Radici No13 - Maggio 2019

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No.13

2019

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Gratuito

Fuorirotta

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Tranquillity base here. The Eagle has landed.

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Crescere fa schifo

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L’osteria delle bugie bianche

In Fila

la base di un albero fatto di storie

Imprnte di Giganti


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Fuorirotta di Caterina Bonetti illustrazione Pierpaolo Paluan @monsta_official_ Camminando lungo corso Massimo D’Azeglio, in quella mezza via dei tramonti d’ottobre, con l’aria ancora tiepida, ma che già sa di camino, aveva sfilato le mani dalle tasche, il cappotto leggero aperto, e si era reso conto di non provare niente. Non aveva fame, né sete, né caldo né freddo, non era stanco eppure aveva già sciolto, nel corso della giornata, quella tensione alle gambe, che sanno di avere da fare. Muovendo le braccia, allungando il passo, aveva sentito l’aria scivolare sulla pelle, come se si fosse da poco immerso in una vasca d’acqua tiepida, come il suo corpo. I pensieri zitti, si sentiva protetto, lontano da tutto, completamente in sé. “Chissà se è così il paradiso quando si muore” aveva pensato “Se è questo che chiamano il nulla eterno” La strada, le voci, le bici di passaggio erano solo abbozzati, rumori distanti. A un tratto il profilo delle sue mani aveva iniziato a sgranarsi, come in una foto troppe volte ingrandita, il rosa della carne a mescolarsi con il grigio della strada. Sollevando le braccia si era reso conto che anche il resto del corpo si stava scontornando, ma nessuno, intorno a lui, sembrava accorgersene. Pochi passi ed era scomparso del tutto: amalgamato nella città poteva sentirne il respiro. Correva lungo le rotaie del tram e, risalendo fra i passeggeri, ne annusava i pensieri: lo stipendio non ancora versato, una lista della spesa, i compiti da fare e un’ultima pipì, prima di mezzanotte, nel parco sotto casa. Poteva sentire i discorsi fatti, le frasi urlate o dette a mezza voce, tutti insieme, ascoltando ciascuno. Sentiva la stanchezza serale delle porte automatiche dei grandi magazzini, aperte mille volte, il desiderio scattante dei lampioni che, con lampi asimmetrici, si stavano accendendo. Poteva risalire lungo i tronchi degli alberi controllando con ansia le scorte per l’inverno, allungarsi pigramente sulla superficie del Po e ascoltare le notizie dalle valli o dal delta. Un attimo e di nuovo era in mezzo alla gente, nelle strade del centro, masticato dalle scarpe e dai rumori. Centinaia di occhi che si erano alternati davanti alle vetrine con centinaia di pensieri infinitamente distanti dai cardigan, dai libri e dai profumi. La stazione stipata di gioia e nostalgie, il turno che finisce e il silenzio dei call center. Un colpo d’aria fredda, scesa dalle colline, e i contorni erano tornati a fuoco. Cinque passi ancora, a sinistra ponte Umberto e più in là i Cappuccini. Non sapeva, in fondo, se andare o restare.


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Impronte di Giganti di Martina Panisi illustrazione Beatriz Narciso

