Radici No17 - Gennaio 2020

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No.17

1 Matchbox Stories

2 Solo un’ipotesi

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Raffiknife87

Il racconto di Rocco

Piccoli miracoli a Sara jevo

5 Bar Adriana

gennaio 2020

la base di un albero fatto di storie

Gratuito


MATCHBOX STORIES racconto di Pierpaolo Paluan

COSA SONO?

Attenzione! Questa è una storia infiammabile. Chi? Cosa? Dove? Quando? Risposte già scritte e storie ancora da creare. Questo è stato il nostro workshop "Matchbox Stories" del Flame Fest di Luglio. Tutto è partito dal gioco della sigaretta, dopodiché qualche malcapitato ha scritto il resto. Il 18 gennaio lo ripeteremo, il workshop è aperto a tutti, anche a quelli solo di passaggio. PS: La storia è infiammabile perché diventa copertina + contenuto di un pacchetto di fiammiferi limitato e personalizzato.

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Inghilterra, 2012. Fa freddo. L’aria sa di fritto mentre cammini per China town, i colori prevalenti sono il rosso delle lanterne e il grigio del cielo. Cammini, guardando in basso, con passo tranquillo e poi più velocemente mentre ti guardi intorno. Un po’ come a Milano, appena scendi dal treno inizi a correre, così, a caso. Poi piove e con faccia rassegnata ridi, senza ombrello, continui a camminare, alla fine è solo acqua. C’è un viale, alberi ai lati e un gran parco, passano i cavalli, passano gli scoiattoli, passano i cinesi, tu non li vedi, sentì solo il rumore degli obiettivi. Vai avanti. Le guardie si danno il cambio, la bandiera è alzata. La regina è in casa!!! Ti volti, occhi grandi e giacca grande, lei sorride, è come stare vicino alla miccia di una bomba: Se esplode sei finito, se tagli la miccia sei finito. Sei più punk del punk. Sei più hardcore di un concerto con le sedie. Sei più figa dei bassi in discoteca. Sei più schifosa (in senso buono) di un bacio sotto un ciliegio in fiore. Sarai tu la prossima regina di Inghilterra le dici. Bevi da Starbucks, la tazza è bella calda e sulle ginocchia ormai ho due bollini rossi. Sento l’acqua che mi rinfresca. Sospiro, mi sento leggero. Ricordare, ogni tanto, tutto ciò che è successo è molto bello. Ma mentre stai facendo la cacca lo è ancora di più.


