Queste istituzioni 144

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queste istituzioni 144 Direttore: SERGIO RISi'UCCIA condi retto re: ANI ONIO oi MAJO Vice Direttore. G IO'ANNI VETRITTO Redattore capo: Ssvi:iu,s ADDOTTA Comitato di redazione: CARLA BASU, Fsiiio BiscoTTI,

AnnoXXXIIVri.

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ZLTCC0IoYro

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BAITAGLIA, GioVANNI BECHELLoNI, GIuSii'I'E BERTA,

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IANDRO, MAssiNio A. CONTE,

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Di

GREGORIO, CARIO D'ORTA, SERGIO FABBRINI, MARIA ROSARIA FERRARESE, PASQUALE FERRO,

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ISSN

Foto di copertina: Antonio Guglielmi. Associato all'Uspi: Unione Stampa Periodica Italiana

14.847 (12

dicembre

1972)


N. 144 nverno 2007

Indice

Cominciamo bene... (a proposito di governare e amministrare)

III.

Taccuino i

Sulla nuova disciplina del conflitto di interessi dei governanti Carlo Chimenti

20

La "democrazia della cittadinanza".' Il ruolo della Corte dei conti europea Andrea Manzella

26

-

Misure antiterrorismo e diritti civili: ultimi sviluppi del caso statunitense arla Bassu

36

Governare lo sviluppo'.dei sistemi economici locali Francesco Velo

49

L'operositĂ delle formiche. ' Le gestioni degli acquisti pubblici sul modello Consip Stefania Zuccolot'to

Dibattito

57

SussidiarietĂ : una replica allo specchio Mauro Barberis

I


Sulle tracce della Finanziaria 70

La decisione di bilancio: procedure come risultato o per un risultato Paolo De loanna Dentro la Finanziaria Giancarlo Salvemini, Giuseppe Pisauro

103

Psicopatologia della manovra annuale di bilancio Claudia Lopedote

"Democrazia degli interessi": regole e fatti 123

Gruppi di pressione e regole giuridiche: cronache marziane e toscane Pier Luigi Petrillo

132

I lobbisti in Italia: profili politico-sociali del fenomeno Franco Spicciariello

147

Le trasformazioni e le complessitĂ del sistema nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica Ignazio Portelli

'I


queste istituzioni n 144 inverno 2007

editoriale

Cominciamo bene... (a proposito di governare e amministrare)

Una vecchia barzelletta narra del condannato che, salendo al patibolo, inciampava sui primo gradino della scaletta ed esclamava: «Cominciamo bene...". Come in quella facile storiella, l'esordio del nuovo governo ha recato già piccoli e grandi incidenti e infortuni. In un recente editoriale di questa Rivista ("S'apre una legislatura cruciale", in queste istituzioni, n. 138-139, estate-autunno 2005, pp. ITT-TV) avevamo evidenziato quale particolare importanza rivestisse la fase politica ed istituzionale aperta dalle elezioni politiche del 2006; ed avevamo stilato un elenco, assolutamente approssimativo, delle questioni che il nuovo Parlamento e il nuovo Esecutivo si sarebbero trovati a dover fronteggiare come priorità difficili da rinviare. Per proseguire il discorso alcune parole di premessa sono necessarie. Il critico della politica come chi fa la politica dovrebbero essere partecipi, l'uno e l'altro, della stessa "scienza", come avvertiva Platone nel Politikos (cf dialogo tra Socrate il giovane e lo straniero di Elea): "Dove si troverà il sentiero della politica? Infatti bisogna trovano, e, dopo averlo distinto dagli altri, dobbiamo assegnargii un unico tratto distintivo (..). Se un privato cittadino è in grado di consigliare chi regna su una regione, non diremo che possiede la scienza che necessariamente dev/possedere il governante stesso? (..) È chiaro che vi è un'unica scienza che riguarda tutto ciò: sia che uno la chiami 'regia' o politica' o 'dell'amministrazione della casa' (.) Dunque se di tutta quanta la scienza conoscitiva distinguessimo definendo una parte preposta al comando' e l'altra reposta al fornire giudizi potremmo dire di aver operato un'accurata divisione. (..) Bisogna considerare come concause tutte quelle arti che fabbricano un qualche piccolo e grande strumento per lo. Stato". Se, dunque, per dare un apporto alla buona politica bisogna anche "fornire giudizi", a ciò anche noi provvediamo, sui fatti politici e istituzionali di attualità che sono competenza di questa rivista. Per far ciò, non bisogna essere solo consiglieri "organici" o meglio, così oggi verrebbe da dire, embedtled Pensiamo più opportuIII


