Robinson Crusoe

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Un sogno: “l’andar per mare” in cerca di avventure

Nacque a Londra nel 1660. Si occupò di commercio e, viaggiando, poté conoscere molti paesi. Si dedicò anche al giornalismo. La fama gli venne dai suoi romanzi d’avventura, tra i quali “Robinson Crusoe”.

Il giovane Robinson, poco incline ad ascoltare i paterni consigli e desideroso di conoscere il mondo, fugge di casa e parte per mare in cerca di avventure. E, in giro per il mondo, di avventure ne vivrà veramente molte: sarà marinaio, coltivatore, schiavo, affronterà pirati e cannibali, sarà coinvolto in terremoti, tempeste e uragani... fino a naufragare, unico superstite, su un’isola deserta. Robinson sarà costretto così a superare ostacoli e difficoltà, e a organizzare la sua vita con quel poco che gli offre la natura e con i resti del relitto della nave. In questo frangente scoprirà che tutto l’oro del mondo è inutile se non lo si può usare, mentre gli oggetti più semplici, poveri e apparentemente insignificanti, possono diventare indispensabili e salvare la vita. Un classico della letteratura, dai contenuti sempre attuali. Completano la lettura un apparato finale di approfondimento delle tematiche e un fascicolo di comprensione del testo.

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Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

Robinson Crusoe Un sogno: “l’andar per mare” in cerca di avventure

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Robinson Crusoe

Daniel Defoe

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Robinson Crusoe

Daniel Defoe

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Un sogno: “l’andar per mare” in cerca di avventure

Completano la lettura: Approfondimenti finali ascicolo di comprensione F del testo Schede interattive su www.raffaellodigitale.it



Collana di narrativa per ragazzi


Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico e copertina: Mauro Aquilanti Impaginazione: Giacomo Santo Disegno di copertina: Simone Gori Ufficio stampa: Salvatore Passaretta

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Tutti i diritti sono riservati © 2014

e–mail: info@ilmulinoavento.it http://www.grupporaffaello.it Printed in Italy

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di ­questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Daniel Defoe

Robinson Crusoe Traduzione e adattamento di Emanuela Tarascio



Capitolo

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Andar per mare

Sono nato a York nel 1632 da una buona famiglia, seb-

bene non di quella regione. Mio padre era di origine tedesca, veniva da Brema e si era stabilito a Hull dopo aver abbandonato il commercio; lì aveva sposato mia madre, che si chiamava Robinson. Dai miei genitori deriva il mio nome, Robinson Kreutznaer, che col tempo si è trasformato in Robinson Crusoe: ora ci chiamiamo e firmiamo così e così mi hanno sempre chiamato i miei compagni. Avevo due fratelli più grandi: uno era luogotenente in un reggimento di fanteria inglese nelle Fiandre e fu ucciso in battaglia combattendo contro gli spagnoli a Dunquerque; non ho mai saputo cosa sia accaduto all’altro mio fratello, proprio come i miei genitori non hanno più saputo niente di me. Ho ricevuto una buona istruzione; mio padre avrebbe voluto che facessi l’avvocato, ma fin da piccolo nella mia testa c’era il pensiero di andar per mare. Era un’inclinazione così forte che si scontrava con tutte le preghiere e i desideri dei miei genitori. Una mattina mio padre mi chiamò nella sua stanza per discuterne con me: mi domandò quali ragioni avessi per lasciare la casa paterna e il paese dove ero nato e dove avrei potuto farmi una posizione col mio lavoro e godere di una vita agiata e felice. Mi disse che solo gli uomini disperati o troppo ambiziosi si avventurano in imprese fuori del 5


