Gloria sta in disparte

Page 1


G Loria sta in disparte ANDREA BISCARO

Editor: Patrizia Ceccarelli

Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini

Coordinamento grafico: Mauro Aquilanti

Team grafico: Raffaella De Luca

I Edizione 2025

Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0 2031 2030 2029 2028 2027 2026 2025

© 2025 Tutti i diritti sono riservati

Raffaello Libri S.p.A.

Via dell’Industria, 21 60037 –Monte San Vito (AN)

info@ilmulinoavento.it www.ilmulinoavento.it

Printed in Italy

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

ANDREA BISCARO

G Loria sta in disparte

Prefazione

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”.

Viene utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, a volte anni. A volte, per sempre. Rinchiusi nella propria abitazione, gli Hikikomori evitano qualsiasi tipo di contatto diretto col mondo esterno, spesso anche con i familiari.

Alla base di questa condizione c’è un disagio adattivo sociale.

I giovani, attanagliati da una forte ansia, faticano a relazionarsi coi coetanei. Non riescono ad adattarsi alla società. Sono spesso ragazzi molto intelligenti, con un elevato quoziente intellettivo, ma di carattere molto introverso e introspettivo, sensibili e inibiti socialmente, convinti di stare meglio da soli, lontani da tutti.

Lo scorso anno, ben 543mila giovani hanno lasciato la scuola dopo la licenza media. Sta crescendo il numero di richieste di presa in carico da parte dei servizi di neuropsichiatria infantile per problemi psicologici di adolescenti.

Sono circa 120mila i bambini e ragazzi “ritirati sociali” in Italia.

a Gloria, quella vera

Capitolo 1 Gloria

Gloria ha quattordici anni e da alcuni mesi ha deciso di non uscire più dalla sua stanza.

Gloria è strabella, ma lei si vede strabrutta.

Gloria si fa chiamare Glo.

Glo è anche il suo nickname online.

Glo pensa che la sua stanza sia il luogo più protetto del mondo.

Solo lì non ha paura.

La sua stanza è grande. Sembra un’isola nella notte.

Anzi, meglio, una nave che solca il cielo.

E poi c’è tutto ciò che serve lì.

Il computer, soprattutto.

Il computer sempre acceso, ovvio.

È grazie a lui se accadono le cose.

Tutti gli amici e gli amori di Glo sono dentro il computer, che rischiara la sua camera di speranza e luce azzurrina.

Glo è alta e slanciata, ma lei si vede lunga e storta.

Glo è miope, e porta gli occhiali.

Glo ha una massa di capelli ricci infiniti, stupendi, ma lei li vede stupidi e imbizzarriti. Si vede orribile, come una strega.

Ma almeno tutti quei capelli servono a chiuderla meglio dentro di sé: due spesse tendine di ricci castani che la proteggono dal mondo e dagli altri. I capelli sono la sua difesa.

Ma non sono riusciti a proteggerla, quel giorno, sulle scale della scuola.

Le sue compagne-sceme l’hanno sempre presa in giro. Picchiata, anche, a volte. Quel giorno si sono avventate sui suoi capelli.

Pensare che li aveva lavati il giorno prima ed erano profumati di cocco.

Ma loro giù a dire:

– Puzzi! Cretina! Faccia da rana! Talpa! Sfigata! Scema!

Glo aveva provato a scansarle, a sgattaiolare via, ma loro si sono accanite, l’hanno spintonata. Le hanno tirato fortissimo i capelli.

Glo aveva voglia di piangere, ma resisteva, come aveva sempre fatto.

Poi, il patatrac.

L’hanno buttata giù dalle scale.

Glo è precipitata e si è rotta una gamba.

Anche gli occhiali si sono rotti, ma quello era il minimo.

Le cose che facevano più male erano le risate di quelle sceme, lassù.

E di tutti gli altri compagni.

E della scuola intera.

E del mondo.

Dopo quel fatto, basta.

Glo ha deciso di chiudere definitivamente con la scuola.

Dopo gli esami di terza si è barricata nel suo, di mondo.

La sua stanza, il suo computer, i suoi vestiti impilati in morbide sgualcite montagne, i suoi manga.

Tutto è rassicurante, lì.

Gli amici che trova in rete, poi, sì che sono gentili. Sono simili a lei, anche.

Glo gioca a Roblox giorno e notte, spesso in coppia con Greta, che è strabrava. Oppure con Piero, che è super simpatico. A volte c’è anche Marco con le sue battute a raffica.