Eravamo bloccati nella foresta tropicale, io e due cacciatori di scimmie, in un’isola situata sulla linea dell’equatore, nell’oceano Atlantico. Il fiume iniziava a riempirsi velocemente, la pioggia ci colpiva sempre piu’ arrabbiata. Nessuna traccia della lumaca gigante della foresta nativa. Si prospettavano giorni difficili. Abbiamo trascorso un mese nella foresta a cercare questa specie che, come molte altre specie animali, rischiava l’estinzione. La notizia allarmante mi aveva raggiunto fino in Europa. La popolazione locale mostrò subito grande interesse per le sorti della “loro” lumaca, vecchio ricordo d’infanzia. Grande come due palmi di mano accostati, veniva usata abitudinalmente come medicinale, ignorando che la sua esistenza nelle loro isole fosse unica a livello mondiale. Gli adulti ci chiedono spiegazioni. La luce di preoccupazione nei loro occhi contrasta i volti indifferenti dei bambini, che hanno dimenticato o forse mai saputo. Spesso mi chiedo come ci sentiremmo se i grandi animali iconici della Terra iniziassero a scomparire, proprio ora. Oceani trasformati in aridi deserti, in cui balene e tursiopi restano memorie del passato. Fiabe per bambini dove ghiacci e orsi polari diventano protagonisti al posto di dinosauri. Ci chiederemmo chi é il responsabile di tutto ció? Agiremmo prima della loro scomparsa definitiva? E se scomparissero le piccole creature che popolano le nostre case o giardini? Da bambina mi dissero che ogni essere vivente meritava rispetto perché condividiamo la stessa casa, la Terra. A scuola mi destabilizzava la passione con cui si difendevano cani e gatti e si disprezzavano ragni o lumache. Non capivo come non si

cogliesse la bellezza celata nelle meravigliose e complesse ragnatele prodotte in un angolo della scuola o nella pacificitá della piccola lumaca che tornava ogni mattina sotto la pietra del rosmarino di casa. Questi miliardi di piccole componenti che formavano la vita, ai miei occhi, apparivano tutte importanti allo stesso modo. Crescendo come biologa, capii che i piccoli dettagli della Natura, gli invertebrati, che rappresentano il 97% di tutti gli animali esistenti sulla Terra, non sono solo parte della bellezza che ci circonda, ma svolgono funzioni essenziali nel mantenere l’equilibrio dei sistemi naturali di cui noi siamo parte. I bambini dell’isola stanno dimenticando la “loro” lumaca gigante, ormai rara. Chiediamo loro se vogliono imparare a diventare giganti, rispettando la natura proprio dalle sue componenti più piccole. Se l’azione di ognuno di noi è essenziale por la salvaguardia del nostro pianeta, dai piú grandi ai piccini, le dimensioni perdono importanza. Anche se vediamo gli effetti solo su scala più ampia, stiamo affrontando enormi perdite di quei pezzetti di Natura che sono le redini della grande rete di legami tra specie che ci mantiene in vita. Fra trent’anni circa due terzi della popolazione umana mondiale vivrá in città. Riusciremo a rispettare qualcosa che non vediamo, con cui non possiamo creare empatia o capire l'effetto negativo indiretto che stiamo avendo su di esso? Forse, se cominciassimo ad accorgerci della bellezza nei piccoli particolari della natura fin dall’infanzia, cresceremmo piú entusiasti nel rispettare e prenderci cura della nostra casa. E se sfidassimo i piccoli rappresentanti del nostro futuro, i bambini, a vedere questi dettagli? E se imparassimo con loro ad osservare la natura con gli occhi di un Gigante?


di Matteo Tondelli illustrazione Stella Mukaj

Tranquility Base here. The Eagle has landed.

Q

uante volte avete immaginato di trovarvi nello spazio? Magari dentro una navicella, con mille pulsanti e luci colorate lampeggianti, la sensazione di galleggiare leggeri nell’aria, la visuale mozzafiato. Quello a cui solitamente non si pensa è al ronzio del sistema di ventilazione, all’odore della miscela di ossigeno ed altri gas vitali, agli scricchiolii metallici, inquietanti ed inaspettati, provenienti da chissà quale parte dell’abitacolo. Premere alcuni pulsanti sulla plancia di comando e scoprire che è calda solo in alcuni punti, dove sotto ci sono i circuiti che consumano più corrente. Per me è questa la parte più bella da immaginare, perché è quella che rende il tutto reale.

