URBES 1-2024

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Disuguaglianze

Urbes Magazine - Marzo 2024
urbane

Editoriale

Vi è un tema che anima il dibattito politico, economico, sociale e urbanistico, a livello globale e a livello nazionale, ed è quello delle periferie.

Un tema che, a partire da questo numero di URBES, vogliamo riprendere assieme a quello delle aree interne marginali, per esplorare un contesto troppo spesso dimenticato e non valorizzato in termini di interventi e finanziamento.

I problemi delle periferie possono coinvolgere tanti aspetti diversi, che vanno dal disagio economico alla carenza di servizi, alla povertà educativa, all’integrazione etnica e sociale. Fattori che si influenzano a vicenda e insistono su territori con un tessuto sociale, culturale ed economico fragile.

L’architetto e Senatore a vita Renzo Piano, del quale ospitiamo in questo numero l’intervento svolto in occasione dell’ultima Assemblea Nazionale ANCI, alla presenza del Capo dello Stato, sprona giustamente i sindaci a considerare le periferie non come luoghi tristi, lontani e pericolosi, ma come parte viva della città.

Periferie come “fabbriche di energia, di desideri e di aspirazioni” e oggi, vinta la scommessa della salvaguardia dei centri storici, la nuova scommessa è quella di salvaguardare, riscoprire e valorizzare le periferie.

Perché bisogna cambiare la prospettiva sociale, culturale, economica di una città considerando le periferie come la città del futuro, che cresce, si espande, riempie gli spazi e non si isola, e ricordarci che il novanta per cento della popolazione urbana vive nelle zone marginali della città, spesso con carenze di servizi primari e sociali, di collegamenti reali con il contesto urbano, di centri di aggregazione e di sviluppo socio-culturale e sportivo.

Allora dobbiamo chiederci se le periferie, che diventano città e area metropolitana, siano la grande scommessa del secolo che politici, urbanisti e sociologi vogliono affrontare facendole diventare innovative fonti di valore e crescita o se, differentemente, dimenticandole, isolandole e inevitabilmente rendendole corpi estranei all’interno della città, creando di fatto “muri ben visibili” di asimmetrie sociali.

I centri storici delle città sempre di più sono diventati luoghi di shopping e di ritrovo, cartoline ricche di storia, arte, bellezza e fascino, sono vetrine della città opulenta che contrastano a poche fermate di metropolitana con periferie incolte e non valorizzate, dove il bello sta nelle persone che le vivono, troppo spesso alla ricerca di un modo di evadere da quel contesto.

Le periferie sono fabbriche dei desideri, dove diventi adulto troppo presto, dove insegui sogni, dove mentre fai quotidianamente la tua “palestra di vita”, non ti accorgi che il tempo corre più veloce di te.

La dimensione della città europea ci ha insegnato a non creare quartieri solo per lo shopping o solo per gli affari, che la sera si spopolano e diventano luoghi spettrali e tristi e nei weekend “cattedrali” tristi nel deserto, abbandonate da transfughi in overdose di lavoro settimanale. Piuttosto che è necessario mescolare le diverse funzioni di una città. Le periferie sono la città che continua a vivere sempre, che non conosce il weekend fuori porta, una grande invenzione sociale, forse la più grande fatta dall’uomo, dove si impara e pratica la convivenza, l’inclusione, la tolleranza, la civiltà e la crescita, dove si sviluppa energia che va canalizzata non nel disagio, nella rabbia e nello scontro sociale, ma nella positività. Per questo servono luoghi di aggregazione sociale e centri sportivi, controllo del territorio da parte dello Stato, strumenti che coltivino la speranza, la voglia di cambiare, e non che alimentino la rabbia e il disagio. Un disagio che finisce per diventare malattia cronica per tutta la città, generata dall’isolamento, dal degrado, dallo squallore del contesto urbanistico cui molti dei quartieri periferici sono stati costretti fin dalla loro edificazione “senza anima” da parte di architetti e urbanisti, dimentichi che è solo lavorando sulla dignità del luogo, sul disegno civico, sul modello sociale che si costruisce una città.

Allora è proprio ripartendo dalle periferie che si può rinnovare il concetto di polis e costruire il bene comune.

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EDITORIALE

AGORÀ

ZIBALDONE

IN PUNTA DI PENNA

CITTADINI

SOCRATIC DIALOGUE

HEALTH CITY MANAGER ALUMNI

RECENSIONI

TAKE AWAY

CITIES SPEAKING

HCI UPDATES

NEWS DALLA ReCUI

F. Serra

A. Lenzi

F. Greenhouse

F. Mazzeo

A. Gaudioso

Three Bees Inner Circle

M. P. Cocchiere

F. Policastro

F. Greenhouse

C. Spinato

C. Spinato

URBES DIALOGUE: DISUGUAGLIANZE DI SALUTE E PERIFERIE

La realtà delle cose è la più formidabile sorgente di ispirazione

Intervista a Caroline Costongs, Direttrice Eurohealthnet

R. Piano

C. Spinato

Intervista a Carla Collicelli, ASviS Relazioni Istituzionali e Goal 3 C. Spinato

La rigenerazione urbana per valorizzare e rilanciare le città in chiave sostenibile

La coprogettazione come metodo di amministrazione condivisa

M. Occhiuto

L. Bertolé

Intervista a Ermelinda Damiano, Presidente Consiglio Comunale Venezia C. Spinato

Digital Divide e Salute Mentale

L. Pani

Le dinamiche della vista nelle realtà urbane M. Nicolò

Fragilità cognitive negli anziani F. R. Gigli

Periferie e prossimità T. Petrangolini

Rapporto sulla qualità della vita nelle città europee Redazione

L’iniziativa europea Città e Regioni Circolari (CCRI) Redazione

URBAN HEALTH COLUMNS

Diseguaglianze di salute nelle periferie: l'occasione che stavamo aspettando per superarle F. Moccia, Cittadinanzattiva

La “bottega di comunità” nel Cilento interno T. Bonacci, Federsanità

Disuguaglianze: molti piani, nessun Piano D. Carusi, Fondazione Bruno Visentini

L’approccio multidisciplinare evita nuove e ingiuste disuguaglianze di salute

L. Brogonzoli e E. Massari, Fondazione The Bridge

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Periferie e disuguaglianze di salute: l’attività di Ricerca del Gruppo di Lavoro SItI

Disparità sociali nelle grandi città: un'Italia a due velocità

Le periferie sono capaci di reinventarsi creando nuovi valori sociali

EU4Health, health for all L. Bianchi, YEP

INDICE

S. Capolongo e A. Rebecchi, PoliMI

T. Marinetti e M. Lo Giudice, Pro Lab LUISS

F. Ascoli, Urban Eco Mobility Trend

Parte il programma YMCA Health+ per supportare la crescita dei bambini in età scolare A. Indovina, YMCA Health

FOCUS ON SPORT

Lo sport come infrastruttura sociale R. Pella

Il dibattito su "Gli italiani e lo sport"

F. Serra, F. Pagliara, L. Gigliuto, R. Ghiretti FSC

I Report 2024 di Fondazione SportCity Osservatorio permanente sullo sport FSC

SportCity Meeting 2024

CITIES CHANGING DIABETES

Fondazione SportCity

News dalla Rete CCD Redazione

Venezia fa ingresso nella rete globale Cities Changing Diabetes Redazione

ARTICOLI

Il super architetto Norman Foster lancia un corso per esperti in temi urbani Redazione

Expo 2025 a Osaka: il Padiglione Italia sarà una “Città Ideale” di Mario Cucinella Redazione

Genova, il Museo della Città sempre più vicino Redazione

Il 2024 è l’anno dell’Urban Nature Project, il nuovo parco del Museo di Storia Naturale di Londra Redazione

Inquinamento atmosferico: un rischio anche per il tumore al seno S. G. Ciappellano

L’importanza del PTCP per il territorio D. Della Porta

Da EUDF Italia il documento di impegno della comunità diabetologica per le Elezioni Europee 2024

EUDF Italia

PREMIO URBES 2024: sono aperte le candidature! K. Vaccaro, F. Serra

Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute, Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Agorà

La percezione non è la realtà

Lo sentiamo dire continuamente, nel mondo degli affari, nel dibattito politico e sociale, nei problemi quotidiani, ogni volta che c’è un disaccordo o un conflitto: “la percezione è la realtà”. Questo aforisma è spesso usato per giustificare come una percezione che può essere oggettivamente ingiustificabile o semplicemente fuori dalla realtà, possa essere impiegata come una forte leva per spingere gli altri ad accettare la cosiddetta realtà preferita da qualcuno.

Prendere le decisioni giuste quando si tratta di questioni mediche a volte è difficile, anche per gli specialisti: quali vantaggi e svantaggi hanno un trattamento o un test diagnostico? È necessario e ci sono alternative? La medicina basata sull’evidenza (EBM) è quella che cerca risposte affidabili che possano aiutare a trovare il trattamento giusto e si basa su prove scientifiche, non già solo su teorie o opinioni di esperti.

Per chi, come me, viene dalla medicina è l’evidenza - e non la percezione - a guidare l’azione nella pratica clinica. Permettetemi allora di affermare con un senso assoluto della realtà e senza alcuna flessibilità percettiva che la percezione non è la realtà. Troppo spesso assistiamo a dibattiti in cui il dato soggettivo prevale su quello oggettivo e scientificamente documentabile. Credo che molto spesso le parole plasmino potentemente i nostri atteggiamenti, le nostre convinzioni e, anche le nostre percezioni.

Se prendo una dizione di percezione dal dizionario: “Il modo di considerare, comprendere o interpretare qualcosa; un’impressione mentale”.

Mentre la definizione di realtà del dizionario: “Il mondo o lo stato delle cose come esistono realmente... un’esistenza che sia assoluta, autosufficiente o oggettiva, e non soggetta a decisioni o convenzioni umane”.

Chiaramente, percezione e realtà hanno significati molto diversi. Il primo si verifica interamente nella mente, e la ginnastica mentale può trasformare qualsiasi credenza in realtà. L’altro esiste completamente al di fuori della mente e non può essere facilmente manipolato. Confondere la percezione con la realtà significa rifiutare l’Illuminismo e rifarsi al Medioevo.

La percezione non è la realtà ma la percezione può diventare la realtà di un individuo perché la percezione ha una potente influenza sul modo in cui guardiamo la realtà, può finire per condizionarlo, estendendosi anche alla collettività, agendo con un effetto domino.

Possiamo pensare che la percezione agisca come una lente attraverso la quale desideriamo vedere la realtà. Le nostre percezioni influenzano il modo in cui ci concentriamo, elaboriamo, ricordiamo, interpretiamo, comprendiamo, sintetizziamo, decidiamo e agiamo sulla realtà. Così facendo, la nostra tendenza è quella di presumere che il modo in cui percepiamo la realtà sia una rappresentazione accurata di ciò che la realtà è veramente. Ma il problema è che la lente attraverso la quale percepiamo è spesso deformata in primo luogo dalle nostre predisposizioni genetiche, dalle esperienze passate, dalle conoscenze pregresse, dalle emozioni, dalle nozioni preconcette, dall’interesse personale e dalle distorsioni cognitive, dalla convenienza che potremmo ricavare.

Daniel Kahneman, il noto psicologo che ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 2002, ha identificato quelli che ha definito bias cognitivi - circa 100, che sono modi sistematici in cui gli esseri umani creano una realtà sociale soggettiva che si discosta dalla realtà oggettiva. Tuttavia, se la percezione soggettiva che si allontana troppo dalla realtà finisce per generare illusione e creare una sostanziale disconnessione tra percezione e realtà, essa può portare le persone a una completa incapacità di funzionare (una grave malattia mentale ne è un esempio).

A livello sociale, quando diversi individui o comunità sviluppano percezioni così distanti, un problema immenso è che non si riesce a trovare un terreno comune. Questa disconnessione è esemplificata nel nostro attuale clima politico in cui persone di diverso colore politico hanno percezioni così diametralmente opposte che diventa impossibile orchestrare il consenso o governare. Il risultato è la paralisi politica o l’ostilità preconcetta. Andando agli estremi, un enorme divario tra le percezioni di un Paese porterebbe probabilmente a una lenta, ma costante, disintegrazione delle istituzioni che tengono insieme una società, temi che vanno dalla cultura, al sociale, alla salute, all’ambiente e che sono fattori essenziali nello sviluppo nel nostro mondo di oggi.

La sfida che affrontiamo con il nostro pensiero, così come con il pensiero degli altri, è come garantire che le percezioni rimangano vicine alla realtà. Questo allineamento è essenziale per noi per vivere nel mondo reale, per costruire consenso e mantenere le strutture individuali, governative e sociali necessarie per l’organizzazione della vita come la conosciamo. Altresì, quando vediamo il mondo attraverso una lente personale e distorta, i media e i social possono diventare amplificatori delle nostre percezioni.

È bene tenere a mente sempre i seguenti suggerimenti:

• Non dare per scontato che le tue percezioni siano la realtà (solo la tua realtà)

• Sii rispettoso delle percezioni degli altri (potrebbero avere ragione)

• Non tenere troppo strette le tue percezioni, possono sbagliarsi (ammettere che ci vuole coraggio)

• Riconosci le distorsioni dentro di te che possono distorcere le tue percezioni (vederle fonderà meglio le tue percezioni nella realtà piuttosto che il contrario)

• Sfida le tue percezioni (reggono al microscopio della realtà?)

• Cerca conferme da esperti e persone credibili (non chiedere ai tuoi amici solo perché probabilmente hanno le tue stesse percezioni)

• Sii aperto a modificare le tue percezioni se la preponderanza dell’evidenza lo richiede (la rigidità della mente è molto peggio dell’avere torto)

La prossima volta che qualcuno con veemenza potrà dire “ma la percezione è la realtà” in difesa dell’indifendibile, ci si alzerà e gli si dirà che potrebbe trattarsi della sua percezione, ma non della realtà!

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IL PARADOSSO DELLA SALUTE E DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE ZIBALDONE

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di Frederick Greenhouse

Il benessere è definito dall’Oxford English Dictionary come “lo stato di sentirsi a proprio agio, in salute o felici”. Tuttavia, è importante rendersi conto che il benessere è un concetto molto più ampio della felicità momento per momento. Se da un lato include la felicità, dall’altro include anche altre cose quali il grado di soddisfazione delle persone per la loro vita, i loro scopi e il modo in cui si sentono in equilibrio. A questo proposito, la New Economics Foundation descrive il benessere come segue: “Il benessere può essere inteso come il modo in cui le persone si sentono e come funzionano, sia a livello personale che sociale, e come valutano la loro vita nel suo complesso”.

La maggior parte delle persone sarebbe d’accordo sul fatto che il benessere è qualcosa a cui aspirano e la misura soggettiva del benessere delle persone è considerata così importante da essere inclusa insieme alla salute e all’economia nelle misure del benessere nazionale.

Una volta che guardiamo oltre la definizione, è difficile approfondire cosa significhi davvero il benessere per le persone giorno per giorno, i fattori che possono influenzarlo (sia interni sia esterni), come possiamo misurarlo al meglio e come possiamo supportare le persone a migliorarlo. Ma questo non significa evitare di farlo.

Quando sosteniamo le persone con problemi di salute mentale, concentrandoci sul benessere, evitiamo di fare affidamento su misure più tradizionali di salute mentale come i sintomi della malattia. Molte persone che utilizzano i servizi di salute mentale li considerano obsoleti e non in linea con il modo in cui vedono il proprio benessere. Inoltre, non tengono conto di tutti i fattori che possono influenzare la salute o la felicità di qualcuno, di cui i sintomi della malattia potrebbero essere solo uno. Dobbiamo anche considerare come le condizioni esterne (come il reddito, l’alloggio e le reti sociali) e le risorse interne di una persona (come l’ottimismo, la resilienza e l’autostima) possano influenzare il suo benessere. Da questo punto di vista, il modo in cui misuriamo il benessere è tanto impegnativo quanto utile.

La misurazione del benessere può essere effettuata in diversi modi: non esiste un approccio a “taglia unica”. Tuttavia, un modo utile per misurare il benessere è la Warwick-Edinburgh Mental Well-Being Scale (WEMWBS). Si tratta di una scala di 14 elementi formulati positivamente, progettati per misurare sia i sentimenti sia gli aspetti funzionali del benessere mentale positivo. Ad esempio, la scala include elementi come “Mi sento ottimista per il futuro”, “Penso in maniera chiara “ e “Sono interessato a cose nuove”. Ai partecipanti alla survey viene chiesto di scegliere la risposta che meglio descrive la loro esperienza rispetto a ciascun elemento nelle ultime due settimane, utilizzando una scala a cinque punti. Il risultato finale è un punteggio compreso tra 14 e 70, con un punteggio più alto che indica un migliore benessere.

Sebbene questa sia una misura solida e comunemente utilizzata per mostrare miglioramenti del benessere nel tempo a livello individuale e per fare confronti significativi con le medie nazionali, è importante guardare anche oltre i numeri e chiedere effettivamente alle persone come si sentono. Inoltre, è importante che la visione che le persone hanno del proprio benessere sia bilanciata con indicatori relativi alla qualità della vita come la salute, l’attività fisica e l’interazione sociale. Avere queste informazioni consente di ottenere la prospettiva più ampia possibile sul benessere generale di qualcuno e sulla gestione della sua vita quotidiana. Misurare il benessere ci aiuta a valutare l’impatto dei servizi sulla vita delle persone, insieme agli aspetti della vita delle persone rispetto ai quali si sentono più insoddisfatte, il che può aiutarci a personalizzare i servizi per soddisfare le esigenze emerse. Per noi, questo significa guardare a come le persone sono “in sé stesse”, a quanto bene sentono di affrontare la vita di tutti i giorni e a quanto sono fiduciose nel raggiungere i propri obiettivi personali.

La Mental Health Foundation ha recentemente completato una valutazione triennale dei servizi di supporto per la salute mentale della comunità, noti come Your Way. Uno dei risultati misurati dai ricercatori per valutare l’impatto del sostegno a Your Way è stato il benessere delle persone. Ciò includeva misure come la scala WEMWBS, interviste approfondite e indicatori di stile di vita.

Abbiamo scoperto che per le persone che hanno preso parte alla valutazione, entro un mese dal primo utilizzo di Your Way, il benessere mentale (misurato da WEMWBS) è migliorato entro i successivi tre mesi. Inoltre, altri indicatori dello stile di vita misurati nell’ambito della valutazione hanno mostrato miglioramenti significativi in relazione alle seguenti aree: vedere la persona nella sua interezza con tutti i fattori che possono influenzare il suo benessere. Solo in questo modo possiamo sostenere pienamente le persone a condurre una vita indipendente e appagante nelle loro comunità.

E il tema della salute mentale è correlato al contesto dove viviamo e abitiamo e ai fattori che possono influenzarlo. Recentemente il sindaco di New York ha dichiarato i social un pericolo per l’ambiente e la salute mentale, aprendo un dibattito innovativo e interessante. L’azione del Sindaco di New York, Eric Adams, presentata all’evento annuale State of the City per il 2024, si basa su dati che mostrano come le persone passino sempre più tempo connessi, con un monte ore che si aggira intorno a una media di 6 ore e 40 minuti, che nei giovani e negli adolescenti può salire fino a un picco di 13 ore al giorno, come rivelato dall’Osservatorio sulle tendenze e comportamenti degli adolescenti. Persone e cittadini che rimangano Immersi, o persi, in una dimensione dove socialità e social si distinguono a malapena, diventano poi facilmente vittime dei danni che una tale realtà genera sulla salute mentale.

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IN PUNTA DI PENNA

di Fabio Mazzeo

Giornalista e divulgatore scientifico

Chi è ricco vive più a lungo e con una migliore qualità di chi è povero. Pensa che

scoperta!

Su tale ovvietà di fondo gli studi scientifici degli ultimi venti anni ci hanno consegnato una serie di informazioni utili, qualora una tale insopportabile verità volessimo combatterla davvero e determinare le condizioni per una maggiore equità. A Londra, dice uno degli studi di qualche anno fa, in alcuni sobborghi, le persone vivono mediamente 18 anni meno che nel centro cittadino; a Roma si arriva a sei anni di differenza.

Chi detiene le leve del comando dovrebbe solo prendere i faldoni con i dati elaborati dall’Istituto superiore di sanità, o da decine e decine di centri studi e fondazioni, e percorrere con i mezzi pubblici la distanza tra il centro delle città e le periferie per verificare in modo pratico quanto teorizzato dai ricercatori. Nel percorso, distanziandosi dalle zone centrali, saranno evidenti a chiunque le cause: degrado, violenza, qualità dell’aria, differenze socioeconomiche, che possiamo più prosaicamente chiamare povertà.

Ecco, trovare un linguaggio comune per dare un nome chiaro alle cose è il primo, decisivo, passo. Nelle moderne periferie, caratterizzate sempre più frequentemente dalla necessità di far convivere culture e etnie, e quindi lingue diverse, una delle prime cause di tensioni è causata proprio dalle barriere linguistiche. Gli abitanti dello stesso agglomerato urbano non si capiscono tra loro, non capiscono il linguaggio delle istituzioni, e questo limita l’accesso al lavoro, quello ai servizi indispensabili, come quelli per la salute. E amplifica all’interno delle minoranze anche il senso di isolamento individuale. Sono tutti fattori che incidono profondamente sugli aspetti di salute. I servizi scolastici, col miglioramento della condizione culturale della persona, dovrebbero rappresentare la prima risposta ma, privi di risorse, finiscono con l’essere solo parte del problema. Ai docenti vengono consegnate classi multietniche per leggere e spiegare i versi di Petrarca e Dante a ragazzi di 14 e a volte di 16 anni che partendo da condizioni estremamente sfavorevoli hanno difficolta a esprimersi perfino per accedere a un normale rapporto interpersonale. Fuori da scuola, per i giovani e i giovanissimi

c’è una diffusa difficoltà d’accesso a strutture gratuite in grado di offrire opportunità d’inclusione attraverso lo sport, strumento fondamentale di prevenzione per realizzare una buona salute; scarseggiano i momenti di aggregazione in grado di sviluppare il comune linguaggio, che produce naturalmente una spinta solidale, conciliazione e quindi appagamento e benessere diffuso. Non parlare la stessa lingua comporta effetti che hanno conseguenze dirette sulla salute: la difficoltà di comunicare comporta maggiori difficoltà nella diagnosi, e nel fornire istruzioni mediche; diventa estremamente complicato offrire una educazione sanitaria di base per la corretta igiene personale e ambientale che siano rispettose delle varie pratiche e credenze in modo da essere efficaci, o anche le informazioni sul corretto uso dei farmaci. Sono in corso esperienze ammirevoli che tengono conto di tutto questo e hanno dato prove di enorme efficacia, come ad esempio l’INMP di Roma, l’Istituto Nazionale salute, migrazione e povertà, capace nel tempo di dotarsi di personale formato e di sapere raccogliere dati fondamentali per la cura delle persone; ma è un’oasi. In tante periferie la programmazione ha prodotto solo altri deserti.

C’è ancora molta strada da fare. Quella che dal centro ci porta alle periferie. E per osservarla bene i decisori dovrebbero percorrerla con i mezzi pubblici, e provare a parlare con tutti usando un linguaggio comune in una società che è già cambiata. E basterebbe un po’ di buon senso per capire che indietro non si può tornare, cambiare i servizi rendendoli accoglienti ai cittadini delle periferie del mondo è l’unica possibilità di una nuova convivenza, di una migliore salute per tutti.

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CITTADINI

La salute urbana e le sue diseguaglianze

La Costituzione italiana riconosce e tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, tanto è che nell’articolo 32 della Costituzione si precisa che lo Stato garantisce cure gratuite agli indigenti. Il rispetto di tale norma costituzionale rappresenta una pietra miliare del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano ed è per tale motivo che si è imposta sui legislatori l’esigenza di regolamentare, da un punto di vista pragmatico, l’offerta di salute ai gruppi svantaggiati.

L’attenzione verso tale tematica è dovuta anche alla crescente consapevolezza del peso che i determinanti sociali ed economici hanno sullo stato di salute

Ciò rappresenta un problema di carattere generale che trova una sua specificità nella presenza dei servizi sul territorio, variabile chiave per il contrasto alla diseguaglianza sociosanitaria. Ad esempio, le grandi città hanno degli specifici indicatori che dimostrano come nelle aree periferiche della città vi siano spesso carenze organizzative, carenze di servizi e difficoltà di dislocazione di accesso ai servizi. Tutto ciò, oltre ad essere legato ad una problematica di tipo economica, è collegato ad un altro aspetto; nel corso degli anni con i fenomeni legati all’urbanizzazione, non vi è stata una contestuale ripianificazione dei servizi sociosanitari e questo ha portato, non solo a persone con maggiori difficoltà economiche ma anche a difficoltà nell’accedere ai servizi.

Non si tratta di un problema che riguarda la sola allocazione di servizi sociali e sanitari, che comunque è un aspetto importante, ma è evidente che, città con un livello di traffico molto alto, con un sistema di mezzi pubblici poco funzionante o non ben organizzati, portano le famiglie che vivono nelle aree periferiche ad avere anche difficoltà di spostamento. Questo fenomeno, ampiamente documentato a livello internazionale, nel corso degli anni, ha avuto un forte impatto sulle nostre città.

Da qui l’esigenza di ripensare il concetto di salute nelle città, soprattutto nelle aree periferiche in ottica olistica e che tenga conto di tutti i bisogni delle persone e che in qualche modo vi si adatti.

Dalla pandemia dovremmo aver imparato che i percorsi di prevenzione e di cura personalizzati sono importanti e necessari per dare risposte soprattutto alle persone con maggiori elementi di fragilità che siano

essi elementi di carattere economico, sociale, legati alla loro dislocazione fisica all’interno della città, e possono, e devono, essere attuati; Durante il periodo della pandemia, tutto ciò ha rappresentato un campanello d’allarme che ha suonato molto forte e, a fronte del quale, si sono prese alcune scelte, anche importanti, come la riorganizzazione dei servizi territoriali con il DM 77/2022, che definisce i modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario; Con il suo slogan della “casa come primo luogo di cura”, si è assistito a tutto l’impegno delle politiche sull’assistenza domiciliare; La riorganizzazione dei servizi sociosanitari, a partire dall’importantissima Legge Delega (legge 23 marzo 2023, n. 33), che si propone di migliorare la qualità della vita degli anziani e dei non autosufficienti, attraverso misure innovative e integrate e che in qualche modo riorganizzerà l’integrazione sociosanitaria per quanto riguarda gli anziani e non autosufficienti.

Da questo punto di vista, per avere la possibilità di dare risposte puntuali ai bisogni delle persone bisogna ripensare al percorso di prevenzione e cura partendo dalla valorizzazione dei punti di prossimità rappresentati dalle farmacie di comunità e dagli studi di medicina generale, da un’organizzazione dei servizi, personalizzata e adattata ai bisogni degli specifici contesti territoriali, e dalla valorizzazione di strumenti tecnologici e digitali a disposizione quali la telemedicina.

Tutto ciò non può prescindere dall’integrazione tra servizi sociali e sanitari e dal lavoro dei comuni fianco a fianco con le Regioni che hanno competenze diversificate.

Quello di cui parliamo richiama l’importanza del “Planetary Health” infatti, gli aspetti economici, sociali e ambientali incidono profondamente sulla vita delle persone, sul loro benessere e sulla capacità di prevenire e curare. Per cui, se da un lato deve esserci una centralità di un approccio olistico dei percorsi di cura nel dibattito pubblico, dall’altro è necessario che amministrazioni locali e regionali lavorino congiuntamente per il ridisegno dei servizi da quelli sociali e sanitari, tenendo conto degli aspetti ambientali, l’organizzazione dei sistemi di trasporto e tutto ciò che riguarda la semplificazione dell’accesso al diritto della mobilità delle persone, soprattutto in alcune aree della città poiché si rischierebbe di percorre un pezzo del percorso e di non completarlo.

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DISILLUSIONED: IL FALLIMENTO DELLE PERIFERIE URBANE NEGLI STATI UNITI

di Three bees inner circle socratic dialogue

Gli Stati Uniti sono fondamentalmente un paese di periferie. Più del 55 per cento degli americani vive nelle comunità che circondano le principali città della Nazione in anelli concentrici sempre più ampi. Zone urbane e suburbane che trovano nuove dimensioni sociali ed economiche.

Nello scorso secolo a partire dagli anni ‘40 con Levittown a Long Island, i nuovi sviluppi suburbani offrirono ai soldati di ritorno dalla seconda guerra mondiale e alle loro famiglie la promessa di un nuovo inizio con migliaia di case e parchi all’avanguardia, centri ricreativi e soprattutto scuole, il tutto a prezzi accessibili. Mentre alcune città più grandi costruivano reti ferroviarie, la maggior parte si affidava al fiorente sistema autostradale per aprire nuovi terreni per lo sviluppo e portare le persone da e verso il lavoro.

I rituali della vita suburbana americana, dai tornei di tennis nei country club al carpooling e ai balli di fine anno, hanno continuato a permeare la cultura globale per decenni attraverso film e programmi televisivi, da Sixteen Candles a Desperate Housewives. E le elezioni presidenziali americane sono state spesso vinte o perse nelle periferie, poiché gli elettori indipendenti, una volta stereotipati come “soccer moms”, si sono spostati tra il partito repubblicano e quello democratico a seconda delle questioni del giorno. La probabile rivincita di quest’anno tra Joe Biden e Donald Trump non è diversa: il percorso del vincitore verso la Casa Bianca passa attraverso i sobborghi degli stati in bilico fuori Pittsburgh e Atlanta, piuttosto che le città già profondamente blu di New York o le contee rurali rosso vivo dell’Iowa.

Ma non tutto va bene in questa fetta di America, come riporta Benjamin Herold in un suo nuovo libro profondamente documentato, “Disillusioned”. Benjamin Herold è un giornalista di lunga data di Filadelfia, ma è stata la sua città natale di Penn Hills, un sobborgo di Pittsburgh, dove ha trovato ispirazione per il suo nuovo libro. Herold, ex reporter di WHYY e Education

Week, si è diplomato nel 1994 e da allora ha vissuto a malapena a Penn Hills. Qualche anno fa, però, ha iniziato a vedere rapporti sul debito del suo ex distretto scolastico per un importo di 172 milioni di dollari, che ha causato licenziamenti di insegnanti e lavoratori. Nel frattempo, le tasse sulla proprietà stavano aumentando, ma i valori delle case erano stagnanti. Un’indagine del gran giurì della contea di Allegheny ha affermato che la situazione era “catastrofica”, con un costo della vita più elevato e una diminuzione della qualità scolastica pubblica.

Ben presto ha scoperto che la zona era cambiata da quando viveva lì. Molte opportunità offerte alla sua famiglia bianca della classe media – come nuove costruzioni, un costo della vita più basso e un buon sistema scolastico – erano meno disponibili per le famiglie di colore che vi si erano trasferite. Le scuole pubbliche di Penn Hills, che nel 1994 erano per il 72% bianche, ora sono per il 63% nere. Herold voleva capire i cambiamenti della zona, il che lo ha portato a scrivere “Disillusioned: cinque famiglie e il disfacimento dei sobborghi americani”.

Herold ha trascorso quattro anni a fare ricerche e a scrivere il libro, trascorrendo del tempo con le famiglie in città al di fuori di Atlanta, Chicago, Dallas, Los Angeles e Penn Hills. Ha scoperto che molte famiglie di colore stavano sperimentando ostilità razziale, molestie, bullismo e accesso limitato alle opportunità. Nel libro, i genitori condividono storie sulle difficoltà affrontate quando cercano di iscrivere un bambino al programma di talento di una scuola, sulla segregazione e sugli insegnanti che sembrano punire gli studenti di colore più delle loro controparti bianche. Una famiglia racconta come Compton, in California, non sembri più un sobborgo e si senta invece come un’estensione di Los Angeles.

“Tutti vogliono il meglio per i propri figli, e tutti vedono l’istruzione come un ruolo chiave per questo, ma hanno a che fare con contesti molto diversi e portano sogni, aspira-

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zioni e background molto diversi nella storia”, ha detto Herold.

Herold, che vive a Filadelfia, pensa che la gente in città come Cheltenham, Pennridge, Quakertown e Neshaminy vedrà alcune delle loro esperienze riflesse nel suo libro. Ha detto che la sua famiglia ha goduto di molte opportunità fortemente sovvenzionate a Penn Hills, tra cui agevolazioni fiscali, tasse basse e mutui ipotecari garantiti, ma che le nuove famiglie non stanno ottenendo gli stessi benefici e stanno affrontando costosi problemi infrastrutturali: “Le famiglie di colore che si sono trasferite sono finite in prigione per aver pagato per riparare e rinnovare tutte queste infrastrutture, per ampliare i servizi e così via. È la sensazione di avere questa esperienza che non è quella che ti aspettavi, e che spesso è ostile e aggressiva”.

Con “ Disillusioned “, Herold ha detto che spera che i lettori possano vedere il mondo che cambia delle periferie americane. Ritiene che sia lì che molti americani hanno investito le loro speranze e i loro sogni per dare alle loro famiglie una vita migliore, e che molte persone non stanno vivendo ciò che speravano di vivere in quel contesto: “Quando hai queste esperienze ostili, hai una mancanza di opportunità, hai questi problemi finanziari in grembo, c’è un vero e proprio sgretolamento dei sogni che

ci portano in periferia in primo luogo, e questa è una cosa davvero significativa”. Herold sostiene che decenni di decisioni di pianificazione miopi, che hanno prodotto uno sviluppo “slash and burn”, abbiano lasciato molte comunità in difficoltà nel mantenere le loro promesse, anche se una gamma più ampia di americani si è trasferita altrove:”In ogni angolo del paese, la disillusione che ne è derivata stava costringendo le famiglie a fare i conti con una nuova domanda inquietante: e se i sogni americani su cui è stata costruita la periferia non fossero stati sufficienti a condurci fuori dagli enormi problemi che quasi un secolo di suburbanizzazione di massa aveva creato”, scrive Herold.

Al di fuori di dozzine di città statunitensi, uno schema stabilito alla fine degli anni ‘40 si è ripetuto, con risultati devastanti: le infrastrutture di nuova costruzione e le tasse governative sulle nuove costruzioni hanno aiutato molte comunità suburbane a offrire ai residenti un insieme di infrastrutture di servizi che tasse più basse. Ma quando sono arrivate poi i costi per la manutenzione e l’aggiornamento di queste infrastrutture, i beneficiari originali avevano se ne erano andati, avendo ormai cresciuto i loro figli. La maggior parte delle comunità aveva anche in gran parte esaurito i terreni aperti per il nuovo sviluppo, fornendo un doppio colpo allo sviluppo economico e sociale della comunità.