no quel tanto di autorevolezza che può derivare da un sufficiente grado di conoscenza dei problemi e dalla fatica, meglio se su base volontaristica e gratuita, di suggerire soluzioni o alcuni metodi di soluzione. Lasciando da parte il brontolio inconcludente e le semplificazioni più o meno indotte dalle logiche mediatiche. Dunque, rileggendo l'editoriale citato, è giusto chiederci se non abbiamo sbagliato mettendo troppa carne sul fuoco: dalla stentata crescita economica all'obsolescenza istituzionale, dalla marginalità delle istituzioni sociali e civili all'incerto esercizio delle funzioni pubbliche. Senza dimenticare temi cruciali quali i modelli di decisione di finanza pubblica; la discrasia tra teoria costituzionale all'indomani della riforma e prassi consolidate in stili di governo sempre uguali; la domanda crescente di etica e responsabilità pubblica e di professionalità politica, e così via. Infatti, non va trascurato il fatto che l'urgenza ovvero la dispiegata "maturità", diciamo così, dei problemi, non sono motivi sufficienti per affrontarli tutti insieme. Può accadere, e spesso avviene, che molti problemi si siano incancreniti. Eppure non è detto che affrontarli tutti contemporaneamente sia la soluzione migliore e, quel che piìi conta, quella sicuramente efficace. Già la politica è pensabile e gestibile soio parzialmente, essendo la sua agenda e il suo campo d'azione dettati dagli avvenimenti sociali e collettivi, nonché, magari, da eventi naturali. E gli accadimenti collettivi, ormai, non sono solo quelli che avvengono nelle prossimità fisiche e geografiche. D'altra parte, bisogna fare i conti con una pluralità di attori estranei all'ambito della politica. C'è poi il giorno per giorno della politica. Lo si affronta bene se si hanno strumenti adeguati di informazione, previsione ed interpretazione, se gli organi dell'Esecutivo sono coesi, se i leader sono di solida formazione, pronti nell'intendere fatti e problemi che si riversano sul loro tavolo anche all'improvviso, se sanno distribuire i compiti, se sanno sempre dedicare tempo e fatica (di squadra) a quelle priorità che una maggioranza, in democrazia, ha ritenuto di darsi come missione da perseguire. Le priorità - vogliamo dire - non i desiderata. Ora, se in un contesto di bipolarismo coatto e in presenza di una legge elettorale che su queste pagine abbiamo contribuito a evidenziare nella sua natura di "porcata" (v. queste istituzioni, n. 135, anno XXX, 2005) occorre realizzare una coalizione con le componenti più varie, ci vuole un metodo rigoroso. Per il quale proviamo a fissare alcuni punti. Primo. Sarebbe stato necessario per chi è oggi al Governo aver speso bene il periodo passato all'opposizione. Lavorando seriamente sull'agenda del Paese. Ma così non è stato fatto, e si è persa una grande occasione. Certo, è ormai acqua passata. Ma è sbagliato "passare in cavalleria" comportamenti del genere, gravemente dannosi per la buona politica. Secondo. Fare un ampio programma può essere un passo fondamentale per afIv


frontare le elezioni. Si tratta, infatti, di tenere insieme tutte le istanze espresse dai soggetti della coalizione in una logica prevalentemente identitaria (tanto più marcata quanto più si deve difendere l'identità di soggetti apparentemente marginali, ma di "peso" per la tenuta della coalizione). D'altra parte, una coalizione lasciata - diciamo così - al naturale e senza regole, è di per sé una mala bestia. Come in tempi antichi si diceva del Senato romano ("Senatores boni viri, senatus autem mala bestia"), a sottolinearne la "degenerazione" dei comportamenti emergenti quando fosse stato preso, pienamente e semplicemente, come assemblea di pari. In realtà, una coalizione avrebbe bisogno di regole di funzionamento ben studiate ed applicate. Non basta un programma elettorale. Nino Andreatta, che era profondamente consapevole di questi problemi, nella primavera del 1999, pochi mesi prima del gravissimo incidente che lo ha tenuto per anni tra la vita e la morte, faceva studiare e s'applicava a studiare all'A1uL (Agenzia di Ricerche E Legisla zione) le possibili regole di un partito coalizionale o di una grande coalizione. Iniziativa interrotta con il drammatico venir meno delle sue attività. Terzo. Superato il passaggio elettorale, il "programma" non serve a governare. Non servono neppure le più esperte piattaforme che sia capitato di sperimentare in altre democrazie. Meno che meno hanno senso i contratti con gli elettori siglati in televisione, con sfacciata e sprovveduta semplificazione dei compiti e delle complessità della politica. Tuttavia, non vale - per distinguersi dalle semplificazioni di facciata - dar notizia agli elettori di un lungo elenco di propositi. Quarto. Passando dalle elezioni al Governo, il programma elettorale non vale più o vale poco. Perché di per sé non può valere. Soprattutto quando non sia il frutto di un lavoro sodo in un confronto-scontro fra i membri della coalizione, portato avanti negli anni dell'opposizione. I cittadini lo sanno bene e, in realtà, è difficile ritenere che qualcuno sia mai spinto a decidere il proprio voto in base a documenti del genere. Perciò, fare il piano di lavoro di un Governo significa, in qualche modo, ricominciare da capo. Più o meno. Cercando di ben identificare i tempi reali di attuazione del programma di Governo. È di questo che poi si deve dare il conto al Paese. Quinto. È fondamentale aver pensato per tempo il modo di far funzionare la macchina amministrativa, ponderando bene i legami tra "governare" e "amministrare". Un'idea di buona amministrazione non comporta nessuna "riforma" legislativa. Parlare in questi termini è dimostrazione di ignoranza sia dello stato delle amministrazioni sia delle vicende legislative che hanno riguardato le stesse pubbliche amministrazioni negli ultimi 15-20 anni, e che hanno spesso condotto molti osservatori e commentatori ad invocare una moratoria normativa. Il problema colossale della PA è quello della mancanza di una dirigenza che - oltre ad I!A