Cinquanta anni fa lo fu veramente per tre uomini, americani. La loro spedizione è stata una delle più complesse imprese mai tentate nella storia dell’umanità, ed è stata così grandiosa per due semplici motivi: primo perché comportava un’enorme difficoltà tecnica e secondo perché in essa è condensato un sogno primordiale della specie umana, esplorare. Io sono più affascinato dalla prima, pensare alle persone che sono state in grado di progettare e costruire un manufatto in grado di lasciare la Terra, raggiungere la Luna, far sbarcare due uomini e riportarli sul nostro pianeta, mi trasmette un senso

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di completezza unico e mi fa capire qual è lo scopo della vita. Ed è sconcertante quanto tutto questo sia reale e tangibile proprio grazie a quei dettagli di cui parlavo prima. Pensate che nella fase più concitata dell’atterraggio del modulo lunare Eagle, improvvisamente il computer di bordo segnalò un allarme a cui qualcuno aveva attribuito il numero 1202. Ora non so voi, ma la mia prima reazione sarebbe stato pensare “ohmmiodio, e adesso?”. Diciamo che fu anche la reazione degli astronauti perché nessuno di loro sapeva cosa significasse, solo che loro erano ben addestrati e mantennero la calma; poi dalla Terra qualcuno disse che si poteva tranquillamente ignorare il messaggio e la missione andò come tutti sappiamo. Un altro momento spiacevole fu quando Buzz Aldrin prese contro ad una leva, durante alcune operazioni all’interno

del modulo lunare poco prima di ripartire verso casa, rompendola. Peccato che fosse proprio quella che avrebbe acceso i motori! Fortunatamente bastò una biro per sostituire quel componente meccanico. Ecco, tutte queste cose mi esaltano un casino, perché è quando emerge un p r o b l e m a inaspettato che la fantasia prende il sopravvento e ci rende capaci di creare qualcosa di nuovo; poi magari rimane solo una fantasia in cui rifugiarsi ma io non dimentico che il 20 Luglio 1969 qualcuno, dall’interno di una scatola di latta sulla dalla superficie lunare, ha trasmesso via radio queste parole: “Qui Base della Tranquillità, Eagle è atterrato”.


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Crescere Fa Schifo s di Lucia Botti illustrazione Iotta Santinelli

ono sul regionale Parma-Pisa, tre ore di viaggio una identica all’altra, senza cambi. Trolley sgualciti e profili di colline tutte uguali scorrono al di qua e al di là del finestrino. La monotonia del paesaggio è intervallata da gallerie che tagliano bruscamente l’Appennino e le chiamate dei pendolari da Berceto ad Aulla Lunigiana. Mi assopisco. Mi sveglio. Il treno è fermo alla stazione di Viareggio. Provo a raddrizzarmi, ma rimango intrappolata nella plastica un po' collosa, un po' unticcia del sedile. Ci provo una seconda volta. Il tessuto dei jeans fa cic-ciac, ma alla fine riesco a liberarmi. Sbircio fuori. Sulla banchina passeggiano delle ragazze, sfoggiano tutte un borsina di tela con sopra il logo di una qualche università che non riesco a riconoscere, perché nella colluttazione col sedile gli occhiali mi sono scivolati per terra. Li raccolgo e osservo meglio. Deve esserci stato L’Open Day da qualche parte e stanno tornando a casa. Le invidio tantissimo. Quando ti dicono: “Goditi l’università che dopo inizia la vita vera e fa schifo”, hanno ragione. Per cinque anni ho vissuto in una bolla felice di studio serrato e un po’ fine a stesso, tirocini non pagati, volontariato, articoli pubblicati per spianarmi una strada che alla fine ho deciso di non percorrere, anni fluidi come i liquidi che li hanno diluiti, il Campari, le birrette, le lacrime e il sudore. E adesso che finalmente stringo fra le mani Il Pezzo Di Carta, non mi sono mai sentita tanto inutile. Sul mio pezzo di carta c’è pure la Lode. Grazie al cazzo, vorrei dire. Ci ho sputato il sangue sulla tesi, mi sono pure fatta tre mesi di ricerca nei Balcani. Quindi vuol dire che sono brava, vero? Lo dice anche mia mamma, lo ripete ai conoscenti in cui si imbatte nelle corsie delle Coop. “Mia figlia è uscita con la Lode, sai?”, lo ripete come un mantra, un po’ agli altri, ma soprattutto a se stessa, come a giustificarsi del fatto che ho studiato tanto, ma vivo ancora a casa con lei perché un lavoro non ce l’ho. Sono così brava, ma le mie presunzioni si infrangono contro la fronte corrugata di ogni Signorina Delle Risorse Umane. L’altro giorno ho fatto un colloquio per lavorare in un’azienda che si occupa di Intelligence. “Quali sistemi pensa che utilizziamo per difenderci dai cyber-attacchi?”. Non lo so, forse una password da almeno otto caratteri alfanumerici che deve contenere