Biodiversità: unantidoto indispensabile per la salute umana

L’ONU definisce la biodiversità come la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono, evidenziando che essa include la diversità a livello genetico, di specie e di ecosistema. Nelle città moderne, popolose ed industrializzate, la biodiversità vegetale riveste sempre più un ruolo di vitale importanza nel garantire la salute e il benessere delle persone. Infatti la biodiversità vegetale non solo fornisce habitat e risorse per una varietà di specie animali, inclusi uccelli, insetti e piccoli mammiferi, contribuendo così alla diversità biologica complessiva dell’ambiente urbano, ma contribuisce al nostro benessere mentale ed emotivo. A tale proposito gli spazi verdi ricchi di varietà vegetali offrono luoghi di riposo e riflessione, promuovendo il relax e la riduzione dello stress. La bellezza e la diversità del mondo vegetale ispirano la creatività e favoriscono una connessione profonda con la natura, che è essenziale per il nostro equilibrio emotivo e spirituale. Nonostante ciò dal 1980 ad oggi, in Europa, la perdita di biodiversità ha visto scomparire circa 600 specie di volatili e solo il 15% degli habitat è considerato in buono stato (1). Ad aggravare questo scenario i cambiamenti climatici sono diventati una delle peggiori minacce per i nostri habitat: le attività antropiche, l’aumento delle temperature medie, il mutamento dei sistemi climatici regionali e locali, l’alterazione del regime delle piogge e l’innalzamento del livello dei mari sono solo alcune delle cause che stanno producendo alterazioni significative sulla biodiversità. Per contrastare questo fenomeno sono state messe in atto diverse iniziative, in primis di carattere europeo. Ne è un esempio il Green Deal, il pacchetto di iniziative strategiche che ha l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e che ha visto tra le tante azioni concrete l’elaborazione di una strategia per la biodiversità 2030, definita da molti come la pietra angolare della protezione della natura nell’UE. La punta di diamante del Green Deal è rap-

presentato dalla Nature Restoration Law. La legge del Parlamento europeo, approvata il 12 luglio 2023, sul ripristino degli ambienti naturali, si pone lo scopo di istituire obiettivi giuridicamente vincolanti per gli stati membri quali il ripristino entro il 2030 di almeno il 20 per cento delle superfici terrestri e marine, il 15 per cento dei fiumi nella loro lunghezza e la realizzazione - sempre entro la stessa data - di elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10 per cento della superficie agricola utilizzata. D’altra parte il ripristino e il recupero della biodiversità non va affrontato solo in termini di politiche europee, ma necessita di un impegno globale con azioni locali declinate sui territori anche, e non da ultimo, con campagne di sensibilizzazzione ed educazione al rispetto dell’ambiente. In particolare gli enti locali hanno la necessità di una rinnovata capacità progettuale per incrementare la biodiversità nei centri urbani e contribuire così a rendere le città luoghi più vivibili e salutari. Un esempio in questo contesto, che cito perché ho potuto seguire direttamente in quanto partecipo all’aministrazione di questa città, è quello del Comune di Varese che ha voluto cogliere la sfida del Green Deal attraverso la riqualificazione di un’area, comunemente chiamata “comparto delle stazioni”, che ha fatto della magnolia, albero simbolo della città, un vero e proprio simbolo di biodiversità. Sono state messe a dimora oltre 100 varietà di magnolie diverse, scelte non solo per le fioriture, ma anche per gli aspetti ornamentali legati al colore delle foglie, del tronco e dei boccioli. Esemplare il caso della Magnolia acuminata ‘Blue Opal’, nota per i suoi spettacolari boccioli blu che virano verso il giallo scuro durante l’apertura del fiore. Azioni di questo genere mirano a creare un equilibrio tra uomo e natura nei contesti urbani, in un momento storico in cui ciò non rappresenta più un dato acquisito. Tutti gli studi concordano sul fatto che il benessere umano dipende fortemente dalla rete di interazione delle specie viventi,

(1) https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/state-of-eu-nature

(2) Happiness in urban green spaces: a systematic literature review, Urban Forestry & Urban Greening

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un elemento che oggi non è più possibile dare per scontato. «Esiste un forte legame tra la felicità individuale e l’accesso a spazi verdi urbani di qualità», certifica anche la ricerca “Happiness in urban green spaces” (2) «Questi spazi offrono opportunità per l’esercizio fisico, la socializzazione, l’apprendimento e l’interazione con la natura, tutti elementi che contribuiscono alla salute mentale e al benessere generale delle persone». Ecco perché investire nella conservazione e nell’espansione degli spazi verdi ricchi di biodiversità nelle città è fondamentale per migliorare la salute e la qualità della vita dei cittadini. E’ un bene utile e prezioso, che proprio perché correlato alla salute umana, ha ricadute sociali ed economiche, come, per esempio, la spesa pubblica per la sanità. In conclusione, tutti noi dobbiamo mobilitarci ed attivarci per perseguire l’obbiettivo d’implementare e conservare la biodiversità dell’ambiente in cui viviamo, ognuno per la propria parte e responsabilità, negli ambiti e nei ruoli che ci competono.

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Recensioni

Non potendo costruire hanno scritto. Di case, di città, di quartieri in trasformazione. Tenute lontane dall’architettura si sono dedicate alla fotografia, trovando mille modi per raccontare le persone e gli spazi della città. Escluse dalla pianificazione urbanistica si sono dedicate alla scala minuta, granulare, del design dell’abitare e della vita quotidiana, progettando spazi di prossimità e di benessere. Sono state piú giardiniere che progettiste, piú pedagogiste che ingegnere. Quando hanno potuto hanno generato pensiero e visioni lungimiranti, presto dimenticate; hanno osservato da vicino le città – nelle loro pratiche quotidiane – con il distacco che solo chi è escluso dai giochi può avere. Le donne, in forme varie e sempre eclettiche, hanno maturato un  pensiero pratico sulla città che oggi non possiamo trascurare e di cui peraltro loro stesse non sono ancora pienamente consapevoli. Oggi che dobbiamo ripensare la relazione tra spazi e vita, tra tempi quotidiani e aspettative di benessere, tra natura e città, la prospettiva da cui guardano il mondo appare cruciale.

Il senso delle donne per la città di Elena Granata

Le città sono sopravvissute a regni e imperi, a rivoluzioni e guerre, alle più diverse crisi e a ogni altra circostanza avversa: come espressione degli abitanti alle sfide del presente e del futuro, si sono dimostrate più resistenti di qualsiasi altra struttura socio-territoriale. La città di domani dovrà essere sempre più funzionale e interattiva, costruita e pensata con immaginazione e creatività, in modo da trovare nuovi modi di tessere relazioni tra le due componenti essenziali della vita cittadina: il tempo e lo spazio. Da qui prende avvio il progetto “Città dei 15 minuti” di Carlos Moreno, che prevede un cambio di prospettiva: non più raggiungere punti distanti tra loro nel minor tempo possibile, ma avvicinarli in modo che gli aspetti essenziali del vivere – abitare, lavorare, rifornirsi, curarsi, studiare, divertirsi – possano compiersi in un tempo ragionevole e in uno spazio sensibile. Per questo occorrerà passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita in città, ricollegando l’elemento umano con il tessuto urbano, trasformando così un’entità millenaria, mutevole e tenace, in una vera e propria città vivente.

La città dei 15 minutiPer una cultura urbana democratica di Carlos Moreno

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A cura di Francesca Policastro

Costituita nel 2014, sede a Bologna, “Urban@it – Centro nazionale di studi per le politiche urbane”, è un’associazione composta da 16 Università italiane: Università di Bologna, Politecnico di Milano, Università Milano Bicocca, Università Luigi Bocconi di Milano, Università Iuav di Venezia, Università di Firenze, Università La Sapienza di Roma, Università Roma Tre, Università Federico II di Napoli, Politecnico di Bari, Politecnico di Torino, Università della Basilicata, Università Aldo Moro di Bari, Gran Sasso Science institute, Università di Genova, Università di Torino e dalla Società Italiana degli Urbanisti (SIU).

“Le città e i territori del PNRR. Attori, processi, politiche” è il titolo del nono Rapporto  di Urban@it curato da Simonetta Armondi, Valeria Fedeli e Carolina Pacchi del Politecnico di Milano, da Valentina Orioli dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e da Fabiano Compagnucci del GSSI – Gran Sasso Science Institute.

Il PNRR, ossia la strategia di sostegno e rilancio lanciata all’interno del programma Next Generation EU dell’Unione Europea per rispondere alla crisi innescata dalla pandemia da Covid-19, è senz’altro una delle più rilevanti politiche pubbliche che abbiano interessato il Paese negli ultimi decenni.

Le città e i territori sono i maggiori beneficiari degli interventi previsti, ma sono anche, in molti casi, protagonisti nel definirne la domanda, nel delimitare e strutturare il sistema d’azione e i policy networks che

presiedono ai processi di attuazione. Una riflessione sulle relazioni tra PNRR e dimensione urbana è quindi cruciale, per cercare di comprendere meglio se le città siano il focus del PNRR o lo sfondo su cui il programma si articola, e, in entrambi i casi, a quali idee di città e territori e a quali «questioni urbane» il programma sia ispirato e provi a rispondere.

Questo approfondimento è utile anche considerando l’eredità che la breve stagione di lavoro legata al PNRR potrà lasciare alle generazioni future e per comprendere in quale misura la città, nelle sue diverse forme, sarà considerata centrale nella relazione con i processi di sviluppo locale e sovra-locale.

Il Nono Rapporto raccoglie contributi di studiose e studiosi da differenti università italiane ed enti di ricerca europei, che restituiscono l’articolazione degli approcci e delle modalità con cui territori differenti, dalle città metropolitane ai contesti di città medie, si sono confrontati con questa politica e come hanno proposto di declinarla in chiave urbana e territoriale. Dal punto di vista tematico, il Rapporto indaga poi alcuni nodi cruciali, costitutivi delle relazioni tra elaborazione e attuazione del PNRR da un lato, e contesti territoriali e istituzionali dall’altro, quali la dimensione di innovazione e di apprendimento istituzionale nelle politiche locali, i temi della governance multilivello, gli aspetti legati alla preparedness di fronte all’incertezza sistemica crescente, le relazioni con le agende per la sostenibilità ai diversi livelli.

“Le città e i territori del PNRR. Attori, processi, politiche”

IX Rapporto sulle città Urban@it

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TAKE AWAY

CITIES SPEAKING

Storie di periferie urbane

RAZING LIBERTY SQUARE

L’allarmante documentario, candidato all’Oscar, che esplora il modo in cui Liberty Square è diventato il ground zero per la gentrificazione climatica che estirpa le culture abitative.

Era il 2015 quando i funzionari della contea di MiamiDade annunciarono un progetto di sviluppo da 74 milioni di dollari volto a rivitalizzare il quartiere storicamente nero di Liberty City nel nord-ovest della città. Con una popolazione di 2.701.767 abitanti nel 2020, Miami-Dade è la contea più popolosa della Florida e settima di tutti gli Stati Uniti e il suo capoluogo amministrativo e culturale è Miami ed è una delle tre contee che compongono l’area metropolitana di Miami.

All’interno di questa contea, vi è Liberty City, il quartiere che ospita una delle più grandi concentrazioni di afroamericani nel sud della Florida. Anche se è stata spesso conosciuta come “Model City” sia storicamente che dal governo della città di Miami, i residenti la chiamano più comunemente Liberty City.

Un tempo parte della periferia scarsamente popolata del nord di Miami, quella che divenne Liberty City si sviluppò durante la Grande Depressione degli anni ‘30, quando il presidente Franklin D. Roosevelt autorizzò la costruzione del progetto abitativo di Liberty Square nel 1933, il primo del suo genere nel sud degli Stati Uniti. Costruito in risposta al deterioramento delle condizioni abitative nelle baraccopoli densamente popolate e soggette a restrizioni di Overtown, la costruzione del progetto abitativo iniziale iniziò nel 1934 e fu inaugurato nel 1937. Negli anni ‘40 e ‘50, la crescente Liberty City e l’adiacente Brownsville prosperarono come comunità nera americana a medio reddito, ospitando diverse chiese, ospedali e centri comunitari. L’area è stata la casa di figure di spicco come Kelsey Pharr, M. Athalie Range (il primo nero americano eletto a servire nella commissione della città di Miami) e il pugile Muhammad Ali. Anche se le leggi sulla segregazione proibivano ai neri americani di riposare e risiedere nella popolare Miami Beach, stabilimenti di servizio e resort come l’Hampton House Motel and Villas si rivolgevano e intrattenevano personaggi del calibro di notabili come Martin Luther King Jr., Althea Gibson e persino bianchi come Mickey Mantle.

La costruzione dell’Interstate 95 in Florida a Overtown e il declino dell’uso di patti restrittivi sulla scia del Civil Rights Act del 1964 hanno drammaticamente alterato il quartiere negli anni ‘60. Un numero crescente di anziani a basso reddito e famiglie dipendenti dal welfare migrarono a Liberty City dopo il loro sfollamento principalmente dal centro della città di Overtown, trasformando l’area in un pericoloso ghetto, portando a una fuga nera su larga scala di neri a medio e alto reddito e altri neri come gli americani delle Indie occidentali in gran parte verso aree suburbane come Florida City e Miami Gardens nel sud e nel nord della contea di Dade, rispettivamente.

Un quartiere dove il crimine ha prosperato prevalente nell’area sempre più povera negli anni ‘60 e ‘70 nell’era immediatamente successiva al movimento per i diritti civili. I problemi che ne derivarono dei poveri e dei diseredati divennero più evidenti e notevoli nelle rivolte razziali che si verificarono a Liberty City nell’agosto 1968 durante la Convention Nazionale Repubblicana a Miami Beach, e nel maggio 1980 in seguito all’assoluzione degli agenti di polizia accusati dell’uccisione di Arthur McDuffie

Oggi che il cambiamento climatico sta influenzando il valore degli immobili soggetti a inondazioni a Miami, i quartieri di Miami con altitudini più elevate, come Liberty City, stanno registrando un aumento dei valori immobiliari. Nel 2017, Liberty City, insieme a Little Haiti, ha iniziato a diventare più attraente per gli investitori. Un fondo fondiario comunitario è stato progettato per mantenere l’accessibilità economica per gli attuali residenti. I prezzi delle case si sono apprezzati più lentamente nel 2018 a Miami Beach e nelle aree a bassa quota della contea di Miami-Dade.

Il piano era quello di radere al suolo Liberty Square, il fatiscente progetto abitativo nel cuore del quartiere, e costruire al suo posto 1.900 nuovi appartamenti. Nessuna delle quasi 600 famiglie che vivono nel progetto sarebbe stata sfollata, dissero allora i funzionari della contea, ma nel 2021, circa 200 famiglie erano state trasferite in nuove unità e la maggior parte delle unità

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completate erano state affittate a nuovi arrivati che potevano pagare affitti basati sul mercato. Ciò che ha reso il terreno nel quartiere di Liberty City, storicamente poco costoso quando era stato sviluppato di opere pubbliche negli anni ‘30, che oggi sta attirando investitori, è che la comunità si trova a cinque miglia nell’entroterra e si trova in una posizione rispetto al livello del mare così da essere definito “Il quartiere non si allaga mai”

Liberty City è diventato per i sostenitori il ground zero per la gentrificazione dove “anche se piove, il quartiere non si allaga mai”.

L’incessante spostamento delle comunità di colore a basso reddito è un fattore sociale e demografico che riguarda le città di tutti gli Stati Uniti. Ma la crisi climatica ha accelerato il processo a Miami, dove gli scienziati stimano che entro il 2040 il livello del mare salirà da 10 a 17 pollici al di sopra dei livelli del 2000. Entro la fine del secolo, l’innalzamento del livello del mare potrebbe spostare fino a 13 milioni di persone negli Stati Uniti, secondo uno studio del 2023. Questa cifra include 1 milione di abitanti di Miami. Questo a Miami comporta una nuova visone abitativa e un nuovo mercato immobiliare.

Negli ultimi tempi, in effetti, i valori immobiliari in alcune periferie marittime sono rimasti stagnanti. La piattaforma immobiliare online Zillow ha stimato il valore medio delle case a Miami Beach a $ 527.807 a dicembre 2023, con un aumento dello 0,4% rispetto all’anno precedente. A Liberty City, dove la casa media ha un valore di 380.255 dollari, Zillow ha registrato un aumento del 12,2%.

Liberty City e, più in generale, la gentrificazione climatica sono i soggetti di un nuovo lungometraggio documentario della PBS, Razing Liberty Square, realizzato dalla registi Katja Esson, un documentario segue i membri della comunità e i sostenitori dell’edilizia abitativa mentre cercano di evitare lo sfollamento di massa dopo che investitori e immobiliaristi hanno messo gli occhi sul quartiere. Katja Esson, regista candidata all’Oscar, vive a Miami e ha prodotto e diretto documentari per PBS e HBO. Simons Humanities Fellow presso la Kansas University, i suoi film sono stati proiettati al MoMa e allo Smithsonian, ed è sostenuta da NEA, Knight Foundation, IDA, NYSCA, Redford Center, Sundance, Ford Foundation. L’allarmante documentario della Esson, candidato all’Oscar, esplora il modo in cui il progetto di Liberty Square è evoluto e dà una visione dall’interno della lotta dei residenti del quartiere storicamente nero per salvare la loro comunità. Un documentario verità basato sui personaggi di una Miami in rapido cambiamento “Razing Liberty Square” inquadra tre questioni contemporanee: cambiamento climatico, insicurezza abitativa e disu-

guaglianze economiche che diventano una forza unificante in grado di guidare la riqualificazione di Liberty City.

“I drammatici cambiamenti che stanno avvenendo in Liberty Square a Miami sono uno specchio per questioni contemporanee di vasta portata: gli alloggi a prezzi accessibili crisi, l’impatto del razzismo sistemico e la gentrificazione climatica”, afferma Katja Esson. “Miami sta sperimentando l’innalzamento del livello del mare prima del resto del paese. Ciò che sta accadendo in Piazza della Libertà è una storia premonitrice di ciò che accadrà venire, e le strategie messe alla prova qui vengono osservate da vicino resto del mondo.”

“Razing Liberty Square” inizia proprio nel momento in cui si trova Liberty Square deve essere rasa al suolo per far posto alla “New Liberty Square”, un progetto di riqualificazione urbana integrata da 300 milioni di dollari, che doveva puntare alla costruzione di nuove abitazioni a reddito misto. Ma è proprio a un anno dalla costruzione che si scopre che alcune delle promesse fatte investitori non verranno mantenute. La preside Samantha Quarterman scopre che invece di un nuovo edificio per la sua scuola comunitaria, il costruttore progetta di costruire una nuovissima scuola charter e il tanto necessario centro sanitario è ridotto a una mini-struttura. La notizia fa scattare l’allarme a Samantha e all’attivista climatica Valencia Gunder, entrambe con la lunga storia alle spalle che vede Miami sfondo di promesse non mantenute fatte alla comunità nera. Con tensioni in aumento tra la comunità, lo sviluppatore immobiliare Aaron McKinney viene assunto come elemento di “collegamento con la comunità”. McKinney residente in città, è convinto che la soluzione siano soluzioni abitative a reddito misto che contrastino la povertà generazionale, ma è anche molto consapevole della fragilità della sua posizione. Nonostante ostacoli continui, Valencia riprende la casa dei suoi nonni dalla banca e torna nel cuore di Liberty City, e Aaron si dimette da investitore immobiliarista e accetta un nuovo lavoro, mentre Samantha continua a lottare per l’edificio scolastico. I passi in avanti che fanno di fronte alle avversità portano speranza rispetto a una situazione critica.

“‘Razing Liberty Square’ è un imparziale appello universale all’allarme generato dall’attività degli immobiliaristi di Miami (e di tutto il Paese), che mostrano un crescente interesse per una strategia di rigenerazione urbana che punti ad alloggi per persone con redditi alti, e che spingono le persone con maggiori mezzi finanziari di spostarsi nell’entroterra ed evitare i danni causati dall’innalzamento del livello del mare a causa dei cambiamenti climatici”, ha affermato Lois Vossen, produttore esecutivo di INDEPENDENT LENS. “La giustizia ambientale non è più un’idea astratta, come lo sono le comunità nere e a basso reddito costrette a lasciare i loro quartieri abitati da lunga

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data per creare nuovi alloggi a cittadini ricchi e ad una classe media in fuga dall’innalzamento del mare”.

Nonostante il suo eclettico mix di culture, Miami è una delle città più razziste e segregate degli Stati Uniti. Liberty Square negli anni sono stati un punto caldo culturale per la comunità nera. Esclusi dagli hotel sulla spiaggia per soli bianchi dove facevano spettacoli sold out celebrità di livello mondiale come Sammy Davis Jr., Nat King Cole, Ella Fitzgerald e Lena Horne. Nel luogo in cui Martin Luther King Jr. ha consegnato la prima versione del suo discorso “I Have a Dream” e Malcolm X lha lanciato una festa per la vittoria di Cassius Clay dopo aver battuto Sonny Liston nel 1965, la comunità nera ha visto le proprie radici crescere, radici che oggi corrono il rischio di essere cancellate.

Gentrificazione climatica: il processo attraverso il quale gli impatti del cambiamento climatico, come l’innalzamento del livello del mare e l’aumento delle temperature, contribuiscono allo sfollamento delle comunità a basso reddito e alla trasformazione dei quartieri, spesso guidata da maggiori investimenti e riqualificazione in aree meno vulnerabili dal punto di vista climatico.

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L’approccio di health city management per Enlighten­me

Si è tenuta a Tartu e a Bologna la prima edizione dell’Health City Management training programme nell’ambito del progetto H2020 “Enlighten‐me”, a cura di Health City Institute.

Una delle principali, nonché sottovalutate, conseguenze dell’urbanizzazione è la crescente esposizione delle persone alla luce artificiale nelle ore notturne. Oltre all’illuminazione delle strade e al luccichio che creano nel cielo le aree altamente urbanizzate, le persone sono sempre più esposte alla luce anche a livello individuale, basti pensare all’illuminazione domestica e ai monitor dei dispositivi che emettono luce, come i computer e gli smartphone.

Le evidenze scientifiche di cui disponiamo suggeriscono che un’esposizione impropria e intrusiva alla luce nelle ore notturne e una esposizione eccessivamente ridotta durante il giorno possono influire sui ritmi biologici. Di conseguenza, la salute e il benessere delle persone potrebbero subire un impatto considerevole, probabilmente legato anche alla comparsa di patologie croniche. La popolazione maggiormente colpita sembrano essere gli adulti sopra ai 65 anni.

Le luci fanno da contorno agli spazi urbani e alla vita sociale, sia a casa che negli spazi pubblici, influenzando così i comportamenti, l’umore, il senso di sicurezza e le relazioni sociali. L’illuminazione può aumentare il senso di fiducia nei confronti della città e dei propri concittadini, incoraggiando momenti di intrattenimento fra le persone all’interno della comunità urbana.

Inoltre, l’illuminazione condiziona in maniera significativa la vita delle persone ultrasessantacinquenni per quanto riguarda l’accesso agli spazi pubblici, la partecipazione alla vita cittadina e la qualità dell’ambiente domestico in cui queste persone trascorrono la maggior parte del proprio tempo rispetto ai più giovani.

Sebbene la consapevolezza dei cittadini stia crescendo rispetto alle problematiche di salute e benessere legate all’illuminazione, le politiche e le strategie di investimento in questo campo si focalizzano ancora sui costi, sull’efficienza energetica, sulla sicurezza e sulla promozione della città (city branding). Un altro aspetto molto sottovalutato è quanto le ineguaglianze sociali influen-

zino gli effetti sulla salute dovuti all’illuminazione urbana.

Per questa ragione il  progetto ENLIGHTENme ha l’obiettivo di dimostrare come l’illuminazione a casa e in strada influisca sulla salute e sul benessere delle persone sviluppando e testando soluzioni e politiche innovative che contrasteranno le ineguaglianze in termini di salute dei cittadini delle città europee.

In particolare, ENLIGHTENme studia in modo accurato il legame fra salute, benessere, illuminazione, e fattori socio-economici in 3 città: Bologna (Italia), Amsterdam (Paesi Bassi), e Tartu (Estonia). In ciascuna di esse è stato selezionato un quartiere in base al grado di esposizione alla luce artificiale e considerandone anche le ineguaglianze sociali per testare nuove installazioni, grazie a un processo partecipato e di codesign. L’HCM training programme si inserisce in questa fase nell’ottica di:

§ discutere e condividere l’approccio HCM nelle città;

§ sensibilizzare i partecipanti sui fattori determinanti di salute e sulle vulnerabilità nelle città;

§ condividere la metodologia e gli scenari in cui il progetto Enlighten-me opera;

§ esplorare le buone pratiche e il valore dei partenariati per superare i silos;

In queste settimane è stata avviata anche la campagna di awareness del progetto volta a disseminarne contenuti ed esiti e a coinvolgere nuovi portatori d’interesse, sia all’interno sia all’esterno del Cluster EU sull’Urban

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Innovative Urban Lighting Policies for Better Health and Wellbeing

27 Hlh
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EDUCAZIONE ALLA PACE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Si è tenuta lo scorso 24 gennaio la II Assemblea Annuale della Rete delle Cattedre UNESCO Italiane (ReCUI). L’incontro si è svolto presso il Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria, nell’Aula Magna della sede di Via Sant’Abbondio a Como, ospitato dalla Cattedra UNESCO dell’Università di Como, diretta dalla Prof.ssa Barbara Pozzo.

Il focus dei lavori ha interessato approfondimenti e confronti sull’educazione alla pace, sulla questione di genere e sullo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento ai compiti che le università potrebbero assumere nel processo di life-long-learning e nel dialogo col territorio.

Oltre al Magnifico Rettore, Prof. Angelo Tagliabue, sono intervenuti il Portavoce della ReCUI, Prof. Patrizio Bianchi, Enrico Giovannini, Direttore scientifico dell’ASVIS, Patrizia Lombardi Presidente della RUS e i titolari o i delegati delle Cattedre UNESCO italiane. In apertura dei lavori un intervento online di Enrico Vicenti, Segretario Generale della CNIU.

Anche la Cattedra UNESCO Sapienza sull’Urban Health ha preso parte al convegno per mettere in luce l’impatto che il fenomeno globale dell’urbanizzazione ha impresso ai determinanti di salute e la relazione che le città sviluppano con l’ambiente. Inoltre, la responsabilità che le città hanno di prevenire e contrastare i conflitti.

L’attività della Cattedra UNESCO sull’Urban Health ha testimoniato, in questi primi due anni, la determinazione nel perseguire la pace a partire dalla considerazione secondo cui le disuguaglianze di salute hanno un impatto violento sulle comunità, anzitutto su bambini e nuove generazioni. Il divario, a livello globale oltre che europeo, si va allargando e manifestando in tanti ambiti, tra i quali la salute e l’accesso alle informazioni di salute, insieme alle aspettative di cura e di servizi, emergono con più forza e più vividamente. Il

rischio di violenza e di conflitto è tanto più vero per le disuguaglianze di salute, infatti, che sono socialmente determinate e, pertanto, almeno in parte prevenibili e modificabili con politiche socioeconomiche, educative, ambientali e di salute pubblica appropriate. Ciò su cui ci si deve concentrare è l’aumento del livello di consapevolezza presso i decision- e policy-maker della forte correlazione fra determinanti di salute e rischio di conflitto, supportando la costruzione di percorsi di pacificazione e di prevenzione dei contrasti. È evidente che il luogo dove le fratture sociali sono più evidenti è oggi la città: la crescita senza sosta, senza orari, in una sorta di moto perpetuo delle città e dei contesti urbani, hanno fatto sorgere, e talvolta scoppiare, tali fragilità, specie nelle periferie che, proprio a causa di questo divario, hanno assunto una accezione negativa che oggi, non senza difficoltà, provano a invertire per un riscatto sociale, occupazionale, culturale e identitario della città stessa affinché possa diventare luogo di opportunità ed emancipazione per tutti.

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URBES DIALOGUE: DISUGUAGLIANZE DI SALUTE

E PERIFERIE

LA REALTÀ DELLE COSE È LA PIÙ FORMIDABILE SORGENTE DI ISPIRAZIONE

di Renzo Piano

tratto dall’intervento tenuto in occasione della cerimonia inaugurale della 40^ Assemblea Nazionale ANCI di Genova dall’Architetto e Senatore a vita, Renzo Piano

Caro Presidente, Signore e Signori, Benvenuti a Genova.

Eh beh, devo dire. È uno spettacolo. Siete bellissimi. È davvero una grande famiglia. Vedete, io ho sempre avuto una grande considerazione per la politica. La politica che viene da Polis, la città che voi amministrate. E in particolare per quella politica che è vicina al terreno, perché voi ascoltate il terreno, voi parlate con la gente. Voi.

Guardate la realtà delle cose e la realtà delle cose è la più formidabile sorgente di ispirazione che esista per tutti. Per voi, per me e per tutti. È assolutamente chiaro. C’è una grande bellezza in quello che voi fate.

Ecco, io vorrei parlare per un attimo di bellezza. Lo so che è pericoloso. È pericoloso. La parola bellezza è abusata. Quasi quasi sembra di parlare di qualcosa di frivolo, di leggero, di superficiale. Ma non è vero. Non è vero. La bellezza è una cosa forte, importante. La bellezza primaria. La bellezza è una parola che ci è stata trafugata, che è stata rubata. Anche nella parola: la parola “bello” stessa, in tutto il Mediterraneo, non rappresenta solo quello che è bello da vedere. E tutti sanno che il kalòs de greci non è solo bello, ma anche buono, anche in Italia. Anche in Italia. Bello è molto più che bello. Anche in lingue africane. Lo swahili, che è la lingua dei viaggiatori in Africa, rappresenta qualcosa che è bello e buono al tempo stesso. E se qualcosa o qualcuno non è bello, non è nemmeno buono. E se non è buono, non è nemmeno bello. È importante questa cosa.

Ecco, vedete, la bellezza si applica non solo alle cose visibili, ma anche quelle invisibili. Si applica certo alla natura, all’arte, si applica però anche alle persone, si applica alle idee. E si applica alla solidarietà, questa bellissima cosa che si chiama solidarietà. E la solidarietà è parente stretta della convivenza. Ecco che ci ritroviamo sul tema del la città: la convivenza parte della bellezza della città. Certo la città è un’invenzione straordinaria, è un’invenzione dell’uomo. Non esisteva, non esiste in natura, la città è un’invenzione.

C’è una bellissima storia che voglio raccontarvi. È raccontata da Luis Borges, è la storia di un guerriero longobardo. Siamo nel VI secolo dopo Cristo. nell’Alto Medioevo si chiamava Droctulf e questo guerriero arriva con le orde barbariche. Arriva a Ravenna. Qui abbiamo il sindaco di Ravenna. Arriva a Ravenna e alla testa di queste orde entra e improvvisamente si ferma, guarda e vede davanti a sé: degli argini, dei ponti, dei palazzi, dei templi, delle scale, delle porte, degli stipiti, delle soglie, dei davanzali, delle finestre. Dei pilastri. Vede tante cose che non aveva mai visto e tanto meno le aveva mai viste tutte assieme, così che stavano bene assieme. E allora si ferma. È folgorato da una rivelazione, la città. È una bella storia.

Non so se sia una storia vera, lo dice Luis Borges, ma se non è vera potrebbe essere vera. E questo rappresenta bene l’idea che la città è un luogo dove tante cose diverse stanno bene assieme. Nelle nostre città poi, quando son belle sono davvero belle, straordinarie e sono tutte belle le nostre città. Tante cose che stanno bene assieme, ma non sono solo le cose che stanno bene insieme. Anche la gente sta bene assieme. Lo so che ci sono mille problemi, però la città è il luogo dove si sta assieme. Dove c’è la solidarietà. Dove c’è la convivenza. La convivenza è una cosa importante. Questo è per dire come la città ha a che fare molto con la bellezza, la bellezza dei luoghi, la bellezza delle cose, la bellezza della gente. Ahimè! E qui arrivo al punto: questo non succede per una parte delle città, che sono le periferie. E qui voglio arrivare, perché le periferie, vedete, sono sempre raccontate come luoghi tristi, sono sempre associate ad aggettivi dispregiativi, tristi, lontane, pericolose. Ma non è mica vero, non è vero. Non è vero. C’è tanta bellezza nelle periferie. C’è intanto la bellezza della gente. Spesso c’è anche la bellezza dei luoghi. Sì, dei luoghi, degli spazi, della luce, ma c’è tanta energia. Le periferie sono fabbriche di energia, di desideri e di aspirazioni. E poi diciamoci la verità: sono la scommessa di questo secolo. Nella seconda metà del secolo scorso la scommessa è stata salvaguardare i centri storici: è stato fatto. Oggi la grande scommessa di questa metà del nuovo secolo è salvaguardare le periferie. Non c’è ombra di dubbio. Questo è il grande tema.

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Bisogna connettere, bisogna costruire infrastrutture tra metropolitane anche di superficie per via bassa, velocità media, a grande velocità. Bisogna costruire le periferie, fecondare. Con la costruzione di scuole, università, ospedali, biblioteche, luoghi per la gente. Luoghi che le ristrutturi. E poi bisogna anche, ecco qui parlo di una cosa che mi è molto cara: bisogna anche rammendarle. Che rammendo non è rattoppo. Rammendo è un’arte molto delicata, molto intelligente. Rammendare le periferie significa fare tante cose. Quello che io cerco di fare molto modestamente nel mio ruolo di senatore a vita con i giovani con cui lavoro. Significa fare piccole cose, ma tante. Piantare alberi dovunque, piantare alberi non è solo un gesto di affetto. E poi si tratta di fare piccoli progetti di luoghi di incontro dove la gente si possa incontrare. Si tratta di fare progetti partecipati.

Ecco, questo tema della partecipazione è importante perché fare dei piccoli progetti partecipati non significa incontrare la gente per convincerla, per persuaderla, per sedurla. Si tratta di incontrare gente per capire. I progetti vengono bene quando si capisce, quando si è leali con la gente con cui si costruisce un rapporto importante. Progetti partecipati, lavoro solidale di architetti condotti. Si tratta di costruire una città più sostenibile. Qui siamo a Genova, e invece di parlare di sostenibilità mi piacerebbe parlare di parsimonia. Sì, Genova è una città parsimoniosa. Ci sono dei maligni che pensano che Genova sia una città avara, tirchia. Non è vero? Non è vero. Genova è una città parsimoniosa. Qui non si spreca, non si spreca niente. Questo è il motto di Genova. Qui non si spreca niente ed è importante. E far entrare in gioco questa parsimonia, perché ha a che fare con l’energia a che fare con uno stile di vita, un modo di essere.

E lo so che ne avete tante, di cose da fare. Però voglio darvi un consiglio. Lasciatemi darvelo. Io ogni mattina mi sveglio, anche voi, mi sveglio con una certa quantità di energia a disposizione per la giornata. Ecco 50 chili di energia. Voi sono sicuro vi svegliate con molta più energia, 500 chili, con tutto quel che fate sicuramente. Però la prima cosa che faccio nella giornata è di eliminare tutto il superfluo. Ma lo sapete benissimo. Ma è un’opera importante eliminare il superfluo. Ce n’è tanto nella nostra vita. I nostri mestieri si assomigliano. Il vostro è più difficile? Togliere tutto il superfluo. È importantissimo. E poi diligentemente faccio tutto quello che bisogna fare. Però tengo sempre di riserva dieci chili di energia per pensare alla visione, quella complessiva. Ecco perché vi dico questo: io vi chiedo di mettere questa idea delle periferie tra le vostre priorità. Che diventi una cosa importante, una finalità importante. La grande scommessa del secolo. Io finisco qui rammentandovi il giuramento degli Ateniesi dei neoeletti Ateniesi, i sindaci di Atene, città stato nell’antichità. La promessa era questa. Vi prometto, Ateniesi, di restituirvi Atene più bella di come me l’avete consegnata. Vi prometto, Ateniesi. Non ho altro da dire.

Vi ringrazio, vi abbraccio tutti uno per uno. Vi voglio bene. Grazie.

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We should value all capitals, financial as well as social capital, human capital, natural capital, and cultural capital.

Interview with Caroline Costongs, Director of EuroHealthNet

Dovremmo valorizzare tutti i capitali: finanziario e sociale, umano, naturale e culturale.

Intervista con Caroline Costongs, Direttrice EuroHealthNet

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What is the European Health Union and how relevant is it for municipalities?

The European Health Union was launched by the European Commission in response to the COVID-19 pandemic, which demonstrated the importance of European coordination for health, both in crisis and in normal times. I find the European Health Union a welcome vision and framework as it highlights the importance of health and holds good potential for local impact. However, in EuroHealthNet’s view, its scope is still too narrow and too focussed on health security and preparedness for new pandemics. While health security is important, it is certainly not the only health challenge faced by Europe and its municipalities.