essere capace di utilizzare il regime dei contratti per ricostruire una giungla retributiva con livelli spesso superiori al privato - non è altrettanto capace di cogliere e motivare le energie presenti nella PA. Ed è, ancor più, la mancanza di una classe politica che avverta come suo compito primario e quotidiano quello di interloquire il più possibile con le donne e con gli uomini addetti all'amministrazione pubblica. Riprendere a coltivare l'idea di "riformare" le amministrazioni con nuove leggi è un proposito che - ripetiamo - può rivelarsi dissennato e mero frutto di pulsione conformistica nelle idee e nelle parole. Se non si parte da una chiara consapevolezza sullo stato delle cose e sulle vicende degli ultimi anni, il discorso sui "fannulloni", sicuramente fondato su dati della realtà, diviene una divagazione stravagante ed un indulgere alla retorica sul "pubblico", che peraltro non rende giustizia a quelle parti ed aree dell'amministrazione che invece funzionano. Un sistema amministrativo che, in termini di funzioni e di disegno organizzativo, si dimostra fragile e volatile nelle sue caratteristiche di base e, nei casi migliori, pronto a marciare in proprio, non offre i presupposti necessari e sufficienti per affrontare la questione dei "fannulloni" con il grado minimo di credibilità e le giuste prospettive di modernizzazione. Tutto ciò premesso e precisato, torniamo al Governo nei suoi primi mesi di vita. Mesi che non hanno certamente corrisposto all'aspettativa di avviare una legislatura cruciale nei termini da noi proposti. A partire dall'insediamento della compagine ministeriale. Una compagine non solo pletorica ma tale da scompaginare l'assetto semplificato dell"istituzione Governo" che lo stesso centro-sinistra cinque anni prima - aveva disegnato (che poi fosse pienamente condivisibile è un altro discorso). Scompaginato - vale ricordare - con la massima frettolosità. E viene da chiedersi perché con tanta frettolosità, come se le esigenze della coalizione non fossero note o facilmente immaginabili da tempo. Probabilmente, è prevalso il solito supponente pregiudizio del!' "intendance suivrà" che, in verità, neppure il generale De Gaulle, quando usò queste parole, avrebbe potuto permettersi se non avesse apprestato precedentemente - con l'ENA - Io strumento per consentire all"Intendenza" di seguire. Ed è prevalso senza considerare quanto tempo e fatica avrebbero voluto spacchettamenti e riorganizzazioni ennesime (quasi tutte ancora in corso). Insomma, per molti mesi si è avuta una sensazione di falsa partenza, di approccio incerto e debole ai problemi, di ben modesta capacità di concentrarsi ed applicarsi su pochi punti operativi prioritari sui quali ricercare un accordo di governo. Accordo, si badi, che non poteva diventare qualcosa di più. Per esempio, un ampio e significativo accordo politico. Obiettivo impossibile in una coalizione che va dai monarchici agli anarchici, dal professor Domenico Fisichella all'ormai celeberrimo Franco Turigliatto. VI


Giusto o sbagliato che sia, non vi è dubbio che l'eterogenea alleanza che si è raccolta attorno a Romano Prodi - essendo l'unica alternativa che il mercato politico potesse offrire entro il quadro di un pessimo sistema elettorale - ha trovato l'unico collante nella convinzione di dover evitare al Paese un altro quinquennio di governo delle attuali destre. Insomma, una sorta di "Comitato di Liberazione Nazionale" rivisitato. Ma, come tale, avrebbe dovuto avere la consapevolezza della necessità di programmare la "propria Salerno" di rinunzia ai massimalismi identitari, un ridotto ma significativo programma di governo. Magari centrato sul recupero di alcune ben precise condizioni di svolgimento del gioco democratico: sociale, istituzionale, politico ed economico. La mole impressionante del tanto discusso "programma" dell'Unione non lasciava ben sperare, mancando ogni segno di consapevolezza condivisa che una cosa fosse il programma elettorale, altra cosa il programma di governo - come prima ci siamo soffermati ad argomentare. La crisi di fine marzo sui problemi della politica estera ha rappresentato la logica conseguenza ed il culmine di questa dinamica. L'esserne usciti, seppure a fatica, e l'avere in seguito riconquistato una labile coesione, un po' per il timore dello scampato pericolo, un po' per gli errori politici e le inadeguatezze della concorrenza, pare aver ridato un minimo di fiato al Governo. Insieme ai risultati del gettito fiscale. Ma non è neppure il caso di ammonire sulla precarietà della situazione politica. Quella che stiamo vivendo è, occorre ribadirlo, davvero una legislatura cruciale per il futuro del Paese, in una fase storica che vede cambiare i principali riferimenti geopolitici, tecnologici ed economici, per non dire antropologici, della politica e del vivere civile. Fallire alcuni appuntamenti potrebbe essere una colpa storica di quelle, vogliamo dire, senza appello. L'Italia che si appresta (verosimilmente per l'ultima volta) a sfruttare significativi finanziamenti europei dei Fondi strutturali si trova a dover affrontare la problematica ma irrinunciabile costruzione di nuovi assetti dei mercati e della produzione, come anche delle istituzioni rappresentative e del sistema dei partiti. Questa coincidenza potrebbe sostenere un possibile "balzo in avanti", avendo come unica alternativa la guida della "seconda serie". Che si voglia credere alla prospettiva di un Paese piattaforma logistica e dell'intermodalità o alla specializzazione sulle produzioni del lusso e del buon vivere; che si intenda puntare su un "nuovo colbertismo" o inseguire, nelle liberalizzazioni, una sorta di Washington consensu.s-, che si immagini un "bipartitismo coatto" o una verifica profonda delle plurime appartenenze culturali ed ideali; che si vagheggi una "nuova Repubblica" decisionista o un piìi problematico assetto di democrazia di checks and balances, alcune regole del gioco, forti e di carattere generale, vanno riaffermate oggi.



