Mozart e lo spartito perduto

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Valeria Conti

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Valeria Conti

Geni si Nasce o si Diventa?

Storie di talenti eccezionali per scoprire il genio che è in te

W. Amadeus Mozart

e completo di Conosci il nom adeus? Wolfgang Am

Valeria Conti Valeria Conti è autrice, traduttrice e adattatrice di testi per televisione e cinema. È molto pigra e ama starsene in panciolle a leggere con una fetta di torta a disposizione. Scrive storie perché anche qualcuno di voi si metta comodo e inizi a leggere, leggere, leggere. Con o senza torta.

Lisa è una ragazzina curiosa, suona il piano e la batteria in un gruppo rock, ma la sua Accademia di Musica si ritrova al centro di uno strano imbroglio. Indagando per risolvere l’intrigo, Lisa si imbatterà in un sacco di guai. La aiuteranno Luca e Marco, ma anche Wolfgang Amadeus in persona. Impossibile, Mozart è morto da un pezzo, direte voi! No! Finché qualcuno strimpellerà la sua musica, Wolfgang sarà in mezzo a noi vivo e vegeto. E Lisa potrà confermarvelo!

Dai 10 anni

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Mozart era austri o tedesco?

Lo immagini serio e noioso o sempre pronto allo scherzo? Conosci l’alone di mistero che circonda la Messa da Requiem?

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Attraverso un racconto denso di mistero, potrai conoscere uno dei più importanti musicisti di tutti i tempi.

I S B N 978-88-472-2253-3

M Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

Sai a quale età era in gr ado di leggere uno spartito?

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W. Amadeus Mozart


Editor: Patrizia Ceccarelli Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico: Simona Dell’Orto Illustrazione di copertina: Paolo D’Altan Ufficio stampa: Salvatore Passaretta 1a Edizione 2015 Ristampa 5 4 3 2 1 2020 2019 2018 2017 2016 Tutti i diritti sono riservati © 2015 Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 - 60037 – Monte San Vito (AN) e–mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e–mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Valeria Conti



1 Batterist ck o pianista classica? a ro


LLe orecchie mi esplodono ogni volta che percuoto la bat-

teria con le bacchette, la chitarra di Luca mi entra nella testa, il basso di Marco vibra nelle mie ossa e la musica rock che suoniamo mi scuote i muscoli. Sudata, ma soddisfatta, concludo il pezzo con un ultimo colpo di piatti. Poi mi fermo un attimo a riprendere fiato. Mentre respiro, penso che ho avuto davvero fortuna (una volta tanto!) a imbattermi nell’annuncio attaccato con lo scotch nella bacheca di scuola a inizio di questo anno di prima media. Il foglietto strappato da un quaderno a righe diceva: “Cercasi batterista arrabbiato per gruppo rock” “Non ti prenderanno mai, Lisa” mi sono detta, pessimista come sempre. “Tu non sei un batterista”. È vero, infatti suono il pianoforte classico. Però sulla mia arrabbiatura non ci sono dubbi. Sono più che arrabbiata, sono una furia imbufalita! E ne ho tutte le ragioni: un brutto giorno di un anno fa mia mamma è stata fagocitata dall’Ospedale San Matteo degli Infermi di Spoleto (che è la città dove vivo) e da allora entra e esce, e quando è fuori è come se non ci fosse.