@isotta_snt

simboli speciali, come @#$%^&? Cara Signorina Delle Risorse Umane, non sono Salvatore Aranzulla. Perché ci illudiamo di essere destinati alla grandezza? Leggevo da qualche parte che è colpa di strategie genitoriali sbagliate. Ad esempio, se mamma e papà ti gratificano e ti giustificano eccessivamente, ti illudi di essere più speciale degli altri. Quando poi metti un piede fuori dal perimetro del paesello, allora la vita comincia randellarti nelle gengive senza pietà. Non è che se prendi 21 all’esame è colpa dei professori stronzi, dei colleghi raccomandati, del reflusso gastroesofageo, amore ricordati i fiori di Bach, gli ansiolitici, non ti preoccupare, è normale, metterci otto anni a finire una triennale se soffri di attacchi di panico. Nossignori, è solo colpa tua. Eppure i miei erano i classici genitori che si sarebbero tagliati una gamba piuttosto che difendermi. Una volta in spiaggia scoppiò una rissa fra bambini. Io, che al momento non stavo picchiando nessuno, andai ad avvisare gli adulti. Fui l’unica a prendere due ceffoni. “Così impari per la prossima volta”. Perché siamo ossessionati dal voler fare la differenza? Mi piace crogiolarmi nell’idea di girare il mondo facendo la cronista di guerra, utilizzando i ritagli di tempo per creare una startup che affranchi le donne del terzo mondo dal giogo della schiavitù eteropatriarcale ed entrare finalmente nella lista 30 Under 30 di Forbes. Poi mi deprimo, sento il fallimento crollarmi addosso e penso che se non posso cambiare il mondo, tanto vale marcire in casa riguardando Friends all’infinito. Ma alla fine forse avevano ragione gli antichi Romani, la virtù sta nel mezzo. Che il compromesso non significa necessariamente accontentarsi. E che, per dirla come Troisi, tra un giorno da leone e cento da pecora, se ne potrebbero fare cinquanta da orsacchiotto.


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@annartplanet

L'osteria delle bugie bianche di Samuele Verona illustrazione Anna Ruini

S

’incontravano ogni sera all’Osteria delle bugie bianche. - Allora, che hai detto a tuo marito? - Che andavo a cena con le amiche. Gli ho detto che la Pina ha avuto una promozione e vuole festeggiare. Stavo per aggiungere altri dettagli, ci avevo lavorato tutto il pomeriggio; lui nemmeno mi guardava, fissava imbambolato la tv. «Ricordati di dare il catenaccio quando torni, io tra un po’ me ne vado a letto». Ecco cosa mi ha detto, salutandomi col solito gesto annoiato della mano. Bugie o verità, sembra non faccia più differenza per lui. Come mi dà sui nervi! Scommetto che pensa di avermi al guinzaglio ormai, quel porco! Oh, ma vedrà! - Certo, avrà di che ricredersi. La rincuorò afferrandole le mani in un gesto goffo e convulso. - E tu, che hai detto a tua moglie? - Le solite panzane, è troppo preoccupata dal suo ruolo di madre per ricordarsi di uscire dalla parte ogni tanto. - Non essere così duro con lei. Lo sai che, per quanto ci abbia provato, non sono mai riuscita ad avere figli… - Hai ragione - Concordò, aveva l’aria di un cane bastonato - non avrei dovuto esprimermi così… però ne ho abbastanza. Tutto questo deve cambiare! Perchè non questa notte? - E dove ce ne andiamo? No, bisogna preparare tutto nei dettagli o non durerà. - Come nei dettagli? Pensavo che anche te ne avessi abbastanza! - E ne ho abbastanza, amore mio! Ma proprio per questo bisogna prepararsi bene, perchè il taglio sia il più netto possibile. - Io davvero non ti capisco quando fai così. Prima insulti tuo marito, te ne lamenti e poi mi parli di voler chiudere

