La domenica è il futuro

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Paola Valente

DIALOGARE PER CRESCERE

LA DOMENICA È IL FUTURO

Paola Valente vive a Vicenza e insegna nella scuola primaria. È editor della collana Il Mulino a Vento. Tra i suoi romanzi: “La Maestra Tiramisù”, “La Casa di Nonna Italia”, “È stato il silenzio”, tutti pubblicati con Raffaello Editrice. Con il patrocinio di Dai 10 anni I S B N 978-88-472-2590-9

€ 9,00

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LA DOMENICA È IL FUTURO

Zazzera color miele e faccia d’angelo, Gerardo detto Gerry segue svogliatamente la sua vita fatta di amicizie superficiali, di tante feste e poco impegno. A scuola però questo atteggiamento non paga e, quando Gerry viene rimandato, la combina veramente grossa. Ma la punizione che riceve lo farà cambiare profondamente: Gerry entrerà a contatto con una realtà sconosciuta che lo farà crescere e lo renderà capace di comunicare anche con Agata, una ragazzina che sembra vivere in un mondo tutto suo, apparentemente isolato, ma non del tutto insensibile alle emozioni esterne. Una storia profonda e delicata per avvicinarsi senza pregiudizi al tema dell’autismo.

Paola Valente

Storie nate dalla collaborazione con i protagonisti del mondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani

LA DOMENICA È IL FUTURO

...era abitudinaria in modo ossessivo. Alle dieci in punto, segnate dall’orologio a parete, andava nel bagno e si lavava le mani.



DIALOGARE PER CRESCERE


Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Progetto grafico: Simona Dell’Orto Ufficio stampa: Salvatore Passaretta 1a Edizione 2016 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2020 2019 2018 2017 2016 Tutti i diritti sono riservati © 2016 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 - 60037- Monte San Vito (AN) e-mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Paola Valente

LA DOMENICA È IL FUTURO



UNO Non dovete credere a quello che dice mio padre. La stoffa del delinquente proprio non ce l’ho. Prova ne sia che, quando commisi il mio primo (e spero ultimo) reato mi individuarono immediatamente e me la fecero pagare cara. Tutto cominciò l’anno scorso. Era la fine dell’anno scolastico e avevo frequentato la seconda di un liceo scientifico rinomato, pieno di ragazzi ricchi e con la puzza sotto il naso. Io sono figlio di genitori abbastanza ricchi ma non credo di avere la puzza sotto il naso. Almeno spero. Mio padre è un uomo molto impegnato, come si suol dire, compra e vende un po’ di tutto e non gli importa di quale merce si tratti, basta che sia un buon affare. La mia mammina è una signora molto bella e annoiata. Mio fratello Matteo è un piccolo rompiscatole curioso di sette anni che ha l’assoluta proibizione di entrare nella mia camera. Aggiungete la gatta Perla, una candida persiana capricciosa e superba e 5


questo è tutto. Insomma, la mia è una famiglia normale, qualsiasi cosa significhi questo aggettivo. L’ultimo giorno di scuola, io e i miei compagni facemmo un gran casino: gavettoni in mezzo alla strada, schiuma da barba sui lunghi capelli delle ragazze, selfie con i telefonini da postare su facebook mentre dipingevamo con i colori a tempera il cane del bidello. Anche questo è normale. Meno normale fu, il giorno seguente, quando andai a controllare il tabellone con i voti. Mi avevano rifilato tre debiti da recuperare a settembre: inglese, chimica e storia. Un brutto colpo che non mi aspettavo assolutamente.

Come dicevano i professori, ero intelligente ma avevo poca voglia di studiare e di impegnarmi. Però sapevo lavorarmeli bene, i miei insegnanti. Almeno così credevo. E, per strappare la promozione, mi ero umiliato fino a portare la borsa di scuola alla professoressa di inglese, una vecchia di quasi cinquant’anni che credevo sensibile al mio fascino. Non lo dico solo io, lo ammettono tutti: sono bello e ho una faccia che suscita simpatia a prima vista e le donne in genere, giovani e anziane, guardandomi provano il desiderio di proteggermi nonostante la mia statura notevole e i muscoli sviluppati da anni di palestra e di nuoto. 6


Questa volta però il mio fascino non era bastato. E neppure le costose vacanze in college inglesi che facevo ogni anno da quando frequentavo le medie: insufficienza anche in inglese! Pensavo di avere cinque solo in chimica, con quel professore pelato e serio che mi ricordava il protagonista di un film sui nazisti ed era assolutamente insensibile al mio bel visino. Speravo, anzi ero quasi certo, che quell’unica insufficienza mi sarebbe stata perdonata e che la preside avrebbe esortato il professore a trasformarla in un sei. Niente da fare. E anche l’insegnante di italiano mi aveva fregato con un’ultima verifica scritta due giorni prima della fine dell’anno scolastico. La mia professoressa di italiano! Quella signora timida e giovane che mi guardava con occhi luminosi e, ritenevo, adoranti. Brutta traditrice! Il colpo inaspettato fu così forte che ne rimasi tramortito. – Che cosa fai lì fermo con la bocca spalancata? La voce di Enzo, il mio amico della terza B, mi riscosse dallo shock. – Mi hanno dato tre debiti – dissi con voce rabbiosa e tremante. – E io sono stato bocciato – affermò Enzo e si mise a ridere. Una risata sgradevole e inopportuna che mi diede sui nervi. – E la prendi così? 7