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classica? a t s i n a sta rock o pi

Ha una brutta malattia nervosa, ma non voglio parlarne perché quando ci penso mi sembra che qualcuno mi perfori lo stomaco (o è il cuore?) con un trapano. Da allora io e mio papà dobbiamo cavarcela da soli, e non ci riesce tanto bene. Torniamo alla mia batteria rock. Per farla breve, mi sono buttata e mi hanno accettato. Il gruppo è composto solo da tre elementi, io e due compagni di I E: Marco, un tipo un po’ ciccione, sempre con i capelli sugli occhi che in classe mi aveva sorriso un paio di volte in modo gentile. E Luca Massi alla chitarra. Il biondissimo, grandissimo, inarrivabile Luca, con il quale non ho mai scambiato verbo. Per dire la verità io non ho scambiato verbo con nessuno dei miei nuovi compagni: sono sempre stata timida, difetto che negli ultimi tempi è peggiorato. Luca, dicevo, con me non ha mai parlato davvero, ma posso capirlo: lui ha la sua fama di bello-e-impossibile da difendere. È l’idolo di tutta la prima media e il trio Camil­la-Grazia-Alice sbava qualunque cosa lui dica o faccia. Loro sono le belle di classe, sono sempre “giuste”. Io non posso competere. Loro sono bionde e io bruna. Loro alte, io bassa e mingherlina. Loro portano i capelli lunghi, io molto corti. Non c’è partita. L’unica cosa che mi piace di me sono gli occhi, a mandorla e color nocciola. Mio padre dice che con i capelli corti e gli occhi grandi ricordo un passerotto. Un punto a mio favore. 7


Alla fine della prova, Luca mi degna di un vago cenno con il capo. Io raccatto la mia felpa, caduta a terra nella foga del rock, saluto mentalmente la mia batteria, che poi non è mia ma della scuola, e me ne vado. Al mio passaggio, Marco mugola qualcosa: è il suo modo di salutare, va d’accordissimo con il mio che consiste in un cenno del mento. Non è che comunichiamo molto, noi tre, però suonare insieme è una bella esperienza. Non scambiamo verbo ma note sì, tante.

Non mi va di tornare subito a casa, tanto la troverei vuota: papà lavora fino a tardi nel suo ufficio al Comune di Spoleto. Decido di fare un salto nel mio “rifugio”, cioè la vecchia, scalcagnata Accademia di Musica che ha sede in un antico palazzo nel centro storico, non lontano da casa mia. Mentre salgo le scale, le mie narici avvertono il solito odore di umido, polvere e sporcizia che è la nota distintiva di questo posto. E mi si allargano i polmoni e il cuore! Io adoro il rock, e mi diverto da matti a suonare la batteria, ma il mio vero amore resta la musica classica. Nei momenti di più sfrenato ottimismo sogno di diventare una grande pianista, poi la solita insicurezza ha il sopravvento e mi dico che una come me non ci riuscirà mai, neanche fratturandosi le dita a forza di esercitarsi sulla tastiera. Il mio idolo indiscusso è Wolfgang Amadeus Mozart. È stata mia mamma a contagiarmi con questa passione. 8


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Lei sostiene di avermi fatto ascoltare la sua musica da sempre, addirittura da quando ero in pancia. Durante l’ultima vacanza trascorsa tutti insieme, io, mamma e papà siamo andati a Salisburgo, dov’è nato Mozart, per visitare la sua casa. È stato un viaggio bellissimo, era un sogno che accarezzavo da tempo. Lì abbiamo scoperto che esiste un Premio W.A. Mozart per giovani talenti e mia mamma ha deciso che dovevo assolutamente partecipare. Il concorso si terrà il prossimo autunno, dovrò suonare alcune composizioni di Mozart (difficili!) e presentare una relazione scritta con notizie e curiosità sul musicista. Dovrò anche scrivere quello che la musica di Mozart rappresenta per me. Se vincessi, il premio sarebbe un bel regalo da dedicare a mia mamma, ma chissà… Appena entro nell’Accademia, il maestro Orlanducci mi accoglie con gentilezza: “Ti stavo aspettando, Lisa. Lo sai che devi esercitarti tutti i giorni, il Premio Mozart è prestigioso, la concorrenza sarà fortissima”. È soprannominato dagli allievi “Forfora”, in onore della nevicata che decora le spalle della sue vecchie giacche blu. È il mio maestro di piano da sempre, e grazie a lui ho libero accesso all’Accademia e al suo strumento, perché mio padre non può permettersi la spesa di un piano tutto per me. 9