taccuino

queste istituzioni n. 144 inverno 2007

Sulla nuova disciplina del conflitto d'interessi dei governanti (proposta di legge Franceschini e altri) di Carlo Chimenti

L

a nozione elementare di conflitto d'interessi indica, come è noto, la situazione in cui un soggetto è titolare di più cariche pubbliche che curano interessi contrastanti, per cui se tutela l'uno non può tutelare anche l'altro e viceversa; ed altresì la situazione in cui il titolare di una carica pubblica ha attività private che lo possono indurre a curare attraverso la carica i suoi interessi privati anziché quelli generali. Fino alla scorsa legislatura, queste situazioni da noi non erano disciplinate (sul piano nazionale) se non con riferimento ai parlamentari: per i governanti non c'erano regole, anche se tradizionalmente al Governo andavano solo i parlamentari, e quindi ai governanti si applicava in pratica la disciplina dei parlamentari. Cosa che riusciva a nascondere la lacuna normativa, ma che era sbagliata in radice perché è evidente che fra la responsabilità del governante e quella del parlamentare c'è una bella differenza. Se infatti è giusto che ogni tipo di interesse sia presente in Parlamento, stante la funzione "rappresentativa" generale di esso e la sua distanza dalla "gestione" degli affari pubblici, è bene viceversa che nel Governo, dove tali affari vengono direttamente gestiti, l'interesse privato contrastante sia assente. Sennonché, da una dozzina d'anni in qua, è accaduto sempre Mancano le più di frequente (per un cumulo di fattori fra cui anzitutto la c.d. regole

L'Autore è professore di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi Roma Tre.


"crisi dei partiti" e conseguentemente della politica), che al Governo sono stati chiamati personaggi estranei alla politica, ossia esponenti della società civile - i c.d. tecnici - non provenienti dalle fila del Parlamento; per cui è venuto a mancare, nei loro confronti, il filtro costituito dalle norme in materia riguardanti i parlamentari. E di conseguenza si è prodotta una situazione estremamente insoddisfacente, consistente nella totale mancanza di regole sui conflitti d'interesse proprio in relazione alle persone (i governanti) i cui conflitti risultano molto dannosi per il buon andamento della cosa pubblica. I nodi sono venuti clamorosamente al pettine nel 1994, in occasione dell'ascesa al Governo dell'imprenditore Berlusconi il quale, per l'ampiezza della sua attività imprenditoriale, era portatore potenziale di un conflitto d'interessi gigantesco; il che ha fatto toccare con mano a tutti la necessità e l'urgenza di regolare questa materia (insieme, peraltro, alla difficoltà di farlo in presenza di un siffatto "caso concreto"). Per la verità, anche nei confronti dei parlamentari, le regole che Norme uiod1 vietavano (e vietano) ad essi l'esercizio di certe attività o funzioni, allo scopo fra l'altro di prevenire i conflitti d'interesse, non erano disfacenti molto soddisfacenti (come ripetutamente rilevato dalla Corte costituzionale): soprattutto perché si trattava di norme via via sovrappostesi col passare degli anni, per fronteggiare le nuove esigenze che di volta in volta si manifestavano nella vita reale; e pertanto cresciute all'infuori di un disegno organico di disciplina complessiva della materia. Di qui, incertezze interpretative, applicative o addirittura "buchi normativi" e, in ultima analisi, una grande confusione. Le norme a cui mi riferisco sono, naturalmente, quelle che stabiliscono la c.d. "ineleggibilità" e "incompatibilità" dei parlamentari (estese poi, con adattamenti, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali), ai sensi delle quali i soggetti esercitanti determinate attività o funzioni erano (e sono) "ineleggibili" in Parlamento (e, quindi, devono rinunciare ad esercitarle prima delle elezioni, altrimenti non potranno entrare a far parte delle Camere perché la loro elezione sarà annullata); ovvero sono soltanto "incompatibili" (e, quindi, sono bensì in grado di entrare in Parlamento ma possono restarci solo dopo avere abbandonato l'attività incompatibile e "optato" per la carica parlamentare). 2


Per spiegare fino a che punto queste norme erano (e sono) insoddisfacenti, basterà ricordare che, per l'appunto nel '94, l'imprenditore Berlusconi, candidato alla Camera dei deputati, pur essendo stato votato ampiamente non avrebbe dovuto mettervi piede. E ciò in applicazione di una norma del 1957, tuttora in vigore, che nega ai titolari di concessioni governative - come sono quelle che consentono le trasmissioni radiotelevisive, ossia il "core business" di Berlusconi - il cosiddetto elettorato passivo, cioè il diritto di essere eletti. Nondimeno, siccome la Costituzione prevede che a giudicare delle ineleggibilità e delle incompatibilità dei propri componenti siano le stesse Camere di appartenenza (e, dunque, un giudice politico), è accaduto che la maggioranza della Camera dei deputati ha "interpretato" quella norma nel senso che il divieto (e quindi l'ineleggibilità) colpisce solo gli amministratori dell'impresa concessionaria e non anche il proprietario di essa. Interpretazione a dir poco sofistica, se vogliamo, ma di cui non c'è da sorprendersi troppo perché la "giustizia politica", che in quanto tale è abilitata a compiere valutazioni che muovono da considerazioni non solo strettamentegiuridiche ma anche di più generale opportunità, è capace di fare questo e altro. Comunque, ripeto, poiché Berlusconi avrebbe pacificamente potuto diventare Presidente del Consiglio anche senza entrare in Parlamento, qualora la maggioranza parlamentare gli avesse votato la fiducia - il che all'epoca era scontato - si può dire che il danno prodotto dalla giustizia politica in questo caso è stato modesto. Semmai la vicenda avrebbe dovuto suggerire (magari in relazione ai governanti e non pure ai parlamentari) l'opportunità di sostituire in certi casi l'ineleggibilità, configurata nei termini sopraccennati che si prestano a troppo facili disapplicazioni, con un altro istituto - noto al nostro ordinamento e praticato in sede regionale e locale quello della "incandidabilità": ma ne parleremo più avanti. La soluzione Resta peraltro il fatto che, nella )UI legislatura ('94-'96), il ciamore suscitato dall'evento - mai prima verificatosi - di un ma- diventa gnate dell'imprenditoria privata che si installava legittimamente urgente alla guida del Governo nazionale ha reso imprescindibile ed urgente la soluzione del problema specifico del conflitto d'interessi dei governanti. Ed è stato lo stesso Governo Berlusconi 1 a pre-


