A testa alta - ESTRATTO

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Vichi De Marchi

Illustrazioni

Giovanni Da Re

€ 12,90

A testa alta

“È un nostro diritto!” Se oggi possiamo pronunciare questa frase senza problemi, lo dobbiamo anche al coraggio di uomini e donne che hanno lottato per le loro idee, rischiando a volte la vita stessa. Questo libro racconta le storie di alcuni di loro: la coraggiosa Malala, lo schiavo Spartaco, le suffragette inglesi, il banchiere dei poveri Yunus e tanti altri, anche sconosciuti. Ognuno di questi racconti rappresenta una tappa nel cammino verso le fondamentali conquiste civili. Esse sono adesso nelle tue mani, sta a te coltivarle e vigilare perché non vengano calpestate.

Vichi De Marchi

Storie di coraggio per la

conquista dei diritti



Vichi De Marchi

Illustrazioni di Giovanni Da Re


A Giulio Armeni per la sua fantasia, a Edoardo Girardi per le sue ricerche. Questo libro è anche loro.

Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Progetto grafico e impaginazione: Mauro Aquilanti Illustrazioni: Giovanni Da Re I Edizione 2021 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2026 2025 2024 2023 2022 2021 Tutti i diritti sono riservati © 2021 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 - 60037 - Monte San Vito (AN) e-mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Stampa: Grafica Veneta Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Il valore dei diritti Per illustrare il valore dei diritti possiamo raccontare una vecchia storiella: ci sono due giovani pesci che nuotano l’uno accanto all’altro. A un certo punto incontrano un pesce più anziano che fa loro: “Buongiorno ragazzi! Bell’acqua oggi, vero?” e passa oltre. I due pesci continuano a nuotare per un po’, poi uno dei due si gira e chiede all’altro: “Cosa diavolo è l’acqua?” I diritti sono come l’acqua: li diamo per scontati, ma se mancassero noi ce ne accorgeremmo, eccome. O meglio, noi che siamo stati così fortunati di vivere in una parte del mondo in cui, bene o male, ci sono e vengono rispettati. Il diritto, se vogliamo dirlo in modo più scientifico, è la tutela di un nostro interesse personale. Insomma, c’è una nazione, o una comunità ancora più grande, la quale ci dice che una nostra questione merita di essere protetta. E che sarà disposta anche a usare la forza, pur di proteggerla. È bello, detto così, perché sa di cura. Come quando un genitore dimostra di tenere a noi e di riconoscere valore a quello per cui viviamo.

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Esistono tanti diritti: diritto a studiare (ebbene sì), a dire quello che ci passa per la testa, a vivere un’infanzia felice, a essere trattati come persone e non come oggetti. Tuttavia, la storiella dei pesci non calza alla perfezione per parlare dei diritti. Il diritto non è come l’acqua, che è sempre esistita. Sono sempre esistite sofferenze, soprusi, e desiderio di riscatto, così come sono sempre esistite persone altruiste, compassionevoli, che si sono chieste come rendere più giusto il mondo. Ma il concetto vero e proprio di “diritto” è comparso solo nell’età moderna, e nei libri dei filosofi, e c’era anche chi pensava che avessero qualche rotella fuori posto. Solo un po’ più in là, alcuni politici illuminati hanno riconosciuto i diritti come le fondamenta su cui costruire tutta la vita di un paese. Come la Bill of Rights degli Stati Uniti d’America, o la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino al tempo della Rivoluzione Francese. Nell’età contemporanea, dopo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, si sono prese molte misure per far sì che questi diritti venissero rispettati nella vita di tutti i giorni e non restassero semplicemente delle idee astratte. Tant’è che molti pensano che la nostra epoca, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, potrebbe esser chiamata “Età dei diritti”. Un’epoca in cui l’uomo non ha mai smesso di combattere per quest’obiettivo e di chiedersi: “Come abbiamo fatto, finora, a starne senza?”