il tutto nel miglior modo possibile, con un taglio netto. Ma lo capisci o no che c’è uno spiraglio che presto si chiuderà se non ci diamo una mossa? - Non parlarmi così, sai! Già sopporto mio marito quando lo fa, ma lui è quel che è: un relitto d’uomo, non lascio che nessun’altro mi parli in questo modo! E poi guarda che lo so che in casa con tua moglie sei un agnellino - Gli lanciò un’occhiata altezzosa, il suo sguardo esprimeva disprezzo - ora non pensare di poter fare l’uomo tutto d’un pezzo con me! - Lo sapevo, lo sapevo che in fondo sei anche tu una strega! Vuoi rovinarmi la vita come ha già fatto quell’altra! Dannate donne! Buone solo per una botta e via! Lei, sentite quelle parole, gli mollò un sonoro schiaffone. - Scusami, non è da me - bisbigliò, intimorita. - No, no, scusami tu. Ho davvero esagerato. Altro che rovinarmi la vita! Tu sei la luce che mi guida fuori da questo inferno. - Ma come lasci la tua bella Euridice a marcire? Un riso sonoro e liberatorio sancì la ritrovata complicità. - Attento però, guarda che Orfeo non ci ha messo molto a tornare all’inferno. - Che intendi? - Non lo sai? Ucciso e fatto a pezzi dalle baccanti sospirò - poverino. - sibilò ironica. - Non ricordo chi l’abbia detto ma pare che la luna sia perfetta per illuminare le cose delicate, quelle a cui la luce del sole non farebbe altro che violenza. - Insomma, gli inferi non sarebbero poi così male. Lei rise. - Insomma gli inferi non sono poi così male - gli fece eco.


I

n fila al banco salumi. - Il 26? - Eccomi. - Prego, dica pure. - Hmm, mi dà un etto di speck, tagliato spesso? - Certo, cosa deve farci? - Oddio. Non lo trova un po’ scortese? - In che senso scusi? - Ma sì, lei lì, dai suoi bei cinquant’anni, che chiede certezze a un ragazzo giovane come me! Una bella faccia tosta! - Beh, per dio, ma io volevo solo sapere se ci faceva una pasta o - Cioè quanti anni avrà lei? Cinquantacinque-sessanta? Quanto le manca alla pensione? Ma lo sa che io non la vedrò mai? - Non so come spiegarle che per fare bene il taglio io devoMi giro verso quello dietro di me - Ma ha capito che questo ultrasettantenne ultra tutelato mi prende in giro chiedendo a me, un under 35, delle certezze sulla vita, quando è stata proprio la sua generazione a privarmi di ogni sicurezza? - No guardi io di politica non ne capisco, faccia lei che Domenica pensavo di non votare. - Ecco sente che anche il 30% degli italiani è d’accordo con me? Dal fondo dell’area - E magari il salumiere coi 30 euro agli immigrati è d’accordo però! Io, dal bancone - Ma vaffanculo fascista! L’altra, sempre dal fondo dell’area - Ma vaffanculo tu, fricchettone! Lavati la bocca col ricino! Il signore in fila dietro di me - Vi prego, state facendo piangere Tommaso Tommaso, dietro al signore in fila dietro di me - Ueee -... Senta io avrei fatto col suo speck, spero vada bene. - IL RICINO FICCATELO NEL ah sì grazie, lo speck. - C’era un po’ di abbondanza e allora l’ho tenuta qui. - E capirai. Raggiungo le casse - Che bella spesa giovanotto. Dà una festa stasera? Mi giro, riconoscendo la faccia terrorizzata dell’accompagnatore di Tommaso - Ma si rende conto? Questa pensionata pretende di avere certezze sulle mie prossime 12 ore, come si permette, dico, diTommaso, dietro al suo accompagnatore - Ueee