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comune, mentre sarebbe meglio tenersi nel giusto mezzo, evitando la miseria da una parte e il lusso dall’altra. Mi esortò a non fare ragazzate; mi ricordò che il mio fratello maggiore non aveva ascoltato i suoi consigli, se n’era andato da casa per combattere in guerra ed era stato ucciso. Certo mi sarei pentito anch’io se avessi fatto come lui, disse, e le sue parole furono davvero profetiche. Le lacrime scorrevano sul suo viso mentre mi parlava e io ne fui commosso. Come avrei potuto non esserlo? Ma nel giro di poche settimane ritornai all’idea di sempre. Provai allora a rivolgermi a mia madre: le dissi che ormai avevo diciotto anni e che era tardi per apprendere un mestiere. Sarei partito comunque: non poteva parlare a mio padre per convincerlo a darmi il suo consenso a fare almeno un viaggio? Un viaggio solo, e se non mi fosse piaciuto sarei tornato a casa e non sarei più ripartito. Niente da fare. Mia madre mi rispose irata che non serviva a niente parlare con mio padre: sapevo bene come la pensava. Erano convinti, tutti e due, che sarei stato felice solo rimanendo a casa e che, partendo, avrei decretato la mia rovina. Un giorno, a Hull, un mio amico mi invitò a imbarcarmi sulla nave di suo padre verso Londra: il viaggio non mi sarebbe costato niente e io avrei potuto sperimentare la vita dei marinai. Non ci pensai due volte e accettai senza dire nulla ai miei genitori. Partii il primo settembre 1651. Appena fummo al largo, il vento cominciò a soffiare e il mare a crescere in modo spaventoso; io, che non ero mai andato in mare prima, mi sentivo male ed ero terrorizzato. Cominciai a pensare che fosse la punizione per avere abbandonato la mia famiglia. La tempesta continuava ad aumentare e ogni onda era talmente alta che pensavo ci avrebbe inghiottito. Facevo mille voti a 6


Andar per mare

Dio, mille promesse che se mi fossi salvato sarei tornato dritto da mio padre e non avrei mai più messo piede su una nave. Ma i miei buoni propositi durarono poco: il giorno seguente, il vento e il mare si calmarono e io, vedendo il sole che brillava sull’acqua, iniziai a pensare che il mare non era così terribile, dopotutto. – Allora, Bob – disse il mio amico, – come ti senti? Hai avuto paura, vero? E non era altro che un filo di vento! – Un filo di vento, lo chiami? Era una terribile tempesta! – replicai io. – Ma che tempesta! Non era proprio niente – disse lui. – Sei proprio un marinaio d’acqua dolce, Bob. Vieni, facciamoci una bevuta e non pensiamoci più. Vedi che bel tempo c’è adesso? Così andammo a bere e io esagerai un po’, tanto da dimenticare, insieme alla paura, tutti i miei buoni propositi. Al sesto giorno della nostra navigazione giungemmo a Yarmouth: col vento contrario e il tempo buono avevamo fatto poca strada. Lì fummo costretti ad ancorarci e il vento non ci fu favorevole per sette od otto giorni, durante i quali molte navi provenienti da Newcastle si fermarono vicino a noi ad aspettare il vento propizio. Dopo quattro o cinque giorni, il vento cominciò a soffiare forte. La nave era ben ancorata e all’inizio nessuno si preoccupò. Ma poi il mare s’ingrossò tanto che il capitano ordinò di gettare la seconda ancora. Scoppiò una terribile tempesta e il terrore era sulle facce di tutti i marinai. Il capitano cercava di salvare la nave e lo udii più volte sussurrare fra sé, mentre entrava e usciva dalla sua cabina: – Signore, abbi pietà di noi. Moriremo tutti! Io credevo che tutto si sarebbe risolto come la prima volta, ma quando il capitano mi venne a dire che eravamo perduti mi spaventai a morte. Uscii dalla mia cabina e guar7