Solo un’ipotesi

di Riccardo Busato | illustrazione Agnese Piacenza

@agnese_piacenza

Rapporto: Indagine scomparsa sig. Alberto Ballarin nato c/o VE il 31/21/1966. Prova A: bott. Champagne aperta + bicc. mezzo pieno (o mezzo vuoto). Pr. B: Televisore acceso su canale rete nazionale pubblica. C: impronte che vanno dalla porta d’ingresso al bagno. D: vasca da bagno piena d’acqua + vestiti da donna buttati lì a lato. E: uovo rotto opalescente di grandezza insolita. F: gatto addormentato. Hp: il sig. AB stava festeggiando come consuetudine millenaria (NB lo è? Fare ricerche) l’avvenire del nuovo anno. Da solo, in casa. O meglio, in compagnia della combriccola televisiva che ogni anno si ritrova per traghettare le anime impazienti del pubblico verso un anno gioioso e autopoietico. È probabile che verso l’ora x AB abbia estratto lo champagne dal frigo e si sia apprestato ad emulare quanto fatto dalle persone tele-trasmesse nella sua dimora, che abbia stappato la suddetta bottiglia, che ne abbia bevuto un bicchiere pieno, poi un altro e un altro ancora – per essere sicuro del sapore – e che a quel punto qualcuno abbia bussato alla sua porta. Sono quasi certo che abbia reagito con stupore alla inaspettata richiesta, a quell’ora e in quella notte specifica. Si sarà diretto alla porta e avrà trovato una donna, fradicia e confusa, che avrà chiesto riparo. Quella notte infatti pioveva – una pioggia densa e collerica. AB, uomo mite e naturalmente portato all’altruismo, l’avrà fatta entrare. Le avrà chiesto cosa ci facesse una donna sola in quella notte piovosa ma l’ospite sarà stata in uno stato confuso e AB avrà optato per non arrecarle ulteriore disturbo, indicandole il bagno perché potesse concedersi un’abluzione rincuorante. Sì sarà diretto in cucina per preparare una tisana calda allo zenzero e miele e le avrà poi portato un cambio che le avrà lasciato sulla soglia, avvertendola, bussando dolcemente per non disturbarla. Non ricevendo risposta, si sarà insospettito, avrà bussato di nuovo, chiesto se andasse tutto bene e azzardandosi ad entrare di fronte al silenzio dall’altra parte della porta. Non avrà trovato nessuno, solo la vasca colma d’acqua e un uovo avvolto da un asciugamano e un biglietto su cui era scritto “grazie” con una grafia fluente e leggiadra. AB sarà stato colto da perplessità, stupore, preoccupazione ed indignazione, ma l’elaborazione di tali sentimenti deve essere stata interrotta dallo schiudersi dell’uovo grande quanto quello di uno struzzo – dal quale è uscito questo gatto. Il gatto deve aver comunicato telepaticamente al signor AB che poteva esaudire qualsiasi suo desiderio per ringraziarlo di quella gentilezza rara e spassionata. E il sig. AB deve aver detto qualcosa del tipo: «Non voglio più sentire nulla. Non voglio più sentire questa urticante solitudine. Questo vuoto agghiacciante e profondo e terribile. Non voglio più svegliarmi solo al mattino, andare a letto solo la sera. Non voglio più domandarmi a quale scopo io mi debba svegliare al mattino – sentirmi guasto e fragile. Voglio sparire». Il gatto deve averlo guardato, aver chiuso gli occhi e il signor AB deve essersi smaterializzato, come una folata di fumo in una notte ventosa. E l’unico testimone di questa vicenda è questo gatto addormentato sul mio grembo che, forse sogna – o forse no – quello che AB non è stato in grado di realizzare. Ma è solo un’ipotesi. Quello che è davvero successo, tristemente, non lo sapremo mai.


