Cuori da Campioni Inter - Campione d'Italia 2023-24

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COPERTINA POSTER! Campione d’Italia 2023-2024 Inter Inter Inter

I grandi calciatori raccontati da Luca Pagliari Inter Inter Inter CUORI DA CAMPIONI

illustrazioni di Francesco Morici

A Nico, che il calcio lo gioca e lo insegna, ma sempre con l’Inter nel cuore!

Editor: Patrizia Ceccarelli

Autore: Luca Pagliari

Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini

Progetto grafico e copertina: Mauro Aquilanti

Illustrazioni: Francesco Morici

Ia Edizione 2021

Ristampa

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La parola a...

Scrivere la prefazione di un libro che parla della nostra Inter è innanzitutto un grande onore e questo mi riempie di orgoglio vero perché il senso di appartenenza a quei colori è sempre vivo e fortissimo. Non è semplice spiegare cosa rappresenti per me l’Inter, perché è un insieme di valori, di emozioni e di ricordi.

Ritrovo l’Inter tutti i giorni nei tifosi che continuano ad abbracciarmi come se non fossi mai uscito dal campo. L’Inter è l’emozione di uscire dal tunnel di San Siro e godersi con lo sguardo ottantamila persone unite da una passione che li rende una cosa sola. L’Inter sono i volti, le parole e le azioni di tanti calciatori che ne hanno disegnato e scritto la storia.

Poi c’è lei, la maglia nerazzurra.

Il 19 agosto del 1978 avevo ventidue anni e quella sera giocai la mia prima partita vera con l’Inter, torneo estivo in Versilia, l’avversario era l’Herta di Berlino e il cielo era stellato. Vincemmo 1 a 0 con un mio gol e fu come sognare. Mi ritrovai più tardi da solo nella camera d’albergo ma non riuscivo a prendere sonno, troppe emozioni. Allora scesi dal letto e aprii il borsone che conteneva la maglia nerazzurra sporca di terra e di erba con il numero 10. La indossai e rimasi per un tempo infinito di fronte allo specchio per capire se fosse tutto vero.

Sopraggiunse la stanchezza e con quella maglia ancora bagnata di sudore mi sdraiai sul letto e finalmente mi addormentai.

Buona lettura.

Evaristo Beccalossi

Centrocampista dell’Inter dal 1978 al 1984

Peppino Meazza e la fondazione dell’Inter

Nascere in quanto dissidenti del Milan: non avrebbe potuto esserci soddisfazione più grande!

Era il 9 marzo del 1908 quando i quarantaquattro soci voltarono le spalle al Diavolo rossonero e decisero di fondare la “vera squadra di Milano”.

Per essere precisi erano esattamente le 23 e 30 di quella giornata di fine inverno, e presso il ristorante L’Orologio , situato al numero civico 22 di piazza del Duomo, nacque il FootBall Club Internazionale. Il termine “internazionale” si legava alla volontà di poter inserire nella formazione anche dei calciatori stranieri, idea che era stata completamente boicottata dalla fazione rossonera.

Possiamo dunque affermare che l’Inter è nata da una visione moderna del calcio.

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Quegli eleganti signori riuniti al ristorante non potevano immaginare di aver anticipato di parecchi decenni quello che sarebbe stato il futuro del gioco più bello del mondo.

Rimanendo in tema di visioni, fu un pittore futurista, Giorgio Muggiani, ad avere l’intuizione del colore nerazzurro per la divisa. Anche lui ovviamente faceva parte del gruppo degli scissionisti dal Milan. Nulla da obiettare sulla striscia nera, ma l’azzurro avrebbe fatto la differenza, era con quel colore, che assomiglia tanto al cielo, che la società si sarebbe elevata al di sopra del rosso milanista. Per distaccarsi ancora di più dagli odiati cugini, tutti avrebbero chiamato la squadra Internazionale, evitando qualsiasi possibile malinteso! La parola “internazionale” per definizione era anche già proiettata verso traguardi e orizzonti di levatura mondiale.

Da quel momento, nel corso di oltre un secolo, la storia dell’Inter è un romanzo senza fine. Una storia di passione e d’amore che alterna gioie e dolori e intreccia drammi della vita a vicende sportive.

Come quella che vede protagonista Arpad Weisz, allenatore ungherese di origine ebrea, che nel 1930 condusse i Nerazzurri verso la conquista del primo scudetto a girone unico e terzo della storia interista. Weisz morì ad Auschwitz nel 1944.

Quella era l’Inter del più grande in assoluto, per certi versi irraggiungibile: Peppino Meazza.

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Con i suoi 288 gol e forte di ben 408 presenze, il grande Peppino vinse per tre volte la classifica di capocannoniere e resta il miglior marcatore della storia interista.

Un mito.

