiche e spaziali volte a favorire lo scambio culturale e, più in generale, l’ospitalità, ma anche la condivisione delle responsabilità e delle aspettative, tra istituzioni e cittadini attivi. Ne emerge l’immagine di una urbanità porosa e complessa, caratterizzata da integrazione città/natura, mixitè sociale e funzionale; orientata all’eliminazione delle barriere, all’ospitalità e alla condivisione, strutturalmente fondata sull’accettazione delle differenze (Belli, 2011). Uno spazio strutturalmente accessibile costruito a partire dall’eliminazione delle barriere e grazie all’aumento delle interrelazioni, ecologiche e d’uso pubblico (Secchi 2011 e 2013). Il risultato finale, in termini di costruzione di un paradigma di bene comune, coincide con la ricostruzione dell’identità stessa della comunità, dei suoi cittadini e associazioni, che passa attraverso un processo di riappropriazione del diritto all’uso degli spazi quanto del dovere alla manutenzione e alla cura (la coscienza di luogo) come chiave di lettura interpretativa per acquisire un modus operandi partecipativo e di responsabilità collettiva, di rispetto delle regole comuni che qualificano i rapporti tra le parti (Beccattini, 2015). Il godimento collettivo della città passa anche attraverso questa assunzione di norme condivise, alla cui coerenza concorrono i comportamenti e le scelte dei membri della comunità locale (Ring, 2013). Questo processo comporta una presa di coscienza, di assunzione di responsabilità nell’orizzonte di vita, attraverso meccanismi di adozione di pezzi di città e attraverso progetti simili a quelli finanziati dal crowdfunding per le cause sociali. Una cultura urbana sostenibile non può che prendere in considerazione queste modalità nuove di condivisione, ed imparare il più possibile: dal co-housing al co-working, passando per una cura dello spazio pubblico che consenta infine di accostarsi ad un più ampio paradigma di co-living. Ciò che supera il convenzionale aspetto buonista di queste operazioni, e che le riconsegna ad un orizzonte di potenziali proposte imitative in altre città, è il superamento dello schema di investimento iniziale, condiviso al solo livello locale, per aprirsi ad una possibilità di ripartenza più generale, che coinvolga anche aree contermini, seguendo un modello processuale. In questo modo l’esperienza comunitaria può lasciare in eredità un background importante di rinnovamento, che contribuisce a fissare nuovi standard per la città del prossimo futuro, sia in termini di costruito che di gestione dello spazio pubblico. Dall’impulso iniziale alla partecipazione (being there), alla cura quotidiana dello spazio.

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Il modello spaziale connesso alle strategie descritte non è neutro: è strutturalmente “aperto”, privo di barriere, basato sulla moltiplicazione a diverse scale e su differenti livelli (ecologico, d’uso pubblico, visuale) delle linee di continuità; discende da operazioni ad elevato valore simbolico come: la demolizione delle barriere, l’apertura di varchi, la costruzione di ponti e passerelle, la riscoperta o il tracciamento di sentieri. Difatti, la cogestione richiede aggregazione e coalizione gruppale che, sul fronte opposto, va bilanciata da una massimizzazione dell’accessibilità della libertà d’uso dello spazio, della trasparenza (anche visuale) e dell’accoglienza. Si tratta di lavorare dialetticamente sui due fronti: se è vero difatti che non si dà spazio aperto e libero senza cura e senza uso, occorre evitare che la co-gestione si tramuti in una sorta di privatizzazione collettiva, per gruppi, dello spazio pubblico. Occorre lavorare su di un concetto contemporaneo di “terra comune”.

Note

lo sviluppo urbano sostenibile attraverso nuove tipologie di azioni, capaci di modificare radicalmente la vocazione di intere parti urbane. Il budget stanziato per il primo bando, scaduto il 31 marzo 2016, è pari ad 80 milioni di euro. Per maggiori informazioni sull’iniziativa: http://www. uia-initiative.eu/en/about-us/what-urbaninnovative-actions (ultimo accesso: 30 maggio 2016).

1. Il saggio è stato concepito collettivamente dagli autori, dopo ampie discussioni; tuttavia i paragrafi 4 e 5 sono stati scritti da Anna Attademo; 2, 3 da Enrico Formato. La premessa e le conclusioni sono state scritte a quattro mani. 2. La ricerca applicata è stata condotta e coordinata nei primi mesi del 2016 da Michelangelo Russo, Enrico Formato, Anna Attademo, Marika Miano e del Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, con docenti e ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria (Policlinico) dell’Ateneo fridericiano, con il supporto dell’SbS_Lab istituito presso l’Ufficio Lavori Pubblici ed Urbanistica del Comune di Casoria.