Mamma e papà le lasciano la cena fuori dalla porta. Pizza, quasi sempre. Il resto Glo non lo mangia. La pizza la adora invece. Quella coi wurstel e patatine è il top.

Mamma e papà non si azzardano a entrare nel suo mondo.

Altrimenti Glo dà di matto.

Quando succede che per caso la mamma mette piede nella sua camera, lei diventa una furia. La rabbia le monta in testa come una spuma rossa. Un veleno che le fa diventare il sangue bollente e gli occhi indiavolati.

Diventa anche violenta.

Pericolosa, dicono.

Mamma e papà la lasciano in pace, allora. Anche se continuano a ripetere che ha bisogno di aiuto. Che deve uscire. Che ha bisogno di frequentare quelli della sua età. Che deve imparare a gestire la rabbia.

Bla bla bla.

Ma Glo alza le spalle. Se ne infischia di tutte quelle chiacchiere contro di lei. Perché sta bene lì. Tra le sue quattro mura piene di disegni e poster. Piene delle cose che conosce.

Stop.

Non ha bisogno degli altri, lei.

Cioè, un po’ Glo si sente sola. Nonostante i giochi, i manga, gli amici-online. Un po’ le piacerebbe avere un’amica o un amico reale con cui parlare. Occhi negli occhi. Guardarsi, scambiarsi le cose. Far vedere quanto è diventata brava a disegnare, per esempio.

Ah sì, perché Glo, a forza di leggere manga, è diventata strabrava a disegnarli.

Disegna sui bloc-notes o dove capita. Anche sui cartoni sporchi della pizza, per dire.

Disegna soprattutto con una penna nera a inchiostro liquido che scorre una meraviglia. Ma anche con la matita. Le piace fare le ombre, i corpi, le sfumature, i volti soprattutto. Li disegna benissimo, con gli occhi grandi, luccicanti. Pieni di lacrime, spesso. Che possono essere sia di gioia che di tristezza.

Capitolo 2

Eppure una volta…

Una volta Glo aveva un’amica. Si chiamava Alice. E aveva i capelli biondissimi, come il miele. Ogni tanto le capita di ricordarla. Roba di una vita fa, eh. Eppure quando chiude le palpebre, le sembra di rivederla.

Glo era davvero piccola a quel tempo. Erano gli anni in cui i suoi genitori la portavano in vacanza al mare, d’estate.

A Glo piaceva il mare. S’incantava a guardare tutto quel blu sempre in movimento. Un gioco di linee e di colori che c’era da perderci la testa.

Forse è stato davanti al mare che le è venuta la voglia di disegnare, di provare a fermare quel movimento liquido, quei colori che cambiavano di continuo, i riflessi tremolanti. Comunque, avrà avuto cinque o sei anni al massimo. Accanto al suo ombrellone c’era questa bambina biondissima che faceva dei castelli di sabbia incredibili. Grandissimi e pieni di fantasia.

Glo si era incantata a guardarla.

Si erano conosciute così. Si chiamava Alice, appunto. Non parlava molto, lei. Ma aveva il sorriso più dolce del mondo. E i suoi occhi blu si illuminavano di gioia ogni volta che Glo l’aiutava a riempire i secchielli di sabbia. I capelli di Alice erano gialli come il grano e il sole che ci entrava dentro li faceva risplendere di fiamma.

Era stupenda Alice. E gentile con lei.

La vita a quel tempo sembrava facile come bere un bicchier d’acqua. Bastava sorridersi, guardarsi, stare tutto il giorno sulla sabbia a costruire castelli, senza bisogno di dire una parola.

Nella stanza di Glo il giorno e la notte si assomigliano. Anzi, si sovrappongono, e diventano la stessa cosa.

Le tapparelle sono quasi sempre abbassate. Non vuole vedere le altre case, lei. Giusto a volte, quando è notte e nessuno la può notare, tira su la serranda e fa entrare nella stanza un po’ d’aria.

Sua mamma, poi, le rompe un sacco con questa storia. Dice che almeno una volta al giorno l’aria va cambiata, altrimenti si ammala. Bah.

Comunque, quando è proprio tardi, tipo alle due o alle tre, Glo spalanca tutto e guarda fuori. La notte. Le stelle. Le nuvole che passano. Il silenzio. Immagina anche quel mare lontano, quando era bambina. Quando c’era Alice. E la vita sembrava facile.

Mescola la realtà coi ricordi, insomma.