di Jacopo Zonca

-Da: Raffiknife87Insomma ve la faccio breve. Mi chiamo Raffaele (nome per la rete, il vero non ve lo dico, per adesso) e commercio in coltelli. Ho trentadue anni, ho un lavoro che mi soddisfa, (gestisco l’attività con mio padre, fabbro in pensione) mi piace portare i capelli legati in un codino (ne ho pochi e se li tengo lunghi sembrano più folti) e vivo in un appartamento con il mio barboncino Jack. Come vi dicevo prima, commercio in coltelli. Io mi occupo della parte commerciale, internet e contabilità, mio padre della parte creativa, cioè è proprio lui quello che crea impugnature e lame, tutto personalizzato a seconda delle esigenze del cliente. Vendiamo sia a ristoranti sia a privati, che in genere sono quelli più esigenti e per i quali occorre più lavoro, perchè vogliono lame lunghe, impugnature d’oro (soprattutto quelli dell’est) e rifiniture a mano. Comunque, proprio quando ho consegnato la merce (dei machete) ad alcuni peruviani, ho conosciuto la nipote di Enrique, il capo di quel gruppo. Voi non mi vedete, ma sono sovrappeso, ho la pancia e sudo molto, specie quando sono vicino ad una persona che mi piace (e questo purtroppo è vero). Non so perché lei fosse lì, non aveva interesse a comprare dei coltelli e non ha mostrato neanche particolare ammirazione per quei machete (sono bellissimi, ve lo assicuro), magari forse voleva solo stare vicina a suo zio. Comunque aveva un vestito bellissimo, capelli neri lucidi, carnagione scura (proprio peruviana) e uno sguardo che mi ha trapassato, in quel momento ho cominciato a sudare come un porco, avrei voluto infilarle la lingua dappertutto (scusate la franchezza, ma avete capito) Adesso sono in crisi: ho attacchi di ansia paurosi, perché dovrei tenere ben separati i sentimenti dagli affari (specie quando si tratta di gente che mi chiede coltelli affilati e lunghi) però… insomma ho avuto un brivido. Avete presente quel brivido che sale dallo stomaco e si diffonde in tutto il corpo come una scarica elettrica? Quella sensazione di leggerezza e felicità? Ecco, quella roba lì. La mia paura non è che suo zio (Enrique) si arrabbi, la mia paura è che lei rida di me, perché non so cosa potrebbe trovare in una persona come il sottoscritto. Alle medie mi prendevano in giro perché ero grasso e c’era una stronza che mi diceva che non sarei mai stato con una ragazza. Io sono molto bravo in quello che faccio e ho anche raggranellato molti soldi (soprattutto grazie alle vendite a quelli che mi dicono di non fare domande) però sono insicuro. Cioè questa ragazza (la nipote di Enrique) è bellissima e sembra veramente fatta apposta per me, però ho paura. Perché un rifiuto può essere molto più doloroso di una lama piantata nella pancia. Non lo so, non lo so proprio cosa mi prenda. I pensieri sono tutti incasinati dentro alla mia testa e non riesco a fare ordine. Ho paura, ma allo stesso tempo sto male se penso di non poter conoscere questa ragazza. Insomma cosa faccio? La cerco? Le chiedo il numero? Certo non posso chiedere il contatto ad Enrique, ma so come cercarla. Voglio dire, viviamo in un mondo in cui tutti fanno i cazzi propri, tutti pensano solo al proprio tornaconto, la gente non fa più figli, nessuno si vuole più bene… perché non dovrei buttarmi? Certo, mi devo vestire un po’ meglio (magari la smetto con le magliette nere), preoccuparmi di meno e sorridere di più, magari mi prendo anche un profumo, di quelli che usano i modelli. Insomma io ho trentadue anni, ho una casa (alle donne piacciono gli uomini indipendenti e con una casa tutta loro) un discreto gruzzolo, ma il problema è che sono ancora vergine (questo è vero) e la cosa mi fa vergognare molto, più passa il tempo e più mi sento a disagio. Ora, la mia domanda è questa: Dovrei provarci secondo voi, oppure la questione è troppo complicata? Una volta avuto il suo numero, qual è la soluzione migliore? Scriverle tutto il mio interesse e mostrare tutta la mia intelligenza, oppure fare il misterioso? Ho bisogno di consigli, la mia paura non è che mi facciano fuori o che mi mettano dentro, di quello sinceramente non me ne importa. La mia paura più grande è quella di non vivere quelle cose che rendono la vita degna di essere vissuta. Ps. Avevo detto che la facevo breve, ma mi sono dilungato troppo! Attendo vostre risposte. Grazie mille, -Raffiknife87Se vuoi continuare il raconto scrivi a radiciposterzine@gmail.com