EuroHealthNet is a Partnership of national institutes of public health and includes the Istituto Superiore di Sanità (ISS) as well as regional authorities such as the Regions of Veneto, Puglia, and Toscana. The Partnership also involves cities such as Riga in Latvia and Nijmegen in the Netherlands. We work together to address public health challenges and improve health equity and wellbeing throughout Europe.

Many health problems are caused by our economies, which disrespect and even exploit people, overuse natural resources, and harm our living environments. In our view, addressing these root causes of poor health and investing in disease prevention is the best approach to improving health at all levels. For a few years now, we have been working with the concept of the Wellbeing Economy, which puts the wellbeing of people and the planet at the centre of all levels of decisionmaking, allowing for a preventative approach that addresses those root causes. I would like to see this concept reflected in the EU’s approach to improving health at local levels.

However, moving to such decision-making requires a paradigm shift and the ability to prioritise health and wellbeing in complex political environments. This is exactly where the EU Institutions must take on their leadership role.

What does this mean in practice, which actions should the EU prioritise and how can it support municipalities?

While there are many areas of public health that could benefit from EU action and collaboration, I would like to highlight the following three priorities for action.

One priority for action should be to reform the food sector at European, national, and local levels to ensure that it respects biodiversity, contributes to One Health, and tackles food insecurity, as well as the shockingly

1 Page 38 of this report:

https://foodsystemeconomics.org/policy/global-policy-report/

2 Page 43 of same report:

https://foodsystemeconomics.org/policy/global-policy-report/

Cos’è la European Health Union e quanto è importante per i comuni?

L’iniziativa è stata lanciata dalla Commissione europea in risposta alla pandemia di Covid-19, dimostrando l’importanza del coordinamento europeo per la salute, sia in tempi di crisi che in tempi normali. Trovo che si tratti di una visione e di un quadro di riferimento positivi poiché evidenziano l’importanza della salute e hanno un buon potenziale a livello di impatto locale. Tuttavia, secondo EuroHealthNet, il suo ambito è ancora troppo ristretto e troppo concentrato sulla sicurezza sanitaria e sulla preparazione a nuove pandemie. Sebbene la sicurezza sanitaria sia importante, non è certamente l’unica sfida sanitaria affrontata dall’Europa e dai suoi comuni.

EuroHealthNet è un partenariato tra istituti nazionali di sanità pubblica, che comprende l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nonché enti regionali come le Regioni Veneto, Puglia e Toscana. Il partenariato coinvolge anche città come Riga in Lettonia e Nijmegen nei Paesi Bassi. Lavoriamo insieme per affrontare le sfide della salute pubblica e migliorare l’equità sanitaria e il benessere in tutta Europa.

Molti problemi sanitari sono causati dalle nostre economie, che non rispettano e addirittura sfruttano le persone, abusano delle risorse naturali e danneggiano i nostri ambienti di vita. A nostro avviso, affrontare queste cause profonde di cattiva salute e investire nella prevenzione delle malattie è l’approccio migliore per migliorare la salute a tutti i livelli. Da alcuni anni lavoriamo con il concetto di Economia del Benessere, che mette il benessere delle persone e del pianeta al centro di tutti i livelli del processo decisionale, consentendo un approccio preventivo che affronti queste cause profonde. Mi piacerebbe ritrovare questo concetto riflesso nell’approccio dell’UE, volto a migliorare la salute a livello locale.

Tuttavia, il passaggio a tale processo decisionale richiede un cambiamento di paradigma e la capacità di dare priorità alla salute e al benessere in ambienti po- litici complessi. È proprio qui che le istituzioni dell’UE devono assumere il loro ruolo di leadership.

Che cosa implica nella pratica, e a quali azioni l’UE dovrebbe dare priorità e sostenere i comuni?

Sebbene siano molti i settori della sanità pubblica che potrebbero trarre vantaggio dall’azione e dalla collaborazione dell’UE, vorrei evidenziare le seguenti tre priorità d’azione.

Una prima priorità d’azione dovrebbe essere quella di riformare il settore alimentare a livello europeo, nazionale e locale per garantire che rispetti la biodiversità, contribuisca a One Health e affronti l’insicurezza alimentare, nonché l’aumento sorprendentemente stimato del 70% dell’obesità entro il 2050.

I comuni svolgono un ruolo importante nel realizzare una transizione verso diete alimentari più vegetali e prodotte localmente, tassando il cibo non sano e garantendo reti di sicurezza per mantenere il cibo sano alla portata di tutti. Un recente rapporto stima che una tale transizione potrebbe evitare 174 milioni di morti

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estimated 70% increase in obesity by 2050.1

Municipalities play an important role in realising a transition to more plant-based and locally produced diets, taxing unhealthy food, and ensuring safety nets to keep healthy food affordable for all. A recent report estimated that such a transition could avoid 174 million premature deaths worldwide and eradicate undernutrition by 2050 2

Unfortunately, a recent proposal for an EU Sustainable Food Systems Framework was shelved, and we have seen delays in other files, such as food labelling. We have called on the European Commission to make the transition to sustainable food systems a priority for the next EU agenda (2024-2029).

Healthy diets for all are only possible in healthy food systems. Other measures, such as campaigns to promote healthy eating, are not nearly as effective.

A second priority should be to prevent and manage noncommunicable diseases (NCDs). The growing prevalence of NCDs is a huge public health problem and requires local action as well as leadership from EU Institutions. It is of increasing importance that we act, as we live in an ageing world where people aged 65+ and 85+ will represent an increasingly large proportion of the European population, linked to a growing need for care

The European Health Union stresses the need for multisectoral approaches that address major risk factors such as alcohol, tobacco, diet, physical inactivity, and air pollution and that support primary healthcare. Despite the many legal instruments in its toolbox, the EU has failed to make significant progress in these areas and therefore cannot be supportive to local action either.

We can have a look at air pollution, for example, which is the top environmental threat to health in Europe. It also has huge economic implications: the costs resulting from reduced life expectancy, illness, lost productivity and damaged ecosystems caused by air pollution are estimated to be more than 5% of GDP in many countries. The new EU Ambient Air Quality Directive (AAQD), however, allows Member States to delay compliance with the new air quality standards until 2040. Moreover, the Directive does not meet World Health Organization (WHO) 2021 standards for PM2.5 and NO2.

A third priority I would like to see the European Health Union act relates to the prevention of NCDs, namely addressing the commercial determinants of health.

Corporate interests continue to delay the development of preventative health policies. To illustrate, many of the legislative files of the prevention pillar of the European Beating Cancer Plan, which targets factors such as tobacco and alcohol consumption, have been delayed due to industry interference, at the detriment of the public’s health

While the European Health Union aims to take concrete action to promote health across relevant sectors,

premature in tutto il mondo e sradicare la denutrizione entro il 2050.

Sfortunatamente, una recente proposta per un “EU Sustainable Food Systems Framework” (Quadro UE per i sistemi alimentari sostenibili) è stata accantonata e abbiamo riscontrato ritardi in altri dossier, come l’etichettatura degli alimenti. Abbiamo chiesto alla Commissione Europea di rendere la transizione verso sistemi alimentari sostenibili una priorità per la prossima agenda UE (2024-2029).

Diete sane per tutti sono possibili solo in sistemi alimentari sani. Altre misure, come le campagne per promuovere un’alimentazione sana, non sono altrettanto efficaci.

Una seconda priorità dovrebbe essere la prevenzione e la gestione delle malattie non trasmissibili (NCD). La crescente prevalenza delle malattie non trasmissibili rappresenta un enorme problema di salute pubblica e richiede un’azione locale e la leadership delle istituzioni dell’UE. È di crescente importanza agire, poiché viviamo in un mondo che invecchia in cui le persone di età compresa tra 65 e 85 anni rappresenteranno una percentuale sempre più ampia della popolazione europea, a causa di un crescente bisogno di cure.

L’Unione Europea della Sanità sottolinea la necessità di approcci multisettoriali che affrontino i principali fattori di rischio come l’alcol, il tabacco, la dieta, l’inattività fisica e l’inquinamento atmosferico e che sostengano l’assistenza sanitaria di base. Nonostante i numerosi strumenti giuridici a sua disposizione, l’UE non è riuscita a compiere progressi significativi in questi settori e pertanto non può nemmeno sostenere l’azione locale.

Possiamo dare uno sguardo all’inquinamento atmosferico, ad esempio, che rappresenta la principale minaccia ambientale per la salute in Europa. Ha anche enormi implicazioni economiche: si stima che i costi derivanti dalla ridotta aspettativa di vita, dalle malattie, dalla perdita di produttività e dal danneggiamento degli ecosistemi causati dall’inquinamento atmosferico siano superiori al 5% del PIL in molti paesi. La nuova direttiva UE sulla qualità dell’aria ambiente (AAQD), tuttavia, consente agli Stati membri di ritardare la conformità ai nuovi standard di qualità dell’aria fino al 2040. Inoltre, la direttiva non soddisfa gli standard del 2021 dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per PM2,5 e NO2.

Una terza priorità che vorrei che venisse adottata una legge sull’Unione sanitaria europea riguarda la prevenzione delle malattie non trasmissibili, in particolare affrontando i determinanti commerciali della salute.

Gli interessi aziendali continuano a ritardare lo sviluppo di politiche sanitarie preventive. Ad esempio, molti dei fascicoli legislativi del pilastro prevenzione del Piano europeo di lotta contro il cancro, che prende di mira fattori come il consumo di tabacco e alcol, sono stati ritardati a causa dell’interferenza dell’industria, a scapito della salute pubblica.

Sebbene l’Unione europea della sanità miri ad intraprendere azioni concrete per promuovere la salute in

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it fails to specifically mention sectors such as trade, or the internal market, or other economic policies to tackle the commercial determinants of health.

Profit should not go before people, and we should value all capitals, financial as well as social capital, human capital, natural capital, and cultural capital

How do the EU and the European Health Union address health equity and wellbeing?

We welcome the comprehensive approach of the European Health Union. This includes its focus on tackling health inequalities, even if, again, very few concrete measures are mentioned. Health inequalities are widening between and within countries and between and within municipalities. The European Commission needs to step up action to monitor inequalities and boost social protection policies as part of the European Health Union.

Between the 26-27 March, the European Council is organising a High-level Conference on the Future of the European Health Union. The discussions at this event will likely feed into Council Conclusions on the European Health Union, expected to be adopted in June 2024. It is important that these Conclusions take a regional and local perspective as well as a broad approach to health and wellbeing.

As many health challenges, locally, nationally, and internationally, are relevant across a variety of sectors, we are not going to make a significant difference for public health by just appointing a Health Commissioner. That is why EuroHealthNet has suggested that, following this year’s elections, the new Health Commissioner will be supported by a Vice President for a Wellbeing Economy in order to deliver on the systemic changes needed.

Only then will we be able to strengthen the EU’s leadership ambitions in public health, which can resonate at the local level with a much stronger voice.

How can municipalities become engaged with EuroHealthNet?

EuroHealthNet is delighted to work with municipalities to create bridges to the European level There are many opportunities where experiences and good practices from the local level can contribute to inform policy at the EU level.

Equally, it is important to see how EU policies and instruments can be used at the local level. I think this bridge is currently underused, and we are happy to collaborate with those interested in working with us.

Many thanks for this opportunity to contribute to your magazine.

tutti i settori rilevanti, non menziona specificamente settori come il commercio, o il mercato interno, o altre politiche economiche per affrontare i determinanti commerciali della salute.

Il profitto non dovrebbe essere prima delle persone e dovremmo valorizzare tutti i capitali, finanziario e sociale, umano, naturale e culturale.

In che modo l’UE e l’Unione europea della sanità affrontano il tema dell’equità e del benessere in campo sanitario?

Accogliamo con favore l’approccio globale dell’Unione sanitaria europea. Ciò include l’attenzione rivolta alla lotta alle disuguaglianze sanitarie, anche se, ancora una volta, vengono menzionate pochissime misure concrete. Le disuguaglianze sanitarie si stanno ampliando tra e all’interno dei paesi e tra e all’interno dei comuni. La Commissione europea deve intensificare gli interventi per monitorare le disuguaglianze e rafforzare le politiche di protezione sociale nell’ambito dell’Unione sanitaria europea.

Dal 26 al 27 marzo il Consiglio europeo organizza una conferenza ad alto livello sul futuro dell’Unione sanitaria europea. Le discussioni svoltesi durante questo evento confluiranno probabilmente nelle Conclusioni del Consiglio sull’Unione europea della sanità, che do- vrebbero essere adottate nel giugno 2024. È importante che queste Conclusioni adottino una prospettiva regionale e locale nonché un approccio ampio alla salute e al benessere.

Poiché molte sfide sanitarie, a livello locale, nazionale e internazionale, sono rilevanti in una varietà di settori, non faremo una differenza significativa per la salute pubblica semplicemente nominando un Commissario per la salute. Ecco perché EuroHealthNet ha suggerito che, dopo le elezioni di quest’anno, il nuovo Commissario per la Salute sarà supportato da un Vicepresidente per un’Economia del Benessere al fine di realizzare i cambiamenti sistemici necessari.

Solo allora saremo in grado di rafforzare le ambizioni di leadership dell’UE nel campo della sanità pubblica, che potranno avere risonanza a livello locale con una voce molto più forte.

Come i comuni possono impegnarsi con EuroHealthNet?

EuroHealthNet è lieta di collaborare con i comuni per creare ponti a livello europeo. Esistono molte opportunità in cui le esperienze e le buone pratiche a livello locale possono contribuire a informare la politica a livello dell’UE.

Allo stesso modo, è importante vedere come le politiche e gli strumenti dell’UE possono essere utilizzati a livello locale. Penso che questo ponte sia attualmente sottoutilizzato e siamo felici di collaborare con chi è interessato a lavorare con noi.

Molte grazie per questa opportunità di contribuire alla vostra rivista.

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About EuroHealthNet

EuroHealthNet è una partnership senza fini di lucro di organizzazioni, istituti e autorità che lavorano nel campo della salute pubblica, della prevenzione delle malattie, della promozione della salute e del benessere e della riduzione delle disuguaglianze.

L’obiettivo è affrontare le disuguaglianze sanitarie all’interno e tra gli Stati europei attraverso l’azione sui determinanti sociali della salute.

Le attività di EuroHealthNet si svolgono su tre piattaforme: politica, pratica e ricerca. Inoltre, un core team unifica e costruisce connessioni tra le piattaforme, condividendo e supportando lo scambio di conoscenze ed esperienze anche attraverso attività di comunicazione.

Pubblicazioni EuroHealthNet

An Economy of Wellbeing for health equity

Video available here

EuroHealthNet priorities for the 2024-2029 EU policy landscape

Ridurre le disuguaglianze investendo in un sistema sanitario che promuove salute

Equitá e vaccini: affrontare le barriere e costruire le competenze per un’adesione e un accesso piú equo alla vaccinazione in tutta l’europa

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Caroline Costongs

I fondi disponibili devono essere impiegati anche in altri settori che possano accrescere il guadagno in salute

ASviS Relazioni Istituzionali e Goal 3

Rispetto ai temi della salute e della qualità della vita, quali sono gli indirizzi principali del suo mandato in ASviS?

Per quanto riguarda i temi della salute e della sanità, afferenti all’Obiettivo 3 dell’Agenda ONU al 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che recita Salute e Benessere per tutti e tutte, compito di ASviS è quello  di stimolare la riflessione sulla necessità di affrontare una vera e propria ricostruzione in senso sostenibile del nostro stato sociale e della nostra sanità sulla base della connessione con gli altri obiettivi dell’Agenda, ed in particolare con quelli dedicati all’educazione, alle disuguaglianze, all’equità di genere, alla cura dell’alimentazione, alla ricerca scientifica ed all’organizzazione dei territori dal punto di vista ambientale, sociale ed istituzionale.

Per ciò che attiene alle iniziative messe in campo, il gruppo di lavoro dell’ASviS che si occupa dell’Obiettivo 3 ha lanciato nel 2018 un Decalogo sulla Salute, che elenca in 10 punti gli obiettivi e le azioni prioritarie del settore (dalla salute in tutte le politiche, alla prevenzione all’informazione sanitaria, alla continuità assistenziale, all’appropriatezza, alla collaborazione tra pubblico e privato, all’integrazione tra sociale e sanitario, al rafforzamento della ricerca biomedica, all’equità).

Nel luglio 2019 è stato presentato un contributo originale in occasione della Maratona del Ministero della Salute per la definizione del nuovo Patto per la Salute. Nel 2020, poco dopo lo scoppio della pandemia, è stato prodotto un Position Paper dal titolo “Salute e non solo Sanità, Come orientare gli investimenti in sanità in un’ottica di sviluppo sostenibile”. E nel 2022 è stato pubblicato il Quaderno “Salute globale e determinanti sociali, ambientali, economici. Una nuova consapevolezza dopo la pandemia da Covid-19”.

Inoltre i 3 Rapporti Generali dell’ASviS, quello annuale sulla sostenibilità in Italia, quello sulla legge di Bilancio e quello sui territori, contengono dati ed analisi su tutti i Goal, compreso il Goal 3. Questi materiali ed altri ancora sono reperibili e scaricabili sul sito dell’ASviS.

Quale ritiene possa essere la traiettoria di sviluppo del welfare locale, alla luce del ridisegno dell’intero servizio territoriale in atto?

Come sappiamo, il nostro stato sociale presenta diverse lacune e non da oggi. Quella che maggiormente necessita di una revisione è la dimensione territoriale e locale degli assetti di welfare. Dopo la ripresa post-bellica, che ha costituito un formidabile motore di crescita socioeconomica e di emancipazione sociale e culturale, è già a partire dagli anni 90, e poi sempre più con il nuovo millennio, che sono emerse diverse contraddizioni e lacune rispetto al modello di sviluppo intrapreso, un modello messo alla prova dalla globalizzazione e dalla modernizzazione tecnologica, e che si mostrava sempre più incapace di affrontare in maniera adeguata le disuguaglianze e la nuova complessità epidemiologica, scientifica e sociale. Una sorta di ’”eterogenesi dei fini” rispetto agli obiettivi originari di un welfare nato per garantire benessere e giustizia sociale per tutti, e che si trova ad alimentare disagi e diseguaglianze, solo parzialmente mitigati dal lavoro di cura svolto da famiglie, società civile e terzo settore.

In particolare in sanità, l’inadeguatezza quantitativa, ed in qualche caso anche qualitativa, dell’offerta pubblica, la debolezza degli investimenti materiali ed immateriali, e soprattutto il mancato rispetto dei principi di universalismo, presa in carico e prevenzione, alla base della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, vengono additati da quel periodo in poi come mali crescenti, ed appare particolarmente carente la cosiddetta medicina del territorio o sanità di comunità, che dovrebbe costituire la base larga della piramide, che fa da filtro rispetto ai livelli superiori del sistema.

La traiettoria che dovrebbe essere abbracciata per riportare il nostro welfare e la nostra sanità nella giusta direzione dovrebbe fare riferimento principalmente a due principi, che vengono richiamati ormai sempre più frequentemente e che caratterizzano l’approccio della sostenibilità al sociale ed alla salute: quello della Salute in tutte le politiche e quello One Health. Ambedue introdotti nel dibattito principalmente da parte dell’OMS,

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ma declinati poi in diversa maniera nei vari contesti. In Italia quello che è mancato per molti anni è stata la presa di coscienza da parte delle istituzioni della gravità della transizione sociale e ambientale in corso e dei rischi che ne derivano. Mentre oggi possiamo dire che il desiderio di cambiamento trovi finalmente una sponda di attracco verso nuovi e più positivi equilibri nella proposta di un modello sociale e sanitario nuovo, basato sui principi di sostenibilità eco-sistemica ed intergenerazionale.

Per quanto riguarda la dimensione territoriale della sanità, la pandemia ci ha costretto a riflettere in maniera nuova sull’organizzazione sanitaria, ed in particolare sullo spazio assegnato alla medicina preventiva ed alla medicina del territorio. Come hanno scritto i medici dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo il 21 marzo 2020, in epoca di pandemia è fondamentale la dimensione della comunità, in quanto accanto alle patologie croniche ed alle disabilità, le epidemie di tipo infettivo provocano vere crisi umanitarie, e richiedono un approccio di popolazione e di territorio.

Quale pensa possa essere il ruolo dei Comuni italiani nel promuovere politiche pubbliche per la salute dei cittadini?

La dimensione territoriale della salute e della sanità è fondamentale per uno sviluppo armonico e sostenibile nell’ambito del sociale. È nei territori che le persone vivono e le loro esistenze, ivi compresa la loro salute, sono condizionate dalle condizioni locali di vita dal punto di vista dell’ambiente naturale, di quello urbanizzato e antropizzato, dei servizi territoriali sociali ed economici, in particolare quelli dei trasporti, dei servizi sociali, di quelli educativi e della cultura, e via dicendo. Ed è nei territori che si costruiscono il benessere e la salute degli individui e dei nuclei di convivenza.

I Comuni hanno quindi una enorme responsabilità e molti compiti da portare avanti per la salute ed il benessere, come peraltro previsto nell’ambito degli obiettivi del PNRR, in termini di transizione tecnologica e

di transizione ecologica, ambedue strettamente collegate allo sviluppo sostenibile ed al benessere equo e sostenibile.

I Comuni sono inoltre il fulcro della sussidiarietà prevista dalla nostra Costituzione, principio generale ma che trova un’applicazione importante nel sociale e rispetto alla salute, sia in termini di sussidiarietà verticale che di sussidiarietà orizzontale. In particolare occorre rafforzare nei territori e nelle città la dimensione comunitaria, puntando a rivedere i modelli di vita e di welfare nella direzione di una valorizzazione del privato sociale, dell’associazionismo e del volontariato. E ciò apre uno scenario nuovo anche rispetto al rapporto tra pubblico e privato, riportando in auge quella socialità di cui si diceva nel dibattito degli anni ’90, da affiancare alla statualità ed al mercato. Una socialità che ha convissuto fino ad oggi e convive tuttora con la sanità pubblica senza che rispettivi ruoli e collegamenti siano mai stati chiariti in maniera adeguata.

Come detto nel documento dell’ASviS Salute e non solo sanità, curato dal Gruppo di lavoro del Goal 3 nel 2020 allo scoppio della pandemia, tra gli altri due aspetti diventano fondamentali: il primo “il rapporto tra sociale e sanitario. I fondi resi disponibili devono cioè essere impiegati anche in altri settori che possono accrescere il guadagno in salute: dalla coesione sociale, allo sviluppo economico, alla tutela dell’ambiente, alla customer satisfaction”. E il secondo: occorre evitare “esclusioni, lacune, sovrapposizioni e sprechi. Ciò significa che la programmazione va realizzata attraverso forme di concertazione e concentrazione strategica di primo ordine, coinvolgendo i diversi stakeholder e non tralasciando la verifica degli intrecci con altri investimenti già in corso o già programmati in altri ambiti e a valere di altri fondi”.

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LA RIGENERAZIONE URBANA PER VALORIZZARE E RILANCIARE LE CITTÀ IN CHIAVE SOSTENIBILE

di Mario Occhiuto Senatore, architetto ed urbanista, Presidente dell’Intergruppo parlamentare qualità di vita nelle città

La rigenerazione urbana è un nuovo processo, multidimensionale e integrato di intervento progettuale, correlato alla necessità di contenimento del consumo del suolo, che non deve essere confuso con la riqualificazione e il recupero edilizio, già disciplinati da tempo. Mentre questi termini si riferiscono a un progetto essenzialmente disciplinare, urbanistico e architettonico, la rigenerazione urbana si configura anche come un progetto che deve tener assieme una pluralità di dimensioni: insediative, energetiche, ambientali, economiche, sociali, istituzionali e culturali. Trattasi dunque di quel complesso di norme, metodi e pratiche che riguardano un oggetto urbano, un’area, un manufatto, un ambiente, al fine di modificarne il genere originario, immettendone nello stesso uno diverso.

La rigenerazione urbana necessita di un dibattito molto più ampio di quello legato alle misure precedentemente elencate. Considerata dalle prospettive opposte dei suoi due estremi ideologici, la rigenerazione urbana da un lato non è la sostituzione edilizia ma, dall’altro, non è nemmeno il citizen engagement per il recupero di qualche vuoto urbano.

Entrambe le pratiche, se applicate congiuntamente, costituiscono gli strumenti per rigenerare le aree urbane ma il loro eserci­ zio deve essere inquadrato in modo sistematico all’interno di piani di area vasta che consentano di regolare fenomeni come la gestione delle risorse idriche, la sicurezza del territorio, la mobilità delle persone e delle merci e il soddisfacimento dei diritti fondamentali alla casa, alla sanità, all’istruzione e al lavoro, in un quadro generale disostenibilità.

L’obiettivo della rigenerazione urbana è contribuire a rendere le città sostenibili e amisura d’uomo, elevandone la qualità urbana attraverso azioni di riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare, ma anche agendo dal punto di vista spaziale e attraverso un miglioramento del contesto sociale, di valorizzazione economica e culturale.

Il contrasto al consumo di suolo rappresenta un punto essenziale per la lotta al cambiamento climatico e a tutte le conseguenze ad esso connesse. In quest’ottica la rigenerazione urbana riveste un ruolo fondamentale contrapponendosi al modello della urbanistica espan-

siva, i cui effetti devastanti sono resi evidenti dai fenomeni climatici estremi sempre più frequenti e che mettono a rischio le nostre città. La pratica della rigenerazione urbana agisce, in quest’ambito, come strumento multidisciplinare per promuovere interventi congiunti sul tessuto costruito in rapporto agli spazi liberi aperti, individuando aree vulnerabili in cui aumentare il verde, migliorando il volume arboreo dei parchi, ripensando la rete della mobilità dolce e sostenibile, integrando i percorsi in aree alberate la cui naturale ombreggiatura possa incentivarne la fruizione grazie al raffrescamento passivo.

Il cambiamento climatico ha ripercussioni enormi sulle città, ne è un esempio il problema delle isole di calore causate dall’eccessiva urbanizzazione. È un tema di salute pubblica molto importante che coinvolge in modo particolare le periferie, già ampiamente colpite da fenomeni di degrado causato dalla grande quantità di vuoti urbani e aree dismesse in condizioni di abbandono.

A tal fine, il riuso dell’esistente assume una particolare rilevanza poiché il patrimonio dismesso deve essere considerato come una risorsa da mobilitare per restituire funzionalità, sicurezza e decoro a luoghi abbandonati e degradati e per creare occasioni di investimento, di produzione e di lavoro.

La sfida è riuscire a raggiungere un difficile equilibrio tra le tre variabili: crescita, equità e qualità ambientale. In questa direzione, un ambito di notevole interesse riguarda il patrimonio culturale (cultural heritage) inteso non solo come prodotto (beni/idee/tradizioni) da con-

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servare e tutelare ma anche come processo multidisciplinare che integri, all’interno delle attività di pianificazione e di gestione, gli obiettivi della conservazione del suo valore con lo sviluppo sociale ed economico del territorio.

Al fine di intraprendere un reale percorso di rigenerazione urbana vanno pertanto presi in considerazione gli ambiti di intervento su cui essa opera:

a) aree abbandonate, strutture pubbliche dismesse o degradate in cui, in tempi antecedenti, si insediavano attività o stabilimenti di natura produttiva, le aree naturali, compresi gli ambiti delle acque calme quali fiumi, laghi, bacini artificiali e marine, che possono contribuire al miglioramento della qualità urbana complessiva. Per questi ambiti si richiede la definizione di nuove funzioni in accordo con le esigenze del tessuto sociale di pertinenza;

b) aree libere e aperte che dovranno essere decongestionate dal traffico veicolare e dalle sue direttrici in favore di percorsi di mobilità dolce, aree verdi e pregevoli luoghi di ritrovo e incontro che, incidendo sulla qualità della vita degli abitanti e sul loro senso di appartenenza ai luoghi, possono costituire il fattore di promozione di una maggiore coesione sociale. Rappresentano inoltre una risorsa nell’adattamento ai cambiamenti climatici grazie alla capacità della vegetazione di fungere da soluzione naturale nella prevenzione delle inondazioni e riduzione degli scarichi di picco, ma anche di contribuire all’ombreggiatura e evapotraspirazione del suolo riducendo l’effetto dell’isola di calore;

c) acque calme di fiumi, laghi, bacini artificiali e marine, al fine di decongestionare l’inurbamento e non occupare ulteriore superficie, favorendo altresì insediamenti ad alto valore di ecosostenibilità;

d) quartieri popolari ed edifici pertinenziali che dovranno essere oggetto di un reale intervento di riabilitazione e riqualificazione energetica e sismica al fine di ridurre il divario sociale causato dalla presenza di contesti urbani degradati e privi di servizi. In questi ambiti è incentivata la realizzazione di opere pubbliche, con la finalità di incrementare o sostituire ove necessario la qualità dell’edificato, e i progetti volti a ripensare l’assetto urbanistico incentivando la realizzazione di aree e corridoi verdi ampi e omogenei, in linea con i nuovi standard di sostenibilità previsti per i centri abitati;

e) gli immobili dello Stato appartenenti al demanio storico-artistico trasferiti agli enti territoriali in base all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante « Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42 », solo nei casi in cui siano oggetto di specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale, quando questi abbiano il carattere di innovazione rispetto alle destinazioni d’uso precedenti;

f) gli immobili dello Stato appartenenti al demanio militare che non sono più di interesse;

g) tutti i casi di trasformazione dei paesaggi costruiti attraverso il nuovo metodo di «costruire sul costruito » alla ricerca della qualità architettonica e della sostenibilità ambientale con l’obiettivo di reinterpretare le strutture esistenti e di migliorare la destinazione d’uso o di crearne una nuova.

Bisogna animare il dibattito politico su questo ed è questo lo scopo del disegno di legge presentato al Senato che identifica punti per determinare l’azione, definendo quali sono gli interventi di rigenerazione urbana al fine di garantire agli stessi la massima semplificazione e celerità di realizzazione.

Al fine di finanziare interventi di rigenerazione urbana nell’accezione prevista dal disegno di legge, prevede la successiva istituzione di un Fondo per la rigenerazione urbana e l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, della cabina di regia nazionale per la rigenerazione urbana, al fine di agevolare il conseguimento delle finalità e coordinare le politiche attuate dalle amministrazioni interessate.

Bisogna garantire la rapida esecuzione degli interventi di rigenerazione urbana, anche in relazione all’attuazione del PNRR, il DDL consente ai sindaci e ai presidenti delle città metropolitane di operare fino al 31 dicembre 2026, nel rispetto dei princìpi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea

Il disegno di legge prevede, inoltre, l’introduzione di meccanismi premiali per interventi che pongano al centro i concetti di sostenibilità, innovazione e attuazione di misure di lotta al cambiamento climatico nonché il rafforzamento delle misure di supporto per i fenomeni da esso derivanti.

Oggi sembra necessario non solo adeguarsi alla complessità della società attuale ma, attraverso il processo di rigenerazione urbana, creare le condizioni per sperimentarne l’attuazione mediante una nuova modalità di legiferare. In altri termini, un pensiero alternativo a quello che si è consolidato ne gli ultimi anni e che trova la sua materializzazione nel disegni di legge sulla rigenerazione urbana, non come norma risolutrice e salvifica del degrado fisico e del disagio sociale e materiale dei cittadini, ma come l’inizio di un percorso istituzionale che ricerchi le modalità con le quali risolvere i problemi e comprendere le dimensioni economiche e sociali del degrado e del disagio, con l’obiettivo di avere una risposta proporzionale e adeguata, avendo cura di capitalizzare le soluzioni e le criticità, in un processo in divenire. Questo approccio presuppone l’esistenza di un punto di partenza consapevole e autorevole, dotato delle necessarie risorse e capacità di intervento a livello nazionale.

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La coprogettazione come metodo di amministrazione condivisa

di Lamberto Bertolé

Assessore Welfare e Salute Comune di Milano

Le periferie delle grandi città vengono spesso ricordate per essere al centro di fatti di cronaca che ne evidenziano le vulnerabilità e le difficoltà. Ma, se le guardiamo più da vicino, ci sforziamo di conoscerne i quartieri, le persone che li animano e le attività che nascono al loro interno scopriremo che spesso la connotazione negativa con cui sono state etichettate è assolutamente immeritata.

Sono spesso laboratori di novità, culle di belle intuizioni e buone pratiche. Valorizzarle, esaltarne l’unicità inserendola, allo stesso tempo, all’interno di un progetto complessivo di città deve essere l’ambizione di ogni amministrazione comunale che abbia una visione.

A Milano, per esempio, non possiamo dimenticare che prima della metropoli esistevano tanti borghi: nel 2023 si è celebrato, infatti, il centenario dell’annessione a Milano dei comuni di Affori, Baggio, Chiaravalle Milanese, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco Milanese, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino. Undici piccoli centri che sono diventati parte della grande città e che hanno contribuito a renderla quella che è oggi.

Molti di questi territori hanno mantenuto una dimensione di borgo che va preservata e, se è possibile, esportata e replicata. Il modello che Milano ha scelto, quello della città a 15 minuti, non può che ispirarsi a questa esperienza per cercare di riprodurla in ogni quartiere, da quelli più esterni a quelli più interni alla cerchia dei bastioni, in modo che i milanesi possano trovare tutti i servizi di cui hanno bisogno nelle vicinanze del luogo dove vivono, come in una piccola cittadina.

E per ognuna di queste cittadine ideali è necessario costruire una rete che faccia spazio al suo interno a tutte le realtà operanti e attive in quel territorio. Una sorta di coordinamento che favorisca la costruzione di risposte sempre più aderenti ai bisogni delle persone, adeguate proprio perché coordinate. Questo modello esiste da anni a Milano con Ricetta QuBì, una sperimentazione di Fondazione Cariplo che

il Comune ha seguito e sostenuto molto da vicino e che ha saputo far dialogare oltre 400 associazioni creando 25 reti per altrettanti quartieri al fine di contrastare la povertà minorile. Un’idea vincente che deve passare dalla fase sperimentale a quella strutturale di implementazione.

Per questo nelle prossime settimane prenderà il via la coprogettazione, uno strumento che ci permetterà di applicare in maniera concreta il principio dell’amministrazione condivisa, per il quale pubblico e privato (soprattutto privato sociale) concorrono all’elaborazione di strategie e modelli di intervento e gestione su alcune tematiche fondamentali per la nostra città. Intercettare i bisogni - sempre più complessi - e ricomporre le risposte nei quartieri deve essere una priorità assoluta del nostro operato. Una logica che vale anche in campo sanitario perché le esigenze di salute delle persone spesso si incrociano con quelle di tipo sociale.

L’integrazione di queste due dimensioni è un obiettivo a cui non dobbiamo smettere di lavorare, in collaborazione con i soggetti competenti, Regione e Ats. Un primo passo è quello che porteremo a compimento quando finalmente sarà possibile collocare le sedi dei servizi sociali territoriali all’interno delle nuove Case di comunità. Un progetto a cui stiamo lavorando da tempo e che confidiamo di portare a termine entro la fine del mandato. La razionalizzazione si deve accompagnare al potenziamento dell’offerta e dei presidi, soprattutto nei quartieri meno centrali. A questo scopo stiamo lavorando per rinnovare il ruolo dei 29 centri socio ricreativi culturali, ampliando l’offerta e allargandola a nuove fasce di popolazione, anche in questo caso attraverso un percorso di coprogettazione che partirà a breve.

La parola d’ordine è collaborazione, per arrivare capillarmente a tutti mantenendo allo stesso tempo una forte regia pubblica degli interventi. Il futuro delle città e dei loro quartieri non può che andare in questa direzione.

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Venezia “laboratorio ideale” dove sperimentare soluzioni di sostenibilità innovative

Intervista a Ermelinda Damiano

Presidente Consiglio comunale di Venezia

Rispetto al tema della salute e della qualità della vita nella Città, quali sono gli indirizzi principali del suo mandato?