IN FILA

DI MATTEO GIOVANARDI

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@alicevacondio

ILLUSTRAZIONE

ALICE VACONDIO


giuliapintus_illustrazioni

2019

illustrazione poster e copertina di Giulia Pintus

No.13

la base di un albero fatto di storie


editoriale

SPECCHIO

Tu chi vuoi essere? Dico, chi vuoi essere adesso. Ora che piove sempre e la primavera se la sono mangiata le torri di fumo. Ora che odiare va di moda e spacca pure un bel po’. Tu chi vuoi essere? No, non da piccolo. Tu, oggi, anno del signore 2019, chi vuoi essere? Non lo sai, lo immaginavo. Almeno sei confuso, è un buon segno. Potrai dire così il giorno del giudizio, quando ci sarà un’avvocata con la toga nera a interrogarti: “Non lo sapevo vostro onore”. Condannato. Ma come? Sì, condannato per non aver mai saputo cosa voleva essere. Dai, dì la prima cosa che ti viene in mente. Io? Io voglio essere alta. Ecco, sì: alta. Ma nel senso che i pensieri devono volare sopra i burroni e non schiantarsi sul primo pilone piantato per sbaglio in mezzo alla strada. E’ una legge: gli alti li ascoltano sempre tutti. Io voglio essere intera. Ma intera nel senso che è andata in pezzi

tante volte ed è tornata di una forma precisa. Quale? Può essere un trapezio o un triangolo scaleno. Irregolare mi va bene, ma dev’esserci una formula per calcolarne l’area. Dev’esserci un senso. Poi voglio credere. Dio però ha stancato. Io voglio credere al primo gelato cioccolatofragolalimone dell’estate e alle pacche sulle spalle quando non riesci a smettere di piangere. Io voglio essere libera. Di andare, fare, rinunciare. Lettera e testamento. Di sbagliare. E poi tornare, intera appunto. E poi voglio riconoscermi. Quando incrocio uno specchio, quel maledetto che riflette sempre le cose vere, voglio riconoscermi: ah ciao, sei tu, eccoti. Perché viviamo vite sbagliate, sballate, deragliate. Perdiamo, tante e troppe volte. Ma se alla fine del giorno ci riconosciamo allo specchio, vuol dire che va tutto bene. Che siamo rimasti fedeli. Fedeli a chi? A noi stessi.

Martina Castigliani Glomarì top 5 del mese L’abbiamo vista, Glomarì, al nostro Fest “Umano”! Ci ha trasportati nel suo dolce mondo di musica e poesia. È architetto e artista, il suo progetto musicale comprende anche disegno, fotografia e video-arte. “Mostarda", una sua produzione video, premiato alla biennale di Venezia, verrà esposto al padiglione "Venezia" a giugno. “Mostarda” fa parte di una trilogia di video che pre annunciano e inaugurano il suo disco di esordio “A debita vicinanza”. Qui per noi la sua Top 5. Buon ascolto! http://www.glomari.com

Giornata di inverno Alessandro Fiori

Tout dit Camille

La lepre Lucio Corsi

Vieni a salvarmi Andrea Laszlo de Simone

You keaton hanson

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Maggio 2019 n. 13 Editore Nicolò Artoni Direttrice responsabile Martina Castigliani Proprietaria Serena Caramaschi Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 4/2017 del 26/05/2017 Sede del periodico Via San Marco 16, 42016 Guastalla RE Stampa Tipografia Pixartprinting Periodicità Bimestrale Contatti radiciposterzine@gmail.com Progetto grafico e direzione artisica Nicolò Artoni Team Giovanni Irimia, Fabrizio Scaravelli, Claudia Passerini, Nicola Montali.


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