4. Dai dati sulla popolazione legale forniti dall’Istat per il 15° Censimento popolazione e abitazioni 2011 e pubblicati sulla Gazzetta ufficiale n. 294 del 18.12.2012, risulta che la popolazione residente nel comune di Casoria è pari a 78.647 abitanti. Tale valore deriva da una dinamica demografica che ha registrato nel corso degli ultimi decenni una riduzione del ritmo di crescita. Se nel decennio 1961-1971 la popolazione residente è cresciuta con un incremento percentuale complessivo del 107,77% nel corso dell’ultimo decennio si registra, invece, una flessione pari a circa il 4%. Tuttavia la

3. Urban Innovative Actions è un programma lanciato dalla Commissione Europea nel corso del 2015 per sostenere

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presenza di oltre 78.000 abitanti continua a determinare una densità demografica pari a 6.537 ab/kmq, di gran lunga superiore a quella della Provincia di Napoli che registra un valore di 2.606 ab/kmq.

interpretazioni seguite al varo della Legge urbanistica regionale, la n. 16/2004, la Regione Campania ha chiarito, con il Regolamento per il governo del territorio, n.5 dell’agosto 2011, il carattere radicale ed innovativo del nuovo Piano urbanistico comunale. Le previsioni del Puc sono distinte in ‘strutturali’ ed ‘operative’. Le prime riguardano l’intero territorio comunale, non hanno scadenza e non agiscono direttamente sul regime dei suoli: non appongono vincoli preordinati all’esproprio né assegnano capacità edificatore; il Piano operativo, da elaborare solo per le porzioni per le quali modularemediante gli Atti di programmazione degli interventi - una trasformazione di breve-medio periodo (convenzionalmente un quinquennio), perde di efficacia se non realizzato nell’ambito temporale di riferimento. Il Piano operativo assegna diritti edificatori ed individua le aree assoggettate ad esproprio: entrambe queste previsioni decadono in assenza di concrete trasformazioni.

5. Il concetto di urbanizzazione parassitaria è usato nell’accezione attribuita da Robert A. Beuregard (2006) a proposito del rapporto tra suburb ed inner city nell’urbanizzazione americana contemporanea. Per la ricostruzione del ciclo produzione edilizia – sviluppo economico, cfr. Harvey (2013): 46-89 e in particolare per quanto accaduto in Italia nel secondo Novecento: Belli, Formato (2015). 6. Questo fenomeno è stato documentato da Enrico Formato nella 14a Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia, nell’ambito dell’iniziativa coordinata da Filippo De Pieri e Federico Zanfi, Calling Home: Explorations on Domestic Change in Italy, per la quale si rimanda a: http://www.callinghome.it/ (ultimo accesso: 20 maggio 2016).

10. A partire dal dicembre del 2015, sono stati organizzati diversi incontri con le associazioni e gli stakeholder locali, organizzati come ‘focus group’. Gli incontri, organizzati nell’ambito dell’Sbs_Lab e delle attività del programma Urbact, sono stati svolti con l’aiuto di un facilitatore, psicologo di comunità. Quanto riportato nel testo a proposito delle percezioni della comunità locale fa riferimento alle discussioni e alle elaborazioni che sono scaturite nell’ambito di questi laboratori. Le attività sono visibili al link che segue: http://www.comune. casoria.na.it/-urbact-iii---growth-byreconversion-laboratori-di-progettazionepartecipata-- (ultimo accesso: 20 maggio 2016).

7. Per una più dettagliata descrizione del network e delle ricerche si rimanda al Baseline study elaborato alla conclusione della I fase di delle attività: htttp: urbact. eu/file/12838/download?token=xm8ecnf6 (ultimo accesso: 20 maggio 2016). 8. Il piano è stato redatto ed adottato nel corso del 2013 dall’Ufficio di piano istituito presso il Comune (diretto da Salvatore Napolitano), con il coordinamento scientifico di Goldstein Architettura (Luisa Fatigati, Enrico Formato) e Suburbia.Mode (Paolo Sacco, Michele Moffa, Antonella Mazzotti, Claudia Bizzarrini, Mariemma Porto). Il Piano è consultabile on-line: http://pianificazionecasoria.blogspot.it/p/ puc-piano-urbanistico-comunale-2013.html (ultimo accesso: 29 maggio 2016). 9. Dopo le ambigue ed alterne

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