– E come dovrei prenderla? Non sono il cocco dei professori come te. L’ira mi fece digrignare i denti. – Secondo te, con tre debiti, io sarei il cocco dei professori? – Secondo me, se tu non fossi Gerry il bello, adesso apparterresti al mio club. – Che club? – chiesi perché ancora non connettevo. – Il club dei ripetenti. E per me si tratta della seconda volta. Con tre debiti, rischiavo davvero di far parte di quel club, me ne resi subito conto. Avrei dovuto sgobbare sui libri per tutta l’estate con poche speranze di farcela: tre materie sono davvero tante. Rabbia e umiliazione: questo provavo. Sentivo le risatine delle ragazze che mi guardavano di sottecchi dopo aver visto il tabellone. Solo Giulia si avvicinò a me con la faccia contrita. – Mi dispiace – sussurrò. Feci un cenno con le mani per farle capire che non me ne importava neanche un poco e le chiesi: – A te com’è andata? – Bene, sono stata promossa – disse con aria colpevole. Giulia era innamorata di me da una vita ma io non corrispondevo. Era troppo robusta, rozza e impacciata. Suo padre aveva una bottega di frutta e verdura e sua madre faceva le pulizie in ospedale: plebe! 8


Va be’, a quell’epoca la puzza sotto il naso ce l’avevo, eccome. Fu così che io, Enzo e Giulia ci ritrovammo al bar dell’angolo e cominciammo a parlare. A me fischiavano le orecchie: un ronzio fastidioso di rabbia repressa e di paura. Anche Enzo era furibondo. I suoi genitori erano separati e di sicuro si sarebbero rimpallati l’uno con l’altro la colpa del suo insuccesso. Per farla breve, finimmo con lo sfogarci immaginando una vendetta contro la scuola. Giulia, che non aveva niente di cui vendicarsi, si dimostrò solidale. Dapprima fu un piano virtuale, ipotetico. Neppure ora saprei dire come si trasformò in realtà. Fatto sta che, la notte seguente, verso le due, ci ritrovammo tutti e tre davanti alla scuola. Sapevamo che l’edificio aveva un sistema di allarme ma non di videosorveglianza. Contavamo di agire in pochi minuti e di scappare prima che arrivassero i vigilantes. Ci arrampicammo sulla recinzione bassa e cadente (le nostre scuole vanno letteralmente a pezzi) e raggiungemmo le finestre del piano inferiore dove c’erano gli uffici. Avevamo raccolto dei sampietrini in una via laterale dove gli operai del Comune stavano risistemando la strada. Li lanciammo contro i vetri. Ricordo ancora il rumore tremendo delle finestre fracassate nella notte silenziosa. I sampietrini, lo seppi in seguito, caddero sulle scrivanie e sui computer e uno colpì e ruppe un quadro di un certo valore. 9


Il tutto durò pochi eterni minuti: l’adrenalina mi faceva tremare come una foglia e mi sentivo potente. A rovinare tutto fu Enzo: era così gasato che, prima di fuggire, mandò un messaggino ai suoi compagni con scritto “buona notte”. Fu così che ci individuarono: la cella dei telefonini aveva agganciato la zona della scuola. Eravamo morti. Ma ce ne rendemmo conto solo la mattina seguente quando mi ritrovai la polizia dentro casa. Questi ricordi bruciano ancora, perciò chiedo perdono se non mi soffermo sui particolari. Fummo denunciati e convocati presso il giudice minorile. E così, vestito da ragazzo per bene, assieme ai miei genitori e al nostro avvocato di famiglia, che si fregava già le mani pensando alla parcella, mi presentai in tribunale. Non avevo il coraggio di guardare in faccia Enzo e ancora meno la povera Giulia che aveva fatto quello che aveva fatto solo per amore non corrisposto. Il giudice era donna e, sfortuna nella sfortuna, madre di un ragazzo che frequentava il mio stesso liceo, un tipo azzimato e molto studioso. Annunciò al mio impegnato padre e alla mia affranta madre che non sarei più potuto tornare nella mia scuola: eravamo stati cacciati per sempre. Lo sapevo già ed ero stato anche informato che avrei finito le superiori in un collegio svizzero dove “mi avrebbero raddrizzato”, così si era espresso mio padre. 10


Il giudice mi osservò come avrebbe guardato una mosca nel bicchiere e mi condannò: avrei dovuto trascorrere l’estate a lavorare in un centro particolare, non capii quale, separato ovviamente da Enzo e da Giulia. Dopo tre mesi, se mi fossi comportato bene, sarei stato libero e la mia fedina penale sarebbe risultata di nuovo pulita. Fu la freddezza e la professionalità della signora giudice che mi fecero piangere. Mio padre scosse la testa e mia madre, poverina, mi abbracciò. Per lei avevo solo fatto una ragazzata e riteneva quella punizione troppo severa. Di tutto questo ora la cosa che più mi dispiace è che, mentre uscivamo dall’aula del tribunale, passai davanti a Giulia che singhiozzava, senza guardarla, senza dirle una parola, senza scusarmi. Fatti suoi, pensavo. Non l’avevo certo costretta. Più tardi, seppi che le avevano concesso di frequentare ancora il liceo dato l’ottimo profitto e che il giudice l’aveva condannata a trascorrere l’estate in un ospizio per vecchietti. E questo mi rallegrò: a lei era andata peggio che a me. Così credevo. Quello che ci rimise di più fu Enzo: aveva già compiuto diciotto anni e si prese sei mesi di carcere minorile. Maggiorenne e bocciato, il più colpevole.

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Indice UNO.. ..................................................................... 5 DUE..................................................................... 13 TRE..................................................................... 27 QUATTRO............................................................ 33 CINQUE............................................................... 45 SEI. . ..................................................................... 53 SETTE................................................................. 59 OTTO.. ................................................................. 63 NOVE.. ................................................................. 73 DIECI................................................................... 83 UNDICI. . ............................................................... 97 DODICI.............................................................. 109 TREDICI............................................................. 117 QUATTORDICI. . .................................................. 127


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