La città di Venezia è molto attiva nel proporre in maniera continuativa iniziative rivolte alla cittadinanza su tematiche quali la salute e il benessere della comunità. Nel mio ruolo di Presidente del Consiglio comunale, già nel 2015, ho deciso di dare avvio e impulso a importanti campagne di sensibilizzazione e prevenzione, che riguardano in maniera preponderante la salute delle donne nonché la loro protezione e sicurezza in tema di contrasto alla violenza di genere.

Con il supporto della nostra azienda sanitaria e grazie alla fitta rete di collaborazioni avviate in questi anni con enti, istituzioni pubbliche e private e il mondo dell’associazionismo locale, ad oggi contiamo migliaia di appuntamenti e attività mirate che caratterizzano la nostra agenda cittadina.

Grande successo riscontra ogni anno la campagna di sensibilizzazione “Ottobre Rosa” in occasione del mese mondiale della prevenzione del tumore al seno.

Per tutto il mese di ottobre, sono oltre cento gli eventi diffusi sul territorio, dalla terraferma al centro storico e le isole, volte ad accendere i riflettori sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce.

Tra gli appuntamenti, spiccano per importanza il “Vaporetto Rosa della Prevenzione” in collaborazione con l’azienda di trasporti Alilaguna e la Lega Italiana per la Lotta ai Tumori, a bordo del quale per tutta la durata della campagna di sensibilizzazione e nei luoghi anche più decentrati della laguna, è possibile effettuare visite senologiche grazie all’aiuto volontario dei medici delle Breast Unit del nostro distretto sanitario, ma anche seguire conferenze e momenti di approfondimento tenuti da professionisti del settore. Accanto al “Vaporetto Rosa”, dallo scorso anno è previsto anche l’”Autobus Rosa della Prevenzione”, rigorosamente elettrico, che in terraferma contestualmente all’attività di trasporto pubblico, si trasforma in un veicolo di informazioni sugli screening proposti dall’azienda sanitaria veicolando in tutto il territorio il messaggio che la “Preven-

zione è Vita”. Dal 2023 sia il Vaporetto Rosa che l’Autobus Rosa sono stati messi a disposizione anche dei Comuni della Città Metropolitana di Venezia che hanno aderito con entusiasmo alle attività proposte dal Comune di Venezia. Tutte queste attività hanno fatto sì che negli anni crescesse sempre di più il tasso di adesione agli screening (stando ai dati, uno dei più alti d’Italia) confermando la Città di Venezia un modello senz’altro virtuoso ed efficiente.

Tra le iniziative promosse, non possiamo non ricordare quelle sportive perché sport e salute sono da sempre un binomio vincente. L’attività fisica rimane per la nostra Città uno dei punti fermi e fondamentali nella promozione della salute, del benessere e dell’adozione di corretti stili di vita per prevenire e curare molte patologie.

Tra gli sport promossi in Città, assume rilievo la pratica del Dragon Boat, come forma riabilitativa per le donne malate di cancro al seno. Il nostro Comune ha ben tre squadre di donne operate al seno che in questa disciplina hanno trovato un prezioso alleato per migliorare il proprio benessere psicofisico e insieme a loro promuoviamo molte delle iniziative attinenti all’Ottobre Rosa e non solo.

Un altro importante filone di sensibilizzazione, frutto di un importante lavoro corale sul territorio, riguarda i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione attraverso iniziative volte non solo a far conoscere i Servizi dedicati al trattamento di queste gravi patologie, ma anche a promuovere una corretta informazione e l’importanza della diagnosi e del trattamento precoce per essere tempestivi ed efficaci nelle cure. Attività che si rivolge soprattutto alle scuole e ai giovani del territorio dal momento che sono proprio gli adolescenti, nella fascia di età tra i 10 e il 25 anni, che soffrono maggiormente di disturbi alimentari. Per far fronte a questa emergenza sociale, diviene sempre più essenziale fare rete e creare una capillare opera di sensibilizzazione, da una parte, e di sostegno dall’altra, sia ai pazienti che ai loro famigliari.

Altre campagne di sensibilizzazione riguardano anche le malattie croniche, spesso invisibili ma altrettanto in-

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validanti come la Fibromialgia, il Crohn e l’Endometriosi, attraverso iniziative sportive, culturali e di approfondimento, che rappresentano una vera e propria cassa di risonanza volta a far conoscere patologie molto diffuse tra la popolazione ma poco note all’opinione pubblica. Parliamo di malattie gravi e altamente invalidanti che però non vengono ancora considerate tali dal servizio sanitario nazionale.

Non solo salute della donna, ma è da poco nato anche un nuovo percorso istituzionale per la promozione della salute dell’uomo, in particolare con la campagna di sensibilizzazione “Movember” nel mese di novembre, che ha tra gli obiettivi quello di avvicinare la popolazione maschile a sottoporsi con regolarità a esami di controllo in ottica preventiva. Per diffondere questa consapevolezza, insieme all’azienda sanitaria e alle associazioni del territorio, proponiamo politiche attive mirate a un cambio di approccio rispetto alla salute, di attenzione agli stili di vita e di incentivo all’adesione agli screening proposti.

Ci auguriamo che questo nuovo percorso possa crescere sia in termini quantitativi che qualitativi al pari delle altre campagne di sensibilizzazione proposte in questi anni alla comunità.

In che cosa consiste e quali sono le ambizioni del Progetto “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”?

Le principali e attuali sfide mondiali ruotano attorno alla parola “sostenibilità” rispetto la quale la Città di Venezia ha visto nascere l’ambizioso progetto “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità” con l’obiettivo di creare un modello integrato (ambientale, economico, sociale) per il Paese e il mondo, attrattivo di investimenti e idee e che vede coinvolto anche il nostro Comune in qualità di socio fondatore dell’omonima Fondazione.

La sfera di attività della Fondazione si sviluppa inizialmente intorno a 9 aree tematiche che sono rilevanti per lo sviluppo sostenibile di Venezia e attorno alle quali ruoteranno i principali progetti che la Fondazione realizzerà.

Venezia, per la sua specificità e fragilità, si pone così come “laboratorio ideale” dove sperimentare soluzioni di sostenibilità innovative, che riguardino la transizione ecologica, l’economia circolare e il cambiamento climatico, da poter esportare nel mondo, dove sviluppare e testare un nuovo modello di sostenibilità urbana –sociale, economica e ambientale – come sintesi tra resilienza passata e prosperità futura.

È evidente che questo progetto pone l’intero ecosistema lagunare al centro di una grande sfida che mira a tenere insieme patrimonio culturale, sviluppo, ambiente e qualità della vita.

Se correliamo quanto appena esposto alla molteplicità delle attività di sensibilizzazione e prevenzione promosse in Città, risulta evidente che qualsiasi progettualità, strategia o azione volta a incidere positivamente sull’ambiente urbano, rappresenta una premessa indispensabile per il benessere e la qualità della vita individuale e collettiva della comunità.

Quale pensa possa essere il ruolo dei Comuni italiani nel promuovere politiche pubbliche per la salute dei cittadini?

L’esperienza veneziana in termini di educazione e promozione della salute e di adozione di buone pratiche, oltre a rappresentare un modello valido e virtuoso, è indicativa di quanto sia fondamentale per i singoli Comuni fare rete sui territori per incidere positivamente sul benessere e la salute dei cittadini intesa come bene comune in cui ognuno è chiamato a dare il proprio contributo.

La sinergia tra istituzioni, cittadini, associazioni, scuole, sistema sanitario locale e professionisti del settore, risulta infatti efficace nella realizzazione capillare di politiche indirizzate a migliorare lo stato di salute della popolazione.

In questo senso rimane importante per i Comuni essere parte attiva nel proporre e promuovere iniziative volte a responsabilizzare e incoraggiare l’intera comunità ad adottare stili di vita sani, attraverso la prevenzione primaria (con campagne di informazione e sensibilizzazione), attraverso l’attività sportiva e motoria a partire dai più piccoli (un esempio concreto è dato dal progetto del Comune di Venezia, esteso anche alla Città Metropolitana, denominato “6sport+1” che prevede l’erogazione da parte del Comune di un voucher del valore di 180 euro per i bambini iscritti alla seconda classe della scuola primaria con lo scopo di favorire la diffusione della pratica sportiva per l’avvio all’attività sportiva fra i giovanissimi), attraverso lo sviluppo e la realizzazione di politiche orientate ad una mobilità urbana sostenibile incoraggiando lo spostamento a piedi o in bicicletta (a tal proposito vale la pena ricordare che il Comune di Venezia in questi anni ha investito molto in progetti di rafforzamento della ciclabilità aumentando enormemente il numero di piste ciclabili che dagli attuali 150 km arriveranno a 250 nel 2025, ma anche in interventi per la messa in sicurezza dei percorsi pedonali).

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Rispetto al tema della salute e della qualità della vita nella Città, quali sono gli indirizzi principali del suo mandato?

La città di Venezia è molto attiva nel proporre in maniera continuativa iniziative rivolte alla cittadinanza su tematiche quali la salute e il benessere della comunità. Nel mio ruolo di Presidente del Consiglio comunale, già nel 2015, ho deciso di dare avvio e impulso a importanti campagne di sensibilizzazione e prevenzione, che riguardano in maniera preponderante la salute delle donne nonché la loro protezione e sicurezza in tema di contrasto alla violenza di genere.

Con il supporto della nostra azienda sanitaria e grazie alla fitta rete di collaborazioni avviate in questi anni con enti, istituzioni pubbliche e private e il mondo dell’associazionismo locale, ad oggi contiamo migliaia di appuntamenti e attività mirate che caratterizzano la nostra agenda cittadina.

Grande successo riscontra ogni anno la campagna di sensibilizzazione “Ottobre Rosa” in occasione del mese mondiale della prevenzione del tumore al seno.

Per tutto il mese di ottobre, sono oltre cento gli eventi diffusi sul territorio, dalla terraferma al centro storico e le isole, volte ad accendere i riflettori sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce.

Tra gli appuntamenti, spiccano per importanza il “Vaporetto Rosa della Prevenzione” in collaborazione con l’azienda di trasporti Alilaguna e la Lega Italiana per la Lotta ai Tumori, a bordo del quale per tutta la durata della campagna di sensibilizzazione e nei luoghi anche più decentrati della laguna, è possibile effettuare visite senologiche grazie all’aiuto volontario dei medici delle Breast Unit del nostro distretto sanitario, ma anche seguire conferenze e momenti di approfondimento tenuti da professionisti del settore. Accanto al “Vaporetto Rosa”, dallo scorso anno è previsto anche l’”Autobus Rosa della Prevenzione”, rigorosamente elettrico, che in terraferma contestualmente all’attività di trasporto pubblico, si trasforma in un veicolo di informazioni sugli screening proposti dall’azienda sanitaria veicolando in tutto il territorio il messaggio che la “Prevenzione è Vita”. Dal 2023 sia il Vaporetto Rosa che l’Autobus Rosa sono stati messi a disposizione anche dei Comuni della Città Metropolitana di Venezia che hanno aderito con entusiasmo alle attività proposte dal Comune di Venezia. Tutte queste attività hanno fatto sì che negli anni crescesse sempre di più il tasso di adesione agli screening (stando ai dati, uno dei più alti d’Italia) confermando la Città di Venezia un modello senz’altro virtuoso ed efficiente.

Tra le iniziative promosse, non possiamo non ricordare quelle sportive perché sport e salute sono da sempre un binomio vincente. L’attività fisica rimane per la nostra Città uno dei punti fermi e fondamentali nella promozione della salute, del benessere e dell’adozione di corretti stili di vita per prevenire e curare molte pa-

tologie.

Tra gli sport promossi in Città, assume rilievo la pratica del Dragon Boat, come forma riabilitativa per le donne malate di cancro al seno. Il nostro Comune ha ben tre squadre di donne operate al seno che in questa disciplina hanno trovato un prezioso alleato per migliorare il proprio benessere psicofisico e insieme a loro promuoviamo molte delle iniziative attinenti all’Ottobre Rosa e non solo.

Un altro importante filone di sensibilizzazione, frutto di un importante lavoro corale sul territorio, riguarda i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione attraverso iniziative volte non solo a far conoscere i Servizi dedicati al trattamento di queste gravi patologie, ma anche a promuovere una corretta informazione e l’importanza della diagnosi e del trattamento precoce per essere tempestivi ed efficaci nelle cure. Attività che si rivolge soprattutto alle scuole e ai giovani del territorio dal momento che sono proprio gli adolescenti, nella fascia di età tra i 10 e il 25 anni, che soffrono maggiormente di disturbi alimentari. Per far fronte a questa emergenza sociale, diviene sempre più essenziale fare rete e creare una capillare opera di sensibilizzazione, da una parte, e di sostegno dall’altra, sia ai pazienti che ai loro famigliari.

Altre campagne di sensibilizzazione riguardano anche le malattie croniche, spesso invisibili ma altrettanto invalidanti come la Fibromialgia, il Crohn e l’Endometriosi, attraverso iniziative sportive, culturali e di approfondimento, che rappresentano una vera e propria cassa di risonanza volta a far conoscere patologie molto diffuse tra la popolazione ma poco note all’opinione pubblica. Parliamo di malattie gravi e altamente invalidanti che però non vengono ancora considerate tali dal servizio sanitario nazionale.

Non solo salute della donna, ma è da poco nato anche un nuovo percorso istituzionale per la promozione della salute dell’uomo, in particolare con la campagna di sensibilizzazione “Movember” nel mese di novembre, che ha tra gli obiettivi quello di avvicinare la popolazione maschile a sottoporsi con regolarità a esami di controllo in ottica preventiva. Per diffondere questa consapevolezza, insieme all’azienda sanitaria e alle associazioni del territorio, proponiamo politiche attive mirate a un cambio di approccio rispetto alla salute, di attenzione agli stili di vita e di incentivo all’adesione agli screening proposti.

Ci auguriamo che questo nuovo percorso possa crescere sia in termini quantitativi che qualitativi al pari delle altre campagne di sensibilizzazione proposte in questi anni alla comunità.

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Digital Divide e Salute Mentale

Università di Modena e Reggio Emilia e University of Miami

Gli studi pioneristici di Michael Marmot hanno aperto nuove prospettive sulle disuguaglianze socio-economiche e la salute, ma un aspetto ancora più critico è l’impatto del “digital divide” sulla salute mentale. Il “digital divide” si riferisce alla divisione tra individui, famiglie, imprese e aree geografiche a diversi livelli socio-economici e di altre categorie demografiche, basata sulla loro capacità di accedere e utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT).

Questo divario può manifestarsi in termini di accesso a hardware come computer e smartphone, connessioni a Internet, competenze digitali e capacità di sfruttare le opportunità offerte dalla digitalizzazione. Il digital divide può influenzare l’istruzione, l’accesso all’informazione, le opportunità lavorative e la partecipazione sociale, contribuendo a perpetuare le disuguaglianze esistenti. Questo divario, particolarmente accentuato nelle aree periferiche e tra le classi sociali meno abbienti, non solo limita l’accesso alle risorse digitali, ma incide anche sulla percezione di sé e sull’integrazione sociale, influenzando profondamente la salute mentale. La mancanza di accesso a strumenti digitali non è solo un ostacolo tecnologico, ma rappresenta anche una barriera alla piena partecipazione nella società moderna.

Il “digital divide” non è solo una questione di accesso tecnologico, ma anche un fattore che intensifica le disuguaglianze in termini di salute mentale. In un mondo sempre più digitalizzato, chi rimane indietro non solo affronta barriere informative, ma anche ostacoli nell’accesso ai servizi di supporto psicologico; comprese le moderne App e i chatbot che offrono supporto in forma di terapie cognitivo-comportamentali digitali. Tutto ciò può contribuire ad aggravare condizioni come ansia e depressione, creando un ciclo vizioso di esclusione e disagio mentale. La mancanza di accesso a risorse digitali può limitare la capacità degli

individui di cercare informazioni sulla salute, accedere a servizi di consulenza online e partecipare a comunità di supporto, aumentando il senso di isolamento e vulnerabilità.

La pandemia di COVID-19 ha messo in risalto come la mancanza di accesso alla tecnologia possa esacerbare i problemi di salute mentale. Durante il lockdown, la tecnologia è stata vitale per mantenere i contatti sociali e accedere ai servizi. Tuttavia, chi ne era privo ha sperimentato un isolamento più profondo, con conseguenze psicologiche a lungo termine che sono andate ben oltre la pandemia stessa e che – in alcuni pazienti – ancora continuano. Questo ha evidenziato la necessità di strategie inclusive per garantire che nessuno sia lasciato indietro nell’era digitale, specialmente in tempi di crisi.

Conseguenze sui Giovani

I più giovani, privi di strumenti digitali, hanno sofferto maggiormente. La mancanza di risorse per l’apprendimento a distanza ha creato un divario educativo, con effetti duraturi sulla loro autostima e sullo sviluppo sociale. Questo non solo incide sul loro futuro accademico e professionale, ma anche sulla capacità di interagire in una società sempre più digitalizzata. La mancanza di accesso a strumenti digitali può anche limitare le opportunità di sviluppo personale e professionale, riducendo le possibilità di successo futuro.

D’altra parte, l’uso eccessivo di tecnologia e la distrazione digitale possono portare a una riduzione della capacità di concentrazione e aumento dello stress. Questo “technostress” può condurre a un circolo vizioso di dipendenza dalla tecnologia, con effetti negativi sul sonno, sulla salute mentale e sulle relazioni interpersonali. È quindi importante trovare un equilibrio tra l’uso benefico della tecnologia e il suo impatto potenzialmente dannoso sulla salute mentale.

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Gli studi pioneristici di Michael Marmot hanno aperto nuove prospettive sulle disuguaglianze socio-economiche e la salute, ma un aspetto ancora più critico è l’impatto del “digital divide” sulla salute mentale. Il “digital divide” si riferisce alla divisione tra individui, famiglie, imprese e aree geografiche a diversi livelli socio-economici e di altre categorie demografiche, basata sulla loro capacità di accedere e utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT).

Questo divario può manifestarsi in termini di accesso a hardware come computer e smartphone, connessioni a Internet, competenze digitali e capacità di sfruttare le opportunità offerte dalla digitalizzazione. Il digital divide può influenzare l’istruzione, l’accesso all’informazione, le opportunità lavorative e la partecipazione sociale, contribuendo a perpetuare le disuguaglianze esistenti. Questo divario, particolarmente accentuato nelle aree periferiche e tra le classi sociali meno abbienti, non solo limita l’accesso alle risorse digitali, ma incide anche sulla percezione di sé e sull’integrazione sociale, influenzando profondamente la salute mentale. La mancanza di accesso a strumenti digitali non è solo un ostacolo tecnologico, ma rappresenta anche una barriera alla piena partecipazione nella società moderna.

Il “digital divide” non è solo una questione di accesso

tecnologico, ma anche un fattore che intensifica le disuguaglianze in termini di salute mentale. In un mondo sempre più digitalizzato, chi rimane indietro non solo affronta barriere informative, ma anche ostacoli nell’accesso ai servizi di supporto psicologico; comprese le moderne App e i chatbot che offrono supporto in forma di terapie cognitivo-comportamentali digitali. Tutto ciò può contribuire ad aggravare condizioni come ansia e depressione, creando un ciclo vizioso di esclusione e disagio mentale. La mancanza di accesso a risorse digitali può limitare la capacità degli individui di cercare informazioni sulla salute, accedere a servizi di consulenza online e partecipare a comunità di supporto, aumentando il senso di isolamento e vulnerabilità.

La pandemia di COVID-19 ha messo in risalto come la mancanza di accesso alla tecnologia possa esacerbare i problemi di salute mentale. Durante il lockdown, la tecnologia è stata vitale per mantenere i contatti sociali e accedere ai servizi. Tuttavia, chi ne era privo ha sperimentato un isolamento più profondo, con conseguenze psicologiche a lungo termine che sono andate ben oltre la pandemia stessa e che – in alcuni pazienti – ancora continuano. Questo ha evidenziato la necessità di strategie inclusive per garantire che nessuno sia lasciato indietro nell’era digitale, specialmente in tempi

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Le dinamiche della vista nelle realtà urbane

di Massimo Nicolò

Professore Associato di Malattie dell’Apparato Visivo presso l’Università di Genova e Presidente del Comitato Scientifico Prevenzione e Cura delle Malattie Oculari

Dei 5 sensi di cui noi essere umani siamo dotati quello della vista è tra i più completi. È un senso per così dire multitasking che prevede certamente il sofisticato funzionamento degli occhi che inviano in modo continuativo, giorno e notte, una miriade di impulsi elettrici al nostro cervello da cui originano le immagini ma svolge anche un ruolo chiave nella postura, nell’equilibrio e nell’orientamento nello spazio.

Sottoponiamo in modo più o meno inconsapevole i nostri occhi ad un continuo lavoro che a prescindere dalle condizioni ambientali di illuminazione e dalle variabili distanze, ci consente di visualizzare, osservare e interpretare il mondo che ci circonda ad alta risoluzione, con una nitidezza e vivacità di colori che nessun apparecchio fotografico può ancora eguagliare.

Nel corso dei secoli l’apparato visivo si è dovuto adattare a seconda del tipo di attività lavorativa. Le esigenze visive di coloro che fino a ieri svolgevano lavori all’aria aperta o in zone rurali o avevano una bassa scolarizzazione sono profondamente cambiate rispetto alle esigenze visive di coloro che vivono e lavorano nelle grandi metropoli. A questo si devono aggiungere le inevitabili conseguenze dell’allungamento della vita che porta a un cronico invecchiamento e mal funzionamento delle diverse strutture di cui si compone l’occhio umano. Ognuno di noi è diventato molto più esigente in termini di qualità visiva e questa esigenza è tanto maggiore quanto maggiore sono le molteplici attività che dobbiamo portare avanti soprattutto se si vive in un centro urbano ad alto tasso di industrializzazione. Leggere, guidare la macchina, lavorare al computer, riconoscere le banconote o le monete o il volto dei propri cari sono tra le attività che vorremmo poter essere in grado di svolgere senza problemi per tutta la vita. A complicare questo scenario bisogna aggiungere il cambiamento degli stili di vita ai quali tutti coloro che vivono nelle città sono sottoposti. La sedentarietà e la scarsa propensione alla attività motoria sono fattori di rischio per l’insorgenza di disturbi del metabolismo

come il diabete che può avere conseguenze devastanti sull’apparato visivo e portare se non diagnosticato e curato alla perdita totale della vista.

L’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico nelle città può portare a varie patologie oculari. Sostanze come ozono, biossido di azoto e composti dello zolfo possono irritare gli occhi e causare secchezza oculare. L’esposizione costante a luci artificiali intense e schermi digitali può causare affaticamento oculare, occhi secchi, irritazione, visione offuscata e mal di testa. L’illuminazione inadeguata nelle strade urbane può aumentare il rischio di incidenti soprattutto in coloro che hanno disturbi oculari anche di lieve entità ma che necessitano di ambienti molto illuminati. Inoltre, il design urbano spesso non tiene conto delle esigenze delle persone con problemi di vista e può aumentare il rischio di cadute e collisioni. In molte aree urbane, soprattutto in quelle meno sviluppate o in quartieri svantaggiati, può esserci un accesso limitato alle cure oculistiche. Questo può portare a un riconoscimento tardivo e a una gestione inadeguata di condizioni oculari preesistenti, aggravando ulteriormente i problemi.

Appare quindi evidente che la qualità della visione da cui dipende fortemente la qualità di vita, nella complessità di una realtà urbana, debba essere governata e coordinata dalle istituzioni locali in stretta collaborazione con gli operatori sanitari.

Ma in che modo? In questi ultimi anni è stata introdotta la figura dell’Health City Manager proprio per sottolineare l’importanza e il ruolo delle città nella promozione della salute e quindi anche della salute visiva e dei nostri occhi. Dal 2020 grazie alla collaborazione dell’Università La Sapienza, ANCI e Health City Institute è stato costituito un percorso formativo finalizzato a creare presso i comuni una figura che abbia capacità professionali, amministrative e di gestione della sanità pubblica e che operi in sinergia con il sin-

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daco e gli amministratori locali per coordinare e implementare le azioni riguardanti la salute pubblica, elaborando soluzioni innovative e inclusive in risposta alle istanze espresse dai cittadini. L’istituzione del Health City Manager ha quindi un significato proattivo e nell’ambito delle dinamiche della vista deve essere in grado insieme ai professionisti del settore (medici oculisti, medici del lavoro e urbanisti) di mettere in atto azioni per prevenire l’insorgenza di alcuni disturbi visivi (stanchezza visiva, bruciore, sensazione di corpo estraneo) o di vere e proprie patologie oculari prima che queste si siano manifestate. A questo riguardo non posso non citare l’esperienza del Comune di Genova che oltre ad avere istituzionalizzato la figura dell’Health City Manager, aveva introdotto l’assessorato alla Salute dei Cittadini. Da questa unione di intenti sono nate diverse iniziative dirette a individuare e se possibile migliorare la qualità della visione dei cittadini. Tra queste, due meritano senza dubbio di essere citate. La prima è la sperimentazione iniziata proprio all’interno delle farmacie comunali genovesi volta a individuare le complicanze oculari del diabete mediante l’esecuzione di esami strumentali non invasivi (OCT – Optical Coherence Tomography) eseguiti da remoto. Dai risultati di questa sperimentazione ne è derivata l’ammissione a finanziamento del progetto di Telecontrollo Oculistico da remoto nell’ambito dei dottorati comunali banditi dall’Agenzia per la Coesione Territoriale. La seconda iniziativa è la promozione e diffusione del sito www.testalavista.it che il Comune di Genova, oltre ad avere patrocinato, ha inviato a tutti i dipendenti comunali.

In conclusione, le dinamiche della vista ricoprono un ruolo sociale fondamentale nell’ambito della realtà urbane. La qualità della visione è strettamente correlata alla qualità della vita e anche da essa dipende la capacità produttiva e il benessere di una città. I Comuni devono quindi essere sempre più proattivi e favorire politiche sociosanitarie in grado di promuovere la salute visiva.

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FRAGILITÀ COGNITIVE NEGLI ANZIANI: COSA FARE QUANDO L’INVECCHIAMENTO COGNITIVO DIVENTA PATOLOGICO?

Responsabile comunicazione e stampa Società Italiana Parkinson e altri disordini del movimento LIMPE - DISMOV

Il deterioramento cognitivo è un processo fisiologico che tocca tutto il genere umano.

Nasciamo con un numero ben preciso di neuroni che con il passare dell’età perdono quella capacità di elaborazione dati e invecchiano insieme a noi. Memoria a breve termine, rallentamento cognitivo, mancanza di velocità nelle risposte di medio termine sono solo alcuni dei processi che con il passare degli anni iniziano a manifestarsi e palesano una necessità di rallentare i ritmi di vita e possiamo dire anche di pensiero e decisionali. Se non allenata, anche la memoria del passato inizia a traballare e così gli anziani entrano in un circolo vizioso di fragilità emotiva, che li può portare anche verso stati para depressivi.

Tutto questo può rientrare nel percorso fisiologico di ogni individuo, che entrato nella cosiddetta “terza età” perde alcune delle sue capacità cognitive e piano piano deve ripensare alla sua vita con parametri di azione differenti. Ma cosa accade quando il processo fisiologico brucia le tappe per lasciare spazio ad un processo patologico?

È il caso delle malattie neurologiche e neurodegenerative come la Mattia di Parkinson, la seconda patologia neurodegenerativa per prevalenza in Italia (dopo l’Alzheimer). Nel nostro Paese ne soffrono tra le 250mila e le 300 mila persone e la spesa a carico del Sistema Sanitario Nazionale raggiunge 1,3 mld di euro. Se il fenomeno si legge in chiave più ampia, tra caregiver e assistenti, raggiungiamo facilmente più di 1 milione di persone che hanno a che fare con questa malattia.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, il Parkinson è una malattia in crescita esponenziale non solo nel mondo occidentale ma in tutto il Pianeta. Non sono ancora conosciute le cause anche se probabilmente hanno un ruolo determinante l’ambiente e lo stile di vita.

Con un esordio precoce/giovanile nel 10/15% dei casi questa malattia ha in fase avanzata delle complicanze motorie importanti. I fattori della malattia associati allo stress, sia in fase iniziale che avanzata, influenzano la qualità della vita dei pazienti e dei caregiver. In particolar modo i disturbi dell’affettività come ansia e depressione, il dolore e i disturbi della sfera cognitiva e autonomica, contribuiscono al deterioramento della qualità di vita, sin dalle prime fasi della malattia. E’ necessario, quindi, che il percorso di cura farmacologico venga affiancato da una “terapia del benessere” che porti a stabilizzare anche l’aspetto psicologico del

paziente e del suo nucleo familiare.

Cosa fare quindi?

Indagini internazionali, elaborate sullo studio di oltre 4mila malati, dimostrano che le persone con Parkinson che praticano regolarmente attività fisica quali Danza, Yoga, allenamento multimodale, Nordic Walking, allenamento in acqua e Qigong mostrano un rallentamento progressivo dei sintomi motori della malattia. L’esercizio fisico di tipo aerobico consentirebbe alle persone affette da Parkinson di ottenere benefici per la loro salute, con una ridotta incidenza di malattie cardiovascolari, una minore mortalità e un migliore metabolismo osseo. Sembra, inoltre, che i miglioramenti riscontrati siano maggiori dopo un allenamento ad alta intensità rispetto ad uno ad intensità moderata. Le analisi suggeriscono soprattutto il ballo quale esercizio ottimale per i sintomi motori generali del Parkinson, il Nordic Walking maggiormente efficace per la mobilità e l’equilibrio e il Qigong come attività determinante un beneficio specifico nel miglioramento della destrezza manuale. Efficaci anche la pratica di danza, yoga, allenamento multimodale, allenamento acquatico ed exergaming. Attività sportive come il nuoto, il ciclismo, la boxe e il Tai chi, invece, offrono alle persone con Parkinson una combinazione di esercizio cardiovascolare, rafforzamento muscolare, allenamento della coordinazione e impegno mentale, ma anche l’opportunità di mettersi alla prova fisicamente e mentalmente.

Una modifica dello stile di vita con l’avvio di un esercizio fisico regolare può contribuire ad una migliore gestione dei sintomi e al conseguente miglioramento della qualità di vita. L’esercizio fisico e lo sport praticati regolarmente sono quindi cruciali per una gestione integrata della malattia poiché forniscono sia benefici fisici, sia un impatto positivo sul benessere cognitivo ed emotivo, contribuendo a migliorare l’outcome complessivo dei malati.

Un’attività fisica regolare migliora le funzioni motorie, rallenta la progressione della malattia, migliora le funzioni cognitive e promuove il benessere emotivo. Inoltre, impegnarsi in attività sportive offre benefici e opportunità alle persone con Parkinson di sfidare sé stesse fisicamente e mentalmente, promuovendo al contempo un senso di comunità e di realizzazione personale.

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Periferie: il contributo della partecipazione dei cittadini ai servizi die prossimità

Direttore del Patient Advocacy Lab – ALTEMS Università Cattolica del Sacro Cuore

Periferie e prossimità, essere lontani ma essere vicini. Un binomio, quasi un ossimoro, difficile da conciliare. Nell’ambito dei servizi sanitari e sociosanitari è stato sempre un problema trovare soluzioni che facessero sentire i cittadini sicuri di avere la giusta assistenza pur trovandosi in luoghi periferici. Queste problematiche toccano le aree interne dei territori regionali e le grandi città, nelle quali la concentrazione dei servizi è molto spesso, per ragioni storiche e urbanistiche, concentrata nel centro. C’è poi la questione degli ospedali che rappresentano tutt’ora il fulcro della sanità e che sono spesso sottodimensionati rispetto alle periferie che dovrebbero servire anche quando dislocati in modo razionale.

Ultimamente, soprattutto in epoca epidemia COVID 19, si è toccato con mano questa problematica: i cittadini, con molte delle attività ospedaliere ridotte o addirittura interrotte, non sapevano dove andare a farsi assistere. Non a caso le regioni che hanno avuto meno problemi sono state quelle con maggiore distribuzione capillare di servizi sul territorio.

Per rimediare a questo annoso problema, grazie al PNRR con i suoi fondi messi a disposizione anche per la sanità, si è arrivati a un grande ed ambizioso piano di medicina di prossimità, il DM 77 del 2022, che nella forma di un regolamento individua modalità strumenti e standard per rafforzare, mediante adeguate risorse, la presenza di servizi vicini alle persone a prescindere dal territorio in cui si vive. I servizi elencati vanno dagli ospedali e le case di comunità alle COT (centrali operative territoriali che coordinano il tutto), dagli infermieri di comunità al rafforzamento dei consultori familiari, dalle unità mobili di continuità assistenziale all’assistenza domiciliare. I vantaggi di questo piano sono un po’ per tutti, ma i cittadini che potrebbero essere maggiormente favoriti sono proprio quelli lontani, periferici, isolati. Un’altra novità del decreto è quella di aver previsto un ruolo forte delle comunità nelle quali i servizi verranno realizzati con norme e standard relativi alla partecipazione dei cittadini e dei pazienti di quei territori nella pianificazione, co-progettazione, cocreazione e co-realizzazione delle attività, in particolar modo nella Case di comunità. Queste sono strutture aperte 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che offrono servizi sanitari e socio-sanitari di prossimità alla popolazione. Sono oltre 1350 Case della Comunità finanziate con

le risorse del PNRR, diffuse in tutto il territorio nazionale, un luogo fisico e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria e socio-sanitaria. Esse rappresentano un pò il cuore del modello organizzativo dell’assistenza di prossimità per la popolazione, accanto alla forte spinta verso la telemedicina e la digitalizzazione dei servizi.

In questi luoghi, come si può osservare nella tabella sottostante, non c’è solo la necessità di garantire determinati servizi, ma è anche previsto tra gli standard obbligatori il coinvolgimento dei cittadini nelle varie forme possibili: l’informazione, l’ascolto e la consultazione, la pianificazione e la creazione dei servizi, la collaborazione alla loro gestione, il monitoraggio della qualità dei medesimi servizi

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Per dare concretezza a questi indirizzi presso AGENAS – Agenzia per i servizi sanitari regionali, che ha il compito di monitorare semestralmente lo stato di attuazione del DM77, è stato costituito nel 2023 un gruppo di lavoro sulla partecipazione, di cui ha fatto parte anche il Patient Advocacy Lab di ALTEMS (Università Cattolica del Sacro Cuore) assieme ad altri esperti e rappresentanti della Conferenza delle Regioni e PA, che ha lavorato per dare concretezza al tema della partecipazione, articolandone contenuti e modalità di azione, come indicato nella tabelle successive con alcuni esempi sui contenuti prodotti.

Attualmente è in corso una consultazione del mondo delle associazioni dei pazienti e dei cittadini sul documento prodotto, che ancora non è pubblico, per recepire indicazione ed integrazioni, per poi richiedere il recepimento da parte della Conferenza Stato Regioni e quindi la diffusione sul territorio, nelle Asl e nei distretti, con la disponibilità ad accompagnare la sua attuazione con momenti formativi e di supporto territoriale.

Si tratta di un lavoro che sicuramente non risolverà tutti i problemi di distanza tra servizi sanitari e socio sanitari, periferie e cittadini che vi abitano, ma sicuramente può dare un contributo per ridurre questo gap, attraverso il coinvolgimento diretto di coloro che in quei territori vivono, ne conoscono le carenze e le esigenze. E’ necessario considerare che molte risorse dei territori (associazioni, circoli, palestre, servizi privati, esercizi commerciali, ecc.) se coinvolti come comunità pensante ed operante possono fornire un grande aiuto per ridurre il gap di cui stiamo parlando. Spesso c’è una grande distanza tra chi opera nei servizi “istituzionali” e il resto del mondo, che invece, come indica la norma del DM 77, possono rappresentare risorse integrabili in uno spirito aperto e collaborativo. Questo potrebbe essere un vantaggio per le periferie, che non sono un luogo vuoto, sconosciuto e fonte solo di problemi ma spazi umani ricchi di iniziative e di gente che cura ed ama il proprio territorio, che forse sarebbe ora di valorizzare.