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Ma l’acqua è anche un pezzo della natura. C’è chi ha detto che i diritti sono naturali come l’acqua, ma di certo a loro non basta essere naturali, per esistere concretamente. Servono persone in carne e ossa che alzino la mano quando sentono che qualcosa non va, anche perché spesso, nel corso della storia, i governanti non si sono impegnati troppo a capire se qualcosa non andava. A volte alzare una mano non basta, bisogna tenerla alzata una vita intera, prima che qualcuno si degni di rispondere. C’è un ultimo motivo per cui la storiella dei pesci non funziona del tutto. Ci si potrebbe chiedere perché l’abbiamo usata, se ci sono così tante incongruenze! Ma la storia dei diritti è una storia in cui spesso i conti non tornano, in cui ci si aspetta che le cose siano ovvie e banali, come l’acqua, appunto, ma in cui c’è sempre un passo in più da compiere, uno sforzo in più da fare. L’ultimo motivo è questo: un pesce senz’acqua, muore. Un essere umano, senza diritti, può continuare a vivere, o meglio, a sopravvivere. A morire è però qualcosa dentro di lui. Qualcosa di invisibile, che i diritti cercano disperatamente di mettere in luce. È la voglia di libertà, il desiderio di essere rispettati, di avere una vita dignitosa e molto altro ancora. Questo libro parla di persone vere, con difetti ed egoismi, ma che hanno avvertito in modo fortissimo di avere quella cosa dentro, che non volevano morisse. Questo libro parla di persone che, senza diritti, si sentivano pesci fuor d’acqua.

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Spartaco La ribellione alla schiavitĂš

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Spartaco

I

l sole di mezzogiorno batte forte sull’arena dell’anfiteatro di Capua. Alcune coppie di gladiatori si stanno allenando a parare i colpi, con delle piccole spade di legno. Una di queste coppie sembra particolarmente affiatata. I due ridono, scherzano, e a volte, quando il loro allenatore è voltato dall’altra parte, si rotolano nella sabbia, quasi fossero dei bambini che giocano alla lotta. Sembrano ignorare la terribile fine che quasi tutti i gladiatori fanno. Uno dei due si chiama Spartaco. Viene dalla Tracia, ha una chioma riccia, grossi muscoli ricoperti da un leggero strato di grasso e un’eleganza quasi regale. Dicono che prima d’esser catturato come schiavo fosse d’una nobile famiglia. L’altro gladiatore è altissimo, un colosso nero come la pece e uno spazietto tra i denti bianchissimi. Lo chiamano l’Africano, e tutti alla scuola dei gladiatori, dai magazzinieri alle guardie agli schiavi, sanno che è l’amico inseparabile di Spartaco. – Cosa succede!? – sbotta il lanista, cioè il proprietario dei gladiatori e della scuola dove si allenano alla lotta. Uno dei combattenti, stremato dalla sete, dalla stanchezza e dal sole dell’estate, ha la faccia affondata nella sabbia. – Alzati, cane! – gli urla il lanista, ma quello non risponde. I suoi compagni ammutoliscono. Il lanista tiene nella mano una bacchetta, simbolo del suo potere di vita o di morte. – Alzati, ti ho detto! – e gli molla una bacchettata sulla schiena. Ma quello non si muove. – Sfaticato! Bestia! Lo sai quanto mi sei costato!? Alzati e riprendi l’allenamento! Il lanista continua a sferrare colpi sempre più violenti su quel corpo ormai privo di sensi. Spartaco fa per avvicinarsi ma l’amico lo trattiene.

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La ribellione alla schiavitù

– Me li ridai tu i soldi!? Me li ridai tu!? Un ultimo colpo e la bacchetta si spezza, sotto lo sguardo attonito di tutti i gladiatori. – Lo spettacolo è finito! Tutti alla mensa! – urla l’uomo. Gli schiavi prendono posto a una lunga tavolata. Sono stremati. L’Africano annusa l’aria e commenta, ironico: – Ancora zuppa d’orzo… il cibo degli dèi! – A me l’orzo non dispiace! – ribatte uno schiavo gallico. – Sa di cenere, ma almeno riempie! – Deve riempirti, stupido – interviene Spartaco. – Lo sai perché ci fanno ingrassare? Perché il grasso ci protegge dai tagli della spada. – Allora io sarò invincibile come Achille! – fa un altro schiavo, toccandosi la pancia e facendo ridere tutta la tavolata. – Se ti fa ridere essere un maiale da ingrassare e macellare… – lo fulmina Spartaco. E prende posto accanto all’Africano, nel silenzio generale. Due cuochi distribuiscono la zuppa. Uno si chiama Servio. A volte mette la zuppa nei piatti con tale violenza che gli schizzi ustionano la pelle dei gladiatori. Eppure, nessuno osa lamentarsi perché sanno che Servio è capace di chiamare il lanista e di farli frustare. L’altro cuoco è Lucio, è ormai anziano e ha sempre fatto questo mestiere. Ha perso il conto di quanti ragazzi di venti, trent’anni ha visto morire tra le urla del pubblico. Passa accanto a Spartaco che gli fa un cenno a cui Lucio risponde con l’occhiolino. Quasi fosse un segnale convenuto, Spartaco con un colpo di mano rovescia la brocca d’acqua sul tavolo. – Ops! Non l’avevo vista… dimmi dove posso riempirla, cuoco! – Seguimi in cucina! – gli risponde Lucio.

