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Editor: Patrizia Ceccarelli
Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini
Team grafico: Raffaella De Luca
Coordinamento grafico: Mauro Aquilanti
Ideazione gioco Facciamo la Pace: Rosa Tiziana Bruno, Nicoletta Moroni Sviluppo grafico gioco Facciamo la Pace: Nicoletta Moroni
I Edizione 2023
Ristampa
Tutti i diritti sono riservati
© 2023
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facciamo la pace
Illustrazioni di Giovanni Da Re
La nonviolenza è l’arma più potente, la più alta qualità del cuore.
È lì che nasce il primo vero disarmo… Mahatma Gandhi

Irresistibile. Bianca come una nuvola, al centro del tavolo, la torta sprigionava un profumo intenso. Le mani esperte della mamma volteggiavano abili, sistemando le ultime ciliegie candite sulla glassa morbida.
Tommaso non riuscì a trattenersi, in un istante afferrò il dolce e iniziò a divorarlo a grandi bocconi. Gli bastarono pochi attimi per ingurgitarlo tutto, nemmeno una briciola andò perduta.
Stringendo tra le dita l’ultima ciliegia, che ancora non aveva potuto sistemare, la mamma trovò un filo di fiato per dirgli:
– Come puoi essere così ingordo?
Sì, Tommaso era insaziabile e perciò si era guadagnato tra gli amici il soprannome di Pappamondo. La sua voracità lo aveva reso famoso nel circondario e i vicini non facevano che parlare di lui, sempre più stupiti.
Avido e bramoso, tracannava di tutto: pizza, polenta, ragù, risotti, insalate, polpette, carpaccio, pere, susine,
mele, albicocche e dolciumi in quantità. Nessun manicaretto sfuggiva al suo capiente stomaco. Le rare volte che non aveva la bocca piena, a chiunque gli chiedesse spiegazioni ripeteva:
– Mangerei il mondo intero!
Più mangiava, più la sua pancia cresceva.
Mastica e ingoia, inghiotti e divora, Tommaso ormai era così tondo che nello specchio non riusciva a starci tutto. Anche il banco di scuola era diventato troppo stretto per lui e non gli restava che rimanere a studiare in casa. All’inizio, nei ritagli di tempo fra uno spuntino e l’altro, provava a fare qualche esercizio di aritmetica oppure di grammatica. Ma era davvero una gran fatica concentrarsi con tutto quel cibo sullo stomaco, così presto decise di rinunciarci. Si sbarazzò in fretta di libri e quaderni, dedicandosi completamente al suo passatempo preferito: mangiare.
Quella che aveva appena divorato era la torta del suo compleanno, che avrebbe dovuto dividere con gli amici arrivati per festeggiarlo. Affacciandosi in salone, sua madre annunciò con grande imbarazzo ai giovani ospiti:
– Ragazzi, mi dispiace, niente torta. Tommaso l’ha divorata tutta.
– Non importa – esclamò Nicolas, amico e compagno di banco, – conosciamo le sue abitudini e ci siamo organizzati.
Organizzati? – chiese incuriosito Tommaso.
– Sì, abbiamo portato dei doni speciali.
– Sono pronto, tirateli fuori – incalzò il festeggiato, che non vedeva l’ora di accaparrarsi i regali, senza sentirsi minimamente a disagio per aver ingurgitato da solo l’intera torta.
Sicuri di fargli sorpresa gradita, gli amici si erano procurati manicaretti da ogni parte del mondo: torta d’aglio dal Messico, garofani in brodo dal Perù, granita di ghiaccio norvegese e quant’altro di insolito era stato possibile racimolare. Così la festa fu salva e andò avanti parecchio, tra le urla dei ragazzi che inneggiavano al festeggiato, pronunciando a squarciagola il suo simpatico soprannome:
– Urrà, urrà per il nostro Tommaso Pappamondo!
Fu una serata indimenticabile. Ma il giorno successivo accaddero cose pazzesche. Tutto ebbe inizio intorno alle cinque del pomeriggio quando, tanto per cambiare, Tommaso pensò di fare uno spuntino. Sua madre era andata a fare visita alla zia e suo padre era dal vicino, così il golosone decise di arrangiarsi da solo. Diede una sbirciatina in frigorifero e divorò pian piano tutto quello che c’era nei vari ripiani. Poi si guardò intorno e prese a ingurgitare qualsiasi altra cosa gli capitasse a tiro. Addentò soprammobili, quadri, lampadari, tappeti. Si fermò solo dopo aver divorato interamente, pezzo dopo pezzo, ogni oggetto d’arredamento presente in casa.