Piccoli miracoli a Sarajevo di Lucia Botti | illustrazione Giulia Cecchinato

Q

@dafne.___

ualche anno fa ho letto un libro che non sono più riuscita a togliermi dalla testa. Si chiama Sarajevo Mon Amour, lo ha scritto il generale Jovan Divjak. Divjak nasce a Belgrado nel 1937 da genitori serbi, frequenta l’Accademia Militare in quella stessa città e vive per un breve periodo a Parigi, per ultimare gli studi. Poi nel 1966 si trasferisce a Sarajevo e, come dargli torto, se ne innamora. Continua a svolgere diversi incarichi negli alti ranghi dell’Armata Popolare Jugoslava fino al 1992, quando la guerra colpisce la Bosnia e la sua Sarajevo viene assediata. In quel momento Divjak si trova di fronte a un bivio: schierarsi coi suoi connazionali, contribuendo così all’urbicidio e al massacro dei suoi cittadini, o difendere la popolazione civile, diventando un traditore agli occhi dei serbi. Divjak sceglie la seconda opzione. Si schiera con la Difesa Territoriale di Sarajevo, disertando l’esercito jugoslavo e assumendo il comando della difesa della capitale bosniaca. È diventato il simbolo della Sarajevo fiera, coesa e multietnica, priva di preconcetti razziali e religiosi, combattendo al fianco dei bosgnacchi e difendendo al contempo i diritti dei serbi rimasti. Divjak è uno di quegli eroi comuni di cui ogni guerra (e ogni generazione) avrebbe bisogno, il difensore degli ultimi per il solo fatto di essere ultimi, senza badare alla nazionalità, al credo, al numero di scarpe o all’appartenenza sociale. Ho sempre sognato di incontrarlo, ma con la stessa ingenuità con cui ogni bambino sogna di incontrare Cristiano Ronaldo. Stasera avevo voglia di perdermi per la città e mi sono messa a gironzolare per strade che di solito non frequento. Sul marciapiede incrocio un signore col cappello, in una mano ha l’ombrello, nell’altra la borsina piena di verdura del Markale. I nostri sguardi si incrociano, lui solleva leggermente il basco a mo’ di saluto. Proseguo di qualche passo, mi blocco in mezzo alla strada e torno indietro di corsa. “Excuse me Sir, sorry for disturbing, are you Jovan Divjak?” Lui mi guarda un po’ interdetto, subito non risponde e io tra me e me penso: “Ecco, brava Lucia, adesso se non è lui prova a spiegargli in bosniaco che lo hai scambiato per un’altra persona” “Oui, c’est moi”, mi tende la mano con un'aria fra il lusingato e l’imbarazzato. Mi commuovo, lo abbraccio e cerco di dirgli con quelle quattro parole di francese che mi ricordo dalle medie che sognavo di incontrarlo da tempo. Rimaniamo in mezzo alla strada per almeno 15 minuti, mi chiede cosa faccio a Sarajevo e per quanto ci rimarrò. Mi chiede anche come ho fatto a riconoscerlo, e io gli confesso che mia mamma mi ha

fatto con una buona memoria visiva e mi ricordavo la sua faccia sulla copertina del libro. Io vorrei chiedergli così tante cose che finisco per non chiedergli nulla e continuo a stringergli la mano. Alla fine mi lascia il suo numero di telefono e poi mi interroga: “Vedi che nel mio numero compare il 68? Ti ricordi cos’è successo nel ’68? La révolution des…?” “Des jeunes étudiants?” “Très bien! Et en 1914?” “L’inizio de la première guerre mondiale” “Très très bien” Mi ha detto di telefonargli, di andare a trovarlo alla sua associazione, Obrazovanje Gradi BiH, “L’istruzione costruisce la Bosnia”, che aiuta gli orfani di guerra a crearsi un futuro tramite la scuola. E, con la punta d’orgoglio che contraddistingue gli abitanti di Sarajevo, mi ha suggerito di guardare il film Venuto al mondo, dove interpreta se stesso. Prima di separarci, cantiamo insieme Nel blu dipinto di blu. Mi saluta col baciamano e, assieme al suo cappello, al suo ombrello e alla borsina del Markale, prosegue la sua strada verso casa.


di Cecilia Tanzi illustrazione Ilaria Giannarelli @ilaria_giannarelli

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l bar Adriana fa angolo giù in paese e ha l’aspetto di uno di quei posti dove da bambino ti portava tuo nonno. Ti faceva scendere dalla bicicletta e ti diceva di stare bravo, una lattina con la cannuccia piazzata in mano e via, parcheggiato su una sedia di plastica che ti sembrava enorme. Piedi a penzoloni e "stai attento che ti ribalti". Si gioca a carte al bar Adriana, mentre si bevono i bianchini, a tutte le ore. Ma dopo le 22 no, non si può più, che la signora del bar ha messo un cartello sopra i tavoli e nasconde i mazzi di carte. Pare anche di sentirlo, l'odore di quel bar. Sa di fondi di caffè bruciati, alcol e focaccine, quelle unte che rendono