A Glo fa bene tutto questo. Anche ai suoi occhi, che sono gonfi, stanchi e arrossati. Perché sta sempre davanti allo schermo del PC, oppure sui fogli a disegnare, oppure sul cellulare a chattare coi suoi amici-online.

Oppure a piangere.

Eppure una volta non piangeva mai.

Con Alice, poi, erano tutti sorrisi e sguardi di complicità. Le mani tuffate nella sabbia calda a modellare pareti, bastioni e canali. Il silenzio che avvolgeva ogni cosa. Il sottofondo fragile delle onde che accarezzava la riva. Una volta era tutto bello, tutto facile, tutto normale.

Il tempo sembrava grande, immenso, pulito.

Glo sperava che quella vacanza non finisse mai.

Glielo diceva anche ai suoi genitori. Che bisogno c’era di tornare? Perché non restavano al mare per sempre?

Perché non si poteva, rispondevano loro. C’era la scuola che iniziava quell’anno. Mamma e papà avevano i loro lavori. E poi c’era la casa, la vita di tutti i giorni, eccetera.

Mica si può stare in vacanza per sempre!

Anche Alice sarebbe dovuta tornare a casa, cosa credeva? E la sua casa era lontana da quella di Glo. Molto lontana.

Già. Un bel problema, ma Glo faceva finta di non pensarci. Alzava le spalle, beata. E si godeva quei giorni di sole e di mare. Come se fossero infiniti.

Glo disegna sul foglio. La testa china, gli occhi fissi, assorti. I capelli come due tendine ai lati della testa a isolarla dalla realtà, due montagne di ricci. Disegna con mano veloce, a tratti sicuri, impetuosi. Spesso lo fa con la penna a china, ma adesso che ha voglia di sfogarsi usa la matita, che fa un bel rumore di graffio, di grafite che sfregia la carta.

Sgrif sgraf.

Colpi secchi, decisi. Mentre sul foglio iniziano a formarsi le cose.

Sgrif sgraf.

Glo non sa mai cosa andrà a disegnare ogni volta che si mette davanti a un foglio. Sente una forza dentro, che deve seguire. Un’energia da buttar fuori, da sfogare. È il gesto che conta. L’impeto.

Sgrif sgraf.

La matita schizza e tratteggia. La mano di Glo stretta, le nocche quasi bianche. Ci sta mettendo un sacco di forza, di furia, di energia. Mentre sul bianco del foglio appare un castello.

Sgrif sgraf.

Fa un sacco di dettagli, è precisissima. Persino i granelli di sabbia che compongono i bastioni si vedono.

Se Glo non avesse il disegno, non sa come farebbe. Per sfogare le emozioni, intendo, per tirare fuori la rabbia, ad esempio, e trasformarla in qualcosa di innocuo, di docile. Come un castello di sabbia, appunto. O come il viso di una bambina che guarda verso di noi. Gli occhi grandi, aperti, incantati.

È lei che adesso sta disegnando. Si tratta di Alice, ovvio. Glo la ricorda come fosse ieri. Infatti riesce a ritrarla perfettamente, come se fosse una fotografia. Gli occhi, i capelli. Il sorriso, soprattutto. Cerca di concentrarsi su quello. Lo disegna con cura.

Sgrif sgraf.

Era super il sorriso della sua amica.

Glo se ne sta lì, per niente comoda, a gambe incrociate sul tappeto. La schiena curva. Pochissima luce, che uno penserebbe: “Ma come fa a vedere quello che sta disegnando?”. Semplice. Glo non ha bisogno di vedere. Glo lo vede dentro di sé il disegno che fa, prima ancora di tracciarlo sul foglio.

Potrebbe disegnare anche a occhi chiusi, per dire.

Sgrif sgraf.

Capitolo 3

Autoritratto

Un giorno, affacciandosi alla finestra, Glo ha notato che nella casa di fronte è sempre accesa una luce. Anche a notte fonda, quando è sveglia. Una luce azzurrina, simile a quella che c’è nella sua stanza.

Glo immagina ci possa essere qualcuno come lei: una ragazza o un ragazzo. Magari, pensa, potrebbe persino essere quel Gianluca che le piace tanto e che le scrive cose stupende in chat. Gianluca le manda un sacco di cuori, poi le augura sempre il buongiorno e la buonanotte. A Glo è cominciato a battere forte il cuore da quando c’è lui.

Le era capitato anche con altri, ma con Gianluca è diverso. Lui è proprio dolce, poi è simpatico, e timido, come lei. Adora i manga e Roblox. Insomma, è perfetto. Sai che storia se vivesse proprio lì, accanto a lei? Se fosse proprio il suo vicino di casa?