“Come va il suo raffreddore, maestro?” mi informo. Forfora emette un sospiro che somiglia a un muggito. Si vede che oggi è proprio a terra. “Fosse solo il raffreddore! Ho ben altri problemi, cara Lisa!” “Forse la caldaia si è rotta di nuovo?” domando, perché il riscaldamento dell’Accademia è la dannazione della vita di Forfora. “Anche quello sarebbe una seccatura da niente!” “Il riscaldamento che non funziona una seccatura da niente?” domando stupita. Mi sono sorbita ore e ore di lamentele sul freddo che regna nella scuola di musica. E adesso il maestro liquida la faccenda come un problema secondario? “Cosa è successo?” Un secondo muggito. “Il Comune di Spoleto cederà la scuola alla società Music forever. L’Accademia verrà ristrutturata dalle fondamenta al tetto, guarda!” esclama concitato. Mi mostra un volantino pubblicitario con tanto di foto patinate. Impiego qualche secondo per capire che sono foto dell’Accademia di Musica, pesantemente ritoccate con photoshop. Infatti l’edificio storico non ha la solita aria diroccata. E poi ci sono riproduzioni di bellissimi e modernissimi strumenti, ritratti di scolaresche di ragazzi felici che prendono lezioni di musica da maestri belli ed eleganti senza un grammo di forfora. Guardo Orlanducci con aria interrogativa. 10


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“Beh, mi sembra una buona idea. Se qualche riccone vuole ristrutturare l’Accademia, che male c’è?” domando. “Nessuno” risponde lui, “se non fosse che gli avvocati dei ricconi hanno già detto all’attuale direttore e maestro di musica, cioè io, di trovarsi un altro impiego. E se non fosse che la retta mensile dell’Accademia, invece di limitarsi alle poche decine di euro attuali lieviterà fino a mille euro e più! La maggior parte dei miei allievi, tu compresa, non se la potrà più permettere!” Orlanducci sta quasi per scoppiare a piangere. Ho afferrato la situazione in tutto il suo orrore. L’Accademia è l’unico posto dove mi sento al sicuro, dove trovo un po’ di serenità. E se non potrò più esercitarmi al vecchio piano, addio sogno di vincere il premio intitolato a Mozart. “Ha detto che è il Comune di Spoleto a cedere l’Accademia” osservo io, “mio padre lavora lì, ne ha già parlato con lui?” “È la prima persona che ho chiamato. Non ne sapeva niente, ma si è informato: non c’è nulla da fare, ormai tutto è deciso, bollato e firmato”. “Chi sono i ricconi compratori?” domando. “Non lo so! Non hanno un volto, come ti ho detto è una società” risponde Forfora. “L’unica speranza di salvezza sarebbe fare un’offerta più alta della loro. Che è stratosferica”. Poi sussurra, rivolto a se stesso. “Devo trovare i soldi entro pochi giorni, o io e l’Accademia siamo morti!” E se ne va ingobbito dalle preoccupazioni. 11


Anch’io mi sento come se mi fosse arrivato un mattone sulla testa. Accenno a qualche nota sul piano, ma neanche il mio amato Mozart riesce a sollevarmi il morale.

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NASCE IL GENIO DELLA MUSICA

Il 27 gennaio 1756 a Salisburgo era una notte gelida. Leopold Mozart e Anna Maria Pertl diventarono genitori per la settima volta: naque un maschietto che venne chiamato Wolfgang.

Crescendo, studierà tutte le materie sotto la guida del padre. Wolfie, come venne affettuosamente chiamato Wolfgang, è sempre pronto a scherzare.

Wolfgang imparò le note musicali prima delle lettere dell’alfabeto.

Era bravo in aritmetica ma il fascino della musica prevale su tutto: ascolta per ore la sorella che suona benissimo il clavicembalo.



