Sono erba, sono cielo

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Lorenza Farina

DIALOGARE PER CRESCERE Storie nate dalla collaborazione con i protagonisti del mondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani

Lorenza Farina

Emma osserva ogni cosa attraverso lo sguardo meravigliato del nonno che si posa come una carezza sulle piante, sui fiori, sull’erba. Il vecchio Giò, infatti, insegna alla nipote ad ascoltare la voce degli alberi, il canto degli uccelli e, con questi, la musica della vita. Con parole lievi e piene di grazia, questa storia racconta l’esperienza umanissima della malattia dell’Alzheimer che vede sfumare i contorni di ogni certezza, ma ci ricorda anche che la potenza dell’amore resta l’arma più efficace per combatterla. Un romanzo denso di poeticità e delicatezza. Lorenza Farina è nata a Vicenza, dove ha lavorato come bibliotecaria. Le piace scrivere storie che fanno divertire, ma anche riflettere. Ha pubblicato una ventina di libri, ottenendo prestigiosi riconoscimenti.

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Dai 10 anni I S B N 978-88-472-2361-5

€ 9,00

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Sono erba, Sono cielo

Sono erba, sono cielo

Sono erba, sono cielo SERVONO RADICI SALDE PER RAGGIUNGERE LE STELLE



DIALOGARE PER CRESCERE


Editor: Patrizia Ceccarelli Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico: Simona Dell’Orto Ufficio stampa: Salvatore Passaretta 1 a Edizione 2015 Ristampa 5 4 3 2 1 2020 2019 2018 2017 2016 Tutti i diritti sono riservati © 2015 Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 - 60037 – Monte San Vito (AN) e–mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e–mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Lorenza Farina



“Ai miei nonni, Maria, Lelio, Nella e Augusto, cavalieri senz’arma e senza corazza che mi hanno cresciuto a suon di storie, conservate nella loro memoria� .


INTRODUZIONE

Il racconto, commovente e poetico, si snoda nell’arco di tre estati trascorse da Emma in campagna presso i nonni. Durante la prima estate la piccola protagonista, sette anni, impara ad amare la natura e, in parti ‑ colare, una vecchia quercia che cresce in fondo al giardino. – Un giorno mi trasformerò in una quercia gigantesca come questa – dice il nonno. – Sarò come un Cavaliere tutto Verde Brillante. – E io un passero tra i tuoi rami, così staremo sempre insieme – risponde la nipotina. Emma osserva ogni cosa attraverso lo sguardo stupito e trasognato del nonno che si posa come una carezza sulle piante, sui fiori, sull’erba. Il vecchio Giò, anima rude ma sensibile, insegna alla nipote ad ascoltare la voce degli alberi e a credere nei sogni.


Le stagioni si susseguono e, come una tempesta che rovina il raccolto ormai pronto, giunge anche “l’ultima estate” in cui il nonno si ammala di Alzheimer. Una strana parola che assomiglia al nome di uno di q u e i n e m i c i s e n z a v o l t o c h e i l C a v a l i e r e Ve r d e , mitico personaggio tanto amato dal vecchio Giò, combatteva nella foresta. Arriva poi una “nuova estate” in cui Emma, ormai dodic enne, to rna n el l a cas a t r a i ca m p i e r i esce ancora a stabilire con il nonno un rapporto vivo e presente, al di là dei limiti dello spazio e del tempo.



PARTE PRIMA

LA PRIMA ESTATE “... nessun’anima aveva mai veduto un cavaliere di tale sembiante, tutto verde brillante”.



L'arrivo

Emma ricordava perfettamente la prima estate che aveva trascorso da sola dai nonni, in campagna. Aveva sette anni e aveva appena perso due denti. Quando sorrideva, la sua bocca sembrava una casa con l’uscio aperto. Mamma e papà, terminata la scuola dove inse‑ gnavano francese e matematica, avevano avuto l’oc‑ casione di un viaggio studio a Parigi: una seconda luna di miele che sarebbe durata un’intera estate. – Marco, non pensi che nostra figlia sia ancora troppo piccola per rimanere da sola con due persone anziane così a lungo? – aveva obiettato la mamma perplessa. – Non dobbiamo preoccuparci, Anna – le aveva risposto il marito. – Emma è una bambina respon‑ sabile, saprà cavarsela anche senza di noi. E poi farà 11