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Spartaco

Spartaco si alza, stringe la brocca nella mano, mentre l’altro cuoco, Servio, lo segue con uno sguardo sospettoso. Non appena Spartaco è nella dispensa, Lucio afferra un vasetto di terracotta, lo avvolge in un panno e glielo porge. Tutto avviene in fretta. Poi Spartaco torna in mensa, c’è confusione, nessuno nota il piccolo fagotto che nasconde dietro la schiena. Tranne una persona. – Tu, schiavo! – lo ferma Servio. – Non eri andato a riempire la brocca!? Dove sta? Spartaco non risponde. – Cosa nascondi dietro la schiena! Ladro! – lo strattona il cuoco Servio. Nel divincolarsi Spartaco fa cadere il vasetto a terra, che si spacca in mille cocci. Tutti i commensali si girano e vedono il miele sparso sul pavimento. Sanno che il miele è per le occasioni speciali: è destinato a chi il giorno dopo ha un duello, serve a dargli forza. O in giornate così sfiancanti come quella appena trascorsa, il miele può aiutare a tirare avanti e a non crollare nell’arena come il gladiatore di quella mattina. Di solito, Spartaco lo porta nella cella con sé e lo divide con i suoi compagni. Nel frattempo è arrivato anche il lanista, furibondo. – Ah sì!? Vuoi il miele dei combattenti, tracio!? Sarai accontentato! Combatterai! Tra tre giorni sarà qui il governatore e gli offriremo uno spettacolo speciale. All’ultimo sangue. Combatterai contro il tuo caro amico, l’Africano! Nella mensa cala il gelo. L’Africano e Spartaco non hanno il coraggio di guardarsi. Servio prende da parte Lucio e gli sussurra: – Hai visto? Non ti affezionare agli schiavi, o te ne pentirai sempre. ***

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La ribellione alla schiavitù

La mattina del combattimento, Lucio è a bordo arena, osserva gli allenamenti. Spartaco e l’Africano non hanno la loro solita aria pacifica. Nonostante le spade che usano per esercitarsi siano di legno, sembra che vogliano uccidersi. Ogni colpo è accompagnato da insulti e minacce, tanto che il lanista o gli altri compagni devono spesso intervenire per separarli. – Oggi berrò il tuo sangue! – gli fa Spartaco. – Io ti caverò gli occhi col mio tridente! – risponde l’Africano. Ecco cosa riescono a fare la disperazione e la schiavitù, pensa Lucio scuotendo la testa e tornando in cucina. Una volta pronto il pranzo, Spartaco e l’Africano si siedono lontano l’uno dall’altro. – Goditi il tuo ultimo pasto, tracio! – gli grida l’Africano dal proprio posto. – Hai sentito? – dice Lucio a Servio, mentre mescola la zuppa d’orzo in un enorme pentolone. – È triste vedere un’amicizia rovinata così. – Di cosa ti sorprendi, vecchio mio? – gli risponde Servio. – Lo dicono anche i filosofi: gli schiavi sono nient’altro che animali. Anzi, peggio. Almeno certe bestie sono fedeli. Ma gli schiavi… non sapranno mai cos’è l’amicizia – gli dà una pacca sulla spalla. – Non ci pensare, ora va a portare la zuppa, vecchio! Il giorno del combattimento tanto atteso è arrivato. I due cuochi non hanno resistito, osservano da sotto un porticato il combattimento. Centinaia di spettatori accompagnano con urla e incitamenti i colpi che si scambiano i due gladiatori. Anche il governatore, seduto tra gli spalti, con a fianco due guardie scelte, agita il pugno e digrigna i denti come qualsiasi plebeo. Sta assistendo al più classico dei combattimenti, che ogni romano adora: il mirmillone Spartaco combatte contro l’Africano.