sentare, nel '94, un ddl inteso a disciplinare la materia. Ma, come è intuitivo, se è sempre difficile elaborare una soluzione soddisfacente di un problema complesso in presenza degli interessati specie quando essa deve comportare, come nel caso nostro, una qualche limitazione per gli interessati stessi -, diventa pressoché impossibile riuscirci quando gli interessanti siedono al Governo. E, infatti, alla soluzione non si è pervenuti né nella XII, né nella XIII legislatura, ma soltanto nella XIV, e precisamente nel 2004, con la c.d. legge Frattini attualmente in vigore; che non a caso, però, è una soluzione più apparente che effettiva, e comunque assai farraginosa. Che quella recata dalla legge Frattini sia una soluzione solo apparente lo si può affermare perché risulta palesemente inadeguata alla bisogna una disciplina del conflitto d'interessi che - come la legge citata - non include fra i portatori di esso i proprietari dei beni intorno ai quali il conflitto si incentra, e non prevede la vendita forzata di questi beni. Ma si tratta anche di una soluzione di difficile attuazione, perché il conflitto vi si configura soltanto in presenza di atti governativi che abbiano "incidenza specifica e preferenziale" sul patrimonio del governante, ed altresì che siano pregiudizievoli per l'interesse pubblico; il che presuppone un monitoraggio permanente su tutti gli atti del Governo di assai complicata (e costosa) organizzazione. Nulla di tutto questo si ripete nella proposta di legge Franceschini e altri (atto Camera 1318), che pertanto contiene senz'altro una regolazione migliore della materia. Ma, con riserva di tornare più avanti sulle principali disposizioni della proposta, mi preme adesso sottolineare un aspetto importante del conflitto d'interessi che in genere non viene abbastanza evidenziato. La circostanza, cioè, che la relativa disciplina, in attuazione dell'art. 51 Cost. nel quale si radicano le norme sull'accesso alle cariche pubbliche - e secondo cui "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza" - non può non comportare un delicato "bilanciamento" fra due principi di civiltà irrinunciabili: la "libertà di tutti i cittadini" dei due sessi di accedere alle cariche di governo, e le "condizioni di eguaglianza" per accedervi. Egua4

I tentativi più recenti

L'art. 51 Cost. e l'accesso alle cariche pubbliche


glianza il cui contenuto prescrittivo consiste - come si sa - non solo nel trattare in modo uguale situazioni uguali, ma anche nel trattare in modo adeguatamente diverso situazioni diverse. Ed il cui richiamo, inserito nell'art. 51, benché espressamente riferito al sesso non vale soltanto nei confronti di questo ma, in ossequio all'accezione c.d. "formale" dell'eguaglianza di cui all'art.3, I c., Cost., vieta altresì le discriminazioni fra i cittadini basate sulla razza, la lingua, la religione ecc., citate anch'esse in quel I c.; ed inoltre comprende, accanto a quella "formale", pure l'accezione c.d. "sostanziale" dell'eguaglianza, di cui all'art. 3, Il c., Cost., ai sensi del quale "la Repubblica rimuove gli ostacoli che di fatto riducono la libertà e l'eguaglianza" di coloro che li incontrano, e che pregiudicano la loro effettiva partecipazione all'organizzazione politica. Cosicché, se certamente sarebbe illecito "impedire" ai cittadini l'accesso alle cariche pubbliche in ragione delle loro "condizioni personali e sociali" (anche queste menzionate dall'art 3, I c., insieme al sesso, alla lingua, ecc.), appare viceversa lecito "differenziarle" in ragione di queste condizioni (se non pure in ragione del sesso, della razza ecc.). Altrimenti si finirebbe per trattare in modo uguale le situazioni diverse create, appunto, da condizioni personali e sociali differenti; e per di più verrebbe inficiata l'intera normativa sulle ineleggibilità e le incompatibilità, che pure è prevista dalla stessa Cost. (art. 65), la quale si basa proprio su differenze di condizioni personali e sociali. Questa normativa, infatti, esclude l'elettorato passivo, e quindi sancisce l'ineleggibilità, per una serie di pubblici funzionari (prefetti, magistrati, vertici militari ecc.) che, grazie al loro ufficio, sono ritenuti in grado di pregiudicare la libertà di voto degli elettori e/o di alterare la parità delle chance fra i candidati; lo esclude altresì per certi soggetti aventi rapporti con Governi esteri (diplomatici, addetti consolari ecc.), a salvaguardia della sovranità dello Stato dal pericolo di influenze straniere; e, infine, lo esclude anche per una serie di persone aventi rapporti economici e di affari con lo Stato (contratti d'opera, concessioni amministrative, sovvenzioni, ecc). Ora, è innegabile che con queste ultime esclusioni la ineleggibilità appare mirata, più che a tutelare la libertà degli elettori e la "par condicio" fra i candidati, a garantire il corretto esercizio della carica elettiva; e che così rischia di confondèrsi con 5