A quel punto fece una piccola pausa. Stava per appisolarsi quando si accorse di avere ancora fame. Dunque, proseguì divorando il tavolo, il divano e, infine, porte e muri. In breve della sua casa non rimase più neanche un mattone!
Al ritorno la madre restò di sasso: dell’abitazione non c’era traccia e Tommaso se ne stava seduto al centro di un enorme spazio vuoto, tranquillo e goffo, a sbadigliare.
– Cos’è successo alla nostra casa?! – chiese sbalordita la donna.
– Beh, avevo una gran fame e l’ho mangiata tutta – ammise schiettamente il piccolo ingordo.
Nel frattempo, allertato dai vicini, accorse anche suo padre. Cercò subito di capire se era rimasto qualcosa da salvare, ma niente. Per giunta non era finita! Dopo quell’enorme pasto, infatti, Tommaso non era ancora sazio. Sotto gli occhi increduli dei genitori, addentò lo steccato del giardino e lo infilò nel suo stomaco senza fondo. Terminato anche quello, sentiva ancora un certo languorino, perciò si avventò sulle case dei vicini che iniziarono a scappare per la paura. Avanzando a fatica sotto il suo enorme peso, divorò non solo le abitazioni ma anche gli alberi, le strade e perfino i pali della luce. Si spinse fino alle mura della città, che addentò con gusto, mattone dopo mattone, giacché gli piacevano molto le cose croccanti.
A quel punto, aveva ingoiato tanta di quella roba da non potersi più muovere e si fermò.
Accortosi di essere in aperta campagna, si sdraiò per terra, con la sua enorme pancia all’aria.
“È ora di riposare” pensò soddisfatto, e s’addormentò di botto.
Per giorni e giorni l’incredibile divoratore continuò a dormire. Rimase sdraiato talmente a lungo che sull’ombelico cominciarono a spuntargli fili d’erba e ciuffi di muschio. Poi mille fiorellini colorati si fecero largo tra i capelli e qualche funghetto si infilò tra le dita delle mani e dei piedi.
Sotto un manto di margherite, funghi e rami d’edera, Tommaso si trasformò lentamente in una collinetta, con tanto di alberelli in cima al pancione. In paese nessuno si accorse di nulla. Gli abitanti erano troppo impegnati a ricostruire case, palazzi e negozi. Soltanto al termine dei lavori, la gente cominciò a chiedersi dove fosse Tommaso. Sembrava proprio sparito nel nulla.
Nessuno poteva immaginare che quella collina comparsa all’improvviso, in fondo alla valle, in realtà fosse proprio lui.
– Sveglia, sono già le nove!
D’improvviso l’esclamazione di suo padre lo fece sobbalzare.
– Non posso alzarmi – rispose Tommaso, recuperando un filo di voce.
– Sentiamo: qual è la scusa di oggi?
L’erba. Mi ricopre tutto, non posso muovermi.
– Questa è la migliore che tu abbia inventato! Però adesso alzati!
Tommaso si sentì scuotere con decisione, aprì gli occhi e vide la faccia di suo padre che lo fissava con un sorriso sornione.
– Sono bloccato dall’erba, papà! – gli rispose ancora.
Sì, certo, e io sono l’imperatore del Giappone.
– Ho mangiato tanto ed è successo questo...
– Ragazzo, basta chiacchiere, è tardi e dobbiamo ancora preparare le valigie!
Tommaso sollevò il capo con cautela, poi guardò verso il basso. Sotto di lui c’era il solito pavimento, della solita
stanzetta. Anche la copertina che lo ricopriva fino ai piedi era quella di sempre. Tirò un sospiro di sollievo: era stato solo un sogno, uno di quelli così reali che fai fatica a uscirne.
– Giuro che terrò a freno la mia golosità, d’ora in poi! –esclamò sgusciando pigramente dalle lenzuola.
– Un buon proposito con cui iniziare la giornata – replicò soddisfatto suo padre.
La voce della madre lo chiamò dalla cucina, la colazione era pronta.
– Buongiorno – farfugliò Tommaso con la bocca impastata di sonno, sedendosi al tavolo.
Buongiorno, dormito bene?
Sì, mamma. Però ho fatto un sogno strano.