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Livelli di partecipazione

Informazione

Consultazione

Partecipazione

Empowerment

Definizione

Processo in cui l’organizzazione/professionista sanitario fornisce informazioni obiettive ed equilibrate destinate a persone/comunità per aiutarle a comprendere problemi, alternative ed opportunità. L’accesso alle informazioni può avvenire su richiesta dei cittadini, o per iniziativa dell’organizzazione/professionista sanitario.

Quando le informazioni riguardano una politica o un progetto che l’organizzazione intende realizzare, le valutazioni e le decisioni sono già state effettuate e le persone/comunità coinvolte hanno l’opportunità di esserne informate.

Processo in cui l’organizzazione/professionista sanitario sottopone un tema alla persona/comunità e ne ascolta opinioni e proposte. La persona/comunità ha l’opportunità di influenzare, tramite le informazioni e le opinioni che fornisce. La decisione finale spetta all’organizzazione/professionista che rende conto di come gli input forniti abbiano inciso o meno sulla decisione.

Processo, basato sul partenariato tra l’organizzazione/professionista sanitario e la persona/comunità, in cui l’analisi dei problemi e l’elaborazione di soluzione sono definiti congiuntamente dai vari attori.

Le persone collaborano in ogni aspetto della decisione, compreso lo sviluppo di alternative e l’identificazione della soluzione preferita, ma la responsabilità della decisione finale è dell’organizzazione.

Processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenze sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.

Le persone/comunità sono in grado di definire e gestire autonomamente progetti/azioni, spesso in collaborazione con l’organizzazione/professionista sanitario, e hanno la responsabilità della decisione finale.

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Rapporto sulla qualità della vita nelle città europee

Quale città in Europa è la più pulita o la più sicura? In quale città è facile trovare un lavoro o una casa a prezzi accessibili? Quale città ha il miglior trasporto pubblico o la migliore qualità dell’aria? Le risposte a queste e molte altre domande si trovano nel Rapporto 2023 sulla qualità della vita nelle città europee. Questo rapporto presenta i principali risultati della sesta edizione dell’indagine sulla qualità della vita nelle città europee. L’indagine copre 83 città in tutta Europa per un totale di oltre 70.000 interviste.

Questo sondaggio, attivo dal 2007, fornisce una visione unica della vita cittadina. Raccoglie le esperienze e le opinioni degli abitanti delle città di tutta Europa.

I risultati dell’indagine del 2023 mostrano che la soddisfazione generale nelle città europee rimane elevata, con quasi nove persone su dieci che dichiarano di essere soddisfatte di vivere nella propria città. I risultati confermano inoltre miglioramenti significativi nella qualità della vita percepita nelle città degli Stati membri orientali.

Mentre le capitali sono percepite come un luogo che offre maggiori opportunità di lavoro, le città più piccole sono percepite come un posto migliore in cui vivere, soprattutto per gli anziani e per le famiglie con bambini piccoli. Le persone si sentono più sicure camminando da sole di notte nelle città più piccole e percepiscono la loro città come più pulita e meno rumorosa rispetto alle persone che vivono nelle città più grandi.

In media, le persone che vivono nelle città non capitali sono più soddisfatte della disponibilità di spazi pubblici, assistenza sanitaria e alloggi. Le città non capitali sono viste anche come un posto migliore in cui vivere per i migranti e per le famiglie con bambini piccoli, e le persone che vivono nelle città non capitali sono più soddisfatte della propria pubblica amministrazione locale.

L’inquinamento atmosferico ambientale è una delle principali cause ambientali di morbilità e mortalità in tutto il mondo, inclusa l’Europa, dove rimane il più

grande rischio per la salute ambientale (europeo Agenzia per l’Ambiente (AEA), 2022). L’inquinamento atmosferico in modo significativo influisce sulla salute umana: durante i periodi di ozono elevato e livelli di particolato (PM), si consiglia ai soggetti di limitare attività vigorose per salvaguardare il proprio benessere. Inoltre, l’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico può avere conseguenze sostanziali a lungo termine sulla salute.

Nonostante i miglioramenti della qualità dell’aria negli ultimi dieci anni, è stato esposto a circa il 95% della popolazione urbana dell’UE livelli di particolato fine (PM2.5) superiori al livello delle linee guida sanitarie stabilite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In 2020, si stima che l’esposizione a PM2,5 abbia provocato circa 275 000 morti premature (EEA, 2022). I problemi di salute possono essere collegati anche all’inquinamento acustico. L’inquinamento provoca almeno 11.000 casi di morte prematura nel L’Europa ogni anno, con quasi 18 milioni di adulti infastiditi dall’inquinamento acustico e altri 5 milioni soffrono di insonnia e disturbo del sonno.

Gli anziani, i bambini e le persone con problemi di salute sono in difficoltà e a rischio più elevato di subire minacce per la salute ambientale rispetto alla popolazione più ampia (EEA, 2018). Inoltre, individui appartenenti a gruppi di status socioeconomico inferiore, come i disoccupati e le persone con reddito basso o inferiori livelli di istruzione, spesso subiscono impatti più gravi e rischi più forti per la loro salute ambientale, dal momento che sperimentano livelli di esposizione più elevati e una maggiore vulnerabilità, specie negli ambienti urbani.

Nel Rapporto sono disponibili mappe e grafici interattivi insieme a informazioni aggiuntive, comprese mappe e grafici scaricabili per tutte le domande coperte dall’indagine, i dati sottostanti, a livello di città, nonché sottoforma di microdati anonimizzati, il questionario completo e i rapporti metodologici di accompagnamento.

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L’iniziativa

Città e CircolariRegioni per sostenere l’economia circolare europea a livello locale e regionale

L’Iniziativa Circular Cities and Regions (CCRI) è un’iniziativa della Commissione Europea, lanciata dalla Direzione Generale per la Ricerca e l’Innovazione nell’ambito del Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare 2020.

Contribuisce agli obiettivi politici del Green Deal dell’UE, compreso l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, e alla strategia dell’UE per la bioeconomia. Il CCRI è finanziato da Orizzonte 2020 e Orizzonte Europa, i programmi quadro di ricerca e innovazione dell’UE.

Combinando condivisione delle conoscenze e supporto tecnico e finanziario, l’iniziativa assiste le parti interessate nelle città e nelle regioni d’Europa, comprese le

autorità regionali e locali, i rappresentanti dell’industria, le organizzazioni di ricerca e tecnologia e la società civile. Fornisce un supporto completo durante l’intero ciclo di vita delle iniziative di economia circolare locali e regionali.

La CCRI si rivolge specificamente alle città e alle regioni dell’UE e le sostiene nel migliorare la circolarità nei loro settori economici, nelle catene del valore e nei servizi. Città e regioni costituiscono il livello di governance più vicino ai cittadini europei e sono fonti di innovazione, trasformazione socioeconomica ed ecosistemi circolari. Sono quindi ben posizionati per guidare il cambiamento verso un’economia circolare sostenibile, rigenerativa e inclusiva.

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Molte città e regioni stanno già elaborando i propri piani per migliorare la circolarità nei rispettivi settori economici, catene del valore e servizi. Anche le iniziative di ricerca e innovazione stanno contribuendo a migliorare la circolarità nei sistemi e nelle economie locali. Sebbene esistano già strumenti politici e di finanziamento, permangono molte lacune nella conoscenza, nell’informazione, nelle competenze e nella consapevolezza.

Un team internazionale di esperti di economia circolare offre supporto pratico e su misura per accelerare l’attuazione dell’economia circolare nelle città e nelle regioni. Più nel dettaglio:

• sostiene la cooperazione, le sinergie e le complementarità tra i progetti pilota e i ricercatori CCRI, i progetti CCRI, i partner associati e altri soggetti interessati;

• assiste le città e le regioni pilota del CCRI nello sviluppo dei loro CSS, oltre a sostenere lo scambio e l’ampliamento delle buone pratiche;

• analizza le principali lacune nella ricerca e nell’innovazione, ma anche i principali ostacoli (politici, tecnici, normativi) e i fattori trainanti della transizione all’economia circolare su scala locale e regionale, e fornisce raccomandazioni politiche per superarli;

• presenta le lezioni apprese dalle attività di CCRICSO per ulteriori attività di diffusione, comunicazione e sensibilizzazione.

URBAN HEALTH COLUMNS

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Vice Segretaria generale di Cittadinanzattiva

Diseguaglianze di salute nelle periferie: l’occasione che stavamo aspettando per superarle

Che le condizioni sociali ed economiche abbiano delle conseguenze sulla salute è una evidenza portata all’attenzione pubblica da molti studiosi. Accanto a questa evidenza altrettanto numerosi sono gli studi che, a partire da Pierre Bourdieu, mostrano quanto le biografie degli individui - che dipendono in larga parte dal capitale sociale, economico e culturale di cui dispongono - a loro volta lasciano impronte sul corpo e ne modificano la biologia. Il reddito, le conoscenze acquisite e le reti di relazioni, ossia i tre capitali di cui dispongono gli individui secondo Bourdieu si possono convertire l’uno nell’altro, accumulare e trasmettere ai familiari e alle generazioni successive. Sebbene alcuni sostengano che sarà necessario continuare a fare degli studi per comprendere meglio i meccanismi che trasformano la biografia di una persona nella sua biologia, è ormai appurato che la povertà e le condizioni ambientali e sociali di origine contano ma altrettanto le vicissitudini familiari, le abitudini di vita e la scelta del lavoro.

Dunque, come direbbe Amartya Sen, le potenzialità di cambiamento di un individuo dipendono dai capitali di cui dispone ma anche dalle effettive possibilità di scelta nelle circostanze in cui si trova, perché il contesto facilita o rende più difficile il cambiamento.

Per mettere in atto politiche pubbliche mirate, bisogna dunque tener conto della complessità dei fattori che determinano le diseguaglianze di salute: ambiente, socialità, contesto di vita e lavoro, quartiere in cui si risiede, qualità di vita, stili comportamentali, capacità e possibilità di accedere a informazioni e servizi che facilitino la prevenzione e la cura.

Con tali premesse, appare evidente che per mantenere in buona salute la popolazione che vive nelle periferie e superare o mitigare le diseguaglianze di salute in tale contesto, occorrano interventi di politiche pubbliche multidimensionali e interventi universalistici di prevenzione e cura che possano raggiungere in modo diffuso anche i più vulnerabili, spesso “invisibili”. La Carta civica della salute globale di Cittadinanzattiva ne prevede alcuni, come servizi operanti sul margine sociale con attività da svolgere direttamente nei luoghi di vita e di incontro di persone in condizione di emarginazione, campagne di alfabetizzazione sanitaria nelle periferie, campagne di prevenzione e screening per patologie collegate alla povertà e alla emarginazione, ambulatori a bassa soglia d’accesso e ad alto impatto relazionale, interventi di offerta attiva di orientamento e prevenzione nei mercati rionali, nei luoghi di lavoro ad alto sfruttamento, nelle mense sociali, negli edifici occupati, nei campi rom; programmi di accesso allo sport nelle periferie.

Più in generale in questi quartieri si dovrebbero rafforzare le cure primarie, i servizi territoriali e la medicina generale, al fine di affrontare la complessità dei problemi in modo più efficace e di ridurre il sovraccarico degli ospedali. Occorre qui più che altrove attuare la riforma dell’assistenza territoriale con case, ospedali di comunità e Centrali operative territoriali previste dal PNRR.

A questo scopo è utilissimo il film documentario “Idee per le Case della Comunità” di Ambrogio Manenti che descrive, seppure non facendo riferimento alle periferie, quattro esperienze di successo di Case della salute - Le Piagge (Firenze), Fanano (Modena), Castelfranco (Modena) e Querceta (Lucca) - che operano da alcuni anni erogando cure primarie universalmente accessibili, gestite da équipe multidisciplinari e centrate sulla persona in risposta alla gran parte dei problemi di salute del singolo e della comunità.

Da queste esperienze emerge che il punto di forza delle Case della salute è stato quello di interconnettere servizi esistenti, garantire medicina di gruppo, senza più barriere tra medici di medicina generale e medici specialisti, offrire servizi di telemedicina e garantire infermieri di comunità, radiologi, operatori per la salute mentale e servizi sociali.  Le stesse caratteristiche dovrebbero avere le Case delle Comunità che il PNRR prevede di attivare entro il 2026, pensate proprio come strutture ove opereranno medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e assistenti sociali. Le case della comunità potrebbe dunque rappresentare, per le grandi periferie urbane, l’occasione che stavamo aspettando.

Occasione che andrebbe sprecata se Asl e Comuni non collaborassero, se non si mettessero in rete con altri servizi territoriali, se non si creassero collegamenti con i servizi culturali – pensiamo alle potenzialità delle biblioteche pubbliche come presidi sociali sul modello di quelle che descrive Antonella Agnoli ne “La casa di tutti” – ma soprattutto senza coinvolgere quelle comunità di cui le Case sarebbero presidio sanitario di riferimento.

Molte sono state le iniziative della cittadinanza attiva in questa direzione, ad esempio attraverso la nascita dell’Osservatorio civico PNRR o la Mappatura di case e ospedali di comunità pubblicata da Cittadinanzattiva a maggio 2022 che insistono sulla necessità che gli abitanti dei quartieri interessati non siano considerati meri destinatari di servizi ma possano co-progettare le case della comunità. La partecipazione dei cittadini è stata prevista sin dalla Legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale, è una risorsa per le istituzioni e le amministrazioni pubbliche, ma ancora troppo spesso ci troviamo di fronte a amministrazioni rigide, deboli e occupate a perseguire obiettivi di breve termine, poco inclini a investire tempo nella partecipazione. D’altro canto la complessità della realtà, la limitatezza delle risorse disponibili, il livello di empowerment raggiunto dai cittadini, la facilità e l’immediatezza della comunicazione rendono impossibile per chiunque governare efficacemente la realtà e cambiare in meglio le cose senza che alla costruzione di servizi e politiche pubbliche partecipino anche i cittadini.

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di Francesco Colavita

Dirigente staff Direzione generale Asl Salerno, e Teresa Bonacci, Responsabile Ufficio stampa e comunicazione Federsanità

La “bottega di comunità” nel Cilento interno

Il modello integrato della provincia di Salerno per la salute di prossimità

Un ulteriore tassello che rafforza la costruzione di un modello organizzativo, tutto salernitano, che trae spunto dalla capacità di mettere a sistema le energie del territorio e le diverse fonti di finanziamento. Un modello pubblico sperimentale in cui gli operatori sanitari e sociosanitari, volontariato e Istituzioni locali rappresentano il collegamento fra i residenti e i Servizi. Con l’avvio della procedura pubblicata lo scorso novembre dalla ASL Salerno, si concretizza un altro tassello della programmazione integrata e di complementarietà delle risorse della Missione 5 e della Missione 6 del PNRR e dei fondi dedicati alla Linea APQ Cilento Interno.

Sono 29 le Amministrazioni locali coinvolte insieme all’ASL Salerno nel framework assistenziale sperimentale di potenziamento dei servizi d’assistenza territoriale nei Comuni ricompresi nell’area interna del Cilento, con l’intento di offrire alla popolazione cilentana percorsi multidisciplinari e integrati, basati sulla collaborazione di differenti figure specialistiche che, integrandosi, possano offrire alla persona un percorso di salute duraturo e ben collaudato.

Lo scopo è ambizioso e dichiarato: la presa in carico diffusa e multi-professionale, soprattutto per una delle aree interne della provincia dove lo spopolamento e la distanza con i punti di erogazione dei servizi sanitari mette in discussione il concetto cardine dell’equità per la salute. Una proposta che parte dai Sindaci del territorio e dalla ASL per combattere lo spopolamento, aumentare il grado di equità del sistema sociosanitario e contrastare le fragilità, arrivando a casa delle persone con la tecnologia e con percorsi integrati di salute chiari e definiti. La ASL ha inoltre da poco siglato una convenzione direttamente con l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari regionali – AGENAS per il monitoraggio degli esiti della sperimentazione.

Fare rete tra le Istituzioni, integrando funzionalmente - anche tramite il supporto della telemedicina e della tecnologia - le attività dei Comuni e dell’Azienda Sanitaria. In questo modello d’integrazione diffusa e di sanità di prossimità, fulcro fondamentale sono i medici di medicina generale, gli infermieri di famiglia, gli assistenti sociali e le farmacie rurali per raccordare direttamente la presa in carico della persona nel “patient journey”, il viaggio di cura di ogni persona.

La collaborazione tra Comuni, ASL Salerno e Regione Campania ha portato alla predisposizione di un modello “sartoriale”, disegnato sulle esigenze epidemiologiche e sanitarie del Cilento interno. La convinzione è

che abbia più efficacia spostare i servizi, sociali e sanitari, che obbligare le persone a tanti cambiamenti nelle fasi più delicate dell’esistenza (quello degli anziani è il caso emblematico).

“L’obiettivo dell’Azienda è quello di realizzare piccoli nodi della rete assistenziale aziendale, flessibili e dotati delle migliori tecnologie per la telemedicina, inseriti in ognuno dei ventinove paesini che abbiamo individuato per la sperimentazione” dichiara l’Ing. Gennaro Sosto, Direttore Generale della ASL Salerno. “La soddisfazione sta nel grande lavoro istituzionale, di squadra, tra la ASL e le Amministrazioni Comunali, le farmacie rurali, la rete delle cure primarie, i medici di medicina generale e della continuità assistenziale e i Distretti “. Il modello prevede la realizzazione di una “bottega di comunità”, uno spazio messo a disposizione da ognuno dei 29 Comuni, che funzionerà da “spoke” multi-specialistico della Casa della Comunità, dell’Ospedale di Comunità e dei Distretti n. 69 e n. 70. Alla tecnologia è poi deputato il ruolo di elemento favorente per la condivisione delle informazioni tra professionisti, della stratificazione della popolazione, in maniera tale da avere in comune il pregresso e la storia clinica del paziente, per un corretto orientamento all’interno del percorso di assistenza e cura, a favore anche di una migliore aderenza alle terapie e un maggior coinvolgimento attivo della persona nel suo percorso di cura.

“Sperimentiamo un modello che sarà poi replicato su tutto il territorio provinciale. E lo facciamo anche grazie all’importante sinergia che si è instaurata tra ANCI Campania – Coordinamento Piccoli Comuni e la ASL Salerno” afferma Stefano Pisani, Coordinatore Piccoli Comuni ANCI Campania – “L’innovazione organizzativa e la reale integrazione tra dimensione sociale e sanitaria sono gli strumenti che le Istituzioni hanno per combattere lo spopolamento. Come ANCI siamo convinti che i valori profondi della comunità coesa, uniti alla tecnologia e all’innovazione, possano rendere ancora più accoglienti i nostri piccoli comuni e proteggere le persone che scelgono di abitarli. Grazie al grande lavoro posto in essere dal DG Gennaro Sosto e da tutto il gruppo di lavoro dell’ASL Salerno”. Il potenziamento della sanità territoriale e la compiuta realizzazione delle linee previste all’interno del DM 77/2022. Servizi infermieristici in presenza per ognuna delle Botteghe della Comunità, prestazioni specialistiche sia in loco che in telemedicina per le patologie croniche ad alta prevalenza in collaborazione con la medicina di base e la rete di farmacie di servizi del territorio.

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Disuguaglianze: moltinessunpiani,Piano

di Duilio Carusi

Coordinatore Osservatorio Salute Benessere e Resilienza – Fondazione Bruno Visentini, Adjunct Professor Luiss Business School

In occasione dell’Ultimo Simposio sulla Vicinanza della salute dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione Bruno Visentini, intitolato “Tessuto connettivo della salute” abbiamo impostato una riflessione sulle peculiarità della realtà italiana relative all’ampia distribuzione della popolazione sul territorio e all’elevata (rispetto al panorama internazonale) percentuale di popolazione residente in aree rurali. Queste caratteristiche, pur ponendo sfide specifiche a livello di complessità nelle interconnessioni, di eterogeneità delle comunità, di distribuzione dei servizi di salute, sono risultate essere uno dei punti di forza sia del nostro sistema produttivo sia del nostro sistema di salute, meritando quindi la più alta priorità di interesse per il futuro sviluppo del Paese.

In tema di periferie e disuguaglianze innanzitutto quindi va definito il perimetro di “periferia” che può andare dalla “periferia del mondo”, alla periferia urbana.

Spesso, soprattutto nelle aree metropolitane più vaste, queste due periferie coincidono, risultando ampiamente rapresentate le periferie del mondo nelle periferie urbane.

In termini di salute, questo si traduce in una seria attenzione da porre sui fattori che influiscono sulla salute e che afferiscono alla sfera dei cosiddetti determinanti sociali della salute.

Ampia è la letteratura (molta prodotta dai colleghi che arricchiscono con i propri contributi le pagine di Urbes) sull’impatto che le differenze di natura culturale, sociale ed economica provocano sullo stato di salute individuale e sull’aspettativa di vita, potendo trovare delle utilissime mappature del tessuto urbano di varie città come Bologna o Torino proprio incentrate sul gradiente socio-economico nelle disuguaglianze di salute.

Oltre ad agire a livello di area urbana, il gradiente socio-economico esplica però macroscopicamente la sua portata anche a livello Paese, facendo segnare un gap di 1,5 anni nell’aspettativa di vita tra il nord e il mezzogiorno d’Italia, come rilevato dal recente rap-

porto Svimez.

Su questo tema l’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza ha ulteriormente rilevato, attraverso il calcolo del proprio Indice di Vicinanza della salute contenuto nell’ultimo rapporto di ricerca 2023 intitolato “Unire i puntini: verso un Piano nazionale di salute”, come la “Omogeneità territoriale” del Paese stia colando a picco perdendo 32 punti su 100 dal 2010.

Questo squilibrio nella “Vicinanza della salute” sempre più grave tra nord e sud sotto il profilo sanitario, viene inoltre rinforzato da un dato economico messo in evidenza sempre dall’Osservatorio. Nelle rilevazioni effettuate sui dati MEF a partire dal 2020 emerge infatti come il gettito IRPEF lordo pro-capite per macroarea faccia segnare in maniera inalterata uno squilibrio di oltre 30 punti base tra un nord che presenta un valore di gettito IRPEF pari al 110% della media nazionale ed un mezzogiorno che si attesta di contro ad un più misero 80%.

Questo tipo di dato di disparità consolitata rinforza la previsione che bisogna approcciare il fenomeno in senso più ampio se si ha l’obiettivo di superare disequilibri e disuguaglianze che, come un frattale, si irradiano dalla scala globale a quella locale.

Quello che serve è un cambio di passo da parte del decisore con una rinnovata consapevolezza che per affrontare tali problematiche diviene necessario analizzare i vari contesti di carattere sociale, economico ed ambientale attraverso strumenti che considerino misure di disuguaglianza e sostenibilità, nell’ottica di rispettare e tutelare la Salute delle persone tramite un approccio definito sia dalla strategia Health in All Policies (HIAP), che dalla logica One Health promosse dal WHO.

Ad oggi, risulta indispensabile tracciare un quadro di riferimento che tenga conto dei determinanti della salute inserendoli nel più ampio scenario definito dagli obiettivi strategici tracciati dall’Agenda 2030 e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Negli anni recenti sono stati proposti e attivati molti Piani e Programmi finalizzati alla riduzione delle di-

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sparità urbane e territoriali: grazie ad una rinnovata coscienza post-pandemica sui temi di salute e ambientale e grazie ad una rinnovata cogenza programmatoria imposta dal PNRR, si è assistito ad una sorta di ipertrofia nella produzione normativa.

Il passo che non è stato ancora compiuto è quello di mettere a fattor comune le varie istanze in materia inserendole in uno sforzo di pianificazione più ampio a livello nazionale, in grado di raccordare i diversi contributi per raggiungere gli obiettivi di contrasto delle disuguaglianze a livello locale e nazionale.

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50 60 70 80 90 100 110 2010201120122013201420152016201720182019202020212022 Omogeneità territoriale 60 70 80 90 100 110 120 201020112012201320142015 201620172018201920202021
Nord Centro Mezzogiorno Italia
Gettito IRPEF lordo pro capite per macroarea Figura 1 - Dominio: Omogeneità territoriale - Indice di Vicinanza della salute - Osservatorio Salute Benessere e Resilienza Figura 2 - Gettito IRPEF lordo pro capite per macroarea - Indice di Vicinanza della saluteOsservatorio Salute Benessere e Resilienza

L’approccio multidisciplinare evita nuove e ingiuste disuguaglianze di

salute

“Ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”.

[Italo Calvino, Le città invisibili].

di Luisa Brogonzoli

Centro Studi Fondazione The Bridge

La vita delle persone - e in larga misura la loro domanda in termini di opportunità economica, legami sociali, vita culturale, tecnologie - si manifesta in modo crescente nel contesto urbano. Come noto, le città e gli ambienti metropolitani ospitano oltre il 50 % della popolazione mondiale e le previsioni demografiche vedono questa percentuale in continua crescita e attestarsi ad oltre il 70 per cento nel 2050 [[WHO, 2015].

Nelle aree metropolitane lo stato di salute pubblica è influenzato dalle caratteristiche e dalle condizioni della città; l’ambiente urbano rappresenta un incubatore di fattori di rischio per la salute, in termini di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, mancanza di aree verdi, disuguaglianze sociali, e così via.

Il rapporto Save The Children del 2023 segnala che tra gli 0-19enni che vivono in Italia, cioè più di tre milioni e mezzo, quasi 2 su 5 vivono nelle 14 città metropolitane dove, in media, vive anche il 13,7% dei contribuenti con reddito inferiore ai 15 mila euro annui. Sempre 2 su 5 vivono in abitazioni sovraffollate e spesso danneggiate, in luoghi dove si risente della mancanza di spazi collettivi e l’accesso al tempo pieno nella scuola primaria è significativamente inferiore alla media nazionale.

La periferia, nell’immaginario collettivo, è il luogo in cui tutto rimane immutato, uguale a sé stesso, soprattutto in termini di possibilità e di opportunità. Un non luogo dove i determinanti sociali tendono al ribasso generando situazioni di degrado. Eppure, il termine deriva dal greco portare intorno, girare, suggerendo dunque un’azione che rovescia il concetto di immobilità e genera il movimento che è alla base delle relazioni umane. Dove si inceppa dunque questo meccanismo potenzialmente virtuoso? Sembra fin troppo banale, ma rende l’idea, immaginare le città come dei cerchi all’interno dei quali man mano che ci si allontana dal centro si perdono forze, energie, risorse., slittando dal termine periferia a quello di perifericità.

di Eva Massari

Centro Studi Fondazione The Bridge

Tutti questi elementi, culturali, sociali, economici, concorrono a influenzare in modo risolutivo la salute; i determinanti di salute - fattori la cui presenza o assenza cambia positivamente o negativamente lo stato di salute della popolazione – vengono tradizionalmente suddivisi in 4 macro-categorie con differente influenza sul totale: 50% fattori socio-economico e comportamentali 20% condizioni ambientali 20% fattori genetici 10% servizio sanitario (socio-assistenziale). Ciò spiega il motivo per cui i centri urbani offrano condizioni di vita ed uno stato di salute pubblica migliore rispetto alle periferie; in altri termini, l’aspettativa di vita media presenta delle disuguaglianze di salute man mano che dal centro della città si procede verso la periferia. Infatti, è ormai dimostrato dai dati epidemiologici, come i determinanti socio-economici influenzino la morbilità e la mortalità; la condizione socio-economica determina non solo un diverso accesso alle cure, ma anche una differente disposizione alla prevenzione, così come risulta la cultura influenza l’aspetto psico-sociale e le conseguenti scelte di vita. Per non parlare di come elementi fisici, come la qualità dell’ambiente indoor (spesso denunciato come caratterizzante gli alloggi ERP), possano costituire direttamente fattori di rischio.

Recentemente, per integrare diverse discipline della sanità pubblica e delle scienze ambientali, è stato introdotto il concetto di esposoma che analizza la totalità delle esposizioni di un individuo nel corso della vita, e le relazioni tra esse, per considerare contemporaneamente più fattori di rischio e stimare più accuratamente cause concomitanti di diversi esiti di salute, permettendo di individuare i meccanismi che portano alle diseguaglianze sociali di salute. Diversi studi hanno evidenziato come le cause fondamentali delle disuguaglianze sanitarie possono essere rintracciate in una distribuzione ineguale di reddito, potere e ricchezza, insieme ad elementi a esse correlate come lavoro, formazione scolastica, alloggi di buona qualità, tutti fattori che, nel complesso, sono in grado di portare all’emargi-

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nazione di individui e gruppi [McCartney G., 2011]; e spesso non si tratta solo di un deficit di servizi, ma di sistema. Ad esempio, uno studio ha evidenziato che a Torino ci sono 4 anni di differenza tra chi vive e chi è nato nelle periferie del nord-ovest e chi vive nel sudest, ovvero in quelle zone un po’ più ricche [Costa G. Stroscia M. Zengarini N. Demaria M., 2017]; così come a Bologna ci si ammala di più e ci si cura peggio nelle zone della città maggiormente caratterizzata da disagi economici, educativi e di socialità [Alma Mater, 2023].

In questo contesto risulta chiaro come le città – e soprattutto le periferie – possano rappresentare un determinante di salute. A tal proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito “la nuova epidemia urbana” riferendosi alla ormai acclarata correlazione tra il fenomeno del crescente inurbamento, e della conseguente urbanizzazione delle periferie, e la crescita delle malattie croniche non trasmissibili, come cardiopatie, diabete, broncopneumopatie e tumori. Allo stesso modo le statistiche evidenziamo come i fattori socioeconomici giocano un ruolo significativo nello sviluppo della depressione nelle periferie.

Diversa è, invece, la situazione guardando ai (pochissimi) dati a disposizione sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA), il fenomeno psichiatrico maggiormente cresciuto con la pandemia, da cui emerge che al momento non sembrano esistere prove sufficienti per sostenere che possano essere associati ad alcuna condizione socioeconomica o contesto di vita. Mentre ciò che risulta è che sembra esistere grande differenza nell’accesso alle cure e nel trattamento dei DNA poiché, a livello nazionale, le reti di cura non sono omogeneamente distribuite e, quelle pubbliche, non sono sempre sufficienti, mentre quelle private (talvolta fuori Regione) non sono alla portata di tutti. In sintesi, si può affermare che i Disturbi della Nutrizione siano “disturbi democratici” che non sembrano essere influenzati da tenore di economico, etnia e istruzione, ma, al contrario, sono poco democratici per quanto attiene alla diagnosi e all’accesso alle cure.

Le disuguaglianze sanitarie sono le differenze ingiuste ed evitabili nella salute delle persone gruppi sociali e tra diversi gruppi di popolazione; vanno contro i principi della giustizia sociale perché sono evitabili. Sono socialmente determinate da circostanze spesso al di fuori del controllo delle singole persone pur limitandone le loro possibilità di vivere una vita più lunga e più sana.

Il concetto da perseguire è certamente la multidisciplinarietà in chiave Urban Health attraverso cui l’attenzione si sposta da un modello prettamente sanitario, focalizzato sull’individuo, a un modello sociale in cui la salute è la risultante di diversi fattori socio-economici, culturali e ambientali; in questo contesto, anche la pianificazione urbana può essere considerata oggi uno strumento di promozione della Salute Pubblica. La salute non può più un tema esclusivo dell’ambito ristretto della sanità, ma è un obiettivo prioritario fortemente influenzato dal contesto in cui si vive e conseguentemente dalle strategie attuate dai governi locali.

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Periferie e disuguaglianze di salute: l’attività di Ricerca del Gruppo di Lavoro “Igiene dell’Ambiente Costruito” della Società Italiana di Igiene e medicina preventiva (SItI)
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1 Corsi residenziali di aggiornamento:

1. URBAN HEALTH: STRUMENTI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E PER LA VALUTAZIONE DEGLI ASPETTI IGIENICO-SANITARI NELLE AREE URBANE Erice, 29 marzo-2 aprile 2017

2. RE-THINKING, DESIGNING AND MANAGING SALUTOGENIC CITIES, Erice 24-28 giugno 2021

3. HOSPITAL AND HEALTHCARE INFRASTRUCTURES OF THE FUTURE. Planning, Designing, and managing the facilities for the new global healthcare: bridging the gap between designers and public health professionals. Erice 15-18 marzo 2023

2 Selezione delle principali pubblicazioni del GdL

1. D’Alessandro, D.; Arletti, S.; Azara, A.; Buffoli, M.; Capasso, L.; Cappuccitti, A.; Cecchini, A.; Costa, G.; De Martino, A.M.; Dettori, M.; Di Rosa, E.; Fara, G.M.; Ferrante, M.; Giammanco, G.; Lauria, A.; Melis, G.; Moscato, U.; Oberti, I.; Patrizio, C.; Attendees of the 50th Course Urban Health. Strategies for Disease Prevention and Health Promotion in Urban Areas: The Erice 50 Charter. Ann Ig. 2017;29(6):481-493. https://doi.org/10.7416/ai.2017.2179

2. Capolongo, S.; Rebecchi, A.; Dettori, M.; Appolloni, L.; Azara, A.; Buffoli, M.; Capasso, L.; Casuccio, A.; Oliveri Conti, G.; D'Amico, A.; Ferrante, M.; Moscato, U.; Oberti, I.; Paglione, L.; Restivo, V.; D'Alessandro, D. Healthy Design and Urban Planning Strategies, Actions, and Policy to Achieve Salutogenic Cities. Int J Environ Res Public Health. 2018 Nov 29;15(12):2698.

https://doi.org/10.3390/ijerph15122698

3. D'Alessandro, D.; Gola, M.; Appolloni, L.; Dettori, M.; Fara, G.M.; Rebecchi, A.; Settimo, G.; Capolongo, S. COVID-19 and Living space challenge. Well-being and Public Health recommendations for a healthy, safe, and sustainable housing. Acta Biomed. 2020 Jul 20;91(9- S):61-75.

https://doi.org/10.23750/abm.v9119-S.10115

4. Capolongo, S.; Rebecchi, A.; Buffoli, M.; Appolloni, L.; Signorelli, C.; Fara, G.M.; D'Alessandro, D. COVID-19 and Cities: from Urban Health strategies to the pandemic challenge. A Decalogue of Public Health opportunities. Acta Biomed. 2020 May 11;91(2):13-22. https://doi.org/10.23750/abm.v91:2.9615

5. Appolloni, L.; Gola, M.; Raffo, M.; Capasso, L.; Settimo, G.; Moscato, U.; Azara, A.; Dettori, M.; Capolongo, S.; D'Alessandro, D. Towards an update of the Italian Ministerial Decree July 5th, 1975. Ann Ig. 2020 Sep-Oct,32(5 Supple 1):66-84. https://doi.org/10.7416/ai.2020.3395

6. Appolloni, L.; Dettori, M.; Petronio, M.G.; Raffo, M.; Settimo, G.; Rebecchi, A.; Buffoli, M.; Capolongo, S.; D'Alessandro, D. A proposal of hygienic and sanitary standards for the new Building Code in Italy. Ann Ig. 2020 Sep-Oct;32(5 Supple 1):85-109. https://doi.org/10.7416/ai.2020.3396

7. Capolongo, S.; Gola, M.; Brambilla, A.; Morganti, A.; Mosca, E.I.; Barach, P. COVID-19 and Healthcare Facilities: a Decalogue of Design Strategies for Resilient Hospitals. Acta Biomed. 2020 Jul 20;91(9-S):50-60. https://doi.org/10.23750/abm.v91i9-S.10117.