l'incompatibilità, la quale - finalizzata ad evitare il pericolo di "mala gestio" negli affari pubblici - sta ad indicare chi può accedere alla carica elettiva solo a patto di rinunciare ad un altro incarico precedentemente ricoperto (amministratore di Enti pubblici, o di società private sovvenzionate dallo Stato, dirigente di Istituti bancari, ecc.), che mal si concilierebbe con la carica elettiva. In effetti, a fil di logica e di buon senso, il titolare di contratti d'opera o di concessioni statali non dovrebbe essere costretto all'abbandono preventivo di simili attività, ma piuttosto obbligato ad optare fra queste attività e la carica pubblica, dopo averla ottenuta: risultando egli pericoloso dopo l'elezione, e non prima. Non c'è dubbio, comunque, che tutte quelle su menzionate sono esclusioni basate sulle condizioni personali e sociali degli esclusi, i quali pertanto vengono ad essere differenziati e discriminati rispetto agli altri cittadini proprio in ragione di quelle condizioni. Ne segue che ad essere vietabili in nome dell'eguaglianza formale non sono "tutte" le discriminazioni fra i cittadini; ma solo quelle prive di uno specifico requisito, ripetutamente preteso dalla Corte nelle normative in materia di eguaglianza, quello cioè della "ragionevolezza". E mentre, in tema di accesso alle cariche di governo, altre differenziazioni possono risultare più o meno persuasive, una differenziazione tra "ricchi" e "poveri" di certo non appare irragionevolè. D'altra parte, non sarà mai ripetuto abbastanza che le condizio- Non ni stabilite per accedere alle cariche pubbliche non si configurano "obblighi" tecnicamente come "obblighi", ma come "oneri": cioè come "do- ma oneri veri liberi", consistenti in adempimenti non già assoluti, ma da osservare solo se si vuole raggiungere un determinato scopo. E che, dunque, non violano la libertà degli interessati nella misura in cui accedere ad una carica di governo, da noi (a differenza di quanto accade, ad esempio, in alcune realtà locali elvetiche), non è mai un'imposizione autoritativa, ma una libera scelta. Sicché, per evitare adempimenti eventualmente sgraditi, basta rinunciare alla carica pubblica. Ed ecco allora che quella di appesantire gli oneri a carico dei "ricchi", penalizzandoli rispetto ai "poveri", si profila, in ordine all'accesso alle cariche pubbliche, come un'opzione legislativa sicuramente opinabile e che certamente può esse6


re sconsigliata da ragioni di convenienza politica o di consenso elettorale. Ma che non può essere rifiutata adducendone l'illegittimità costituzionale, perché tale illegittimità semplicemente non esiste. È indubbio, cioè, che simile appesantimento «comprime" il diritto di elettorato passivo dei «ricchi" nell'ambito della loro libertà politica. Ma "comprimere" un diritto non significa «violarlo", sempreché non si incorra in un difetto di ragionevolezza: come appare particolarmente evidente nell'ambito della libertà di circolazione (art. 16 Cost.). A nessuno, infatti, verrebbe in mente di considerare menomato il diritto di andare, ad esempio, da Roma a Milano a causa dell'imposizione di un pedaggio per chi vuole usare l'autostrada e non si accontenta della viabilità ordinaria. Ebbene, altrettanto vale a proposito dell'elettorato passivo e della libertà politica di chi, non accontentandosi di fare politica attiva, ad esempio, in Parlamento, vuole entrare al Governo e si vede imposto una sorta di pedaggio, vale a dire un sacrificio in termini di disponibilità dei propri beni patrimoniali. Se, dunque, vogliamo chiamare le cose col loro nome, dobbiamo parlare, circa la rinuncia a penalizzare l'accesso degli abbienti al Governo, di tutela di un ceto sociale, e non di difesa della Costituzione, che sul punto nulla prescrive al legislatore. In effetti, Costituzione alla mano, l'accesso del "ricco" al Governo ben può essere reso - a fini equitativi - più difficoltoso di quello del "povero". Basta ricordare che questi fini equitativi sono parte integrante della nostra Costituzione, la quale all'art. 3, Il c., postula - come già accennato - la c.d. " eguaglianza sostanziale", chiamando la Repubblica a "rimuovere gli ostacoli che di fatto riducono la libertà e l'eguaglianza"; e che in nome di finalità di natura equitativa, la Costituzione ammette addirittura che l'eguaglianza possa essere derogata. Come accade con l'art. 53, in materia di imposte, dove l'eguaglianza dei cittadini, sancita nel I C. dell'articolo come obbligo di concorrere alle spese pubbliche "in ragione della capacità contributiva", viene corretto (o integrato) nel TI c. col principio secondo cui il sistema tributario "è informato a criteri di progressività" (la quale, lungi dal perseguire l'eguaglianza, produce diseguaglianze). Nulla più di un brillante sofisma appare quindi la tesi, ripetuta anche di recente (Violan-