I sogni strani capitano quando si è preoccupati. Sei forse in pensiero per il viaggio?
– Niente affatto, sono felice di partire con papà.
Le fette di pane appena sfornato profumavano di buono e il vasetto di miele era pronto sul tavolo, già aperto. A Tommaso non restò che affondarci il cucchiaino, raccogliere in abbondanza e quindi spalmare. Uno, due, tre strati, poi una spolverata di granella di nocciole e via, dritto in bocca!
Buono, così gustoso da fargli dimenticare tutto il resto, e infatti non si accorse nemmeno che il miele gli colava lungo i polsi, scendendo lentamente dentro le maniche del pigiama. Ormai aveva la faccia appiccicosa e i gomiti incollati alla tovaglia.
– Non avevi promesso di essere meno goloso? – chiese suo padre entrando in cucina.
Tommaso tentò di pulirsi velocemente, ma la situazione peggiorò.
Il tovagliolo s’incollò sulla bocca e le briciole di pane si appiccicarono sulle guance, insieme alla granella di nocciole. Si sentiva come un pupazzo di colla.
– Vai a lavarti, prima di impiastricciare tutta la cucina! – implorò sua madre.
Non era un bel periodo per la famiglia Moretti. Tommaso non sapeva bene cosa stesse accadendo, ma era chiaro che le cose non andavano per il verso giusto.
Papà Federico era spesso pensieroso e mamma Sara
appariva più indaffarata del solito, con l’aria stanca di chi è costretto a moltiplicare le energie per ottenere l’indispensabile. In casa, di sera, calava un silenzio vuoto e pesante, perché anche il vuoto può arrivare a pesare come un macigno.
Tommaso non aveva mai chiesto spiegazioni. Non era facile. Ogni giorno cercava le parole giuste per domandare. Ma come si fa a chiedere a mamma e papà se hanno un segreto? È la cosa più difficile del mondo.
Quella mattina, dopo essersi rimpinzato ben bene, si alzò dal tavolo e corse in bagno a lavarsi. Tornato in camera, infilò la t-shirt rossa, poi i jeans e infine le scarpe da ginnastica, rosse pure quelle. Era pronto per il nuovo giorno.
Da dove cominciare per preparare la valigia?
Ma dalla viola, ovviamente.
La prese con cura dalla sedia e la appoggiò bene in vista sul letto. Non era solo uno strumento musicale, ma il suo speciale mezzo di teletrasporto. Gli bastava averla sulla spalla, e sfiorarla delicatamente con l’archetto, per sentirsi sollevare verso l’alto, leggero, lontano dalle situazioni incomprensibili e tristi. Come appeso a un aquilone, così in alto da accarezzare le nuvole.
Era cresciuto ascoltando concerti di musica classica sull’enorme poltrona di velluto a casa dei nonni, entrambi pianisti.
E, da quando era stato ammesso al corso di viola del Conservatorio, la musica era diventata la sua compagna di giochi preferita.
Per questo, quando suo padre gli aveva proposto di seguirlo in un viaggio intorno al mondo, aveva subito pensato di portare la viola con sé.
– Tra giugno e luglio farò il giro dei continenti. Due mesi interi a fotografare. Ti andrebbe di accompagnarmi? – queste erano state le parole di papà Federico. Ma il tono non sembrava gioioso, la sua voce tradiva un certo imbarazzo, come se quel viaggio fosse l’ultima occasione per fare qualcosa di buono.
Suo padre era un famoso fotoreporter di guerra e attualmente dirigeva la sede milanese della rivista internazionale GeoLove.
Era stato in molti luoghi, alcuni misteriosi e segreti. Anche in località che solo a pochi era concesso raggiungere.
Fin da piccolissimo, Tommaso aveva guardato con grande interesse le foto scattate da suo padre.
Erano immagini che colpivano dritto al cuore perché documentavano la vita dei luoghi in cui la pace non riusciva a farsi largo. I paesaggi sullo sfondo sembravano appartenere a un altro mondo e le persone ritratte avevano spesso volti pieni di vero dolore.
– Da cosa nascono le guerre, papà? – chiese a bruciapelo Tommaso, affacciandosi nel corridoio.
– Non è il momento delle domande. Concentrati sulla valigia, piuttosto! – si sentì rispondere con tono secco. Ma non si arrese e replicò:
– È sempre il momento per provare a capire.
– Ci siamo svegliati curiosi stamattina, eh!