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Spartaco

Sono ormai passati diversi minuti. Spartaco si trova in difficoltà. Un pugno dell’Africano, ben assestato, ha fatto cadere a terra il gladio, l’arma di Spartaco. Il tracio manovra lo scudo per parare i colpi di tridente che assesta l’Africano ma non ce la fa ad evitare di essere accalappiato dalla rete dell’avversario che è riuscito ad avvinghiargli il piede. Spartaco avverte uno strappo forte e vola a terra. Il tridente dell’Africano è ora puntato sulla gola dell’amico. La folla urla, si agita. C’è chi grida di infilzarlo, chi di risparmiarlo. Lucio s’è ormai rassegnato a vedere un altro dei suoi ragazzi perdere la vita in combattimento. Servio, divertito, batte le mani. Poi l’improvviso colpo di scena. Il volto di Spartaco è coperto dall’elmo. Con un gesto inaspettato, se lo sfila, rivelando un volto madido di sudore. Sorride all’Africano, che lo ricambia con un sorriso bianchissimo. Prima che qualcuno possa capire cosa sta succedendo, Spartaco alza un braccio e grida con quanto fiato ha in corpo: – ORA! Due gladiatori armati di giavellotti entrano nell’arena e li scagliano contro le guardie scelte del governatore che, trafitte, precipitano dagli spalti. Anche il governatore s’accascia mentre gli spettatori impauriti si riversano verso le uscite dell’arena, calpestandosi a vicenda. I gladiatori uccidono i guardiani colti alla sprovvista. L’Africano tende la mano all’amico Spartaco e lo aiuta ad alzarsi. Recupera da terra il suo gladio, giusto in tempo per infilzare il lanista, che era accorso come una furia verso di lui. Tutto è andato secondo i piani. Spartaco sapeva che al momento decisivo del combattimento, le urla degli spettatori in delirio avrebbe coperto qualsiasi segnale d’allarme. I suoi compagni avrebbero così potuto correre in armeria, sopraffare i sorveglianti e trafugare le armi necessarie alla rivolta.

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La ribellione alla schiavitù

Lucio e Servio, a vedere quella confusione, sono scappati dal porticato e si sono rifugiati nelle dispense, dove gli schiavi sono già passati gettando tutto all’aria e saccheggiando gran parte delle provviste. A terra è rimasto solo uno dei pentoloni per cucinare la zuppa d’orzo. I due cuochi sentono dei passi avvicinarsi. Servio corre verso il pentolone, ha paura, spinge lontano Lucio: – Spostati, c’è posto solo per uno! Di corsa, si rannicchia dentro la grande pentola, richiudendosi il coperchio sopra la testa. Proprio in quel momento, Lucio, paralizzato dal terrore, vede entrare Spartaco, seguito dall’Africano e da un manipolo di gladiatori armati. Spartaco lancia un’occhiata nella stanza della dispensa, poi fissa il vecchio cuoco e con voce calma gli chiede: – Dove tieni il miele? Il vecchio Lucio scosta una tenda che nasconde un baule chiuso da un lucchetto. Da sotto la tunica estrae un mazzo di chiavi, le mani tremano così forte che quasi non riesce a centrare la serratura. All’interno ci sono i vasetti di miele che Spartaco prende per distribuirli ai suoi compagni. Assaggia il dolce impasto delle api e dice: – Ne avremo bisogno. Ci aspetta una lunga marcia. Che gli dèi ti proteggano, amico. Sono le ultime parole di Spartaco prima di andarsene con i suoi compagni. Lucio afferra una sedia e crolla seduto. – Sono andati via? – domanda Servio, facendo capolino dal pentolone. – Sì… – risponde Lucio – meno male che c’eri tu… amico! E gli richiude il coperchio sulla testa con tutta la forza che ha in corpo.

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Cesare Beccaria No a torture e pena di morte

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Giovanni Da Re

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A testa alta

“È un nostro diritto!” Se oggi possiamo pronunciare questa frase senza problemi, lo dobbiamo anche al coraggio di uomini e donne che hanno lottato per le loro idee, rischiando a volte la vita stessa. Questo libro racconta le storie di alcuni di loro: la coraggiosa Malala, lo schiavo Spartaco, le suffragette inglesi, il banchiere dei poveri Yunus e tanti altri, anche sconosciuti. Ognuno di questi racconti rappresenta una tappa nel cammino verso le fondamentali conquiste civili. Esse sono adesso nelle tue mani, sta a te coltivarle e vigilare perché non vengano calpestate.

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