Oh, sì, sarebbe fantastico, ma sarebbe proprio

assurdo. Impossibile. Nel mondo reale le cose belle non accadono mai. Cioè, potrebbero anche accadere, magari. Ma solo quando sei strapiccola, forse. Quando tutto è più semplice, elementare, e i sentimenti buoni sono le uniche cose che contano.

A volte a Glo viene una malinconia così grande, che sembra non bastino tutte le lacrime per poterla sfogare fuori.

Una tristezza che è mischiata alla paura e alla rabbia. Un pasticcio di emozioni.

Ha paura di un sacco di cose, Glo, anche se non lo dice a nessuno.

Tipo.

Paura del futuro.

Paura che le cose belle non tornino più.

Paura di non essere come gli altri.

Paura che nel mondo là fuori non ci sia posto per lei.

Paura di non piacere a nessuno.

Paura di non innamorarsi mai.

Paura di crescere.

Paura di non essere capita.

Paura di rimanere sola tutta la vita.

Ma non è così sola, in fondo, dai. Ha i suoi amicionline. Ha Gianluca, anche se non l’ha mai visto, nemmeno in foto. Ha i fumetti. Ha Roblox e mille altri giochi. E poi i ricordi felici, quei pochi che ha. Alice, ecco.

No, non sarà mai davvero sola.

E allora perché, maledizione, le lacrime non smettono di cadere?

Anche sul foglio che sta disegnando adesso, accidenti. Le lacrime si spiaccicano sulla carta e fanno sbavare i contorni del suo inchiostro.

Il manga che sta tratteggiando è un viso dolce di ragazza che piange: quella ragazza è Glo. Lunga come un gambo di sedano. E con una zazzera che le arriva fino al sedere.

La Glo del disegno piange lacrime d’inchiostro, mentre le lacrime della vera Glo, quelle fatte di sale, piovono sul foglio, senza tregua.

Glo ci scrive anche una frase, che suona tanto triste: Ciao, mi chiamo Glo, e sono sola. La più ragazza più sola del mondo.

Eppure una volta non lo era. O meglio, non si sentiva sola.

Alice era l’amica perfetta. Già. Ma Glo era troppo piccola per capirlo. O magari no. Semplicemente Glo avrebbe dovuto essere più furba. Sapere che non sarebbe stato semplice in futuro trovare delle vere amiche. Vai a saperlo che la vita sarebbe stata così difficile e cattiva! Trovarla adesso un’Alice...

Peccato non essersi scambiate il numero di telefono, l’indirizzo.

Neanche si ricorda dove viveva, Alice. Non le aveva nemmeno mai chiesto il cognome. Che bisogno c’era?

Bastava essere insieme, felici, col mare davanti, la sabbia tra le mani, la testa piena di fantasia e di speranza. E gli occhi stracolmi di meraviglia.

Sai cosa importava il cognome, la città, la vita lontana dalla vacanza, il futuro? Contava solo il presente. Che sembrava pieno di promesse e colori stupefacenti.

Quella notte Glo è talmente stanca che si addormenta mentre sta giocando.

Gli occhi le si chiudono di colpo, esausti. E lei si lascia scivolare sul tappeto. Si è persino dimenticata di chiudere la finestra, ma forse non è un male perché è da fuori che arrivano le cose migliori, spesso.

Mentre Glo dorme come un sasso, un bel vento entra nella stanza, rinfrescandola di fiati dolci e ossigeno.

Poi però, nel corso della notte, scoppia un temporale grosso.

Lampi, fulmini e saette a squarciare il cielo. E poi rombi, tuoni e fragori.

Ma Glo non sente nulla. Sta sognando, lei, di ricevere un messaggio d’amore adorabile da Gianluca. Uno di quei messaggi pieni di cuori e di baci.

Fuori infuria la tempesta. Pioggia a scrosci, prima, poi vento furioso.

Dalla finestra aperta entra questo vento impetuoso che afferra le cose come se avesse le mani. Alza in volo fogli e fumetti, fa danzare gli oggetti, sposta qualche vestito, ne fa crollare una montagna.

Ma Glo, niente. Lei dorme, beata.

Sulla sua scrivania c’è anche quel disegno che aveva fatto poco fa. Il vento pazzo lo afferra con dita gelate, lo fa roteare nella stanza, poi lo trascina fuori, di schianto.

Il disegno rimane sospeso nell’aria per qualche secondo, poi precipita giù, come risucchiato in un imbuto.