2 I sogni sono solo sogni?


R Rientro a casa sotto una pioggia battente. Ovviamente non

avevo portato l’ombrello perché questa mattina brillava il sole: marzo è un mese davvero imprevedibile. Per consolazione trovo il polpettone con piselli lasciato da zia Maria, la sorella più grande di papà. Appena la zia ha un secondo libero, viene a darci una mano in casa. E stasera ci ha salvato dal solito hamburger, che è la cena tipica mia e di mio padre. Papà rientra stanco. Dopo essersi informato sui miei risultati scolastici (scarsi, molto scarsi, lo ammetto) tra noi cala il silenzio, come al solito. Però questa sera papà riprende la conversazione: “Sai che l’Accademia verrà ristrutturata?” domanda con aria da cane bastonato. “Pare che una società voglia farne una scuola di musica esclusiva”. “Sì, Orlanducci me ne ha parlato. Era disperato, la società lo licenzierà e tutti gli allievi che non potranno permettersi rette salatissime dovranno andarsene. Perciò, anch’io”. Papà sospira. “Già, dovremo trovare un’altra soluzione”. Però lo dice in tono rassegnato, come se sapesse che un’altra soluzione non c’è. E in effetti, non c’è. Sto rimuginando

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gni? I so gni sono solo so sul problema da oggi pomeriggio, ma non vedo vie d’uscita. Papà continua: “In Comune ho consultato i progetti: un’assurdità. Sembrerebbe quasi che abbiano in mente di costruire un albergo di lusso invece che un’Accademia di Musica”. Poi cala di nuovo il silenzio. Ma papà questa sera è in vena di chiacchiere e dopo un attimo riprende: “Non ne sapevo niente, ho dovuto domandare al mio collega dell’ufficio competente. E anche lui ha detto che è stato informato solo a cose fatte”. “È strano” è il mio commento. “Sì. Per questo ho controllato a fondo, ma non ci sono irregolarità. L’Accademia non cambierà uso, sarà sempre una scuola di musica, anche se più bella. È tutto legale”. “Perciò l’unica speranza resta, come sostiene Forfora, fare un’offerta più alta e prendere in gestione l’Accademia”. “Difficile” si limita a dire papà. Difficile, non c’è dubbio, per non dire impossibile. Dopo aver messo a posto la cucina, me ne vado in camera mia. Faccio i compiti, o almeno fingo di farli, ma ho la testa da un’altra parte. Sul diario leggo che dovrei svolgere un tema di italiano su Francesco d’Assisi. Comincio, ma dopo poche righe lascio lì. Ci penserò domani mattina. Sento gli occhi che si chiudono e me ne vado a dormire. La notte accade qualcosa di insolito. Faccio un sogno che non si cancella, che ricorderò distintamente anche da sveglia. Nel sogno vedo un ragazzo vestito con strani abiti dai colori squillanti: una lunga giacca rossa e pantaloni al 17


ginocchio verde smeraldo. Ai piedi porta scarpe con le fibbie, da donna. Se ne sta appoggiato a un pianoforte a coda con l’aria di chi sta giocando un tiro mancino a qualcuno. Metto meglio a fuoco e mi accorgo che non è un ragazzo, è solo basso di statura e ha i lineamenti infantili. L’ho già visto da qualche parte, ma dove? Sta sorridendo, dovrei dire sogghignando. Finché non resiste più e sbotta in una risata stridula. E d’un tratto lo riconosco. È lui. È Wolfgang Amadeus Mozart! Devo avere un’espressione sbalordita perché lui continua a ridere sotto i baffi che non ha. Per interrompere la sua risata stridula, esclamo: “E tu cosa ci fai qui?” “Potresti essere più gentile” ribatte, “mi sono preso il disturbo di venire a trovarti e guarda che accoglienza!” Ha messo il broncio, somiglia a un bambino con la parrucca di Carnevale. Io sento che divento rossa. Quello di arrossire è un altro dei miei difetti. “Scusa, mi hai colto di sorpresa. Non succede tutti i giorni di incontrare il grande Mozart” dico, per fare un po’ di conversazione civile. A queste parole si scioglie. “Grande, hai detto? Tu pensi che io sia grande? Perché come vedi, a statura non sono messo bene”. “Sei il musicista che ammiro di più al mondo”. 18


