Senza voce

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LOREDANA FRESCURA MARCO TOMATIS

S enza voce

Cittadinanza Futuro Presente
La storia dei "bambini nell'armadio"
Alta leggibilità abc
Futuro Presente

Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini

Coordinamento grafico: Mauro Aquilanti

Team grafico: Nicoletta Moroni

Autori: Loredana Frescura, Marco Tomatis

Illustratore di copertina: Paolo Savelli

I Edizione 2024

Ristampa

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© 2024 Tutti i diritti sono riservati

Raffaello Libri S.p.A.

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LOREDANA FRESCURA

MARCO TOMATIS

senza voce

illustrazione di copertina Paolo Savelli

Per Adele, mia nipote, mio amore, perché gli armadi le servano solo a proteggere i suoi abiti.

Loredana

Per Arturo, perché non rimanga mai “senza voce”. Marco

Capitolo 1

Il muto

Italia, un giorno di oggi

«Il muto, il muto, guardate il muto, quello che non parla mai».

Pietro non si voltò verso la voce. Aveva capito che apparteneva a Francesco, un suo compagno di scuola a cui piaceva essere notato, specialmente se nei dintorni c’era Isabella della seconda B. Sorrise invece all’oggetto della presa in giro: Gianni, suo nonno.

Quel giorno era venuto ad aspettarlo all’uscita da scuola per portarlo a casa sua, dove sarebbe rimasto un paio di giorni mentre i suoi genitori erano via per il matrimonio di un parente all’altro capo dell’Italia.

Si accorse che anche il nonno aveva sentito Francesco e la sua risposta era stata un cenno con la mano, come se avesse ricevuto un saluto particolarmente affettuoso e intendesse ricambiare.

«Che cretino! Non ha capito che lo stavo prendendo per i fondelli».

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La voce di Francesco si sentì nitida. Pietro stava per voltarsi e reagire quando sentì Isabella ridere.

«Idiota! Non vedi che sei tu quello preso in giro?»

Mentre il viso di Francesco assumeva un colore scarlatto di cui sarebbe stata invidiosa anche una colata di lava, Pietro si voltò verso la compagna mentre anche il suo viso assumeva il colore di un semaforo inchiodato sul rosso. Isabella piaceva anche a lui ed era felice che fosse intervenuta a favore del nonno, che a sua volta l’aveva ringraziata con un piccolo inchino e le mani giunte sul cuore. Pensò poi che, ancora una volta, lui aveva avuto ragione. Un giorno glielo aveva scritto sul taccuino che aveva sempre con sé:

NON PERMETTERE A NESSUNO DI FARTI DEL

MALE. SE CERCANO DI PICCHIARTI TI DEVI

DIFENDERE, MA SE SONO SOLO PAROLE LASCIA

PERDERE. POSSONO FARTI ARRABBIARE MA NON TI

ROMPONO LE OSSA E SE CHI TI PROVOCA VEDE CHE NON REAGISCI SI RENDERÀ CONTO DI AVERE PERSO.

Sì, il nonno era muto, non parlava, ma c’era qualcosa di strano, che lui non capiva. Innanzitutto, cercando su Wikipedia, aveva scoperto che il mutismo era per la grande maggioranza dei casi frutto di sordità, ma il nonno aveva un udito perfetto. Era quello il motivo per cui, pur avendo imparato la LIS, la lingua dei segni, la usava pochissimo. Lui parlava attraverso il taccuino, scriveva le cose:

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LA ADOPERO SOLO CON ALTRI MUTI E SORDI. PER IL RESTO SENTO E POSSO BENISSIMO USARE LA PAROLA SCRITTA.

Inoltre, i pochi sordomuti che aveva visto sovente cercavano di comunicare biascicando parole pronunciate in modo confuso e gutturale. Il nonno invece taceva sempre. Come se non possedesse le corde vocali.

Un mistero e non era l’unico. Pietro ignorava quasi tutto della sua vita e anche la mamma era a conoscenza di ben poche cose, per non dire di nessuna. Un giorno, rispondendo a una precisa domanda, gli aveva detto di non avere mai ricevuto una risposta tutte le volte che aveva provato ad affrontare la questione. Né da lui né dalla nonna.

Sapeva solo, da quel poco che aveva potuto capire, che il nonno non era muto dalla nascita e aveva passato l’infanzia e parte dell’adolescenza in Svizzera, dove i suoi genitori erano emigrati dal meridione negli anni ‘60 del Novecento per rientrare in Italia dopo un certo periodo. Era poi andato a vivere per conto suo a Milano e lì aveva imparato il mestiere di idraulico. Ci aveva vissuto fino a quando non aveva avuto un colpo di fortuna: una vincita importante al Totocalcio, il concorso pronostici legato al campionato di calcio. Allora aveva lasciato la città, si era sposato, aveva avuto una figlia, lavorato tutta la vita e ancora adesso, ormai in pensione, era pronto ad accorrere in aiuto di qualche

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conoscente che aveva problemi di rubinetti o di caldaia. Una vita normale la sua.