trasparente il tovagli sui pantaloni ogni vo I quotidiani in verand increspa e fa quel rum hai detto al nonno c mare e lui ha sorriso, sta tanta, in una testo E poi le sedie trascin le monete nel telefo gli starnuti, le tazzine rovesciati. Un'orchestra di suo aspettando da bravo che ti ribalti. La tristezza satura l mentre calano gli a quella non si vede e È tormentata tutti i Anche se ascolta Ma giorni, in tutte le stag Lei che un bar nemm to e ci ha messo il su e poi è sparito, ness non c'era più" ha se ha mai osato chiede Così e basta, da anni Fa caldo, le pale su della radio gracchia aerei al decollo. Chi fermato il giorno che na non ha mai voluto Ma non le interessa che ore sono, non le Occupa spazio dietr per non lasciare qu posto in cui stare, est alza tutte le mattine stappa vino e lo vers sono puliti. Non so vorrebbe stare al par romanzo, sulla spiag L'Adriana resta dov resistenza.


iolo e bagnano le dita, che te le pulisci olta e restano macchiati. da si accartocciano nel vento, la carta si more bello, che una volta, da bambino, che sembrava il rumore delle onde del , dicendo che di immaginazione ce ne olina piccola così. nate, la tosse dei vecchi, le bestemmie, ono pubblico giù in fondo al corridoio, e, i cucchiaini che tintinnano, i bidoni

oni che hai imparato a riconoscere o sulla sedia, stando attento, sai mai

l'aria, ma fanno tutti finta di niente, assi e singhiozzano bolliicine, perché non ha rumore, è facile da ignorare. giorni, in tutte le stagioni, l'Adriana. amma Maria dei Ricchi e Poveri tutti i gioni, a ripetizione. meno lo voleva e il marito lo ha comprauo nome, ha servito un migliaio di caffè suno sa dove. "Mi sono svegliata e lui empre raccontato sbrigativa e nessuno ere altro, nemmeno come sta. È così. i. ul soffitto girano senza sosta, le casse ano, i motori dei frigoriferi sembrano issà che ore sono, che l'orologio si è e Giorgio non ha aperto il bar e l'Adriao rimetterlo in funzione. dell'orologio, non le interessa sapere e interessa del bar. ro il bancone per senso del dovere e uella manciata di pensionati senza un tate e inverno, pioggia o sole. E così si e, veste svogliatamente, apre la porta, sa per inerzia in bicchieri che chissà se orride mai. Si sente in colpa perché rco con il cane, in terrazza a leggere un ggia a fissare le onde. Ma non può. ve è stata incastrata, senza opporre

Il racconto di Rocco

di Rocco Botti illustrazione Eleonora Boschi @la.ginemore

Parma, notte. Rocco ascolta la pioggia scendere copiosa e leggera fuori dalla finestra. Una melodia di zampette che si rincorrono. È buio e freddo. Una sensazione di calore e un placido sorriso delineano il suo volto. Rocco immagina il tintinnare, tin tin tin nelle lontane foreste, dove ha camminato, dove ha amato, sente il profumo della resina, così forte, penetrargli la cavità nasale. Gli inebria i sensi, provoca un brivido, si estende dalla schiena fino alla punta dei piedi. L’estasi del brivido provoca un brusco ritorno al presente, ma questo gli permette di viaggiare più lontano, verso i lidi segreti della Grecia dove si è consumato il suo amore dietro a scogli ed ossa di cane morto, rivive quell’amplesso, lo rende vivo, lo uccide e lo riporta in vita. Compie il miracolo. Viaggia con la pioggia Rocco, come facevano gli sciamani. Dicembre 2016, Alto Adige, ora è nel bungalow accovacciato tra le gambe di un vecchio amore, il profumo del sesso si unisce al profumo di abete bagnato e le coperte non sono che sorde testimoni dell’improbabile incontro. La pioggia lo culla e lo porta a dormire. Le mille sfumature di desiderio lo riempiono di emozioni indecifrabili, sempre meno limpide, sfumate e impercettibili come i riflessi di un ubriaco, perché è questo che Rocco è stanotte: un vagabondo ciondolante presso qualche strada buia, ancora poco chiara.


illustrazione poster e copertina di Giada Maestra

@giadamaesta

No.17

gennaio 2020

la base di un albero fatto di storie


editoriale

TU TI RICONOSCI?