– Sì, sento spesso parlare di guerra in tv, ma non riesco a capire. Nessuno spiega le cose importanti, raccontano solo di bombe e di missili. Neanche fossero caramelle! E soprattutto come sia ammissibile buttarle sulle città e sulle persone che ci abitano. Fammi capire tu papà, da cosa nasce tutta questa distruzione?
– La guerra nasce da un pensiero sbagliato – rispose lapidario papà Federico.
– Da un pensiero?
– Esatto. Ogni azione nasce da un pensiero e la guerra viene dall’idea di sopraffazione di un Paese su un altro, dalla tentazione della prepotenza, che l’umanità non riesce a tenere a freno.
– Un po’ come nel mio sogno? – chiese Tommaso con un guizzo di intuizione.
– Quale sogno?
– Quello della torta! Ho sognato di mangiarla tutta, senza lasciarne neanche un pezzetto per gli amici.
– Ecco, siamo arrivati al punto. La prepotenza è volersi impossessare di quanto più possibile, lasciando agli altri solo le briciole o neanche quelle. È la volontà di predominio, di possedere anche ciò che spetterebbe ad altri.
Allora quando mangio troppo vuol dire che sto sottraendo cibo a chi ne ha diritto come me?
– In un certo senso è così. Oltretutto danneggi anche la tua pancia.
– Allora la guerra è una cosa stupida – commentò Tommaso, pensando a voce alta.
– Noi esseri umani siamo qui – riprese papà Federico, – nell’immensità dell’universo, su questa minuscola sfera chiamata Terra che gira intorno al Sole da miliardi di anni. Abbiamo la fortuna di vivere sul meraviglioso Pianeta Azzurro e invece di godere di questo scenario così straordinario e stupefacente, non facciamo che litigare, odiarci l’un l’altro, farci del male. Sì, hai ragione, la guerra è davvero una cosa stupida.
Dopo quella affermazione così chiara, Tommaso tornò nella sua stanza a testa bassa. Rifletté sul senso dello stare insieme, sulle guerre sanguinose che ci sono nel mondo e su ciò che avrebbe scoperto nel lungo viaggio che lo attendeva.
Oltretutto, stare tanto tempo con suo padre voleva dire vederlo all’opera, scoprire i segreti dei suoi scatti, e trascorrere intere giornate a dirsi cose, a scambiarsi opinioni come tra due adulti.
E poi chissà, forse al ritorno sarebbe scomparso quel velo di tristezza che ultimamente rendeva opaca ogni cosa in famiglia.
Da mesi, ormai, lo sguardo dei suoi genitori era malinconico, nonostante si sforzassero entrambi di camuffarlo con sorrisi abbozzati.
Tommaso era figlio unico, non aveva nemmeno un fratellino con cui giocare o una sorella a cui fare dispetti. I cugini vivevano dall’altra parte dell’Italia e non era sempre facile incontrarsi con loro. Quanto ai compagni di scuola, terminati gli impegni in palestra o il corso d’inglese, generalmente ognuno si rinchiudeva in casa propria.
Per fortuna c’era la dolcissima viola a fare primavera anche quando pioveva a dirotto. Le lezioni al Conservatorio erano impegnative, però ne valeva la pena. Tommaso imparava lentamente a comprendere il linguaggio della musica. Sì, perché gli strumenti musicali trasportano parole sotto forma di note, esprimendo i pensieri, anche quelli più segreti, che a volte non riusciamo a dire.
«La musica è la memoria del mare» gli ripeteva ogni volta il maestro, a fine lezione. Aveva impiegato mesi per capire il significato di quella frase. Poi la spiegazione era arrivata da sola, in uno dei lunghi pomeriggi di silenzio, quando sua madre se ne stava con la testa china sul quaderno marrone, dove annotava le spese di famiglia con addizioni e divisioni.
Tommaso sbirciava dal corridoio. La vedeva correggere qualche numero qua e là, richiudere, poi aprire di nuovo e tornare a leggere in silenzio, sotto le ciocche di capelli che le ricadevano sul viso.
In quei momenti nemmeno la viola riusciva a cancellare il senso di vuoto che riaffiorava e allora l’unica consolazione restava il cibo.
Si era specializzato nella preparazione di panini imbottiti e ne aveva escogitate ben sette varianti. E, inoltre, era diventato capace di liberare una barretta di cioccolato dal suo involucro in meno di un secondo. Divorandola altrettanto velocemente, s’intende.