La questione ddll'eguaglianza

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te), secondo cui il principio di eguaglianza - dovendo valere sia verso il basso (cioè a favore dei poveri), sia verso l'alto (cioè a favore dei ricchi) - renderebbe parimenti illegittimo, nell'ambito che ci interessa, ostacolare per legge la partecipazione alla competizione elettorale tanto degli uni, quanto degli altri. Nella realtà delle cose, infatti, è chiaro che, mentre nulla vieta al ricco - se vuole - di andare a dormire sotto i ponti, senza che ciò comporti alcun ostacolo alla sua partecipazione alle competizioni elettorali; viceversa, tutto congiura per rendere difficile al povero la competizione per un posto di Governo in presenza di un ricco che impegni le sue sostanze per ottenere quel posto. E allora, che la legge non si preoccupi di garantire una vita da barbone anche a chi non lo è, e si adoperi invece per pareggiare i conti nelle competizioni per il Governo, appare tutt'altro che incostituzionale; e al tempo stesso molto ragionevole. Non a caso, d'altronde, nella nostra legislazione elettorale qualcosa che tende a pareggiare quei conti già c'è: si tratta della c.d. "normativa elettorale di contorno", che comprende una serie di paletti validi per tutti i partecipanti alle competizioni. Paletti che vanno dall'apposizione di limiti temporali per le campagne elettorali, alla disciplina delle affissioni pubblicitarie e della propaganda radiotelevisiva, alla regolamentazione delle spese consentite nelle elezioni ecc.; e che, nella misura in cui cercano di "calmierare" i costi elettorali, tendono appunto a ridurre lo svantaggio dei competitori meno abbienti. Ma, come l'esperienza insegna, la riduzione dello svantaggio che così si ottiene è, non di rado, insoddisfacente. Sicché parrebbe niente affatto irragionevole provare ad ottenere risultati migliori mediante una disciplina della ineleggibilità con la quale "sterilizzare" preventivamente, nei partecipanti a determinate competizioni elettorali, se non tutti i grandi patrimoni, per lo meno quelli superiori ad una certa entità. Nel nostro ordinamento, inoltre, sono note anche le c.d. "azio- Le "azioni ni positive" a favore di alcune categorie di soggetti svantaggiati, positive" azioni di cui la Corte costituzionale ha avuto occasione di occuparsi, in specie, a proposito dell'elettorato passivo femminile. E così, una prima volta (sent.:422195), di fronte ad una norma che, per emancipare le donne dallo stato di inferiorità elettorale in cui 1.11


di fatto versano, prescriveva che "nelle liste di candidati nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore ai 2/3", la Corte ne ha dichiarato l'incostituziònalità motivandola con l'argomento che le misure legislative, adottate in nome della eguaglianza sostanziale "quale presupposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali", non possono "incidere direttamente sul contenuto stesso di quei diritti", che la Costituzione garantisce "in eguale misura a tutti i cittadini in quanto tali". Ed una seconda volta (sent. 49/03) ha invece riconosciuto la legittimità costituzionale di un'altra disposizione, sempre intesa a favorire le donne - ai sensi della quale ogni lista di candidati deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi -, con gli stessi argomenti della sentenza precedente, ma sostenendo che stavolta la disposizione impugnata non aveva alcuna "incidenza diretta sul contento dei diritti fondamentali dei cittadini dell'uno e dell'altro sesso" e ribadendo la pari eleggibilità di tutti "sulla base dei soli ed eguali requisiti prescritti". ... e quelle Mi pare tuttavia che da questa giurisprudenza, relativa all'elettorato passivo femminile, non possa trarsi granché a proposito "negative" dell'elettorato passivo in generale. Perché è vero che la tesi secondo cui le "azioni positive" non possono incidere sul contenuto dei diritti fondamentali, rigorosamente garantiti in misura eguale a tutti i cittadini in quanto tali, parrebbe giocare contro l'ammissibilità di "azioni negative" basate su condizioni personali e sociali, quali la disponibilità o meno di ingenti risorse finanziarie o patrimoniali. Ma, a parte la difficoltà di stabilire qual è, esattamente, il "contenuto" del diritto di elettorato passivo (partecipare alle elezioni? vincerle? candidarsi? esercitare la carica?), sta di fatto che se riesce possibile - sia pure con qualche fatica - seguire la Corte nella sua contrarietà alle "azioni positive" centrate sul sesso, non altrettanto accade per "azioni negative" riferite alle condizioni personali e sociali. Perché, se si esclude la possibilità di prescrivere come requisito di eleggibilità il non-possesso di determinate risorse economiche, viene meno, logicamente, anche quella di imporre il non-possesso (e quindi l'abbandono, previo o successivo alle elezioni) di certi uffici pubblici, o di certi incarichi in alcune imprese private, e così via. Viene meno, insomma, la possibilità di n


determinare quelle cause di ineleggibilità e incompatibilità che viceversa è la stessa Costituzione a volere stabilite dalla legge; e che concernono tutte - come abbiamo visto - alcune specifiche condizioni personali e sociali: prefetti, militari, diplomatici, ecc. (che devono lasciare l'ufficio prima dell'elezione); amministratori di enti pubblici, di società sovvenzionate ecc. (che devono "optare" per la carica pubblica subito dopo l'elezione). In quest'ordine di idee, anzi, vorrei aggiungere un paio di considerazioni. La prima è che se nel bilanciamento tra i principi di libertà e di eguaglianza postulato dall'art. 51 Cost., il legislatore volesse accordare una qualche preferenza all'eguaglianza, avrebbe anche ragioni testuali per farlo. E ciò perché l'eguaglianza - pur essendo inclusa dall'art. 3 Cost. fra i Principi Fondamentali della Repubblica, come tali destinati a improntare necessariamente ogni parte dell'ordinamento - è espressamente richiamata nell'art. 51, a proposito delle cariche pubbliche: il che potrebbe essere letto, senza arbitrio, anziché come una superflua ripetizione, come suggerimento di dare ad essa un peso maggiore rispetto alla libertà nel bilanciamento in questione. La seconda considerazione è che, mentre la proposta di legge in esame alla Camera prevede che sia in ogni caso suscettibile di provocare conflitto d'interessi la "partecipazione rilevante" nelle imprese mediatiche (per via della loro naturale capacità di influenzare la pubblica opinione), a me pare che in realtà la situazione conflittuale potrebbe presumersi egualmente nella disponibilità di patrimoni particolarmente cospicui. I quali, anche senza il possesso di imprese mediatiche, possono influenzare l'opinione pubblica in modi che neppure la ricordata "normativa di contorno" riesce ad impedire.