gni? I so gni sono solo so Adesso sta sorridendo con aria beata. Dev’essere molto sensibile ai complimenti. In altre parole, vanitoso. Lui ringrazia e continua: “Per rispondere alla tua domanda, sono qui per assicurarmi che tu non abbandoni la musica e che ti prepari per il premio intitolato a me. Sì, so tutto: i problemi dell’Accademia, la retta che sarà troppo alta, e bla, bla, bla… detesto vedere che i miei amici hanno problemi di soldi. D’altra parte, detestavo anche averli io, problemi di soldi”. “Già, ho letto che sei morto povero in canna”. Mentre pronuncio queste parole, mi rendo conto che deve avere proprio l’età che aveva alla sua morte, intorno ai trentacinque anni. “È stata l’invidia dei miei nemici a rovinarmi, sai? Mi hanno persino avvelenato!” “Sul serio? Credevo che quella fosse una leggenda. È stato davvero Salieri a ucciderti?” “Proprio lui, il vecchio trombone. Per dirlo in rima: Salieri era un buon musicista, un cortigiano sveglio, ma non riusciva a sopportare che io suonassi meglio. Era molto invidioso di me. Vuoi che ti faccia l’imitazione di Salieri mentre suona?” E senza aspettare risposta si siede al piano, detto per inciso uno strumento meraviglioso, prende un’aria da funerale e suona note che non conosco. Scoppio a ridere perché è veramente buffo. “Cos’è questa musica?” domando. Riprende subito la sua espressione allegra: 19


“Mai sentita, vero? Ah, ah, ah, sfido io, è una sinfonia di Salieri! Non la conosce nessuno!” Si diverte un mondo. È un tipo un po’ curioso, ma mi piace. Poi torna serio. “Per la verità, non so se sono stato avvelenato. So solo che da quando ho iniziato a comporre la Messa da Requiem mi sono sentito male. E pochi mesi dopo ero nella tomba. Una fossa comune, per di più! Ti pare giusto che uno come me non abbia neanche una lapide?” “È vero, però la tua musica è immortale”. Queste parole provocano un altro sorriso soddisfatto. “Per tornare a noi” riprende, “quello che mi preme dirti è di continuare a suonare. Li conosco i tipi come te, sei una che molla”. Beh, in effetti ha ragione. Io penso sempre di non essere all’altezza di fare una cosa, così non ci provo neanche. Altro mio enorme, mastodontico difetto. Wolfy insiste: “Non devi scoraggiarti, Accademia o non Accademia”. Parla bene lui, che era un genio e suonare gli veniva naturale. Io ho bisogno di esercitarmi tutti i giorni e senza piano come faccio? “Ah, no! Ti prego, risparmiami la solfa del genio a cui tutto veniva naturale! Almeno tu!” Accidenti, legge anche nel pensiero? “Certo che leggo nel pensiero! E la storia secondo cui io non avevo bisogno di esercitarmi mi fa saltare la mosca al naso! Mio padre mi obbligava a studiare molte ore al giorno, cosa credi? Era tutto merito dell’esercizio”. 20