sicuramente piacere a quel vecchio burbero di mio padre e soprattutto a mia madre Sara avere un po’ di compagnia. Hanno così poche occasioni di stare con la loro unica nipote. Emma ricordava quell’estate perché, per la prima volta in vita sua, si era sentita grande. Allora aveva scoperto chi era davvero nonno Giovanni, che tutti chiamavano Giò. Ogni tanto, rovistando tra i ricordi affastellati dentro la testa come in un armadio con tanti cassetti in disordine, la bambina ripescava qualche immagine: i prati macchiati qua e là dal rosso dei papaveri, il boschetto di faggi, la siepe di ligustro, il roseto, l’orto dove non c’era un filo d’erba fuori posto, il giardino bordato di lavanda e il cancello di legno sempre chiuso per tenere lontano “i tipi con la puzza sotto il naso”, le aveva spiegato il vecchio Giò, grac‑ chiando come la cornacchia appollaiata sulla grande quercia.

Il papà fermò la macchina davanti al cancello della casa dov’era nato e cresciuto e cercò i suoi genitori. – Mamma, papà, dove siete? – gridò, perché il campanello non funzionava. Emma scorse, seminascosta tra la vegetazione, 12


una casa di pietra con un grande portico e il tetto spiovente di coppi rossi. Il papà suonò il clacson più volte, finché videro spuntare nonno Giò dietro la siepe di ligustro. Indossava una camicia a quadri con le maniche arro‑ tolate, i pantaloni di fustagno lisi sulle ginocchia sporchi di erba e di terriccio, il cappellaccio di paglia calcato sulla testa. – Eccomi! Eccomi! Il solito impaziente – bofonchiò il vecchio rivolto al figlio, ballonzolando perché gli zoccoli di legno gli stavano un po’ larghi. – Non ho più vent’anni, bello mio – aggiunse rude, aprendo con fatica il cancello. Marco, a quelle parole, non aveva potuto fare a meno di sorridere. – Il solito brontolone, tuo nonno – commentò sottovoce rivolto a Emma. – Il tempo passa ma lui rimane tale e quale: un burbero dal cuore tenero. Dopo aver scaricato la valigia di Emma, Marco raggiunse di corsa sua madre, apparsa in quell’i‑ stante sotto il portico con le braccia aperte. Nonno Giò ed Emma rimasero immobili, in piedi uno di fronte all’altra a squadrarsi come se volessero leggersi dentro. Il vecchio, alto, smilzo, con il volto segnato di rughe, ebbe un brillio in fondo agli occhi azzurri come il cielo che li sovrastava. 13


Emma, piccola di statura, mingherlina, i capelli biondi diritti con la frangetta troppo lunga che ogni tanto doveva spostare con le mani perché non le coprisse gli occhi, si tuffò in quello sguardo luminoso. – Perbacco, sei poco più alta della mia capra Gelsomina. Ma vedrai che a fine estate ti sarai allungata di almeno una spanna. Parola di vecchio Giò! Uccello, uccellaccio – esclamò scoppiando in una sonora risata che fece quasi tremare i vetri della serra lì vicino. Anche Emma, contagiata dal suo buonumore, rise divertita. – Oibò! Chi ti ha rubato i due denti davanti? – le domandò il nonno sorpreso. – Forse la solita formica che s’intrufola di notte nella bocca aperta dei bambini che dormono o il topolino che ha scambiato i tuoi denti per una scaglia di formaggio? Emma serrò subito le labbra per paura che la f o r m i c a o i l t o p o l i n o l e s g r a ff i g n a s s e r o u n a l t r o dente. – Non ti preoccupare: se rimarrai sdentata ti presterò la mia dentiera che, a ogni respiro, tintinna come il batacchio di una vecchia campana. Poi il nonno, sempre ridendo, la fece sparire dentro il suo grande abbraccio. Emma con la guancia appic ci cata al l a tel a d el l a su a ca m i ci a a q u a d r i , 14