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dai fuori: era la scena più impressionante che avessi mai visto. Il mare era alto come una montagna e si infrangeva su di noi ogni tre o quattro minuti. Due delle navi che ci erano vicine avevano le vele stracciate e si sentiva gridare che un’altra, a circa un miglio dalla nostra, era affondata. Altre due navi furono trascinate lontano, alla deriva. Verso sera fu chiesto al capitano di togliere la vela anteriore, altrimenti saremmo affondati, ed egli, a malincuore, accettò. Ma poi la nave cominciò a scuotersi così violentemente che dovemmo togliere anche la vela principale. Io ero in uno stato di terrore indescrivibile. E il peggio doveva ancora arrivare. La tempesta continuava con tale furia che gli stessi marinai riconoscevano di non aver mai visto niente di simile. Urlavano che saremmo affondati e che potevamo colare a picco da un momento all’altro. Nel mezzo della notte arrivò la notizia che stavamo imbarcando acqua e tutti corsero alle pompe. Anch’io cercai di dare una mano. Ad un certo punto spararono un colpo di pistola per chiedere aiuto. Io non sapevo cosa significasse: mi spaventai a tal punto che persi i sensi. Ovviamente in quella situazione tutti erano impegnati a salvare le proprie vite e nessuno si preoccupò di me. Mi spinsero da parte e mi lasciarono lì finché tornai in me. Continuammo a pompare, mentre l’acqua aumentava, rendendo evidente che la nave sarebbe affondata; anche se la tempesta cominciava a calmarsi un po’, non saremmo riusciti ad arrivare al porto. Il capitano continuava a sparare per chiedere aiuto. Una nave inviò una scialuppa a salvarci, ma non era possibile per l’imbarcazione avvicinarsi a noi né per noi nuotare fino a essa. Gli uomini della scialuppa remavano con energia, mettendo a rischio le loro vite per salvare le nostre; lanciammo loro una fune che, con grandi sforzi, raccolsero e ci 8


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calammo a bordo. Fummo tutti d’accordo che la cosa migliore da fare era lasciarsi andare alla deriva e tentare per quanto possibile di raggiungere la terraferma. Dopo circa un quarto d’ora vedemmo la nostra nave affondare e per la prima volta mi resi conto di cosa significasse un naufragio. Nello stesso tempo molte persone si stavano radunando sulla spiaggia di Winterton per portarci soccorso, una volta approdati. Quando, con grande difficoltà, raggiungemmo la terra, ci trattarono con grande umanità e ci fu dato il denaro necessario per andare a Londra o ritornare al punto di partenza. Avessi avuto il buon senso di tornare a Hull e di lì a casa mia, sarei vissuto felice e mio padre avrebbe ammazzato il vitello grasso per il mio ritorno, come nella Parabola. Egli venne infatti a sapere che la nave su cui ero partito era colata a picco nella baia di Yarmouth e passò del tempo prima che gli assicurassero che non ero annegato. Invece, sebbene tentassi in tutti i modi di ascoltare la voce della ragione, non potei fare a meno di seguire il forte richiamo del mio destino. Il mio amico, il figlio del capitano, era meno spavaldo di me: aveva un tono mesto e scuoteva malinconicamente la testa mentre mi chiedeva come stavo. Suo padre volle sapere chi fossi e, sentendo che mi ero messo in viaggio per prova, con il desiderio di conoscere altri paesi, si rivolse a me con voce severa: – Giovanotto, non devi mai più andar per mare. Devi interpretare quanto è successo come un chiaro segno che non sei destinato a diventare un marinaio. – Perché, signore, forse voi smetterete di navigare? – dissi io. – Il mio è un caso diverso – rispose lui. – Andar per mare è il mio mestiere e quindi un mio dovere. Ma tu hai fatto il viaggio per prova e hai visto cosa devi aspettarti se insisti a voler navigare. Il tuo mestiere qual è? Perché ti sei imbarcato? 9


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Allora gli raccontai la mia storia, provocando in lui un’inspiegabile collera: – Che male ho fatto perché un povero disgraziato come te salisse sulla mia nave? Non metterò mai più piede su una nave insieme a te, neanche per mille sterline! – esclamò. Era sconvolto per la perdita della nave e mi disse che dovevo tornare a casa da mio padre e che se non lo avessi fatto sarei andato incontro solo a disastri e delusioni, proprio come mio padre mi aveva predetto. Scelsi di andare a Londra, ma ero combattuto se fosse meglio tornare a casa. Se lo avessi fatto, i vicini e tutti quanti avrebbero riso di me. I giovani spesso sono così irrazionali che si vergognano più di pentirsi che dei peccati commessi; mentre non peccare sarebbe l’unica cosa saggia. Per un certo tempo restai incerto sulla decisione da prendere circa il mio futuro. Qualcosa mi dissuadeva dal tornare a casa e, mentre indugiavo, il ricordo dell’esperienza passata si affievolì. Così mi passò completamente la voglia di tornare e mi informai per un nuovo viaggio.

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