gni? I so gni sono solo so Adesso è serio e non sembra più un ragazzino. “Ho un grandissimo senso del dovere. Quando m’impegno, vado fino in fondo. Non come certe persone di mia conoscenza che trascurano i compiti” e mi lancia un’occhiata d’intesa. “Ok, ok, non ti arrabbiare! Scusa” gli dico vergognandomi al pensiero del tema non finito. Si è rabbonito. “Qual è la mia musica che ti piace di più?” mi domanda curioso. Ci penso un attimo. Veramente mi piace tutta. Non faccio in tempo a formulare questo pensiero che lui è già lì che gongola. “Ci ho ripensato” mi dice, “scelgo io. Ti suono il concerto per pianoforte n. 21. C’è chi la considera un’ottima ninna nanna, sai?” Si sistema sullo sgabello e poggia le dita sulla tastiera. Il suono che ne esce è sublime. Ha un tocco così leggero, così argentino! Il concerto per pianoforte n. 21* l’ho ascoltato spesso, e anche spesso eseguito. Ma suonato da Wolfy è tutta un’altra cosa! E sulle note della perfetta ninna nanna… mi sveglio. Ma accidenti, è mai possibile? Mozart e il suo pianoforte sono spariti… Nell’aria resta appena l’eco di una nota. Mi guardo intorno e distinguo nel buio i contorni della mia cameretta. Beh, se il grande Maestro in persona si è scomodato per dirmi che non devo mollare la musica, non mollerò! * Cercalo su Youtube. Scommettiamo che è una musica che hai già sentito al cinema o in qualche pubblicità?

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Per la prima volta in vita mia, mi sento determinatissima, troverò il modo di salvare l’Accademia e di prepararmi per il Premio Mozart. Costi quel che costi.

La mattina seguente, tutto mi appare ancora più difficile, se non impossibile. Mi scervello per trovare una soluzione, un modo per non cedere l’Accademia alla società di ricconi, ma non mi viene una sola idea. A parte vincere alla lotteria, ma è inutile sognare a occhi aperti. Le ore scolastiche volano, senza nessun passo avanti. Il pomeriggio all’Accademia non va meglio. Per di più sono scoraggiata perché ho provato a suonare il concerto n. 21 e ne sono usciti suoni che non somigliano neanche da lontano a quelli di Wolfy. Sarà anche vanitoso, ma certo che con le note ci sapeva fare! Era eccezionale, fin da piccolo: una volta, quando aveva solo tre o quattro anni, stava giocando con il suo cane Pimperl, le guance rosse accaldate dal fuoco del caminetto. Sua sorella Nannerl, di cinque anni più grande, si esercitava al clavicembalo. Lei gli chiese se gli sarebbe piaciuto provare, immagino per distrarlo. Wolfgang non se lo fece ripetere due volte, si sedette e suonò il brano che Nannerl aveva eseguito un attimo prima, senza sbagliare una nota! Avrei voluto vedere l’espressione della sorella! Forfora è nervoso e mi strapazza per ogni errore che commetto. 22


gni? I so gni sono solo so “Dove hai la testa, Lisa? Non è così che ti ho insegnato! Ma tanto, è fiato sprecato”, e via di questo passo. Non me la prendo, lo capisco: ha dedicato la vita all’Accademia e ai suoi allievi e adesso tutto sta per finire. “Nessuna novità, maestro?” gli chiedo non appena mi dà un attimo di tregua. “Sto facendo una colletta per raggranellare i soldi necessari a rilevare la scuola” dice con aria sconsolata. Io mi congratulo. “Ottima idea. Mio padre darà di sicuro un contributo. Quanto ha raccolto finora?” Mi guarda negli occhi e vi leggo una stanchezza infinita. “Settantadue euro” risponde con voce neutra. “Pochino” commento io. “Non mi sembra sufficiente, eh?” “Neanche lontanamente” risponde lapidario. Ammutolisco. Non c’è speranza. L’Accademia è una scuola di musica di antiche tradizioni, in cui viene accolto chiunque voglia studiare in modo serio. Il risultato è che sono pochissimi gli allievi che possono permettersi di donare una forte somma. Orlanducci mi guarda. “Promettimi che, accada quella che accada, non abbandonerai la musica e ti preparerai seriamente per il Premio Mozart”. Anche lui, ma è una fissazione! “Di tutti i miei allievi sei la più promettente, sarebbe un delitto” continua. Gli do la mia parola e Forfora si allontana un po’ sollevato. 23