8. Appolloni, L.; D'Alessandro, D. Housing Spaces in Nine European Countries: A Comparison of Dimensional Requirements. Int. J. Environ. Res. Public Health 2021, 18, 4278.

https://doi.org/10.3390/ijerph18084278

9. D'Alessandro, D.; Appolloni, L. Housing and health: an overview. Ann Ig. 2020 Sep-Oct;32(5 Supple 1):17-26.

https://doi.org/10.7416/ai.2020.3391

10. D'Alessandro, D.; Buffoli, M.; Capasso, L.; Fara, G.M.; Rebecchi, A.; Capolongo, S. Green areas and public health: Improving wellbeing and physical activity in the urban context. Epidemiol. Prev. 2015, 39, 8-13.

11. Gola M, Signorelli C, Buffoli M, Rebecchi A, Capolongo S. Local health rules and building regulations: a survey on local hygiene and building regulations in italian municiples. Ann. Istituto Superiore di Sanità. 2017; 53(3): 223-230. https://doi.org/10.4415/ANN_17_03_08

3 I due libri sono:

D’Alessandro D, Capolongo S. Ambiente costruito e salute. Franco Angeli, Milano, 2015 Capolongo S, D’Alessandro D. Città in salute. Maggioli editore. Santarcangelo di Romagna (RN), 2017

4 I siti web di riferimento dei progetti CCM sono: https://www.ccm-network.it/progetto.jsp?id=node/1920&idP=740 https://www.ccm-network.it/progetto.jsp?id=node/1974&idP=740

5 Tavolo di lavoro per la definizione dei requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici, 2021

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Nel biennio 2023-1024 il Gruppo di Lavoro intende proseguire le linee di attività già in essere, integrandole con l’individuazione di obiettivi prestazionali sanitari degli edifici scolastici e degli ospedali, per predisporre linee di indirizzo e/o indicazioni utili ai fini dell’aggiornamenti nelle norme vigenti in materia.

Inoltre, in linea con il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2020-2025, il GL-IAC sta lavorando sulla messa a punto di nuovi strumenti formativi con un duplice obiettivo:

• sviluppare, negli operatori sanitari, specifiche competenze sul tema degli ambienti confinati, dell’edilizia residenziale e dell’ambiente urbano “salutogenico”, nella logica dell’Urban Health;

• favorire, attraverso l’intervento degli operatori sanitari, la sensibilizzazione della popolazione sull’importanza di queste tematiche, ai fini della promozione della salute negli ambienti di vita.

Il Gruppo di Lavoro intende promuovere alcune ricerche, considerando prioritari temi quali, da un lato, il livello di alfabetizzazione della popolazione sull’Indoor Enviornmental Quality e l’Indoor Well-being (con particolare riferimento all’aria indoor) e, dall’altro, il livello di attuazione del PNP sui temi legati all’Urban Health e alla promozione/protezione della salute nelle aree urbane.

Il 31 Gennaio 2024, si è svolta a Milano, nella Fondazione Renzo Piano, presso il Politecnico di Milano, la prima riunione 2024 del Gruppo di Lavoro, occasione

nella quale sono state definite le attività 2024, che si articoleranno in tre linee di Ricerca: Urban Health (Climate Change, misure di impatto e strategie di prevenzione; indagine sull’attuazione del PRP nel contesto Nazionale); Healthy Buildings (indagine nazionale IAQ; impatti dell’ambiente costruito sulla salute mentale); Hospital and Health care services Design (Next Generation Hospital; Accessibilità, inclusione e Universal Design).

Infine, il GdL ha individuato WCDH2024 Milano 11-14 Aprile 2024, SItI2024 Palermo 23-26 Ottobre 2024, EPH2024 Porto 12-15 Novembre 2024, quali momenti chiave per la disseminazione e la divulgazione scientifica.

Per le diverse iniziative proposte il gruppo di lavoro auspica la partecipazione di specialisti in formazione e di operatori del territorio. Per maggiori info sulle attività del GdL “Igiene Edilizia”, lasciamo i riferimenti della Coordinatrice, Prof.ssa Daniela D’Alessandro (daniela.dalessandro@uniroma1.it).

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Disparità sociali nelle grandi città: un’Italia a due velocità

«Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi». Già dalle parole di questa breve descrizione, scritte da Italo Calvino nell’introduzione del suo celebre libro Le città invisibili, emerge come la città sia una fucina di opportunità. Soprattutto i viaggiatori, come il grande Marco Polo, protagonista del racconto calviniano, riescono a cogliere l’essenza delle singole città che si trovano ad attraversare, nonché a metterne in luce le differenze. Infatti, nei dialoghi de Le città invisibili tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, che nel corso del libro interroga l’esploratore sulle città del suo sconfinato impero, si nota un aspetto importante, ravvisabile in maniera ancora più evidente oggi nel nostro Paese: la città è sì un microcosmo di opportunità, ma anche di disuguaglianze.

«Quello che sta a cuore al mio Marco Polo», continua Calvino, «è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi». Le metropoli italiane come Roma, Milano e Torino, offrono esempi emblematici di questa dicotomia, che vede da un lato quartieri opulenti con alti redditi, servizi efficienti e opportunità fiorenti, dall’altro periferie relegate ai margini, con sacche di povertà, carenze strutturali e scarse prospettive per il futuro. È un divario che, senza dubbio, si manifesta in diversi aspetti della vita quotidiana.

A Roma, ad esempio, il divario di reddito tra centro e periferie è significativo. Il reddito medio annuale pro capite nel centro storico è di circa 35.000 euro, mentre nelle periferie scende a 15.000 euro (fonte: Istat, 2023). Il 40,1% dei residenti romani dichiara un reddito inferiore a 15.000 euro, mentre solo il 2,4% ha un reddito superiore ai 100.000 euro (fonte: Comune di Roma, 2021). Per quanto riguarda l’istruzione, invece, emerge

un dato allarmante: il tasso di dispersione scolastica nelle periferie è del 12%, contro il 5% del centro (fonte: MIUR, 2023). La quota di diplomati nelle periferie è del 45%, contro il 65% del centro (fonte: Istat, 2023).

Altro nodo fondamentale è quello dei trasporti. La frequenza dei mezzi pubblici nelle periferie è inferiore rispetto al centro, con tempi di attesa più lunghi e corse meno affidabili (fonte: ATAC, 2023). La linea C della metropolitana, inaugurata nel 2014, ha contribuito a ridurre il divario di accessibilità tra centro e periferia, ma ancora molto rimane da fare. Significativo, inoltre, soprattutto se si considera che si sta parlando della Capitale d’Italia, è la carenza di medici di base nelle periferie, che è di oltre il 30% (fonte: ASL Roma 1, 2023). Le liste d’attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici sono più lunghe nelle periferie rispetto al centro.

Un ulteriore punto critico della Capitale è il costo degli alloggi. Il costo degli affitti e delle case di proprietà è molto più elevato nel centro storico e nei quartieri benestanti rispetto alle periferie. Il 62% dei romani vive in affitto, con una media di 750 euro al mese (fonte: Camera di Commercio di Roma, 2023). Oltre ai prezzi esosi, bisogna tenere presente anche che le periferie sono spesso caratterizzate da edilizia popolare fatiscente, carenze di manutenzione e sovraffollamento. In generale, a Roma il 15% della popolazione vive in povertà assoluta, con una concentrazione maggiore nelle periferie (fonte: Caritas Italiana, 2023); il tasso di disoccupazione è del 12%, con punte del 20% nelle periferie (fonte: Istat, 2023); il tasso di criminalità è più elevato nelle periferie rispetto al centro, con reati come furti, spaccio di droga e aggressioni più frequenti.

Il quadro che si è dato di Roma, presa come esempio in quanto Capitale d’Italia, vale in linea di massima –seppur con alcune dovute differenziazioni – anche per gli altri maggiori centri metropolitani, come Milano e Torino, che presentano contesti e problemi simili. Il comune denominatore fra tutti gli aspetti esaminati è una sostanziale disparità sociale nei centri urbani, con un’Italia che viaggia a due velocità. Se questo era lo spaccato di grandi città italiane, che comunque, nonostante le criticità esaminate, per molte persone continuano a rappresentare – a buon diritto – una concreta possibilità di miglioramento della propria vita, per maggiori opportunità lavorative o di altro tipo, altra situazione, talvolta di gran lunga peggiore, è quella dei centri medio-piccoli del Mezzogiorno, spesso molto arretrati rispetto al resto d’Italia e con poche opportu-

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nità di sviluppo, soprattutto per i giovani, costretti a spostarsi in altre zone del Paese o addirittura all’estero.

Per contrastare questa dilagante marginalizzazione, è necessario un impegno a lungo termine su diversi fronti. Interventi mirati di welfare e riqualificazione urbana sono cruciali per le periferie. Promuovere l’inclusione sociale, l’accesso ai servizi e al lavoro sono gli elementi chiave per dare nuova vita a queste aree dimenticate. La lotta contro la povertà e l’aumento del salario minimo sono misure urgenti per ridurre il divario tra ricchi e poveri, poiché una società a due velocità, dove la distanza tra classi sociali diventa incolmabile, è un pericolo per l’intera collettività. Investire nella rigenerazione urbana delle periferie è fondamentale per renderle quartieri più attrattivi e vivibili. Migliorare la qualità degli alloggi, la sicurezza e le infrastrutture può dare nuova speranza a queste zone e ai loro abitanti.

Infine, la partecipazione attiva dei cittadini nella progettazione e gestione delle politiche urbane è fondamentale per creare città più inclusive e sostenibili. Solo attraverso un’azione sinergica e mirata di tutti gli attori sociali si potrà colmare il divario e creare un’Italia più coesa e giusta, dove ogni cittadino abbia le stesse opportunità di prosperare. L’alternativa è un futuro di disuguaglianza e disagio sociale, con conseguenze nefaste per la nostra società.

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Le periferie sono capaci di reinventarsi creando nuovi valori sociali

di Federica Ascoli

Urban Eco Mobility Trend

Rigenerare e ripensare le periferie delle big cities per renderle sempre di più luoghi di inclusione sociale, innovazione e sostenibilità è una necessità ormai indiscussa. La transizione ecologica nel contempo si rivela una occasione da non perdere per riqualificare le aree periferiche, luoghi riconosciuti per disuguaglianze ambientali, sociali e culturali. Naturalmente la rigenerazione urbana non è un’operazione tecnica o solo fisica, ma riguarda anche la riqualificazione delle relazioni sociali e di prossimità, il senso di comunità, la qualità dell’ambiente di vita e dei servizi, di cultura in generale In un modello di sviluppo non più accettabile e sempre più drammaticamente in evidenza.

Un esempio eclatante avvenuto a Milano è la riqualificazione di un quartiere periferico, nella zona Nord Ovest di Milano tra Villapizzone, Musocco e adiacente alla stazione Certosa, con restyling a 360°che parte dal nome: Milano Certosa District. Un nuovo modello abitativo che mette al centro la persona e il suo benessere.

La strategia seguita punta a integrare nel quartiere tutti i servizi necessari per rispondere alle esigenze degli abitanti nella loro quotidianità. Edifici, strutture, parchi, spazi comuni abbandonati si trasformano in aree perfette per ospitare famiglie e attività produttive, commerciali, ludiche e culturali. Diversi i punti di forza del progetto. In primis dare nuova vita green alle aree industriali dismesse, riqualificando gli spazi in stato di degrado con un sistema di attività che va ad agire sulla qualità dell’ambiente, sia abitativo che lavorativo, con spazi verdi, edifici carbon free. Ma anche ricreare una identità di quartiere con interventi di riqualificazione senza snaturarlo, ma valorizzarlo al massimo nel suo potenziale, mantenendo tutti gli elementi di storia, attraendo nuove persone e non costringendo quelle che da sempre lo abitano ad abbandonarlo.

Per (ri)dare identità si deve dunque pescare nella tradizione, conservando gli elementi chiave che hanno contribuito a connotarlo, aggiornandoli al presente. Ulteriore aspetto di questi interventi è che devono essere aperti al territorio, dalla ristorazione, ai negozi, ai servizi, al divertimento investendo per attrarre esercenti, eventi cittadini e ove necessario, risanando eventuali focolai di microcriminalità. Un punto nodale, infine, è la presenza di residenze moderne, funzionali e accessibili con nuove soluzioni per il co-living e progetti di inclusione atte a rispondere alla emergenza abitativa.

Un modello che crea valore per tutti, in grado di interagire con il tessuto urbano e sociale, ricoprendo una posizione strategica di collegamento tra la periferia e la città.

Sistema replicabile anche in altre zone della città me neghina o, perché no, in giro per il Paese!

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EU4Health, health for all

di Lavinia Bianchi

Consigliere Città di Civitanova Marche e CoR’s YEPYoung Elected Politicians

Tutti dovrebbero avere lo stesso diritto a diagnosi e cure di qualità e pari accesso ai medicinali, indipendentemente dal luogo in cui vivono.

In Italia, «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» afferma l’articolo 32 della Costituzione e secondo la stessa, con gli articoli 3 e 2, è necessario perseguire il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, così da riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

I cittadini dovrebbero, quindi, poter avere un accesso giusto ed equo alle risorse sanitarie per migliorare e preservare la propria salute. È però riscontrabile come fattori ambientali, culturali, economici, sociali e, anche, psicologici, influenzino la posizione individuale di fronte alle malattie, la qualità della salute e le garanzie di un complessivo benessere della persona.

Ne sono esempio le differenze di accesso ai servizi sanitari tra le aree urbane e rurali, in alcune regioni, dove le seconde si trovano a fronteggiare una carenza di strutture sanitarie e di professionisti. Chi appartiene a gruppi socioeconomici svantaggiati può affrontare maggiori sfide nell’ottenere assistenza sanitaria di qualità, portando a conseguenze negative sulla loro salute a lungo termine. Anche l’esperienza della CoVID-19 non è stata vissuta in modo equo: tassi più elevati di infezione e mortalità si sono verificati tra le comunità più svantaggiate.

Per tutelare la salute, come diritto fondamentale e superare gli squilibri territoriali interni, dovrebbero diminuire le misure di austerità nella spesa pubblica, anche sanitaria. Le pandemie, i cambiamenti climatici e le crescenti disuguaglianze rappresentano minacce crescenti per la nostra salute. Si tratta di sfide che attraversano i confini e per cui è necessaria la collaborazione transnazionale per affrontarle in modo efficace, riducendo le barriere di sistema che ostacolano l’accesso ai servizi sanitari, lavorando anche sui fattori di rischio e quegli stessi meccanismi che li generano.

Le disuguaglianze di salute costituiscono, quindi, una sfida persistente: l’OMS si pone come obiettivo principale quello dell’ “health for all”, così da garantire una maggiore equità tra le diverse popolazioni e, nel merito, l’Unione europea risponde con un attivo impegno per affrontare questo problema, adottando strategie e politiche mirate per mitigare tali disparità, al fine di garantire che tutti i cittadini abbiano pari opportunità di godere di una buona salute.

Con il suo sostegno agli Stati membri nella lotta contro la povertà, l’esclusione sociale e la discriminazione, l’UE si propone di rafforzare il carattere inclusivo e la coesione della società europea e di far sì che tutte le persone abbiano parità di accesso alle opportunità e alle risorse. Nel 2020, durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione tenuto al Parlamento europeo, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen illustrava come fosse necessario costruire un’Unione europea della salute, lanciando EU4Health. EU4Health, in vigore dal 26 marzo 2021, è un programma d’azione per il periodo 2021-2027 ed è il più ampio mai realizzato in ambito sanitario in termini di risorse finanziarie, con una dotazione pari a 5,1 miliardi di Euro. Obiettivo della Commissione è sostenere la lotta contro le minacce sanitarie e rispondere alle crisi future nel quadro della costruzione di una solida Unione europea della salute e più resiliente

Significativo, in questo senso, è considerare anche il piano di lotta contro il cancro, per il quale sono stati programmati 600 milioni di euro di finanziamenti da parte di EU4Health per migliorarne la cura e il trattamento. Ogni anni a circa 2,7 milioni di persone nell’Unione europea viene diagnosticato un cancro e grazie al primo registro europeo delle disuguaglianze contro il cancro è chiaro come non tutti abbiano le stesse possibilità di sopravvivere. Per questo, come annunciato dalla Presidente e dalla Commissaria Kyriakides lo scorso 31 gennaio alla Europe’s Beating Cancer Plan conference, la Commissione sta anche lavorando alla creazione della prima rete europea di centri oncologici completi entro il 2025 per un migliore accesso a cure di alta qualità.

Le disuguaglianze di salute rappresentano una sfida critica che richiede un impegno continuo, quindi, sia a livello nazionale che unionale.

L’Unione europea, attraverso la sua visione integrata, si posiziona come attore chiave nella promozione della salute equa e nell’eliminazione delle disparità.

L’equità nella salute non è negoziabile, riprendendo le parole della Presidente Ursula von der Leyen: “La nostra Unione è determinata a proteggere tutti”.

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Parte il programma ymca health +, per supportare la crescita dei bambini in età scolare

Segretario Nazionale della Federazione Italiana delle Associazioni Cristiane dei Giovani Y.M.C.A.

Il 2024 sarà l’anno nel quale YMCA HEALTH si dedicherà ai bambini nelle periferie e delle aree interne marginali con un programma di supporto nel doposcuola e di formazione psicofisica.

Negli ultimi anni, grazie all’YMCA molte scuole si sono evoluti in ambienti di apprendimento e formativ che va al di là delle ore di apprendimento scolastico.

Le YMCA in molte Nazioni stanno lavorando per garantire che la loro programmazione non solo sia in linea e integri il lavoro delle scuole, in quanto soddisfano le linee guida statali e locali, ma che i programmi dei doposcuola siano eseguiti in modo sicuro ed efficace e in modo che promuovere impegno sociale, integrazione ed l’equità.

L’Associazione Nazionale dei Presidi delle Scuole Elementari (NAESP) negli USA ha identificato la Y come partner per la programmazione del doposcuola supportando con successo un programma annuale rivolto a 500.000 bambini in circa 10.000 siti scolastici.

L’apprendimento precoce, l’assistenza all’infanzia e le offerte di tempo extrascolastico promosso da Y sono attività gestite da persone adeguatamente formate, con programmi che comprendono lo sviluppo cognitivo, psfisico e sociale dei bambini, e garantiscono il supporto di cui i genitori e le famiglie hanno bisogno e dando nel contempo garanzie di mantenere e oberare in un ambiente sicuro e salutare in cui i bambini possano imparare, formarsi e crescere.

Un programma che YMCA Health vuole importare anche in Italia attraverso un progetto che valorizzi il ruolo educativo e formativo della scuola, non solo nelle ore curriculari ma anche nei momenti del doposcuola, soprattutto nelle periferie e nelle aree interne margi-

nali, ridando corpo al senso di comunità e di bene comune sin dall’infanzia.

Il progetto YMCA HEALTH + vuole contribuire a dare sostegno alle famiglie nello sviluppo di propri figli,con particolare attenzione alla sicurezza, alla salute, al sociale, alla crescita psicofisica, al miglioramento scolastico, all’inclusione sociale e alla creazione di valori cristiani.

Saranno sviluppati inoltre programmi di assistenza all’infanzia e di apprendimento precoce che si concentreranno sulla promozione olistica dello sviluppo fisico, sociale ed emotivo dei bambini in età scolare e prescolare, offrendo loro un supporto per imparare ed apprendere di più, sviluppando relazioni sane con gli adulti, gli altri bambini e la comunità nella quale si vive, costruendo percorsi che portino all’inclusione sociale, ricevendo aiuto nei compiti scolastici e nella attività sportiva, nelle relazioni sociali generazionali, il tutto in un ambiente sicuro e salutare.

Un impegno che consenta ai bambini di condurre nel contempo uno stile di vita sano ,attivo,e partecipativo, che coniughi la scuola con la promozione di attività motorie, sportive ed educazione ad una corretta alimentazione.

In questo modo il progetto YMCA HEALTH + punta allo sviluppo nei bambini di corretti stili di vita salutari e in grado generare valori, formazione etica e benessere psico-fisico.

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FOCUS ON SPORT

Lo sport è infrastruttura e volano per l’inclusione e il benessere in Europa. Urgono politiche che lo promuovano a ogni livello

Ci troviamo a discutere di un tema molto importante, cruciale per lo sviluppo e la coesione delle autonomie locali e regionali dei 27 Paesi dell’UE, peraltro in un momento e in un contesto internazionale in cui i valori alla base del modello sportivo europeo ci riconducono anche al ruolo di pacificazione e di prevenzione di tensioni sociali e conflitti nei nostri comuni e nelle nostre città, nelle province e elle regioni.

Ho intrapreso questo percorso per fare sì che lo sport, all’indomani del suo inserimento nella nostra

Costituzione, potesse vedersi riconosciuto anche in Europa come strumento di politica pubblica e attore di comunità, in cui l’aspetto sociale e la rilevanza economica e occupazionale non siano fattori disgiunti o conseguenti, ma elementi caratterizzanti per la definizione di un nuovo modello sportivo europeo.

Lo sport è infrastruttura sociale per le nostre comunità ed é dall’UE, e dai suoi territori, che deve nascere un nuovo modello sportivo europeo in grado di favorire inclusione e partecipazione attiva.

Nel 2011, grazie al parere di cui sono stato Relatore “Costruire una nuova dimensione dello sport”, abbiamo contribuito, come Comitato delle Regioni dell’UE, a sollecitare e rafforzare l’idea dell’istituzione del primo fondo europeo dedicato: l’Erasmus+ Sport che, grazie alle sue risorse, in un decennio ha attivato relazioni e sinergie, mobilità e scambi, progettualità in grado di dare rilievo a un settore che contribuisce per il 2% al PIL europeo e di aumentare la coesione dei nostri territori.

Nel 2022 l’Italia risulta oggi la prima destinataria di questi fondi, come riportano i factsheet europei.

Nel 2020, grazie a un nuovo parere di cui sono stato Relatore, sull’“Inserimento dello sport nell’Agenda europea post 2020”, il CdR ha impresso accelerazione al processo di inserimento dello sport in tutti i settori dove può essere determinante, a partire dalla salute ma

anche: sostenibilità energetica delle infrastrutture, circolarità degli eventi sportivi, turismo sportivo, innovazione digitale.

E proprio in quest’ultimo ambito abbiamo siglato il primo accordo di programma tra CdR e UEFA, in collaborazione con il Comitato Olimpico e abbiamo partecipato come estensori alla Carta dell’OMS per “Città più resilienti, più felici, più sane”. Sappiamo che l’inattività fisica implica, come soli costi diretti, 80 miliardi al bilancio dell’UE: oggi abbiamo la opportunità di invertire questa narrazione, non certamente perché la lotta alla sedentarietà sia conclusa bensì perché è forse il momento di un innovativo approccio al tema, e cioè di concepire lo sport come infrastruttura sociale. E in tal senso è un modello europeo basato sui valori che può fare da apripista e da interlocutore autorevole. Il 2023, l’Anno Europeo delle Competenze, ha altresì rappresentato il momento politico più adeguato per affrontare tale proiezione e definire nuovi contenuti rivolti ai giovani europei.

Questo Documento approvato sarà il testo base per i lavori sul tema del prossimo Parlamento e della prossima Commissione Europea in funzione del nuovo Piano triennale di Lavoro per lo Sport e delle politiche europee di settore.

Alcune delle raccomandazioni approvate:

• svincolo temporaneo dal Patto di Stabilità degli investimenti in materia di impiantistica sportive, se ad alto tasso di generatività finanziaria e sociale (SROI) per dare corso a una stagione di potenziamento, di ammodernamento in chiave polifunzionale e di efficientamento delle infrastrutture sportive europee;

• integrazione nel Fondo sociale europeo di obiettivi connessi al perseguimento di una maggiore inclusione, solidarietà e coesione sociale attraverso lo sport;

Approvato lo scorso 30 novembre il parere d’iniziativa da me presentato che invita a porre lo sport al centro dell’agenda politica quale risorsa virtuosa per l’intera comunità a livello sociale, culturale, economico e sanitario. Il 5 dicembre è stato presentato in un Convegno a Roma con i rappresentanti delle massime istituzioni nazionali ed europee.

• co-programmazione e co-progettazione di una maggiore quota di utilizzo dei fondi di sviluppo regionale, dei fondi strutturali e delle politiche di coesione dell’UE per interventi small scale e playground;obiettivo esplicito di favorire lo sport di base diffuso sui territori (grassroots approach), con particolare rilievo all’infrastruttura outdoor (parchi, aree verdi, spazi pubblici), in considerazione dell’alto indice di proprietà degli impianti e degli spazi in cui sorgessero tali impianti da parte dei comuni.

• potenziamento dell’asset del turismo sportivo attraverso i fondi ESIF, privilegiando corsa, cammino e ciclismo;

• realizzazione di una mappatura, fisica e digitale, di tutti gli impianti sportivi esistenti per facilitarne l’accesso e l’utilizzo a tutti i cittadini (inclusi city user o turisti) e per fare sì che la programmazione di nuovi o rinnovati impianti rispetti criteri di corretta distribuzione geografica, sostenibilità di lungo periodo degli investimenti e piena efficienza dell’ecosistema sportivo europeo;

• istituzione di programmi di orientamento e di rafforzamento delle competenze, anche trasversali, degli under 35 attraverso lo sport per prevenire e contrastare il fenomeno dei NEET e per diminuire il tasso di mismatch tra domanda e offerta di lavoro ed estensione degli European Solidarity Corps ai volontari in ambito sportivo, potenziandone la durata o la possibilità di rinnovo e proseguimento dell’esperienza all’interno dei territori.

Lo sport, un’infrastruttura sociale di enorme potenzialità per l’Europa e per i suoi Stati membri. Una risorsa che impatta in termini virtuosi a più livelli - sociale, economico, culturale, sanitario - in grado di promuovere, come poche altre, l’inclusione e il benessere degli individui e dell’intera comunità. Un enorme patrimonio di ricchezza umana che, per esprimere al meglio queste virtualità, richiede atti concreti e politiche che sappiano supportarlo.

Lo sport è “fatto sociale totale”: non solo condensa numerosi aspetti al proprio interno, che riflettono lo stato di salute della società entro cui si muove, ma la sua esistenza stessa, sia sul piano individuale sia collettivo, in termini mediatici, organizzativi, aggregativi, finanziari, simbolici, ha un impatto e una relazione fortissima con la società intera.

Lo sport ha una dimensione aggregatrice, che parla con un linguaggio universale e che incarna e educa a valori e principi su cui le società, gli Stati moderni e la stessa Unione Europea si basano, come l’interiorizzazione delle regole e la partecipazione collettiva alle emozioni.

Sarà anche nostro il compito, a partire da questo parere, di rendere l’Unione Europea lo spazio che, più di ogni altro al mondo, promuove e tutela un modello sportivo basato sui valori in grado di garantire inclusione, coesione e sviluppo ai suoi territori.

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GLI ITALIANI E LO SPORT

* dal Rapporto “GLI ITALIANI E LO SPORT” Osservatorio permanente sullo sport Fondazione SportCity

Gli italiani popolo di santi, poeti, navigatori e…sedentari, questa è la fotografia che esce dai dati dell’Istat, elaborati dall’Osservatorio permanente sullo sport della Fondazione SportCity. Dando voce in questo primo report voce anche ai politici impegnati nel mondo dello sport, del sociale, della salute e anche al mondo dello sport e delle professioni, assieme agli esperti e alle donne e agli uomini di sport, per avviare un primo dialogo su “Gli Italiani e lo sport”, consapevoli che il tema necessita di ulteriori riflessioni e momento di confronto per trovare soluzioni e non solo per identificare i problemi.

Federico Serra

Presidente dell’Osservatorio permanente sullo sport

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica

“[…] Le barriere, dove ci sono, vanno abbattute per aprire percorsi sportivi a chi affronta le diverse forme di disabilità. Sullo straordinario esempio positivo dei nostri campioni paralimpici, non posso che augurarmi che lo sport divenga sempre più uno strumento di partecipazione sociale e di realizzazione personale. Sono molto lieto che domani in questo Stadio dei Marmi si svolgano i ‘Giochi senza Barriere’. Gli sport con più ampio pubblico, e dunque con più risorse, hanno un dovere di solidarietà verso chi opera alla base del movimento sportivo. Gli organismi dello sportlavorando con concordia - hanno il compito di allargare la propria base e di tenere insieme, il più possibile, la cura dell’eccellenza con la diffusione dei praticanti. Sono necessarie dedizione e professionalità per vincere questa duplice sfida: verso l’alto, dove la competizione è mondiale e i riflettori sono costantemente accesi, verso il basso, dove la sfida è quotidiana e capillare.”

Papa Francesco

“[…] Lo sport è un mezzo per esprimere i propri talenti, ma anche per costruire la società. Lo sport, infatti, ci insegna il valore della fraternità. Non siamo isole: in campo, non importa la provenienza, la lingua o la cultura di una persona. Ciò che conta è l’impegno e l’obiettivo comune. Questa unione nello sport è una metafora potente per la nostra vita. Ci ricorda che, nonostante le nostre differenze, siamo tutti membri della stessa famiglia umana. Lo sport ha il potere di unire le persone, al di là dalle loro abilità fisiche, economiche o sociali. È uno strumento di inclusione che rompe le barriere e celebra la diversità. Anche il Concilio Vaticano II ha evidenziato che lo sport può offrire «un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni o di razze diverse.”

Andrea Abodi, Ministro per lo sport e i giovani

“[…] bisogna rendere sempre più produttivo quel valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme, parte integrante della nostra Costituzione, trasformandolo in un diritto per tutti, rafforzandone la funzione di difesa immunitaria individuale e sociale, per contribuire sempre più efficacemente al miglioramento della qualità della vita delle persone e della comunità nazionale.”

Giovanni Malagò, Presidente CONI

“[…] Lo sport come paradigma di una collettività sana, forte, prospettica. Declinazione perfetta di uno stile di vita fondato sul benessere, all’insegna della longevità, nel nome di una capacità d’espressione che esalta l’aspetto fisico riflettendo i propri benefici sulla mente. Uno scenario che si fonde, in modo osmotico, con quello immateriale, richiamando il ricorso a valori non negoziabili, espressione autentica del movimento e marchio di fabbrica inconfondibile a livello sociale come sinonimo di aggregazione e inclusione.

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É questo il manifesto da adottare per costruire un Paese migliore, con un orizzonte di crescita dai contorni esponenziali, fondato sulla volontà di alimentare propositi sempre più ambiziosI.”

Luca Pancalli, Presidente CIP

“[…] Attraverso lo sport vogliamo giungere alla rappresentazione di quello che vorremmo accadesse nella quotidianità: persone alle quali viene data un’opportunità e che, se messe nelle condizioni di esprimere le proprie abilità, possono diventare risorse per la società. Lo sport, infatti, sta operando una silenziosa rivoluzione culturale che, attraverso la diffusione di modelli positivi, sta contagiando virtuosamente il nostro Paese. Il lavoro da dirigente sportivo intrapreso tanti anni fa mi ha insegnato una cosa fondamentale, cioè quanto sia importante provare a educare le menti a guardare alle abilità residue delle persone, quindi non a ciò che hanno perso ma a ciò che gli è rimasto…”

Claudio Barbaro, Sottosegretario di Stato MASE

“[…] Per sottolineare il ruolo fondamentale dello sport in una società, basterebbe pensare che è l’unica materia sociale capace di intercettare tutti e 17 i “goal” dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Questo fa comprendere ancora meglio il valore della diffusione della pratica sportiva e motoria in una società e quanti benefici comporta per l’uomo e l’ambiente che lo circonda, che sia naturale o sociale.”

Marco Mezzaroma, Presidente Sport e Salute

“[…] Lavorare per un’Italia più sportiva e più “attiva” significa anche contribuire allo sviluppo del Paese in termini di inclusione sociale, promozione della cultura del benessere e degli stili di vita sani, ma anche della diffusione dei valori legati allo sport: ad iniziare dal rispetto delle regole, dell’avversario e dell’ambiente circostante che, in alcune discipline, diventa elemento di squadra.”

Roberto Pella, Deputato e Vice Presidente vicario ANCI

“[…] Lo sport, in Italia e in Europa, deve oggi compiere un nuovo ulteriore passo in avanti: vedersi riconosciuto formalmente come strumento di politica pubblica e attore di comunità, in cui l’aspetto sociale e la rilevanza economica e occupazionale non siano fattori disgiunti, ma ele-

menti caratterizzanti e preordinati alla definizione di un nuovo modello sportivo nazionale ed europeo.”

Daniela Sbrollini, Senatrice

“[…] Sport e salute sono coniugati. Lo sport è un grande sistema sociale. Lo sport non è solo movimento, non solo gesto atletico che cosi bene ci raccontano i media. Lo sport è cultura, ma non solo cultura sportiva, cultura quasi storia, presente passato ma anche futuro di una società. È identità di alcuni territori, Lo sport è certamente meritocrazia, democrazia. La favola del carpi dimostra che anche contro i poteri forti si può vincere sul campo.”

Mauro Berruto, Deputato

“[…] Non ho timore di smentite: lo sport è lo strumento di aggregazione, di socialità e aggiungo di inclusione per eccellenza. Non c’è attività umana che sia capace di tenere insieme persone (davanti a uno spettacolo sportivo, oppure all’interno della stessa squadra) non solo accettando, ma valorizzando le differenze di qualsiasi tipo dei suoi componenti.”

Guido Quintino Liris, Senatore

“[…] Ma vi è anche un altro aspetto da considerare: la lotta alla desertificazione delle aree interne e in questo lo sport può essere importante come occasione di sviluppo e di ancoraggio dei giovani alla realtà locale. Troppo spesso le arre interne si spopolano per motivi legati alle opportunità di lavoro e di formazione, ma anche per mancanza di servizi legati alla comunità come anche la fruizione di infrastrutture sportive e sanitarie .In tal senso bisogna inserire lo sport Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), politica territoriale diretta al miglioramento della qualità dei servizi ai cittadini e delle opportunità economiche nei territori interni e a rischio marginalizzazione.”

Simona Loizzo, Deputata

“[…] Lo sport è un importante fattore abilitante dello sviluppo sostenibile. Bisogna riconoscere il crescente contributo dello sport alla realizzazione dello sviluppo e della pace nella sua promozione della tolleranza e del rispetto e il contributo che dà all’emancipazione delle donne e dei giovani, degli individui e delle comunità, nonché agli obiettivi di salute, istruzione e inclusione sociale.”

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Paolo Marcheschi, Senatore

“[…] Il 20 settembre 2023 è una data storica per lo Sport nel nostro paese. Il Parlamento all’unanimità, grazie alla determinazione del Governo Meloni, ha colmato un vuoto e finalmente dopo 75 anni anche lo Sport entra nella nostra carta costituzionale. L’articolo 33 della Costituzione viene così modificato e arricchito di un nuovo comma: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Un passaggio storico per tutto il sistema sportivo nazionale. Da adesso in Italia, l’educazione al movimento, la pratica sportiva e l’attività fisica, non sono più mere opzioni o scelte di stile di vita, ma diritti fondamentali, strumenti di crescita personale e collettiva, nonché pilastri di un sistema sanitario preventivo e inclusivo.”

Mario Occhiuto, Senatore

“[…] La progettazione urbana però deve ridisegnare le città garantendo la piena fruizione degli spazi comuni, facendo diventare le città delle palestre a cielo aperto, favorendo la pratica di nuove discipline sportive accomunate sotto il neologismo di urban sport. L’emergere di sport urbani spontanei, non organizzati e informali è dovuto a tre fattori: l’aumento dell’individualismo, la necessità di flessibilità (tanto in termini di aree di gioco quanto di orari) e il fatto che sia gratuito.”