Non era una gara contro il tempo, o forse sì. Di sicuro era un modo per distrarsi quando gli pareva che la vita fosse poco generosa con lui. In realtà, così facendo, cominciava già ad avere qualche difficoltà ad abbottonare i calzoni. Forse anche per questo aveva fatto quel sogno strano.
A ogni modo, non aveva alcuna intenzione di diventare un “Pappamondo”! Prima o poi avrebbe smesso, anche se non sapeva quando.
– Mi raccomando, in viaggio fai attenzione a vestirti come si deve.
Mamma! Non parto per una sfilata di moda!
Non in quel senso. Pensa che passerete dal caldo al freddo di continuo, quindi occorre prudenza.
– Va bene, va bene!
Tommaso non aveva voglia di ascoltare le raccomandazioni di sua madre, l’unica cosa che desiderava era volare via, verso mondi lontani. Per fortuna mancava pochissimo, l’avventura stava per iniziare.
Erano ancora sull’uscio di casa per i saluti e gli abbracci, ma Tommaso si sentiva già lontano, la sua immaginazione era sbarcata a Beirut, la capitale del Libano, prima tappa del viaggio.
Guardò i genitori stringersi in un abbraccio sorridente e pensò che quello era il primo atto di tenerezza che si scambiavano da mesi, dopo tanti silenzi.
La mamma aveva gli occhi umidi di pensieri e papà Federico, con un filo di voce sottilissimo, le sussurrò all’orecchio:
– Vedrai, questa è la volta che risolveremo tutto.
Tommaso aveva capito da un pezzo che la situazione in famiglia era complicata, ma non credeva che questo viaggio rappresentasse addirittura un’ultima possibilità di soluzione.
A questo punto era chiaro che non si trattava del solito reportage di guerra per conto della rivista GeoLove. C’era dell’altro, qualcosa di serio.
La frase che più di tutte lo colpì fu: “E mi raccomando, non passare il tempo china sul quaderno marrone. Non serve!”
Dunque, i problemi di famiglia, e anche il viaggio che stavano per intraprendere, erano collegati a quel quaderno?
Ma non disse nulla. Ancora una volta si limitò a trattenere le parole.
In cuor suo sperava però che, una volta in viaggio, il padre gli avrebbe svelato la misteriosa verità nascosta dietro i lunghi silenzi degli ultimi tempi in famiglia. E sperò che, magari al ritorno, ogni cosa sarebbe tornata a posto e avrebbe riportato i sorrisi di un tempo, l’allegria, le lunghe chiacchierate dopo cena e la speciale torta al cioccolato della domenica.
A proposito di torte, Tommaso aveva ovviamente in programma di assaporare i dolciumi dei vari continenti. Pregustava abbondanti scorpacciate in luoghi impensati e, con la scusa dello stress da sbalzi termici, nel suo animo goloso sperava di ottenere il permesso di abbuffarsi senza limiti.
– Non sei ancora partito e già mi manchi! – esclamò mamma Sara, abbracciandolo.
– Mi mancherai anche tu! – ribatté Tommaso un po’ malinconico.
Non aveva mai considerato la possibilità di sentire la mancanza di sua madre, fino a quell’istante. E quasi d’istinto le chiese:
– Sicura di non voler venire con noi?
È meglio di no, ne abbiamo già parlato. Ma ho una cosa per te!
Un regalo? – Sì – disse lei dirigendosi verso il mobile nel corridoio, da cui tirò fuori un sacchetto di carta. – Ecco, se userai questo io sarò lì con voi, per tutta la durata del viaggio.
È un diario! – esclamò stupito Tommaso, aprendo il sacchetto.
– Sì, in queste pagine potrai annotare un pensiero per me, ogni volta che vorrai.
– Come se tu fossi lì ad ascoltarmi?
– Esatto.
– Scriverò, promesso. E al ritorno ti farò leggere tutto.
– Non vedo l’ora, Tommaso.
– Hai avuto un’ottima idea, mamma, anche perché da molti luoghi sarà impossibile telefonare. E qui potrò annotare qualsiasi cosa.
– Ogni tuo pensiero sarà prezioso per me – gli rispose mamma Sara carezzandogli il ciuffo.
– Sarà il nostro telefono di carta! – esclamò Tommaso, sentendosi già un viaggiatore provetto, con tanto di diario di viaggio come Cristoforo Colombo.
un
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