Quando esco dall’Accademia mi infilo nella libreria antiquaria che si trova proprio di fronte. Non ho ancora cominciato a scrivere la relazione su Mozart per il Premio e devo raccogliere informazioni e curiosità. È un locale zeppo di alte e polverose librerie, stracariche di libri, che formano degli angoletti comodissimi per nascondersi e leggere senza essere visti. Ho preso una biografia di Wolfy e sto controllando le date dei suoi tre viaggi in Italia, quando, a due passi da me, nascosti da un’altra libreria, sento Rino il libraio che confabula con un cliente. Lì per lì non faccio caso a quello che dicono, ma poi mi arrivano all’orecchio le parole “spartito perduto” e “… Mozart quando è passato da Spoleto…” Mi metto in ascolto. Non sapevo che Wolfgang fosse stato nella mia città. “… osteria Vitello e triglia…” farfuglia Rino a questo punto. Ma parlano di Wolfy o di ristoranti? “Ci vuole un esperto…” dice lo sconosciuto. “… ci accorderemo sul prezzo… vale un bel gruzzolo…” ribatte il libraio. Hanno davvero il tono dei cospiratori, e questo, ovviamente, mi spinge ad allungare le orecchie. Purtroppo hanno abbassato la voce e non riesco ad afferrare più neanche una sillaba. Decido che devo correre il rischio e mi sporgo dal mio “angolo lettura”, nascosta dietro una pila di volumi. I due sono troppo concentrati sulla loro conversazione per accorgersi di me. Il cliente è un signore sulla sessantina, grassoccio, con un grosso neo sulla guancia destra. 24


gni? I so gni sono solo so Continuo a non sentire quasi niente. Poi vedo Rino consegnare al cliente una mappa della città, dall’aria molto molto vecchia. “Questa le servirà per il prossimo incontro” gli dice. Si salutano e il cliente esce dal negozio. Mi nascondo di nuovo nell’angolo. Di cosa stavano parlando? Cos’è che varrebbe “un bel gruzzolo”? E ho sentito davvero le parole “spartito perduto”? Troppe domande, meglio lasciar perdere. Eh, no Lisa, dico a me stessa, non puoi mollare come al solito, vai in fondo alla faccenda! Con “un bel gruzzolo” potresti salvare l’Accademia. E poi se Mozart è passato dalla tua città devi saperlo, per il Premio è necessario conoscere ogni dettaglio della vita del musicista. Sarebbe un bel colpo presentarsi al concorso con uno spartito che nessuno conosce! Guardo la sua biografia che stringo ancora in mano e cerco la data del suo primo viaggio in Italia. Scopro che Wolfy è passato da Spoleto di ritorno da Roma, nel 1770, e si è fermato a pranzo. Vedo la scena come se l’avessi davanti agli occhi. La carrozza alza al suo passaggio un gran polverone, le due coppie di cavalli sono lanciate al galoppo. D’un tratto il cocchiere tira le redini e gli animali, sbuffando, si fermano. È luglio: per strada ci sono solo il sole abbagliante e la canicola. La carrozza si arresta davanti a un’antica locanda e ne scendono due gentiluomini: un ragazzo di quattordici anni e il padre, un signore alto, elegante e con l’aria severa. Lo riconosco, è Leopold, l’autoritario padre di Wolfy, colui che era anche suo maestro: un musicista di grande talento. 25