Fausto Orsomarso, Senatore

“[…] Il turismo sportivo è uno dei settori in più rapida crescita nel turismo. Sempre più turisti sono interessati alle attività sportive durante i loro viaggi, indipendentemente dal fatto che lo sport sia l’obiettivo principale del viaggio o meno. Eventi sportivi di vario genere e dimensione attirano turisti come partecipanti o spettatori e le destinazioni cercano di aggiungere sapori locali per distinguersi e offrire autentiche esperienze locali. I mega eventi sportivi come le Olimpiadi, Campionati mondiali, grandi competizioni di golf, vela e tennis e le Coppe del Mondo possono essere un catalizzatore per lo sviluppo del turismo se sfruttati con successo in termini di marchio di destinazione, sviluppo delle infrastrutture e altri benefici economici e sociali.”

Paolo Ciani, Deputato

“[…] Lo sport, sempre più vero e proprio strumento di educazione sociale, promuove il benessere fisico e sociale e va inteso non solo come performance volta al raggiungimento di prestazioni eccellenti, ma innanzitutto come incentivo all’aggregazione sociale, strumento di prevenzione e promozione della salute. Infatti, lo sport è da considerarsi una

delle forme di promozione più efficaci per un territorio per il valore che l’attività sportiva può rivestire per la comunità.”

Chiara Appendino, Deputata

“[…] Lo sport, purtroppo, sono anche gli impianti fatiscenti che da luoghi di inclusione diventano luoghi di emarginazione, sono le scuole che ancora oggi spesso hanno le palestre inagibili, sono impegni economici non sostenibili per tante famiglie che si vedono costrette a rinunciare e a dire magari al proprio figlio o alla propria figlia: “no, non ce la faccio a iscriverti a quel corso di sport che tanto vorresti fare con i tuoi amici”. Sono i tempi non conciliabili di tanti genitori che lavorano con orari magari complessi e non riescono ad accompagnare i bimbi e le bimbe all’attività sportiva. Sono i retaggi culturali che incasellano gli sport come femminili o maschili, creando vere e proprie barriere all’accesso.”

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“GLI ITALIANI E LO SPORT”: IL REPORT SULLO STATO DI SALUTE DELLA PRATICA SPORTIVA

Ancora molti i gap che persistono nel nostro paese nel praticare sport: divario nord-sud, gap di genere, differenze legate al reddito e all’istruzione. Importante l’impatto sulla salute. Il tema al centro di una conferenza che ha visto anche la presentazione del “FACTSHEET 2023: Analisi comparativa di attività fisica, sedentarietà, obesità e sovrappeso nelle regioni italiane” e del numero di gennaio dello Sportcity Journal sul Parere di Iniziativa approvato lo scorso novembre dal Comitato delle Regioni dell’UE su “Costruire il modello sportivo europeo basato sui valori, dal basso verso l’alto: un mezzo per favorire l’inclusione e il benessere sociale dei giovani europei”.

Presentato lo scorso 5 febbraio nella Sala Conferenze di Esperienza Europa “David Sassoli” di Roma, è stato presentato il report “Gli Italiani e lo Sport”, realizzato dall’Osservatorio permanente sullo sport, spin-off di Fondazione SportCity, in collaborazione con Istat, IBDO Foundation e Istituto Piepoli

Alla presentazione sono intervenuti Federico Serra, Presidente dell’Osservatorio Permanente sullo Sport, Fabio Pagliara, Presidente Fondazione SportCity, Claudio Barbaro, Sottosegretario di Stato al Mase, Elisabetta De Blasis, Parlamentare Europeo, Dino Giarrusso, Parlamentare Europeo, Massimo Pronio, Responsabile Comunicazione della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Veronica Nicotra, Segretario Generale Anci, Andrea Lenzi, Presidente CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paolo Sbraccia, Vice Presidente Vicario di IBDO Foundation, Roberta Crialesi, Dirigente il Servizio Sistema integrato salute, assistenza e previdenza Istat e Roberto Lamborghini, Sport Advisor Sg Plus.

IL RAPPORTO “GLI ITALIANI E LO SPORT”

Un lavoro complesso e articolato, realizzato con i contributi di 28 esperti e 10 parlamentari (Chiara Appendino, Mauro Berruto, Paolo Ciani, Guido Quintino Liris, Simona Loizzo, Paolo Marcheschi, Roberto Pella, Mario Occhiuto, Fausto Orsomarso, Daniela Sbrollini), con un intervento del Ministro dello Sport e dei Giovani Andrea Abodi e con le prefazioni di Giovanni Malagò, Presidente del Coni, Luca Pancalli, Presidente Del Cip, Claudio Barbaro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’ambiente e della

sicurezza energetica, e Marco Mezzaroma, Presidente Sport e Salute.

I dati dicono che nel 2022, in Italia, la quota di persone sedentarie, che dichiarano cioè di non svolgere né sport né attività fisica nel tempo libero, è pari a più di un terzo della popolazione. Potremmo dire che siamo un popolo di “sportivi da salotto”. Una fotografia impietosa che riguarda maggiormente il sud e le isole, dove paradossalmente le condizioni climatiche dovrebbero consentire una maggiore attività motoria all’aperto. Il forte gradiente Nord–Sud con i tassi più bassi registrati nelle province autonome di Trento (16,2 per cento) e Bolzano (16,9 per cento) e i più alti in Calabria (59,3 per cento) e Sicilia (59,3 per cento), mostra un’Italia spaccata in diverse realtà geografiche. Analogamente, in altre regioni meridionali più della metà della popolazione non pratica sport né attività fisica: Campania (55,1 per cento), Puglia (54,8 per cento) e Basilicata (53,7 per cento). Inoltre in Sicilia, Calabria e Puglia la graduale diminuzione della sedentarietà osservata nell’arco di 20 anni è stata annullata dall’incremento osservato nel 2022. I dati Istat confermano le ben note disuguaglianze sociali, con differenze marcate rispetto al titolo di studio a tutte le età ed in particolare tra le persone adulte di 25-44 anni: nel 2022 la quota di persone con basso titolo di studio che non pratica sport o attività fisica è oltre il doppio rispetto a quella di chi ha un titolo di studio più elevato (49,7 per cento vs 17,9 per cento). Inoltre nell’arco temporale di venti anni (2001- 2021) la sedentarietà è diminuita in misura maggiore tra le persone con titolo di studio alto accentuando le diseguaglianze sociali.

La conferenza è stata anche occasione per presentare il “FACTSHEET 2023: Analisi comparativa di attività fisica, sedentarietà, obesità e sovrappeso nelle regioni italiane”, realizzato da Fondazione SportCity e Osservatorio permanente sullo sport in collaborazione con Istat, CORESEARCH, IBDO Foundation,Federazione delle società di diabetologia (FeSDI), Open Italy, Bhave, European Association for the Study of Obesity (EASO), Italian Obesity Network (IO-NET), nonché il numero di gennaio dello Sportcity Journal, dedicato al Parere di Iniziativa presentato dall’On. Roberto Pella e approvato lo scorso novembre dal Comitato delle Regioni dell’UE su “Costruire il modello sportivo europeo basato sui valori, dal basso verso l’alto: un mezzo per favorire l’inclusione e il benessere sociale dei giovani europei”

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“A piccoli passi stiamo completando la ‘rivoluzione dolce’ che avevamo iniziato e stiamo arrivando alla ‘Repubblica del movimento’ – dice Fabio Pagliara, Presidente Fondazione Sportcity - Questo report dell’Osservatorio permanente sullo sport fotografa, grazie agli interventi autorevoli di rappresentanti del modo del governo, del parlamento, dello sport, della salute e benessere e del contributo dei dati di Istat, di IBDO Foundation e di Istituto Piepoli, il sentiment dello sport nel nostro Paese in questa migrazione verso una vera Repubblica del movimento”.

“Quelli presentati oggi sono dati che devono far riflettere su come viene erogata la cultura sportiva e del movimento nel nostro Paese. – dichiara Federico Serra, Presidente dell’Osservatorio permanente dello sport della Fondazione SportCity - Sono molte le differenze che emergono: tra nord e sud, tra le singole regioni, ma anche tra giovani e anziani, donne e uomini ecc. Il dato più significativo, e preoccupante, è quello della scarsa propensione di giovani a fare sport. I dati Istat confermano le ben note disuguaglianze sociali, con differenze marcate rispetto al titolo di studio a tutte le età ed in particolare tra le persone adulte di 25-44 anni. Nel 2022 la quota di persone con basso titolo di studio che non pratica sport o attività fisica è oltre il doppio rispetto a quella di chi ha un titolo di studio più elevato (49,7 per cento vs 17,9 per cento). La recente legge che inserisce lo sport nell’articolo 33 della nostra Costituzione, apre una speranza che avvengano interventi omogeni e organici su tutto il territorio nazionale eliminando un gap territoriale inaccettabile dal punto di vista etico e sociale”.

“Gli stessi fattori, che dalla seconda metà del secolo scorso hanno portato all’allungamento della vita media fino ai livelli attuali, hanno anche portato, talora obbligato, ad una maggiore attitudine alla sedentarietà - dice Andrea Lenzi, Presidente CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri – “Per questo, non solo lo Sport Agoni-

stico, ma tutta l’Attività Fisica cosiddetta ‘Adattata’ (alle varie età, al genere, alle patologie, ecc.) rappresenta oggi, assieme alla corretta alimentazione, una vera strategia preventiva, ma anche una terapia per le malattie croniche non trasmissibili (metaboliche, cardiovascolari e polmonari, ecc.). Tale terapia dovrebbe diventare prescrivibile come un vero farmaco e ‘somministrabile’ a livello di apposite strutture sanitarie nell’ambito di una Terapia Educazionale”.

“Nel 2022, gli italiani che praticano sport nel tempo libero, in modo continuativo o saltuario, sono stati 19,9 milioni, più di un terzo della popolazione di 3 anni e più. – dichiara Roberta Crialesi, Dirigente il Servizio Sistema integrato salute, assistenza e previdenza Istat - Lo sport in modo continuativo è stato praticato dal 26,3 percento della popolazione per un totale di 15 milioni, mentre un altro 8,3 per cento ha svolto una pratica sportiva in modo saltuario. Nonostante le nuove generazioni mostrino livelli di pratica sempre superiori rispetto alle generazioni precedenti, quasi due terzi della popolazione continua a non praticare nessuno sport. Persistono gap su diversi livelli: il genere (nel 2022 il 40,2 per cento degli uomini pratica sport in modo continuativo o saltuario contro il 29,2 per cento delle donne), il territorio (tra Nord-Est e Sud ci sono oltre 15 punti percentuali di differenza nella pratica sportiva), l’istruzione (negli ultimi 20 anni la pratica sportiva è aumentata soprattutto per uomini e donne con titolo di studio più alto, con seguente accrescimento del gap socioculturale e il divario si attesta sui 35 punti percentuali), e ancora disuguaglianze che riguardano il reddito e la famiglia”.

“Una percentuale molto alta (80-90 per cento) della mortalità, morbosità e costi dei sistemi sanitari nei paesi occidentali, è causata da malattie che derivano da alterati stili di vita; tra questi spiccano l’aumento dell’introito calorico e la sedentarietà, che sono poi alla base dello sviluppo di obesità. – dichiara Paolo Sbraccia, Vice Presidente Vicario di IBDO Foundation - Nelle nostre società iper-tecnolo-

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gizzate si sono raggiunti tassi di sedentarietà inimmaginabili nelle epoche precedenti che si traducono in riduzione dell’aspettativa di vita per la comparsa di malattie/fattori di rischio che sono divenuti, appunto, i killer delle nostre società. (obesità, diabete, ipertensione, dislipidemia, atero- sclerosi, cancro ecc.). È quindi evidente che uno dei cardini della promozione della salute è rappresentato dall’implementazione dell’attività fisica. Tutti i dati della letteratura sono concordi nel ritenere che un’attività attività fisica regolare rappresenti un argine fenomenale nei confronti di molte malattie cronico-degenerative. Tuttavia, al momento, l’implementazione dell’attività fisica rimane un problema non risolto per il mondo sanitario, per una varietà di fattori. Manca infatti ad oggi qualunque ipotesi di rimborsabilità o di inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), oppure di detraibilità fiscale per le spese sostenute per l’attività fisica”.

“I numeri presentati oggi confermano che è giunto il momento che lo sport sia formalmente riconosciuto come strumento essenziale di politica pubblica e attore di comunità, in un’ottica secondo cui il ritorno sanitario e sociale che esso garantisce ai territori e alle loro comunità non sia disgiunto dagli aspetti connessi alla sua rilevanza economica - dichiara l’On. Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI e Membro Commissione SEDEC Comitato delle Regioni dell’Unione Europea, Presidente Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”, «Lo scorso novembre il Comitato delle Regioni dell’Unione Europea ha approvato un Parere d’iniziativa, da me presentato, sullo sport come infrastruttura sociale unica, che racchiude i valori stessi su cui si fonda l’Unione Europea. L’invito contenuto in questo parere d’iniziativa potrà promuovere un’azione fattiva da parte delle istituzioni, mettendo lo sport, quale realtà trasversale a una dimensione sociale, culturale, economica e sanitaria, al centro dell’agenda della politica”.

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CITIES CHANGING DIABETES

Ortiurbani

Il progetto ad Aarhus vede il 65% dei partecipanti migliorare gli indicatori di salute a lungo termine e il 94% si sente più abile nella gestione del diabete.

Due anni fa, i partner di Cities Changing Diabetes ad Aarhus hanno lanciato un Social Impact Bond per finanziare un intenso programma di un anno che mirava a prevenire che le persone con diabete di tipo 2 sviluppassero gravi complicanze. Un bond a impatto sociale è uno strumento finanziario che sfrutta gli investimenti privati per affrontare le sfide sociali, in questo caso il diabete. L’intervento consiste in interventi individuali, familiari e comunitari e ha prodotto risultati positivi.

Dopo un anno, il 65% dei partecipanti ha ottenuto una riduzione del livello di zucchero nel sangue a lungo termine (HbA1c) pari o superiore all’8,5%.

In media, i partecipanti hanno ottenuto una riduzione del loro livello di zucchero nel sangue a lungo termine, mentre la percentuale dei cittadini che si sentono abili nel prendersi cura della propria salute è aumentata dal 75% al 94%.

L’obbligazione per l’impatto del diabete funziona secondo un modello pay­for­success, in cui gli investitori ricevono un ritorno sull’investimento in base al raggiungimento di risultati specifici e misurabili. Ad Aarhus il numero di pazienti che hanno riscontrato un miglioramento e i livelli di glucosio nel sangue raggiunti a lungo termine hanno superato le aspettative e la soglia per il rimborso agli investitori.

Una persona ha raccontato: “È la prima volta che vado dal medico senza essere rimproverata per il mio livello di zucchero nel sangue. Il medico è rimasto sorpreso da quanto il mio livello di zucchero nel sangue fosse sceso a lungo termine. Sono uscito molto felice e a testa alta”. Tuttavia, il progetto si trova ad affrontare sfide persistenti in termini di reclutamento e fidelizzazione, e il reclutamento dei partecipanti per l’intervento rimarrà la massima priorità per tutto il 2024.

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Figure: The Aarhus social impact bond

La partnership di Sydney raggiunge più di 4.300 residenti

Sydney è diventata la prima città australiana ad aderire alla rete Cities Changing Diabetes nel dicembre 2022, lanciando una serie di attività e partenariati di base.

Il programma si è concentrato su un hotspot del diabete, Western Sydney, dove vivono 1,1 milioni di persone che hanno il doppio delle probabilità di sviluppare il diabete nel corso della loro vita rispetto a coloro che vivono nelle zone più ricche dell’est e del nord della città.

Western Sydney Changing Diabetes ha collaborato, tra gli altri, con il Workers Lifestyle Group e

offre una serie di iniziative incentrate sulla comunità. L’elemento del progetto di rilevamento ha utilizzato i test dell’HbA1c in un centro comunitario e in occasione di eventi locali. Finora hanno partecipato più di 500 persone.

I partecipanti potevano anche monitorare la propria salute cardiometabolica utilizzando un dispositivo di screening self­service e accedere a consigli sullo stile di vita e sull’alimentazione sana su un’app. L’anno scorso, 4.300 controlli sanitari gratuiti hanno spinto 1.935 persone a chiedere un consulto al proprio medico. Il programma era sostenuto da un programma di educazione al diabete e da attività legate allo stile di vita, tra cui lezioni di cucina sana e balli di gruppo, tra gli altri.

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Affrontare le disuguaglianze sociali e prevenire il diabete con una dieta sana a Torino

Una ricerca pubblicata nel Cities Changing Diabetes Torino Atlas rivela una disparità nel diabete tra i quartieri della città, con una prevalenza che raggiunge un picco del 7% nelle comunità più svantaggiate.

Per affrontare queste disparità, Cities Changing Diabetes e l’Azienda Sanitaria Locale di Torino hanno lanciato diversi interventi, tra cui un’iniziativa di Orti Urbani che fornisce cibo fresco alle famiglie con difficoltà economiche. I gruppi vulnerabili vengono raggiunti dalle associazioni partner con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali, affrontando in particolare i fattori di rischio per il diabete.

Il progetto è stato ampliato introducendo due frigoriferi comunitari in posizioni strategiche per ridurre i problemi di accessibilità alimentare.

L’iniziativa Neighbourhood Fridge forma campioni locali che sensibilizzano sui comportamenti sani all’interno delle loro comunità.

Grazie alla partecipazione dell’eroe locale vincitore della medaglia d’oro olimpica Maurizio Damilano, molti residenti sono stati coinvolti in un’iniziativa FitWalking, che ha condiviso l’educazione sui comportamenti sani e la prevenzione del diabete. Città che cambiano il diabete Torino ha ricevuto l’attenzione nazionale a dicembre, quando è apparsa in un telegiornale che mostrava gli sforzi dell’iniziativa nella lotta contro le disuguaglianze sociali e le malattie croniche. Un mix stimolante di attività che arrivano al cuore dell’approccio Cities Changing Diabetes: affrontare le disuguaglianze sociali e sanitarie attraverso una programmazione inclusiva e ben eseguita

VENEZIA UFFICIALIZZA

IL SUO IMPEGNO NELLA LOTTA A DIABETE E OBESITÀ

Anche la città di Venezia entra nel programma Cities

Changing Diabetes, un progetto internazionale per far fronte alla crescente diffusione delle malattie cro‐niche non trasmissibili, come diabete e obesità, nelle città. Secondo le stime, nel capoluogo veneto il 5,7 per cento della popolazione ha ricevuto una diagnosi di diabete di tipo due, in linea con i trend epidemio‐logici nazionali, ma con tassi di ospedalizzazione per complicanze e mancato controllo dei livelli glicemici superiori alla media nazionale. L’evento lo scorso 14 dicembre ha visto la partecipazione di Michele Zuin, Assessore al bilancio del Comune di Venezia, Erme‐linda Damiano, Presidente del Consiglio comunale e Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI‐Associa‐zione nazionale comuni italiani e coordinatore Inter‐gruppo parlamentare obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili.

Nella sola area urbana, secondo le stime più recenti, Venezia entra nel programma internazionale Cities Changing Diabetes, l’iniziativa promossa dallo Steno Diabetes Center di Copenaghen, in partnership con l’University College London (UCL), la rete Globale C40, EAT, GEAH, DALBERG e BLOX­UB e con il supporto non condizionato di Novo Nordisk, che vuole guidare il cambiamento attraverso partenariati locali per promuovere la salute come priorità nelle agende cittadine e co­creare iniziative che mirino a migliorare la salute dei cittadini per far fronte alla crescente diffusione di malattie croniche non trasmissibili, come diabete e obesità. L’annuncio è stato dato il 14 Dicembre scorso nel corso della conferenza stampa organizzata a Palazzo Ca’ Farsetti da Health City Institute, FesdiFederazione delle Società Scientifiche di Diabetologia e Comune di Venezia, e ha visto la partecipazione di Istituzioni nazionali, amministrazioni locali, esperti, mondo accademico e scientifico e terzo settore.

«Il numero delle persone che vivono nelle città è in

continuo aumento da diversi anni e, secondo le stime, questo numero è destinato a crescere ulteriormente», ha ricordato Andrea Lenzi, Presidente di Health City Institute, di Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze per la vita della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha proseguito: «Parallelamente, riscontriamo una crescita di alcune malattie, come diabete e obesità, la cui diffusione è considerata ormai l’epidemia della società del benes‐sere. L’aumento di queste malattie croniche non tra‐smissibili, e non solo, è infatti fortemente legato ai profondi cambiamenti di stile di vita che comporta la vita nelle città, come lavori sedentari, scarsa attività fisica, alimentazione scorretta, tanto che si parla oggi apertamente di “urban diabetes”, diabete urbano».

«Venezia si appresta ad affrontare una sfida partico‐lare: il 5,7 per cento della popolazione ha ricevuto una diagnosi di diabete di tipo due, in linea con i trend epi‐demiologici nazionali. Il tasso di mortalità per diabete è inferiore alla media per entrambi i sessi (55,4 in Ve‐neto rispetto al 65,1 in Italia). Ma i tassi di ospedaliz‐zazione per complicanze e mancato controllo dei livelli glicemici sono superiori alla media nazionale», ha spiegato Angelo Avogaro, Presidente Fesdi­Federazione delle società di diabetologia e Presidente del Comitato promotore Venezia Cities Changing Diabete, che ha detto ancora: «Abbiamo scoperto che le città sono un “fattore di rischio” per lo sviluppo di dia‐bete, dobbiamo quindi concentrarci nel progettare ambienti che favoriscano l’investimento in preven‐zione. Tenendo conto che circa metà della popolazione mondiale vive nelle città, gli ambienti urbani devono essere ripensati come luoghi dove ‘coltivare’ la salute e non solo trovare le migliori cure quando il danno è fatto».

«I contesti urbani sono ormai caratterizzati da una sempre più alta prevalenza di diabete e obesità, com‐

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plici stili di vita errati, disuguaglianze sociali e sanita‐rie. Per questo, è essenziale diffondere la cultura della prevenzione, ma allo stesso tempo è necessario che anche le città si modifichino o adattino al fine di favo‐rire l’adozione di sani e corretti stili di vita. Ad esempio, sostenendo la creazione di aree verdi e percorsi ciclo‐pedonali, per città sempre più a misura d’uomo. Sul tema del “diabete‐urbano”, partiamo oggi da Venezia per promuovere messaggi in grado di raggiungere le periferie delle grandi città e le aree del Paese in cui si registrano i più alti tassi di prevalenza della malattia e delle sue complicanze e tutelare una sanità equa su tutto il territorio nazionale», ha aggiunto Riccardo Candido, Vicepresidente Fesdi.

Nell’occasione il professor Avogaro ha avanzato la proposta di candidare Venezia a Centro di rilevanza internazionale per lo studio e la ricerca delle correlazioni tra malattie non trasmissibili, urbanizzazione e determinanti della salute, attraverso una partnership pubblico­privato che coinvolga il Comune di Venezia, le Università, le Società Scientifiche, l’ULSS, ANCI, Health City Institute, la Fondazione Venezia Capitale Mondiale della sostenibilità e Novo Nordisk. Secondo l’esperto, l’iniziativa andrebbe collegata possibilmente alla ristrutturazione e rilancio dell’ex Ospedale Mare del Lido della città, che mira a diventare, entro il 2027, un hub tecnologico che si concentrerà sullo sviluppo, l’implementazione e la promozione di applicazioni innovative e di intelligenza artificiale per il settore medico.

«Ho sensibilizzato il Sindaco Luigi Brugnaro, fin da quando mi è stato proposto da Federico Serra, Segre‐tario Generale di Health City Institute, a firmare “l’Ur‐ban Diabetes Declaration”, il che è avvenuto il 26 maggio del 2022. Venezia, quindi, ha cominciato il proprio iter per essere inserita nelle “rete globale Ci‐ties Changing Diabetes”, come città partner. Un passo importante e, aggiungo, di “civiltà”, per promuovere

la salute come priorità nelle agende cittadine e co‐creare iniziative che mirino a migliorare la salute della popolazione, attraverso lo studio dei determinanti sulla salute relativamente al diabete e all’obesità. Sono molto soddisfatto di questa presentazione e che venga fatta in particolare a Venezia, una città da sem‐pre attenta al benessere dei cittadini», afferma Michele Zuin, Assessore al bilancio del Comune di Venezia

«Il Comune di Venezia e l’amministrazione del sindaco Luigi Brugnaro sono da sempre vicini e attenti al tema della salute di tutti i cittadini. Supportiamo campagne di sensibilizzazione e di prevenzione, mettendo in campo le forze in nostro possesso per collaborare al meglio e dare alle persone una informazione impor‐tante per la loro salute e per i loro cari», ha spiegato Ermelinda Damiano, Presidente del Consiglio comunale della città.

«L’ingresso della città di Venezia nel progetto giunge in una fase cruciale per tutti i comuni italiani che ANCI rappresenta: considerata la portata dei mutamenti degli ultimi anni, da quelli climatici e ambientali a quelli relativi alla salute o alla demografia, non pos‐siamo più permetterci di sfuggire a una pianificazione delle politiche pubbliche multilivello e multidiscipli‐nare. L’insieme delle competenze e delle esperienze che Venezia sta mettendo in campo per affrontare le sfide di salute sarà certamente d’ispirazione per tutti», ha commentato Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI­Associazione nazionale comuni italiani e coordinatore Intergruppo parlamentare obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili.

«Crediamo da sempre in una visione della cura a 360 gradi, che parta dall’impegno nella ricerca scientifica a favore dell’innovazione delle terapie e arrivi alla qualità della vita delle persone, alla salvaguardia

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dell’ambiente degli stili di vita. Questo progetto è ini‐ziato a livello mondiale nel 2014 e da allora prosegue la nostra sfida nel rendere gli ambienti urbani un luogo di promozione della salute. City Changing Dia‐betes è un progetto globale e l’Italia è il primo paese per numero di città coinvolte, più di 70 comuni con ben 20 capoluoghi di provincia. In pratica circa il 22 per cento della popolazione. L’ingresso di Venezia rappre‐senta una tappa molto importante all’interno di que‐sto percorso virtuoso. Come azienda e partner strategico del sistema Paese, vogliamo continuare a promuovere la prevenzione, la sostenibilità ambien‐tale e la salute urbana e contemporaneamente ren‐dere concreto un concetto di salute più ampio, considerando l’ambiente quale parte integrante del benessere delle persone, soprattutto quando si parla di cronicità, di persone che devono convivere con pa‐tologie come diabete e obesità per tutta la vita. Siamo convinti che la lotta alla cronicità richieda un approc‐cio condiviso multisettoriale e multistakeholder che coinvolga tutti noi. E oggi come Novo Nordisk rinno‐viamo il nostro impegno per guidare il cambiamento nella promozione e sviluppo di azioni concrete e siner‐giche in tal senso», conclude Marco Salvini, External Affairs Sr Director Novo Nordisk.

L’Italia, dove il progetto è coordinato dall’Health City Institute, in collaborazione con ANCI, la rete C14+ e FeSDi, rappresenta un Paese guida per il progetto Cities Changing Diabetes, e l’ingresso di Venezia come città partner, iniziato nel maggio 2022 con la firma del Sindaco Brugnaro dell’Urban Diabetes Declaration, è importante per il ruolo che questa città riveste nelle politiche sociali e nella ricerca medica a livello nazionale e internazionale. Ad oggi, fanno parte del progetto 200 partner in 46 città e in 24 Paesi, con una popolazione complessiva di quasi 250 milioni di abitanti coinvolti.

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ARTICOLI

Il super architetto Norman Foster lancia un corso per esperti in temi urbani

Organizzato dalla Norman Foster Foudation, il Programme on Sustainable Cities è il corso per formare i leader delle città del futuro. Gli iscritti si occuperanno di città pilota: Atene, Bilbao e San Marino.

“Il futuro della nostra società è il futuro delle nostre città, che sono la nostra più grande invenzione”. Normal Foster non ha dubbi sul fatto che l’umanità continuerà a vivere aggregata all’interno di grandi spazi urbani, malgrado il cambiamento climatico e nonostante le frequenti minacce di catastrofi naturali. E per questo il celebre architetto britannico ha deciso di offrire alle nuove generazioni gli strumenti adatti per affrontare le sfide del futuro, nella costruzione e gestione delle città di domani.

Nasce così il Norman Foster Institute on Sustainable Cities, un vero e proprio corso di formazione organizzato dalla relativa Fondazione, che dal 2017 ha sede a Madrid. Nella capitale spagnola l’architetto britannico, 88 anni, ha presentato il progetto educativo negli spazi della Fondazione Arquia, entità finanziaria per architetti e professionisti del settore, la cui nuova e bellissima sede si trova in un’ex stamperia ristrutturata di recente da Emilio Tuñon, autore tra l’altro anche della neonata Galleria delle Collezioni Reali.

Foster ha lanciato una proposta concreta per rispondere alla necessità urgente di formare le nuove generazioni affinché possano convertirsi nei futuri leader delle città attuali, e delle tante altre che si costruiranno nei prossimi anni.

“La nostra maniera di disegnare le città determinerà lo stile di vita dell’umanità intera nel futuro, tenendo in conto l’aumento della popolazione”, ha spiegato il progettista a una platea composta da giovani studenti e da affermati professionisti spagnoli. “Lo sviluppo urbanistico del pianeta avanza in maniera rapidissima: entro 2025 tra Asia ed Africa si getteranno le basi per la costruzione di 17 città delle dimensioni di Madrid, città che esploderanno nel giro di venticinque anni”

È urgente perciò disegnare nuovi spazi urbani efficienti e sostenibile, evitando gli errori del passato, prendendo spunto dalle lezioni della storia - per esempio, le ricostruzioni dopo grandi incendi o i terremoti, e ispirandosi a realtà urbane con aspetti positivi come “Madrid, una città per passeggiare; Vienna, dove la politica di public housing è un autentico successo; o Singapore, dove l’immersione nella natura contribuisce a temperare il clima in città e sull’isola”, ha spiegato Foster.

La sostenibilità delle città passa infatti anche attraverso un approccio di carattere multidisciplinare, che comprende anche la gestione del patrimonio artistico e monumentale.

Durante il primo anno, gli studenti affronteranno lo studio urbanistico e sociale di tre città campione (per ora solo in ambito europeo): in collaborazione con le rispettive amministrazioni pubbliche, elaboreranno proposte concrete di intervento in ambito locale a breve termine, ma anche un masterplan di carattere universale, applicabile a qualunque realtà urbana. Il caso Atene è emblematico in quanto capitale europea oppressa dal traffico privato, con scarse infrastrutture, poco verde e dati ambientali allarmanti come la produzione di 5 tonnellate di Co2 annue pro capite. Bilbao, invece, è una città di medie dimensioni, sorta in un ambiente post-industriale, con una buona sostenibilità che si trova, però, ad affrontare il problema dell’aumento di popolazione anziana, che spesso vive nell’isolamento.  San Marino, infine, è un esempio di micro-stato, enclave storico che si sviluppa in un ambito territoriale ridotto e di difficile accesso; con un 75% di traffico privato, una produzione annua di 8,2 tonnellate di Co2 per persona e 1,8 milioni di visitatori annui, a fronte di una crescita esigua della popolazione locale.

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Expo 2025 a Osaka: il Padiglione Italia sarà una “Città Ideale” di Mario Cucinella

Sarà il raggruppamento guidato dall’archistar Mario Cucinella a progettare e costruire il Padiglione italiano alla prossima Esposizione Universale, che si aprirà il 13 Aprile 2025 a Osaka, nella regione giapponese del Kansai, e durerà fino al 13 ottobre 2025.

Tenuto conto del tema dell’Expo di Osaka – “Designing Future Societies for our lives” – la commissione ha voluto premiare “il progetto che riflette in maniera più efficace l’identità italiana, in una chiave contemporanea e di grande impatto, esprimendo quelli che sono i valori alla base della nostra cultura“.

Il Padiglione Italia rappresenterà una versione moderna della “Città Ideale”, immagine simbolo del Rinascimento italiano: per farlo, il progetto intende restituire “una visione italiana dello spazio sociale basato su integrazione, inclusività e su una cultura del ‘fare’ fondata su rapporti e interazioni reali, ben rappresentati da concetti profondamente radicati nella nostra tradizione di ‘piazza’, ‘teatro’ e ‘giardino’“.

L’appalto per realizzare il Padiglione, da incentrarsi sul tema dell’interdipendenza tra uomo, natura e tecnologia nella progettazione delle società future, vale a base d’asta 16,25 milioni di euro, a cui potrebbero aggiungersi lavorazioni opzionali per un massimo di 7 milioni e servizi opzionali per 750mila euro, cosa che porta il valore massimo stimato per l’appalto a 24 milioni.

Una struttura, ospitata nel distretto “Saving Life”, che perseguirà con il claim ‘L’Arte rigenera la Vita‘ l’obiettivo di “mostrare come, in passato, oggi e in futuro, si possa creare una società umanocentrica in grado di generare innovazione, sostenibilità e benessere, superando le contrapposizioni tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale. Un tema che si inserisce direttamente con quello più ampio dell’Expo 2025 di Osaka “Designing Future Societies for Our Lives”, che vede l’essere umano al centro dello sviluppo e dell’innovazione con l’obiet-

tivo di creare un grande evento centrato sull’umanesimo delle scienze della vita, delle politiche economiche e sociali, delle tecnologie e della digitalizzazione dei sistemi di apprendimento, informazione e comunicazione.

Per il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazioanle Antonio Tajani “il Padiglione italiano costituirà un efficace strumento di diplomazia della crescita, strategia che ho attivato dall’inizio del mio mandato insieme a tutta la squadra di Governo, che mira a promuovere anche turismo e territori, a sostenere l’internazionalizzazione delle filiere produttive e attrarre investimenti, e valorizzare le nostre tecnologie e il saper fare italiano […] Con il Giappone vogliamo rafforzare e strutturare il Partenariato strategico lanciato in gennaio dai nostri Primi Ministri, in particolare nei settori industriale e scientifico che possono crescere ancora di più. L’Italia vuole rendere ancora più visibile la sua presenza in Asia e nell’Indo-Pacifico, regioni di crescente rilevanza geopolitica ed economica, puntando su un approccio improntato all’inclusività e alla collaborazione“. In tema di partnership e diplomazia, il progetto presenta peraltro un elemento di grande sorpresa (ma che ben si allinea con le decisioni di Governo): per la prima volta in un’esposizione universale il Padiglione italiano ospiterà la presenza della Santa Sede.

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Genova, il Museo della Città sempre più vicino

La nuova istituzione sorge sull’ampio scavo medievale della Loggia dei Banchi, e permetterà di osservare l’anima medievale e mercantile che ha reso grande il capoluogo ligure. L’apertura è prevista per quest’anno.

Scavi medievali in centro città: è questo il cuore del nascituro Museo della Città di Genova, centro culturale urbano fortemente voluto dal Comune la cui apertura è prevista per il 2024. Ragion d’essere del nuovo museo della Città è proprio la Loggia della Mercanzia di Piazza Banchi, i cui scavi, iniziati nel 2021, sono stati da poco conclusi e che saranno lasciati visibili ai visitatori grazie a una passerella in vetro che permetterà di osservare dall’alto la testimonianza della città mercantile medievale, che nutriva la ricchezza nobiliare oggi visibile nei Palazzi dei Rolli.

Il nuovo ente, che sorgerà a due passi dal Porto Antico, si affianca ai numerosi progetti culturali che stanno animando la rinascita del capoluogo ligure e che hanno visto, oltre alla nomina a  Capitale Italiana del Libro 2023, la recente apertura del  Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana e del  MAIIIM, la riapertura dopo lunghi restauri del  Museo dell’Archeologia Ligure, della Città dei bambini e dei ragazzi e del Museo di Arte Orientale.