A parte il mutismo, forse l’unica cosa un po’ strana in lui era il suo non cercare compagnia. Amava stare solo, leggendo, risolvendo problemi di enigmistica o effettuando lunghe escursioni in montagna durante le quali non aveva mai voluto nessuno con sé, tranne la nonna.

E adesso lui. Già. Un giorno dell’anno precedente gli si era presentato davanti, una scritta sul taccuino:

SE I TUOI GENITORI SONO D’ACCORDO, DOMENICA

VUOI VENIRE IN MONTAGNA CON ME?

Era stata la prima di lunghe camminate in silenzio, scandite solo dal rumore dei loro passi e di quello dei bastoncini che si conficcavano nel terreno o scalfivano leggermente la roccia. Escursioni in cui Pietro aveva imparato ad amare il sibilo del vento, il frusciare delle foglie, lo scrosciare dell’acqua di un torrente, i profumi dell’erba, diversi da luogo a luogo. Non si era mai annoiato e aveva capito che era proprio quello ciò che il nonno cercava. Come se avesse bisogno di avere un contatto stretto con la natura.

La settimana precedente, poi, l’aveva fatto assistere a qualcosa di indimenticabile. Era arrivato a casa sua con il solito taccuino:

DOMANI POMERIGGIO MI PIACEREBBE ANDARE IN MONTAGNA CON TE.

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La mamma aveva obiettato subito.

«Ma è mercoledì. Il giorno dopo deve andare a scuola. Potrete andarci sabato».

OCCORRE ANDARCI DOMANI. DEVO FARGLI VEDERE

UNA COSA. «Cioè?»

È UNA SORPRESA.

Non aveva voluto aggiungere altro e all’ennesima obiezione che sarebbe stato buio, aveva tirato fuori dallo zainetto che portava sempre con sé due pile frontali.

LE HO COMPRATE STAMATTINA. PER LE VENTIDUE, MASSIMO VENTITRÉ, SAREMO A CASA.

La mamma non era convinta, ma lui aveva cominciato a insistere per avere il permesso. Quel “devo” pronunciato dal nonno l’aveva intrigato. Aveva proprio usato quella parola. “Devo”. Non “vorrei” o qualcosa di simile. Erano partiti appena era uscito da scuola e dopo due ore di auto e tre di cammino erano giunti alla loro meta, la cima di una montagna, senza che il nonno rivelasse in alcun modo ciò che aveva in mente; il sole si stava abbassando all’orizzonte sopra un mare di nuvole, uno spettacolo magnifico.

A un certo punto il nonno l’aveva toccato su una spalla, facendolo voltare. Aveva così visto, come per magia, le loro due ombre proiettate, enormemente ingrandite, sulla parete calcarea verticale e bianca della montagna di fronte, mentre un velo di nebbia le faceva

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misteriosamente fluttuare. Una magia durata appena un paio di minuti, il tempo che il sole scendesse del tutto sotto l’orizzonte soffice delle nubi. Nel silenzio che era seguito, mentre una brezza più fredda accompagnava il calare della luminosità, preludio alla sera e poi alla notte, il nonno aveva tirato fuori il suo taccuino. Una pagina intera era stata scritta in anticipo:

È UN FENOMENO RARO. IO STESSO L’AVEVO VISTO

UNA SOLA VOLTA NELLA VITA. PUÒ AVVENIRE,

CON DETERMINATE CONDIZIONI METEO, SOLO

A SETTEMBRE O A MARZO, NEI DINTORNI

DELL’EQUINOZIO O DEL SOLSTIZIO, QUANDO IL SOLE

SI TROVA NELLA POSIZIONE ESATTA RISPETTO ALLA

MONTAGNA. È UNA SETTIMANA CHE STUDIO I

BOLLETTINI METEOROLOGICI. NON ERO SICURO CHE

L’AVREMMO VISTO. SONO FELICE.

Aveva capito che il nonno gli aveva appena fatto un regalo straordinario. Lo aveva abbracciato. Poi si erano seduti, avevano mangiato qualcosa, intrapreso la via del ritorno. Alle ventitré in punto era a casa. Non aveva raccontato nulla fino al giorno dopo perché voleva portare con sé a letto il ricordo intatto. Gianni si fermò al semaforo rosso. Il nonno lo stava aspettando al di là della strada. Si mosse appena comparve il verde.

Improvvisamente vide l’espressione serena del suo viso trasformarsi in spavento e la sua bocca aprirsi in un grido silenzioso, un grido senza voce.

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Un altro lo seguì. Voce femminile, forse Isabella.

«Oddio!»