Lui e il figlio stanno compiendo un viaggio in Italia. Sono soli, la madre e la sorella di Wolfgang sono rimaste a Salisburgo. Leopold entra nella locanda a prendere accordi per il pranzo. Nel frattempo Wolfy si stiracchia guardandosi intorno e si gratta soprappensiero la testa senza parrucca (quei capelli fini e biondi riuniti in un codino sono i suoi, li riconosco). Figuriamoci se riesce a stare fermo e composto, a quell’età! La polvere della strada ricopre tutto come un velo di zucchero sul ciambellone. Wolfgang accenna a una corsetta, tanto per sgranchirsi, poi tamburella con le dita sulla superficie della carrozza, alla fine il padre lo chiama: il pranzo è in tavola. Cosa avranno mangiato, in quella dimenticata locanda? Devo domandarglielo, la prossima volta che lo vedo. Sempre che lo incontri di nuovo in sogno. E a proposito, come si chiamava la locanda e dove si trovava? Consulto la biografia, ma non c’è scritto. No, un momento, vedo una piccolissima nota a piè di pagina che dice: “I Mozart si fermarono nell’osteria Agnello alla griglia, nel centro della ridente cittadina di Spoleto”. E il cuore mi dà un balzo. Cosa ha detto il cliente con il neo sulla guancia? Anche lui parlava di un’osteria, Vitello e triglia. E se avessi sentito male? Se avesse parlato dell’Agnello alla griglia? Con la testa che mi gira, sto per uscire dalla libreria, quando Rino mi ferma. 26


gni? I so gni sono solo so “Il libro lo prendi?” mi domanda accennando alla biografia di Mozart che stringo ancora in mano. “Oh, no, scusi, sono proprio distratta!” e lascio il libro sul bancone, come se scottasse. “Costa troppo!” “Voi ragazzi leggete sempre a scrocco” ringhia Rino, “e neanche vi prendete il disturbo di mettere a posto i volumi”. Il libraio è scontroso e antipatico. Ovviamente non è sposato (chi lo sopporterebbe?) e vive con la sorella Anna nel vecchio appartamento di famiglia. Ce l’ha con il mondo che non riconosce i suoi meriti (ma quali?). “Mi piacerebbe molto comprare la biografia, ma adesso non ho soldi. Magari aspetto la prossima paghetta, eh?” Ho parlato in tono gentile per scusarmi. Lui mi lancia un’occhiataccia. E io, rossa di vergogna, scappo via. A casa continuo a ripensare a ciò che ho sentito. Cerco di mettere ordine nei miei pensieri, senza riuscirci. Provo a fare i compiti. Sforzo vano! Wolfy non sarebbe affatto contento di me. Lui che a sei, sette anni, restava seduto con il violino o alla spinetta, facendo scale ed esercizi infiniti. Mentre suonava, il suo corpo era in pace, niente corsette, niente grattatine, niente agitazione: era concentrato nello studio. Mi riscuoto, papà mi sta chiamando per andare a cena. Stasera bastoncini di pesce e insalata: zia Maria non ha avuto tempo di cucinare per noi. Mentre mastico un bastoncino, mi torna in mente la vecchia mappa che ho intravisto, quella che il libraio ha consegnato al cliente con il neo. “Hai mai visto un’antica pianta di Spoleto?” domando a mio padre, tanto per rompere il silenzio. 27


“Certo” risponde lui, “nell’ufficio storico del Comune ci sono mappe della città di tutte le epoche. E il giornalaio di fronte vende le riproduzioni per pochi euro” risponde. “Ci passerò domani pomeriggio” mi riprometto. “Bene, allora sali nel mio ufficio, così ti offro una cioccolata calda”.

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La famiglia di mozart

Ecco Wolfgang con la sua famiglia. La ragazz a che suona con lui era sua sorella Nannerl, alla quale Wolfgang era molto affezionato. Era piÚ grande di lui di cinque anni e suonava il piano altrettanto bene. La madre è la signora rappresentata nel ritratto appeso al muro. la sorella nannerl

La mamma AMADEUS

il padre leopold


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