macchiata del rosso delle fragoline selvatiche, chiuse gli occhi. E sentì l’odore di terra, di erba e di timo che il nonno emanava. Il papà le fece mille raccomandazioni. – Sta lontana dall’apiario, non avvicinarti troppo alla riva del ruscello e... – Su, piantala, fifone! Tua figlia saprà cavarsela certamente meglio di te che, a forza di stare in città, sei diventato quasi “un damerino” – lo interruppe piccato il nonno. – Qui in campagna nessuno è mai morto per una puntura d’ape o per un tuffo nel fosso. Alla nostra nipotina baderemo io e tua madre e la riempiremo di coccole, visto che abbiamo così poche occasioni per godercela – aggiunse rivolto al figlio. Dopo aver pranzato, Emma salutò il papà che sparì oltre il cancello, rombando sulla sua auto ‑ mobile per far ritorno in città. Poi sollevò lo sguardo a guardare le nuvole. “Domani mamma e papà sorvoleranno il cielo, diretti a Parigi” pensò. – Su, p ri nci p essa, and ia m o a i n n a ff i a r e l ’o r t o mentre tua nonna finisce di riordinare la cucina – le disse il vecchio Giò. Emma s’incamminò dietro al nonno che la sovrastava come una montagna. Ogni tanto doveva trottare per stargli al passo. 15


Imboccarono il sentiero tra gli alberi che portava in fondo al giardino, mentre il rumore dei loro passi suscitava echi, fruscii e sussurri, come se ogni pianta e arbusto avessero preso vita al loro passaggio. Il nonno con voce squillante recitò un pezzo di “Galvano e il Cavaliere Verde”, una storia che sapeva a memoria: – Ognuno fu afferrato da stupore, nessun’anima aveva mai veduto un cavaliere di tale sembiante, tutto verde brillante. – Bravo, nonno! – esclamò Emma battendo le mani. La grande quercia in fondo al giardino sembrò approvare con il fruscio dei rami agitati dal vento.

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Una " vecchia amica"”

– Su, pigrona! Cosa fai ancora a letto? – tuonò il nonno entrando all’improvviso nella stanza di Emma e spalancando con fragore le finestre. – Non lo sai che in campagna ci si alza col levar del sole, perché il mattino ha l’oro in bocca? Emma ancora assonnata, si protesse gli occhi con una mano perché la luce del sole l’abbagliava. – Su, fa’ presto, principessa – la esortò, – va’ a bere un po’ di latte, io ti aspetto in giardino. Desidero farti conoscere una vecchia amica – aggiunse con fare circospetto, scendendo le scale, tenendosi ben stretto al corrimano per non scivolare. In cucina Emma trovò nonna Sara intenta a tagliare le verdure a pezzetti per il minestrone. – Buongiorno, nonna – la salutò la bambina, schioccandole un bacio sulla guancia. 17


– Buongiorno, cara, su fa’ colazione, perché il vecchio orso non ha pazienza. È fuori in giardino che ti aspetta da un’ora, pestando i piedi. Sembra il Cavaliere Verde che avanza, scalcia e trotta impu‑ gnando l’ascia. Appena il vecchio Giò scorse la nipote corrergli incontro, s’illuminò mettendo in mostra la sua dentiera che luccicò al sole. – Foglia, corteccia, albero – cantilenò come se rec itasse u n a fo rmu l a magi ca ch e so l o l o r o d u e dovevano conoscere. – Foglia, corteccia, albero – ripeté Emma battendo il cinque sul grande palmo della mano del nonno. – Oggi è un giorno speciale – mormorò Giò. – Perché? – Perché ti farò conoscere una vecchia amica che diventerà anche tua. Incuriosita, Emma trotterellò dietro al nonno che cominciò a fischiettare un allegro motivetto. Mentre camminava, nonno Giò si guardava attorno con un sorriso sul volto. Il suo sguardo si posava come una carezza sulle piante, sui fiori, sull’erba. Si ritrovarono in fondo al giardino dove si fermarono ai piedi di una quercia enorme. Emma sollevò la testa, ma non riuscì a scorgerne la cima. 18