Si fermò interdetto. E allora lo vide. Un quad di cui evidentemente il conducente aveva perso il controllo stava procedendo sul marciapiede dritto verso di lui. Cercò di schivarlo. Non ci riuscì. Sentì un urlo. Forse era stato lui. Le nuvole in cielo iniziarono a roteare per scomparire un attimo dopo e lasciare il posto all’asfalto che gli veniva incontro. Sentì un dolore lancinante in ogni parte del corpo. Poi tutto divenne nero.

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Capitolo 2

Ti do fastidio se parlo?

Sentore di medicinali. Ricordava di averlo già sentito. Ma dove?

Non riusciva a ricordare. Confusione in testa. Ospedale! Era odore di ospedale! Lo stesso di quando l’avevano ricoverato per l’operazione di appendicite qualche anno prima. Ma come ci era finito?

Caldo. Caldo e sete. Bocca arida. Improvvisamente il ricordo. Il quad che gli veniva addosso. L’oscurità totale e un attimo dopo il dolore.

Dolore? Adesso non ne sentiva. Piuttosto era in preda a un ottundimento profondo, come quando ti stai addormentando e ciò che un attimo prima ti occupava la mente sparisce per lasciare il posto a pensieri incoerenti e poi al nulla.

Cercò di aprire gli occhi. Non ci riuscì. Tentò di parlare. Idem. Voci intorno a lui. Tese l’orecchio. Le parole gli arrivavano a sprazzi, le frasi smozzicate:

«Lo abbiamo operato...».

«Domani faremo esami più approfonditi agli occhi…».

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«Non possiamo dire nulla, ma sta reagendo alle terapie. È giovane. Dovrebbe cavarsela in fretta».

«Per fortuna non ha lesioni gravi».

«No. Nessun pericolo serio».

Sembrava che qualcuno, di cui non udiva la voce, stesse ponendo delle domande a una persona che stava rispondendo. Comprese. Il nonno. Il nonno era lì. E stava usando il suo solito taccuino per chiedere, per sapere. Giusto. I suoi genitori non c’erano. Gli scappò quasi da ridere. Erano partiti in fretta per un matrimonio di un parente lasciando un figlio sano e rischiavano di trovarsi un rottame al ritorno. Cercò di muoversi.

«Si sta risvegliando!»

Una delle voci si era accorta del suo movimento. La sentì più vicina:

«Stai tranquillo. Hai avuto un incidente. Andrà tutto bene. Non hai lesioni gravi».

Una mano prese la sua.

«Non puoi parlare perché abbiamo dovuto bloccarti la mandibola fratturata. E fai fatica ad aprire gli occhi per il gonfiore. Non preoccuparti. Passerà in fretta».

Una pausa.

«Se hai capito quello che ho detto stringimi forte la mano due volte».

Non riuscì ad ubbidire, si sentiva così debole.

«Non preoccuparti, tra poco riuscirai a muovere le mani. Ti metteremo in piedi in poche settimane».

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Un’altra voce si rivolse a qualcuno che era nella stanza:

«Ha detto che i genitori arriveranno domani?»

Aveva parlato al nonno. Lo immaginò che accennava di sì con la testa.

«Vuole stare con lui?»

Sì, avrebbe voluto urlare. Sì. Resta con me.

«Bè, non vedo perché no».

Ci fu una serie di saluti e poi le voci tacquero.

Rumore di una sedia che veniva mossa e subito dopo gli giunse alle narici l’odore del nonno. Quel misto di dopobarba, uguale da sempre.

SONO DECENNI CHE LO USO, NON VEDO PERCHÉ

DOVREI CAMBIARLO.

E della liquirizia che amava succhiare.

MI FA MALE? LA LIQUIRIZIA? HO SETTANT’ANNI

ANNI. COSA VUOI CHE ME NE IMPORTI.

Fu contento che fosse con lui. Provò nuovamente a parlare. Niente da fare. La mascella era come serrata in una morsa.

Silenzio rotto solo dal respiro del nonno. «Pietro».

Una voce sconosciuta, incerta, gracchiante, flebile ma comprensibile.

Poi una mano prese una delle sue.

«Pietro, se mi senti stringi la mia mano».

Un lampo improvviso di comprensione gli attraversò la mente.

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FuturoPresente

La signora dice alla mamma parole che non capisco bene e che suonano paurose.

“Nascondersi” per esempio. Un’altra è “stare zitto”. La più terribile è “scomparire”.

Seconda metà del secolo scorso. Agli operai italiani che trovavano lavoro in Svizzera era proibito portare con sé la famiglia, quindi i bambini che eventualmente li accompagnavano dovevano stare nascosti in casa, in silenzio, senza poter andare a scuola, giocare con i coetanei o esser curati in caso di malattia. Gianni è uno di questi “bambini nell’armadio”: viviamo insieme a lui la sua vicenda, il suo disagio, il tentativo di capire le ragioni dei genitori, la ribellione verso una situazione insopportabile.

Una storia che potrebbe sembrare surreale, in realtà vera.

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