Del resto, se a lui è stato dedicato lo stadio milanese, significa che questo ragazzo con il sorriso buono e i capelli perennemente in ordine, qualcosa di grande doveva proprio averlo fatto.

Peppìn , per dirla alla milanese, nell’Inter ha trascorso ben 14 stagioni e per lui, che a Milano era nato in un’afosa giornata di fine agosto del 1910, quella maglia nerazzurra era una sorta di marchio impresso sulla pelle.

Questo il pensiero del giornalista Gianni Brera in merito a Meazza:

“Grandi giocatori esistevano già al mondo, magari più tosti e continui di lui, però a noi non pareva che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario”.

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Calcio e poesia, parole che ci riportano in mondi lontani, dove storie e leggende si mescolano tra loro regalando sogni infiniti al popolo nerazzurro, quello che non molla mai e che nel cuore ha una sola cosa che si chiama Inter. I tifosi, loro non hanno un nome, una maglia, un contratto e non hanno segnato neppure un gol, ma sono l’unica componente destinata a non tramontare mai. Li trovi in trasferta o fuori dallo stadio Meazza in attesa che aprano i cancelli, li scopri di fronte alla tv di un bar o riuniti nel salotto di una casa, oppure con la sciarpa attorno al collo mentre camminano in pellegrinaggio verso lo stadio.

I primi tifosi nerazzurri erano in quarantaquattro e mai avrebbero immaginato che la loro idea utopica si sarebbe trasformata in una storia senza fine.

E poi a San Siro quando giocava l’Inter c’era il signor Rinaldo Bianchini, un simbolo tra i tifosi e forse anche qualcosa in più. Per decenni, quando l’Inter tutta cuore e muscoli ripartiva all’assalto dell’area avversaria, veniva sempre accompagnata dal suono della tromba che lui suonava a perdifiato dagli spalti. Con la pioggia o con il sole, il signor Rinaldo Bianchini, trombettiere dai polmoni d’acciaio, ha per migliaia di volte suonato la carica con tutta la passione possibile, e lo sentivano i giocatori dal campo, i Presidenti dalla tribuna e tutti gli ottantamila innamorati del nerazzurro.

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In casa o in trasferta, in coppa o in campionato, lui era sempre lì, accanto alla sua amata. Ha seguito l’Inter in ogni angolo del mondo, fu il primo negli anni ’60 a fondare un Inter Club e ad appoggiare uno striscione nerazzurro sulla balaustra di San Siro.

Sì, la favola dell’Inter non è fatta solo da campioni, ma soprattutto da un popolo, quello nerazzurro. Se si vince si è felici e se si perde l’amore per quei colori si decuplica. Per quale motivo? Non esiste una risposta sensata, però esiste l’Inter. Inutile aggiungere altro.

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Sandro Mazzola , il baffo che conquista

Quando suo papà Valentino il 4 maggio del 1949 perse la vita nel disastro aereo di Superga, Sandro aveva appena sette anni.

Tutti i padri sono speciali, ma lui forse lo era un po’ di più, capitano del Grande Torino e della Nazionale, Valentino Mazzola viene tuttora considerato tra i calciatori italiani più forti di sempre. Quella squadra granata che divenne leggenda, fu capace di vincere ben cinque scudetti consecutivi e una Coppa Italia.

Il Grande Torino era osservato con rispetto e ammirazione dagli amanti del calcio di tutto il mondo, perché il suo gioco armonioso e divertente, fatto di classe e potenza, era un riferimento per l’intero universo calcistico. Lui, Valentino, ne rappresentava lo spirito e l’essenza.

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Per Sandro non fu semplice avvicinarsi al calcio evitando di rimanere etichettato per sempre come “il figlio di Valentino Mazzola”. Mamma Emilia tentò vanamente di tenerlo lontano dal pallone, il suo intento era quello di proteggerlo da impietosi paragoni, ma quel ragazzino magro non difettava in tenacia e, nascondendo gli scarpini nella cartella, si andava ad allenare di nascosto.

Tra l’altro, per rendere ancora più delicata la questione, Sandrino amava giocare a centrocampo, muovendosi in quello che era stato l’indiscusso regno di suo papà. Fu così che superò il provino all’Inter e si ritrovò a giocare nelle giovanili di questa prestigiosa società.

Una cosa era certa: la classe non mancava a quel ragazzino dai capelli ricci e dalle buone maniere! Era veloce, aveva fiuto del gol e un dribbling ubriacante, nello stesso tempo era capace di ricoprire con enorme disinvoltura diversi ruoli. Insomma, anche Sandrino era nato per inseguire un pallone.

Giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, allenatori, compagni di squadra e tifosi smisero di considerarlo il figlio del grande Valentino. Sandro brillava di luce propria.

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