Il vento lo trasporta dritto dritto a quella finestra illuminata che aveva notato Glo, vola nella stanza della casa vicina, come fosse un messaggio da recapitare proprio lì, proprio ora.

Il foglio scivola dolcemente sulla scrivania.

Lì, anche se è notte fonda, c’è un ragazzo ben sveglio, che sta giocando al computer.

Non è quel Gianluca di cui sogna Glo. Però è un ragazzo della sua età.

Capitolo 4 Manuel

Si chiama Manuel. E ha due grandi passioni: i manga e Roblox.

I manga, soprattutto. Guardate quanti ne ha!

Quindi, figuratevi, quando vede spuntare di colpo quel disegno bellissimo sulla tastiera del PC.

Lì per lì si spaventa. Fa un balzo sulla sedia, si guarda intorno.

Mica gliel’avrà portato un fantasma?

Poi si calma, capisce che forse è stato il vento. Sì sì, proprio così. Si era dimenticato la finestra mezza aperta, in effetti.

Manuel lo prende in mano.

L’inchiostro è un po’ sbavato per via della pioggia (più lacrime che pioggia, ma questo lui non lo sa), ma si vede bene. Una ragazza stupenda, malinconica, che piange. Con due occhi grandi, che più grandi non si può. Una ragazza, che a ben guardare, gli sembra di conoscere.

Manuel rimugina a lungo, poi schiocca le dita della mano destra.

“Ma certo! È la mia vicina di casa! Quella ragazza che non esce mai...” pensa, riflettendo sul fatto che anche lui non esce praticamente mai. Ha amici solo virtuali e spesso si sente solo come la Glo del disegno.

Manuel quella notte rimane a pensare prima di ficcarsi sotto le coperte.

Cavolo, è davvero bello quel manga! E poi, inutile nasconderlo, quella Glo è uno schianto. Quella vera, intende. Quella in carne e ossa che gli è capitato di scorgere a volte, per caso. Soprattutto quando andava a scuola.

Manuel non sa disegnare. Magari potesse fare un manga come quello! Allora sì, ne disegnerebbe subito uno e lo consegnerebbe alla sua vicina.

Invece lui questo talento non ce l’ha.

Però ha coraggio. Non è esattamente un talento, ma forse sì: quando gli piace qualcosa, non si tira indietro, lo fa.

E poi è stufo di quegli amici-online. Ha voglia di persone vere.

Quella Glo, tra l’altro, visto che li disegna così bene, sarà appassionata di fumetti come lui.

Gli batte forte il cuore.

Okay, ha deciso. Domani andrà a suonare alla sua porta e le chiederà se ha voglia di andare al parco. D’altronde, ce n’è uno bellissimo proprio sotto casa loro.

Quella mattina Glo si sveglia tutta dolorante. Si è addormentata per terra, sul tappeto, sul duro. La schiena le fa un male cane.

Si alza, la fa scrocchiare, e il suono sembra quello delle patatine sotto i denti.

Mamma mia, che freddo, poi. E che luce forte. Mica è abituata a tutta questa luce, lei.

“Che scema” pensa Glo, guardando la finestra. Le tapparelle alzate.

È stata tutta la notte con la finestra aperta. Per forza nella stanza c’è un freddo che si gela!

Rabbrividisce. Si stringe il plaid intorno al corpo. Si stropiccia gli occhi e si sistema per bene gli occhiali sul naso.

Dev’essere entrato un sacco di vento. C’è un casino che la metà basta. Una montagna di vestiti crollata. E poi, sparsi qua e là, i suoi disegni.

Glo cerca di rimettere in ordine (si fa per dire!), ma prima chiude la finestra e abbassa anche la tapparella, perché tutto quel sole proprio non lo sopporta.

Poi la mamma viene a bussare alla sua porta.

Le dice che se vuole c’è la colazione pronta, giù in cucina.

Glo dice va bene, scocciata. Poi la mamma esce di casa e va al lavoro, come tutte le mattine.

Fortuna che Glo adesso è sola. Un sollievo! Adesso sì, può uscire un attimo dalla sua camera per fare colazione.

Gloria, sempre attanagliata da un forte senso di inadeguatezza, fatica a relazionarsi coi coetanei.

Gloria è una Hikikomori.

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”.

Rinchiusi nella propria abitazione, gli Hikikomori evitano qualsiasi tipo di contatto diretto col mondo esterno, spesso anche con i familiari.

€ 9,50

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.