Ieri ti ho vista. Eri ferma all'angolo della strada, da sola. Ti ho riconosciuta subito perché saltavi da un piede all'altro e stavi per buttarti nel mezzo. Una macchina ti ha suonato all'impazzata. Tu l'hai salutata ridendo. Ho sorriso: ridi ancora, è una buona notizia. Avrai avuto trent'anni al massimo. Uno zaino, le scarpe da ginnastica e una giacca fucsia senza senso. Davvero ora porti i capelli così lunghi? Fin dove ti ho conosciuta io avevi un caschetto e una maledetta frangia sempre sugli occhi. Ecco, gli occhi. Parlami di quella stanchezza: dormi? C'è qualcuno che ti tiene sveglio? Un bambino, un cane, un marito? La goccia del lavandino? Non l'ho capito. Hai tirato fuori il telefono due volte. Una di queste hai fatto una smorfia. Ti sei mangiata l'unghia della mano destra e sei ripartita. Allora ho preso coraggio: mi sono avvicinata e ti ho dato la mia busta. Fa parte del biglietto che ho comprato sul sito internet: 100 euro per un giro nel futuro a incontrarsi da grandi e 50 per la busta con tre domande. Dice che a voce non si può parlare perché si chiamerebbe "interferenza". Dice che però si può scrivere. Dice che di solito le domande fanno effetto più di qualsiasi risposta. Io le mie le avevo già in mente. 1. Tu e il tuo corpo siete ancora libere? (Inteso di cambiare,

essere, modificare. Di amare e godere, quando e come si vuole). 2. Lotti? (Inteso: dici ancora di no tutte le volte che ti chiedono cose inaccettabili e lavori per realizzare i nostri sogni impossibili. I nostri inteso i tuoi). 3. Ti sei fatta operare per togliere il calcolo alla cistifellea? (Inteso: non è possibile rinunciare alle patatine fritte per tutta la vita). Lo so, l'ultima domanda l'ho sprecata. Mi sono fatta prendere dal panico. Ma tu, proprio tu che ora ridacchi dietro il foglio, se potessi mandare te adolescente a incontrare te adulto, cosa gli chiederesti? Ecco Radici, numero 17, apre il magico anno dal giorno palindromo parlando di riconoscimenti: della magia di identità che coincidono con le previsioni, di gente incontrata per caso che è esattamente come aveva promesso sarebbe diventata. Ma anche di vagabondi che cercano una strada. Di prigionieri incastrati in gabbie di routine. Di venditori di coltelli che sudano quando si innamorano. Di gatti che, in quanto gatti, sono testimoni di storie fantastiche di cui non ci riveleranno un bel nulla neanche stavolta. E l'importante, anche stavolta, è cosa e a chi noi decidiamo di credere. Buon anno magico, sappiate farne buon uso.

Martina Castigliani

TOMA Systems top 5 del mese Tomasystems è un garage sized brand che nel tempo libero suona i suoi synth e fa concerti introspettivi in giro per la Bassa. Scriviamo "suoi" synth perché li costruisce lui stesso con meticolosa attenzione nel suo laboratorio. Ogni prodotto della Tomasystems è impostato per avere alcune caratteristiche: essere semplice, performante e soprattutto facile da utilizzare. Tomasystems è, oltre a tutte queste cose, un fanatico dei King Gizzard and the Lizard Wizard e questa è la sua top 5.

Crumbling Castle

Self Immolate

Gemma Knife

Anoxia

Muddy Water

ci trovi anche: @radiciposterzine copia /250

Gennaio 2020 n. 17 Editore Nicolò Artoni Direttrice responsabile Martina Castigliani Proprietaria Serena Caramaschi Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 4/2017 del 26/05/2017 Sede del periodico Via San Marco 16, 42016 Guastalla RE Stampa Tipografia Pixartprinting Periodicità Bimestrale Contatti radiciposterzine@gmail.com Progetto grafico e direzione artisica Nicolò Artoni Editing Giovanni Irimia


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