– Ti presento il mio albero preferito. Questa è Quercia Verdifronde – spiegò il vecchio Giò. – L’ha piantata mio nonno. Mi ha visto nascere e diventare grande. Quando è nato tuo papà, abbiamo fatto una bella festa proprio qui sotto, fino a notte inoltrata. C’erano le lucciole che illuminavano il buio e la civetta che strideva a più non posso. Emma fissò il tronco. Era larghissimo: neppure tre uomini, tenendosi per mano, sarebbero riusciti ad abbracciarlo. La corteccia ruvida era solcata da fessure e da nodi profondi come occhi puntati su di lei. La chioma tondeggiante, divisa in rami piuttosto grossi, superava in altezza la casa. – Abbraccialo insieme a me – la invitò il vecchio Giò. Il nonno ed Emma, tenendosi per mano, si avvi‑ cinarono all’albero, appoggiandosi alla corteccia con tutto il corpo. Emma provò un’emozione inspiegabile, che quasi le tolse il respiro. – La nostra vecchia amica è felice. Ascolta la sua voce – le sussurrò il nonno emozionato anche lui. Emma rimase in silenzio. Sentì un fruscio tra i rami, ma forse era solo il battito d’ali di un uccello. Poi si staccò dal tronco che profumava di erba e di resina. Alzò nuovamente la testa ad ammirare l’in‑ treccio dei rami. 19


– Come sarebbe bello, nonno, fare una casa sull’albero – esclamò mentre il cuore le batteva forte. – Forse un giorno ne costruiremo una di legno, anche se sono diventato vecchio per certi lavori pesanti. Un sognatore come me, domani, potrebbe vedere realizzato il suo desiderio, chissà… – le rispose con aria misteriosa. – Ti aiuterò io, nonno, non ti preoccupare. – Allora, se tu mi darai man forte, non ci saranno problemi. Riusciremo a sollevare anche le assi di legno per costruire il pavimento. E per le pareti potremo usare delle frasche. – Sarà una casa magnifica! – Come prima cosa, però, devi imparare ad arrampicarti – le disse nonno Giò. – Devi fare sempre piano piano, facendo attenzione a dove metti i piedi, appigliandoti ai rami più grossi. Proveremo però domani: ora fermiamoci all’ombra perché mi sento un po’ stordito come se avessi bevuto un bicchiere di troppo. Giò si sedette lentamente su una grossa radice che spuntava dal terreno e appoggiò la schiena al tronco della quercia. Emma gli si mise accanto. – Tutto bene, nonno? – gli domandò preoccupata, posandogli una mano sulla spalla. – A meraviglia – rispose Giovanni, facendo un lungo respiro. Poi con un brillio negli occhi propose: 20


– Conosci quel gioco che si chiama “Facciamo finta che...”? Lo facevo sempre con tuo padre quando aveva circa la tua età. Lui si divertiva un sacco a trovare le rime. – Sì, sì, giochiamo! – batté le mani Emma e Giò iniziò a cantinelare: – Sono una foglia leggera come una voglia. Voglia di mirtillo, sono un po’ brillo. Sono un uccello, un passero o un fringuello, volo in alto nel cielo, poi mi poso sul melo. Sono vento di primavera. Sono un respiro sul far della sera… – Nonno, non immaginavo che tu fossi anche un poeta! – esclamò Emma battendo le mani. Il vecchio Giovanni rise scuotendo la zazzera candida e facendo ballare la pancia. – Un giorno mi trasformerò in una quercia gigante‑ sca come questa – le confidò con aria misteriosa. – Sarò come un cavaliere tutto verde brillante. 21


– E io in un passero tra i tuoi rami, così staremo sempre insieme – le rispose Emma abbracciandolo. – Però per il momento, non sveliamo questi sogni a tua nonna… ci prenderebbe per matti. Si guardarono negli occhi con aria complice e divertita, felici di condividere quel segreto. Dopo un attimo sentirono in lontananza nonna Sara che li chiamava. – Dove diavolo vi siete cacciati, voi due? Il mine‑ strone è già nel piatto! – È meglio che torniamo, perché quando tua nonna si arrabbia, lo fa sul serio! Le loro risate si dileguarono tra il folto degli alberi mentre tornavano verso casa. Il vecchio Giovanni davanti, la piccola Emma dietro, cercando di tenergli il passo.

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