Il progetto, supportato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo è quello di un museo aperto che, partendo dalla ricca area archeologica nuovamente accessibile, diventi il punto di partenza di un percorso tra i già esistenti musei cittadini. Il museo diventerà una sorta di megafonourbano, connesso con la città e con il mondo, che funge da cassa di risonanza per il racconto delle caratteristiche e qualità intrinseche di Genova. Un nuovo landmark della città per un processo di valorizzazione a lungo termine. Il museo accompagnerà il visitatore alla riscoperta dell’affascinante storia di Genova: le origini imperiali, il decollo nel Medioevo, l’apoteosi nell’epoca barocca e il suo contributo alla società italiana attraverso l’industria e la cultura. Tra oggetti originali, ricostruzioni tridimensionali, filmati interattivi e una passeggiata nei quasi due millenni di storia cittadina. Un “biglietto da visita” e un invito a conoscere i segreti di una delle più belle città del Mediterraneo.

https://www.museidigenova.it/it/museo-della-citta

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Fonte: MIC

Il 2024 è l’anno dell’Urban Nature Project il nuovo parco del Museo di Storia Naturale di Londra

Tra i musei londinesi, in una città che può vantare alcune tra le più prestigiose e visitate istituzioni culturali del mondo, il Natural History Museum, con circa 70 milioni di reperti organizzati in cinque collezioni tematiche, è una delle destinazioni più amate dai visitatori che affollano la capitale inglese in ogni periodo dell’anno.

Inaugurato nel 1883 nella sede attuale di South Kensington, il museo vanta decine di gallerie dedicate alla storia naturale e all’evoluzione delle specie, negli spazi maestosi di una tipica architettura vittoriana in stile neogotico. Celebri sono la collezione di scheletri di dinosauro, e i modelli animati a grandezza naturale; ma tra i reperti più curiosi si apprezzano anche un campione di roccia lunare riportato sulla Terra dall’Apollo 16 e la sezione trasversale di una sequoia ultramillenaria. E l’estate 2024 porterà in dote una nuova e attesa attrazione, un’operazione di riprogettazione urbanistica che coinvolgerà 20mila metri quadri di spazi all’aperto, trasformando i giardini del museo in un parco dell’evoluzione, oasi volta a proteggere la natura urbana e insieme polo didattico per mostrare com’è cambiata e come sta cambiando la vita sulla Terra, anche in funzione del cambiamento climatico.

Il cantiere dell’Urban Nature Project, avviato la scorsa primavera grazie a un finanziamento del valore di 21 milioni di sterline, è in piena fase di sviluppo e sarà completato entro la prossima estate, regalando a Londra un’ulteriore, avveniristica riqualificazione dello spazio urbano, come già avvenuto di recente grazie al rinnovamento della National Portrait Gallery, e ormai diversi anni fa con il recupero della centrale termoelettrica di Bankside, a opera dello studio Herzog & de Meuron, dal 2016 sede della Tate Modern. Un

modo di intendere la missione culturale di un’istituzione museale in senso più ampio rispetto alle basilari attività di conservazione e ricerca, con ricadute positive sull’urbanistica e sulla socialità.

L’Urban Nature Project sarà naturale estensione del Museo di Storia Naturale di Londra: fisicamente, dotando il museo di un nuovo scenografico punto di accesso, costituito da una sorta di canyon profondo sette metri, disseminato di pietre antiche e fossili, che condurrà a propria volta al Giardino dell’Evoluzione; ma anche per l’approccio scientifico all’allestimento del parco e per la programmazione di attività di citizen science, che si concentreranno sull’insegnamento del valore della biodiversità. Il progetto si propone infatti di sostenere la ricerca di buone pratiche per la protezione e la tutela della natura urbana: il parco non sarà dunque solo luogo di divulgazione, ma anche banco di prova per i ricercatori impegnati a monitorare gli effetti del climate change sulla natura urbana. Nel Giardino dell’Evoluzione, invece, si potrà ripercorrere la storia della vita sulla Terra da 540 milioni di anni fa a oggi, seguendo l’evoluzione delle specie animali e vegetali, grazie all’intervento di architetti paesaggisti. Si è pensato, per esempio, di piantare felci arboree, discendenti di una specie risalente a 359 milioni di anni fa; ma anche palme del Giappone e calicanto, che evocando un paesaggio giurassico faranno da quinta scenica alla riproduzione in bronzo, a grandezza naturale, di Dippy, celebre replica in gesso delle ossa fossilizzate di uno scheletro di Diplodocus, entrata nelle collezioni del museo all’inizio del Novecento.

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Ventimila metri quadri di percorsi nel verde per scoprire com’è cam‐biata la vita sulla Terra, e come proteggere la natura dal cambia ‐mento climatico. È il progetto da 21 milioni di sterline del celebre Natural History Mu ‐seum londinese , che vedrà la luce la pros‐sima estate.

INQUINAMENTO ATMOSFERICO: RISCHIO ANCHE PER IL TUMORE AL SENO

di Silvia Gabriella Ciappellano

Il legame tra inquinamento atmosferico e rischio di sviluppare un tumore del polmone non è una novità. Al Congresso 2023 della European society for medical oncology (Esmo), che si è svolto a Madrid, è stata mostrata però un’altra pericolosa relazione: quella tra alti livelli di particelle sottili nell’aria e rischio di tumore al seno.

Nello specifico, è stato presentato il primo studio che ha messo in relazione l’esposizione all’inquinamento sia residenziale sia occupazionale e il rischio di sviluppare questo tipo di tumore, finora non associato ai livelli di smog. «I nostri dati hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico da particelle sottili, in casa e sul lavoro, e rischio di cancro al seno», ha affermato Béatrice Fervers, responsabile del dipartimento di Prevenzione del cancro e dell’Ambiente del Centro oncologico globale Léon Bérard di Lione. «Donne che vivono e lavorano in luoghi con livelli più elevati di particelle sottili nell’aria hanno quindi maggiori probabilità di contrarre un tumore al seno rispetto a coloro che vivono e lavorano in aree meno inquinate».

I risultati hanno mostrato un aumento del rischio di tumore al seno del 28 percento in caso di esposizione all’inquinamento atmosferico da particelle fini (PM2,5) aumentata di 10 μg/m3, che equivale alla differenza di concentrazione che si rileva passando da aree rurali ad aree urbane. Un aumento, seppur minore, del rischio si è osservato nelle donne esposte a livelli elevati di inquinamento atmosferico da particelle più grandi (PM10 e biossido di azoto).

«Queste particelle molto piccole» spiega l’oncologo Charles Swanton, del Francis Crick Institute di Londra «possono penetrare in profondità nei polmoni ed entrare nel flusso sanguigno da dove vengono assorbite nel seno e in altri tessuti. Sarà importante verificare se gli inquinanti consentono alle cellule

del tessuto mammario con mutazioni preesistenti di espandersi e muoversi verso la promozione del tumore attraverso processi infiammatori, in modo simile alle nostre osservazioni nei non fumatori con cancro al polmone. È molto preoccupante che piccole particelle inquinanti e microplastiche stiano entrando nell’ambiente quando non comprendiamo ancora il loro potenziale nel promuovere il cancro».

Queste evidenze hanno portato l’Esmo a richiedere, in accordo alle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Salute, un’ulteriore riduzione del PM2,5 a 5 μg/m3, rispetto all’attuale proposta avanzata nel 2022 da parte della Commissione europea di ridurre il limite per queste particelle dagli attuali 25 μg/m3 a 10 μg/m3.

Se guardiamo alla situazione italiana, l’inquinamento atmosferico nelle nostre città sta decrescendo troppo lentamente, rappresentando un serio rischio per la salute dei cittadini che sono esposti a concentrazioni inquinanti troppo elevate. Questo è quanto emerge dal rapporto Mal’aria di città 2023 di Legambiente, l’analisi sullo stato dell’inquinamento atmosferico delle città capoluogo di provincia che fornisce un quadro sull’’inquinamento atmosferico dell’anno, in questo caso il 2022, per provare a evidenziare criticità, carenze, prospettive e soluzioni per uscire dell’emergenza smog che riguarda le nostre città.

Se consideriamo le particelle sottili più piccole, la situazione risulta critica: delle 85 città di cui si hanno a disposizione i dati, ben 71 (l’84% del campione) nel 2022 hanno registrato valori superiori a quelli previsti al 2030 dalla prossima direttiva. Monza (25 μg/mc), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23 μg/mc), Alessandria, Bergamo, Piacenza e Torino (22 μg/mc), Como (21 μg/mc) le città che di fatto ad oggi doppiano quello che sarà il nuovo valore di legge (10 μg/mc contro i 25 μg/mc). Dati ancor più preoccupanti alla luce delle considerazioni dell’Esmo.

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Il legame tra inquinamento atmosferico e rischio di sviluppare un tumore del polmone non è una novità. Al Congresso 2023 della European society for medical oncology (Esmo), che si è svolto a Madrid, è stata mostrata però un’altra pericolosa relazione: quella tra alti livelli di particelle sottili nell’aria e rischio di tumore al seno.

Nello specifico, è stato presentato il primo studio che ha messo in relazione l’esposizione all’inquinamento sia residenziale sia occupazionale e il rischio di sviluppare questo tipo di tumore, finora non associato ai livelli di smog. «I nostri dati hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico da particelle sottili, in casa e sul lavoro, e rischio di cancro al seno», ha affermato Béatrice Fervers, responsabile del dipartimento di Prevenzione del cancro e dell’Ambiente del Centro oncologico globale Léon Bérard di Lione. «Donne che vivono e lavorano in luoghi con livelli più elevati di particelle sottili nell’aria hanno quindi maggiori probabilità di contrarre un tumore al seno rispetto a coloro che vivono e lavorano in aree meno inquinate».

I risultati hanno mostrato un aumento del rischio di tumore al seno del 28 percento in caso di esposizione all’inquinamento atmosferico da particelle fini (PM2,5) aumentata di 10 μg/m3, che equivale alla differenza di concentrazione che si rileva passando da aree rurali ad aree urbane. Un aumento, seppur minore, del rischio si è osservato nelle donne esposte a livelli elevati di inquinamento atmosferico da particelle più grandi (PM10 e biossido di azoto).

«Queste particelle molto piccole» spiega l’oncologo Charles Swanton, del Francis Crick Institute di Londra «possono penetrare in profondità nei polmoni ed entrare nel flusso sanguigno da dove vengono assorbite nel seno e in altri tessuti. Sarà importante verificare se gli inquinanti consentono alle cellule del tessuto mammario con mutazioni preesistenti di espandersi e muoversi verso la promozione del tumore attraverso processi infiammatori, in modo simile alle nostre osservazioni nei non fumatori con cancro al polmone. È molto preoccupante che piccole particelle inquinanti e microplastiche stiano entrando nell’ambiente quando non comprendiamo ancora il loro potenziale nel promuovere il cancro».

Queste evidenze hanno portato l’Esmo a richiedere, in accordo alle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Salute, un’ulteriore riduzione del PM2,5 a 5 μg/m3, rispetto all’attuale proposta avanzata nel 2022 da parte della Commissione europea di ridurre il limite per queste particelle dagli attuali 25 μg/m3 a 10 μg/m3.

Se guardiamo alla situazione italiana, l’inquinamento atmosferico nelle nostre città sta decrescendo troppo lentamente, rappresentando un serio rischio per la salute dei cittadini che sono esposti a concentrazioni inquinanti troppo elevate. Questo è quanto emerge dal rapporto Mal’aria di città 2023 di Legambiente, l’analisi sullo stato dell’inquinamento atmosferico delle città capoluogo di provincia che fornisce un quadro sull’’inquinamento atmosferico dell’anno, in questo caso il 2022, per provare a evidenziare criticità, carenze, prospettive e soluzioni per uscire dell’emergenza smog che riguarda le nostre città.

Se consideriamo le particelle sottili più piccole, la situazione risulta critica: delle 85 città di cui si hanno a disposizione i dati, ben 71 (l’84% del campione) nel 2022 hanno registrato valori superiori a quelli previsti al 2030 dalla prossima direttiva Monza (25 μg/mc), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23 μg/mc), Alessandria, Bergamo, Piacenza e Torino (22 μg/mc), Como (21 μg/mc) le città che di fatto ad oggi doppiano quello che sarà il nuovo valore di legge (10 μg/mc contro i 25 μg/mc). Dati ancor più preoccupanti alla luce delle considerazioni dell’Esmo.

I valori attualmente registrati da molte città e la distanza che le separa da quello che sarà il nuovo limite a partire dal 2030 sembrano essere irraggiungibili se si guarda all’attuale tasso di riduzione delle concentrazioni di inquinanti che si è registrato mediamente nelle città italiane negli ultimi dieci anni. L’inquinamento atmosferico è infatti un problema che non si può risolvere in tempi brevi, quindi comprendere quanto siano distanti oggi le città italiane dagli obiettivi da raggiungere nei prossimi sette anni è importante per capire le azione le azioni e le politiche che dovranno essere intraprese per raggiungere gli obiettivi previsti.

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L’importanza del PTCP per il territorio

Con la individuazione di una specifica linea di riferimento, relativa al benessere umano nella pianificazione urbanistica avviata nella Provincia di Salerno, il Presidente dell’Ente Franco Alfieri, ha voluto sottolineare il passaggio avvenuto dall’Health Protection all’Health Promotion, concetti che vanno opportunamente distinti.

Infatti l’Health Protection consiste nel salvaguardare il maggior numero possibile di persone dalle minacce che potrebbero attentare alla loro salute, mentre l’Health Promotion sta nel portare le persone a compiere scelte ragionate che migliorino la loro salute fisica e mentale. La salute, alla luce di documenti istituzionali elaborati negli ultimi anni, inizia ad essere un’attività di scelta del soggetto e delle istituzioni: si passa dal prendersi cura del danno al prendersi cura della salute, dello star bene nel contesto urbano in cui si vive.

Il benessere viene percepito come una condizione di armonia tra uomo e ambiente, il risultato di un processo di adattamento a molteplici fattori che incidono sullo stile di vita, compresa la pianificazione urbanistica. Non a caso l’Accordo Stato-Regioni del 22 settembre 2021 ha approvato il Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica - Urban Health, eleborato dal Ministero della Salute.

Si tenga conto, altresì, che nel Decreto sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del 18 marzo 2017 emerge un nuovo ed interessante filone di collaborazione tra Aziende Sanitarie Locali e Comuni in materia di redazione dei nuovi Piani Urbanistici Comunali nella sezione “Tutela della salute e sicurezza degli ambienti aperti e confinati.”

Nel PNP 2020-2025, infine, per garantire a tutti i

cittadini un futuro all’insegna di uno sviluppo in salute e più sostenibile, vengono affrontati tutti i determinanti socio-culturali, ambientali, relazionali ed emotivi che influenzano la salute, attraverso una programmazione multistakeholder, condivisa e partecipata, con il coinvolgimento attivo delle comunità nei processi decisionali. Ciò è in linea con l’approccio One Health che, riconoscendo che la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi sono interconnesse, promuove l’applicazione di un approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o già esistenti che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente-animali-ecosistemi umani.

Seguendo l’approccio One health, di mettere in atto indirizzi e azioni adottate con la Dichiarazione di Ostrava coniugati con gli obiettivi dell’Agenda 2030, il PNP prevede le seguenti linee operative: 1. Promuovere interventi di advocacy nelle politiche di altri settori (ambiente, trasporti, edilizia, urbanistica, agricoltura, energia, istruzione); 2. Promuovere e rafforzare strumenti per facilitare l’integrazione e la sinergia tra i servizi di prevenzione del SSN e le agenzie del SNPA; 3. Adottare interventi per la prevenzione e riduzione delle esposizioni ambientali (indoor e outdoor) e antropiche dannose per la salute.

Nel documento del Ministero della Salute si precisa: “L’urbanizzazione, la diffusione di stili di vita non salutari e l’invecchiamento della popolazione possono interagire con i determinanti sociali, culturali ed economici di salute in grado di determinare alterazioni metaboliche e biologiche che predispongono a patologie croniche.

Ecco perché, per un discorso più ampio, sarebbe opportuno valutare e selezionare in base al loro

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impatto sulla salute le fondamentali scelte infrastrutturali e urbanistiche collegate al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, legato al decreto legislativo 267/2000 “Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali”.

Tra gli obiettivi del PTCP c’è anche quello di tutelare, promuovere e valorizzare il territorio, privilegiando il metodo della copianificazione e della concertazione, in armonia con gli altri strumenti di programmazione e regolamentazione territoriale, perseguendo altresì il principio dello sviluppo sostenibile, della tutela della salute umana quale valore primario, della tutela e valorizzazione delle risorse naturali, ambientali e paesaggistiche e della generale sicurezza territoriale, riconosciuti quali valori identitari del territorio provinciale.

A tale fine potranno essere richieste indagini anche epidemiologiche e comunque attività di ricerca e di indagine che consentano di poter effettuare scelte razionali e tali da garantire sicurezza per l’Ambiente e per la Salute umana. La presenza del rischio, secondo i presupposti di legge, giustifica anche una valutazione di incidenza sanitaria tesa a garantire il fondamentale principio per cui l’esercizio di ogni attività economica deve avvenire in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute delle persone.

Il PTCP, riveste una particolare importanza per il territorio perché fornisce i criteri per gli insediamenti produttivi a rischio di incidente rilevante. Tali criteri, in armonia con tutta la legislazione vigente in materia e nel rispetto in particolare del D.Lgs 105/2015 nonché delle competenze regionali in tema di controllo industriale, vengono attuati dal PRG comunale e si esplicano: a) nel rispetto del censimento nazionale degli stabili-

menti a rischio di incidente rilevante; b) nella preventiva valutazione ambientale; c) nell’analisi puntuale delle sostanze pericolose ovvero tossiche in base alla normativa vigente e agli studi di settore o delle modalità di stivaggio, lavorazione, trasformazione, ed attività connesse ; d) nello studio delle differenti tipologie di incidenti da valutare in relazione alla gravità del rischio e del pericolo sia astratto che concreto, nel rispetto del differente contesto in cui potrebbe svilupparsi la situazione dannosa ovvero pericolosa; e) nel dovere generale di assicurare in ogni caso la complessiva sicurezza dell’area interessata dallo stabilimento ovvero quelle in prossimità della stessa, e quelle coinvolgibili, tutelando prioritariamente la salute umana, anche mediante il principio non derogabile di precauzione;

A tal proposito il piano urbanistico comunale, nella disciplina del RIR (Rischio di Incidente Rilevante), effettua valutazioni dello stato di fatto anche al fine di agevolare delocalizzazioni o ristrutturazioni finalizzate a diminuire i rischi connessi alla manipolazione o alla modalità di svolgimento delle attività pericolose o anche solo potenzialmente dannose, nell’ottica di prevenzione del rischio per la popolazione e l’ambiente. La Provincia promuove studi e approfondimenti sul tema del RIR (Rischio Incidente Rilevante) al fine di supportare i comuni nella loro funzione pianificatoria.

Non va trascurata nel discorso di urbanistica e salute l’Igiene edilizia oggi considerata un fanalino di coda della sanità pubblica, ritenendo erroneamente che il contributo dell’igienista nel garantire “edifici sani” sia marginale e che si tratti di pratiche obsolete o scarsamente efficaci.

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Da EUDF Italia il documento di impegno della comunità diabetologica per le Elezioni Europee 2024

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Sono 32 milioni le persone con diabete in UE, ogni anno 686.000 le morti per diabete o patologie correlate. In 15 raccomandazioni le priorità che l’UE dovrebbe supportare affinché gli Stati Membri sviluppino giuste politiche sul diabete in quattro ambiti chiave: identificazione precoce; cure eque di elevata qualità; valorizzazione delle persone; sostegno a scienza e tecnologia

Aiutare con atti concreti i 32 milioni di persone che soffrono di diabete nell’Unione europea e le loro famiglie, creando un solido quadro politico UE a sostegno dei piani di intervento nazionali rispetto a questa malattia. È questo il contenuto del documento di impegno della comunità diabetologica rivolto ai candidati delle prossime elezioni europee del 2024 e presentato oggi all’attenzione dei candidati italiani in una conferenza stampa il 18 Gennaio u.s. dallo European Diabetes Forum Italia (EUDF Italia). Il documento, sviluppato da un’ampia coalizione di associazioni impegnate nel settore del diabete, contiene 15 raccomandazioni politiche concrete per migliorare la vita delle persone con questa malattia e dei soggetti a rischio. Primi firmatari del documento, insieme al Coordinatore European Diabetes Forum Italia, prof. Agostino Consoli e al Presidente European Diabetes Forum, prof. Stefano Del Prato, sono stati, proprio in occasione della conferenza di oggi, il prof. Riccardo Candido, Presidente AMD e FeSDI, e il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID e Past President FeSDI. Muovendo dall’esperienza dello European Diabetes Forum, che, fondato dall’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD), riunisce più parti interessate provenienti da tutto il panorama del diabete in Europa per formulare soluzioni possibili per far fronte a questa pandemia, EUDF Italia si configura come think tank nazionale nel quadro di un vasto coordinamento europeo. Non un’altra società o associazione quindi, ma un network indipendente di discussione e proposta che opera in stretta collaborazione con le parti interessate del mondo del diabete e delle malattie metaboliche in Italia (società scientifiche, associazioni di pazienti e di cittadini, operatori sanitari, amministratori, politici, industrie del farmaco ecc.), per favorire la traduzione dei risultati della ricerca in azioni politiche per una migliore cura del diabete a livello nazionale. Ogni anno nell’UE muoiono oltre 686.000 persone a causa del diabete o di patologie correlate, una ogni 46 secondi. Ad oggi sono 31,6 milioni le persone nell’UE

affette da diabete (l’equivalente della somma delle popolazioni di Paesi Bassi, Portogallo e Croazia). Con l’aumento di questa pandemia silente, si prevede che il numero di persone con diabete aumenterà fino a 33,2 milioni entro il 2030. Nell’area europea si riscontra un numero crescente di persone giovani con diabete di tipo 2 e adolescenti con diabete di tipo 1: 295.000 in totale. Nel 2021, il costo complessivo correlato al diabete a carico dei sistemi sanitari dell’UE ammontava a 104 miliardi di euro. Dato che il 75 per cento di questi costi è imputabile a complicanze potenzialmente evitabili, le politiche che promuovono una diagnosi precoce e una buona gestione della malattia possono favorire un notevole risparmio sui costi e contribuire alla resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari.

Da qui le 15 raccomandazioni indirizzate al nuovo Parlamento Europeo che verrà eletto nel prossimo giugno e contenute nel documento d’impegno presentato oggi. Queste raccomandazioni sono articolate in quattro aree tematiche prioritarie: identificazione precoce, cure eque di elevata qualità, valorizzazione delle persone, sostegno a scienza e tecnologia.

Identificazione precoce:

• Esortare gli Stati Membri a introdurre programmi di controllo sanitario in tutte le fasce d’età per tutti i tipi di diabete e le comorbilità più frequentemente associate (quali malattie renali e cardiovascolari).

• Predisporre percorsi di monitoraggio per prevenire rischi metabolici, neurocognitivi e altri rischi sanitari.

• Potenziare le cure primarie e comunitarie con l’obiettivo di identificare le persone con diabete e i soggetti a rischio in tutte le fasce di età al fine di garantire una gestione precoce della malattia. È fondamentale istituire un programma di miglioramento qualitativo continuo al fine di valutare il follow-up delle strategie di implementazione e individuare nuove aree di miglioramento

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Cure eque di elevata qualità:

• Garantire un accesso equo e sostenibile ai farmaci, materiali, dispositivi e tecnologie digitalizzate necessari, come i sistemi di monitoraggio della glicemia e di somministrazione dell’insulina in tutti gli Stati Membri.

• Fornire alle persone con diabete percorsi di cura integrati per garantire un accesso tempestivo alle opzioni di gestione più appropriate in base alle loro esigenze, preferenze e circostanze personali e conformemente alle linee guida più recenti.

• Formare gli operatori sanitari e rafforzare la loro capacità di sostenere le persone con diabete nelle cure primarie e secondarie, in linea con le loro necessità e preferenze ricorrendo alle terapie e tecnologie più appropriate.

• Adattare i sistemi di finanziamento per superare le barriere delle politiche di bilancio a compartimenti stagni e facilitare cure integrate e incentrate sulle persone.

• Superare l’inerzia terapeutica e aumentare il controllo glicemico per evitare complicanze e il rischio di una ridotta qualità di vita.

Valorizzazione delle persone:

• Supportare un processo decisionale condiviso tra persone con diabete e operatori sanitari

• Mettere le persone con diabete al centro dei processi di ricerca, normativi, politici e valutativi in cui sono coinvolte.

• Fornire alle persone con diabete una formazione sull’auto-gestione e sostegno reciproco.

• Sensibilizzare gli operatori sanitari in merito ai danni della stigmatizzazione.

Sostenere scienza e tecnologia:

• Investire nell’innovazione digitale e sviluppare un percorso di buona prassi dei sistemi sanitari e della cura del diabete per accelerare l’accesso a tecnologie mediche, soluzioni digitali indipendenti (come app e intelligenza artificiale) e servizi digitali.

• Potenziare la raccolta di dati clinici, comprese le evidenze del mondo reale (Real-World Evidence, RWE), e l’uso di indicatori comuni in tutti gli Stati Membri. Ciò dovrebbe includere la misurazione e registrazione degli esiti mediante l’introduzione di serie di esiti standard e registri incentrati sugli esiti in tutta l’UE.

• Finanziare la ricerca sul diabete nell’ambito di programmi di ricerca UE, per esempio per affrontare necessità insoddisfatte, sfruttare tecnologie mediche digitalizzate e soluzioni e servizi per la cura del diabete e per una migliore gestione della malattia. Dovrebbe essere garantita la piena partecipazione

delle persone con diabete e dei loro rappresentanti a tali progetti.

«L’Italia si è impegnata sin dal primo momento nell’implementazione di questo documento di impegno contenente le priorità della comunità diabetologica sul diabete in vista delle elezioni Europee 2024. L’adesione a questo documento, con la promessa di impegno a sostegno della comunità diabetologica, da parte di quindici parlamentari italiani appartenenti trasversalmente a tutti gli schieramenti, è la dimostrazione che la politica italiana presta attenzione al tema del diabete e all’urgenza di sostenere con atti concreti le persone che vivono con questa malattia, i loro familiari e, allo stesso tempo, la sostenibilità del sistema sanitario. L’evento di oggi vuole diffondere la consapevolezza e l’adesione rispetto ai temi di questo documento d’impegno anche a tutta la comunità scientifica e al mondo delle associazioni dei pazienti affinché il suo contenuto possa essere patrimonio comune e affinché la sua piena condivisione possa rafforzare l’impegno per la traduzione dei risultati della ricerca in azioni politiche per una migliore cura del diabete», dichiara il prof. Agostino Consoli, Coordinatore di EUDF Italia.

«La Comunità Europea ha dimostrato particolare interesse al problema del diabete come evidenziato dalla Risoluzione promulgata nel novembre 2022. Quell’impegno rappresenta lo spunto affinché sempre maggiore salute e qualità di vita venga garantita alle persone affette da diabete, facilitando la prevenzione della malattia e delle sue complicanze, garantendo un’accessibilità alle cure uniforme in tutti i Paesi membri, sostenendo la ricerca scientifica e la tecnologica in ambito diabetologico. Il fine è quello di valorizzare le persone con diabete permettendo loro di lavorare al raggiungimento dei loro personali obiettivi e quindi contribuire attivamente allo sviluppo della società. EUDF è fortemente impegnata affinché la voce di milioni di persone con diabete, in Italia ed in Europa, possa offrire i necessari spunti di riflessione nel momento in cui vengono gettate le basi del manifesto politico del prossimo Parlamento Europeo. Al mondo politico che si appresta alla campagna per le Elezioni Europee, EUDF, attraverso un intenso lavoro che ha visto la partecipazione di tutte le principali associazioni, suggerisce 15 azioni pratiche, percorribili, necessarie affinché donne, uomini di ogni età, dal bambino all’anziano, possano affrontare con crescente serenità il loro quotidiano impegno a garanzia di salute duratura e di una vita normale e piena», dichiara il prof. Stefano Del Prato, Presidente EUDF

«Una diagnosi precoce e un accesso paritario a cure di

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elevata qualità possono consentire ai diabetici di continuare a condurre una vita appagante e di fornire il loro pieno contributo alla società. Un’efficace prevenzione e gestione del diabete può offrire una maggiore resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari. Le tecnologie innovative e i servizi ad esse associati possono contribuire a invertire la tendenza attuale del peggioramento degli esiti sanitari per le persone con diabete. I decisori politici europei hanno prestato maggiore attenzione al diabete negli ultimi anni: nel 2022, un secolo dopo la scoperta dell’insulina e 33 anni dopo la Dichiarazione di Saint Vincent in cui sono stati definiti gli obiettivi per la prevenzione e la cura del diabete, il Parlamento Europeo ha adottato una delibera storica in materia di prevenzione, gestione e cure migliori per il diabete nell’UE, invocando piani di intervento nazionali per il diabete nei 27 Stati Membri. L’UE dovrebbe sfruttare questo slancio sviluppando un quadro europeo di supporto aiutando gli Stati Membri a progettare giuste politiche sul diabete», dichiara Federico Serra, Executive Director & General Manager di EUDF Italia

«Rafforzare gli strumenti per la diagnosi precoce, garantire un equo accesso alle cure specialistiche, potenziare il valore del team diabetologico - con al centro la persona con diabete - e sostenere la scienza e ricerca al fine di garantire la migliore qualità di cura e di vita con il diabete. È questo quello che, come rappresentanti della comunità diabetologica italiana, ci impegniamo a chiedere a livello europeo, nazionale e territoriale, sottoscrivendo il documento di impegno protagonista dell’evento di oggi. Lo scorso anno, l’Unione Europea ha fatto un passo in avanti chiaro in tema di prevenzione, gestione e cura del diabete. Ma oggi, anche sulla base dei preoccupanti dati epidemiologici su diabete e obesità, patologie croniche in crescita in tutta Europa, è quantomai prioritario procedere verso l’implementazione di interventi strutturali in ciascuno Stato Membro. Solo così sarà possibile affrontare e gestire il diabete come priorità sanitaria, così come identificato, peraltro, anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in ragione dei dati di prevalenza, in continua crescita in tutto il mondo», dichiara il prof. Riccardo Candido, Presidente AMD e FeSDI.

«Riflettendo sulle priorità del prossimo mandato, è imperativo che i decisori politici riconoscano la posta in gioco e adottino politiche adeguate a ogni livello governativo, sia esso europeo, nazionale o regionale. Ciò che conta per la comunità diabetologica è tradurre le intenzioni in azioni concrete. L’unione di sforzi può garantire alle persone con diabete nell’UE una vita più lunga e soddisfacente, riducendo spese evitabili e rafforzando la resilienza e la sostenibilità dei sistemi sanitari. Tenuto conto delle proiezioni che vedono il diabete una patologia in crescita, è essenziale che l’Unione europea sviluppi un quadro europeo di supporto che assista gli Stati Membri nell’implementazione di politiche efficaci sul diabete. Pertanto, si chiede ai decisori politici di contribuire attivamente, fornendo un mandato esplicito per gli interventi europei e nazionali in quattro ambiti chiave: l’identificazione precoce, cure eque di elevata qualità, valorizzazione delle persone, e il supporto a scienza e tecnologia», dichiara il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID e Past President FeSDI.

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PREMIO URBES 2024

Un riconoscimento per il futuro delle nostre città

Urbanizzazione, Benessere e Salute rappresentano un trinomio sempre più centrale e prioritario per i sindaci e gli amministratori locali del nostro Paese, convinti che investire sul territorio per una migliore qualità di vita dei propri cittadini sia la chiave di volta per un futuro migliore.

Per questa ragione il motto che anima il premio è “Noi non abbiamo ereditato il mondo dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli e a loro dobbiamo restituirlo migliore di come lo abbiamo trovato.”

Il dibattito sulla misurazione del benessere degli individui, della comunità e del tessuto urbano in cui si sviluppa riscuote una crescente attenzione anche all’interno del dibattito pubblico, e come ha recentemente affermato l’architetto Renzo Piano “Un architetto e un sindaco hanno molte cose in comune. Innanzitutto, la città. L’architetto ne pensa gli spazi, ma è il sindaco che li riempie”: ebbene, molte delle intuizioni per la creazione di nuove città o per soluzioni innovative all’interno delle stesse, dello sviluppo del benessere e della qualità di vita, si devono a sindaci che hanno immaginato il futuro e hanno lavorato in una dimensione temporale che guarda alle generazioni future,

È sulla base di tale impegno e investimento che URBES vuole assegnare annualmente un riconoscimento alle politiche intraprese da alcune città italiane che investono per la tutela e promozione della salute, con la motivazione, in base a degli indicatori prospettici a medio e lungo termine, sviluppati dai da ricercatori di Health City Institute e di BHAVE.

Una giuria indipendente valuterà le segnalazioni pervenute dai ricercatori e/o dalle città, da Enti pubblici e privati, da Fondazioni e da quanti altri in maniera documentale vogliano segnalare città meritevoli di attenzione, e provvederà alla proclamazione delle città vincitrici.

Il riconoscimento gode dell’egida di EUHCNET –European Urban Health Communicators Network, di C14+, di Health City Institute, dell’Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città” e vuole essere lo stimolo alle amministrazioni comunali a piantare oggi un “seme” per costruire “una foresta di benessere” per il futuro.

L’annuncio dei vincitori degli URBES AWARD sarà dato in occasione dell’Assemblea Annuale ANCI e la premiazione si svolgerà durante un momento a latere dedicato.

Sono annualmente dati i seguenti riconoscimenti URBES AWARD:

• premio urbes - città del benessere e della salute

• premio urbes - bene comune

• premio urbes - comunità del benessere

• premio urbes in favore di fondazioni, federazioni, enti, società scientifiche e associazioni civiche e sociali

• premi speciali

Potranno essere assegnati, a discrezione della comitato editoriale della rivista URBES, anche riconoscimenti speciali a istituzioni, comuni, città, università, enti, fondazioni, istituti di ricerca, federazioni, associazioni e persone che abbiano implementato progetti di rilevanza sociale per il bene comune.

Le candidature potranno essere proposte e pervenire entro il 30 giugno 2024 scrivendo alla segreteria del premio c/o FASI (Via O. Tommasini 700162 Roma06 97605610) alla cortese attenzione di Fabrizia Rossetti - f.rossetti@fasiweb.com, tramite segnalazione di amministrazioni comunali, parlamentari europei, nazionali e consiglieri regionali, istituzioni ed enti nazionali, regionali e locali, fondazioni, università, associazioni civiche, dai membri della giuria, dell’He-

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alth City Institute, di C14+ e dell’Intergruppo parlamentare qualità di vita nelle città.

GIURIA DEL PREMIO

La giuria del premio è composta

Presidente: Ketty Vaccaro- esperta in sociologia e welfare

Componenti: Roberta Crialesi – esperta in statistica; Tiziana Frittelli – esperta in politiche sanitarie; Francesca Romana Lenzi – esperta in politiche sociali; Anna Lisa Mandorino - esperta in politiche di cittadinanza; Chiara Spinato – esperta in urban health; Simona Tondelli – esperta in politiche di pianificazione urbana; Roberta Siliquini – esperta di salute pubblica; Frida Leonetti - esperta in medicina e salute; Novella Calligaris - esperta in politiche sportive; Fernanda Gelone - esperta in politiche industriali; Teresa Petrangolini - esperta in politiche sociali; Raffaella Bucciardini - esperta sulle diseguaglianze di salute; Francesca Romana Gigli - esperta in comunicazione; Veronica Grembi – esperta in economia sanitaria; Giulia Sormani – esperta in design; Eva Massari - esperta in relazioni pubbliche.

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