Un paio di considerazioni

Passando ora ad un sommario esame della proposta di legge presentata alla Camera, direi che le principali disposizioni che la differenziano dalla legge in vigore, migliorandone il contenuto, riguardano: a) l'abbandono della logica, propria della legge Franini, prevalentemente tesa all'accertamento a posteriori del conflitto d'interessi, con la conseguente necessità di monitorare a tappeto gli atti governativi; b) la scelta di prevenire il conflitto mediante il ricorso alla figura dell'incompatibilità, e alla presunzione di

Le regole

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della PDL Franceschini e altri


questa - salvo prova contraria - in alcuni determinati soggetti; c) la previsione di una duplice possibilità di guperamento del conflitto consistente, per i beni mobiliari, nell'utilizzazione del c.d. "blind trust", e per gli altri beni patrimoniali nella possibilità della vendita forzosa. Senza soffermare l'attenzione sul primo punto (la rinuncia al monitoraggio degli atti del Governo), vengo subito al secondo punto, quello relativo all'incompatibilità del governante. Relativamente alla quale, dopo aver rilevato che il ricorso ad essa, con esclusione dell'ineleggibilità, è necessario in tutti i casi in cui l'accesso al Governo non comporta un passaggio elettorale, conviene ricordare che, in base al nuovo sistema elettorale - che non amrnette più l'indicazione nelle schede dei candidati al Governo - il fenomeno della elezione popolare del Presidente del Consiglio si è alquanto attenuato rispetto il 2001. Ma, nondimeno, qualche traccia di passaggio elettorale è rimasta, perché le coalizioni in competizione possono indicare i loro candidati durante la campagna elettorale; cosicché un pensierino all'ineleggibilità come alternativa - più radicale e, quindi, preferibile sotto il profilo dell'efficacia - all'incompatibilità dei governanti potrebbe essere giustificato. Siccome però la maggiore efficacia, agli effetti della prevenzione dei conflitti, dell'ineleggibilità rispetto all'incompatibilità rischia di restare vera solo sul piano teorico - perché l'attuazione di entrambe è demandata, come si è notato, ad un giudice politico che opera ad elezione avvenuta e può, quindi, reputare opportuno favorire l'eletto, ignorandone le cause di ineleggibilità, e così trattarlo alla stregua di un mero incompatibile -, ecco allora che la vera alternativa all'incompatibilità sembra essere non già l'meleggibilità ma la figura precedentemente accennata della incandidabilità. La quale consiste nel divieto per determinati soggetti, in vista della loro pericolosità per il regolare svolgimento delle elezioni, di partecipare alla competizione elettorale, e nel sottoporre all'uopo tale partecipazione al vaglio preventivo (e non successivo) di un giudice ordinario (e non politico). Quanto poi alla tipologia delle misure atte a prevenire e/o rimuovere il conflitto d'interessi, la legge, dopo aver indicato le attività private suscettibili di determinare il conflitto (art. 3 ), obbliga il governante a dichiararle ad un'apposita Autorità, alla qua11


le spetta il giudizio sulla compatibilità di esse con la carica di Governo. Autorità che (art. 4), qualora il giudizio sia negativo, può chiedere che siano disposte secondo i casi: a) la cessazione dell'attività; b) la risoluzione del rapporto d'impiego, pubblico o privato; c) la sospensione dall'abilitazione professionale; a) la revoca dell'autorizzazione all'esercizio di attività imprenditoriali. In ogni caso, la legge (art. 7) stabilisce che i valori mobiliari superiori a 15 milioni di euro facenti parte del patrimonio del governante siano conferiti ad una "gestione fiduciaria" (il c.d. "blind trust" di matrice statunitense), ossia interamente affidati ad un'amministrazione del tutto estranea al governante/proprietario ma di sua fiducia, il quale percio diviene cieco (blind) rispetto alle sue proprietà. E che per le altre attività patrimoniali suscettibili di provocare il conflitto - a cominciare da quelle circa le quali il conflitto è presunto: partecipazione rilevante (cioè maggioranza ovvero influenza dominante nelle assemblee), o controllo (cioè diritti di proprietà ovvero di godimento, totale o parziale) di imprese che operano in settori strategici, vuoi per la politica nazionale (difesa, energia), vuoi per la salvaguardia della democrazia politica (informazione, editoria) - l'interessato proponga all'Autorità competente misure idonee ad evitare il conflitto stesso; restando all'Autorità, in caso di disaccordo, il potere di fissare misure alternative, fra le quali in particolare l'obbligo di vendere i beni in odore di conflitto (se del caso, tramite offerta pubblica). Volendo ora offrire qualche notizia circa la disciplina che Le regole all'estero viene data al problema del conflitto di interessi, è il caso negli USA di cominciare dagli USA che, oltre a vantare la più consolidata tradizione in proposito, hanno anche fornito il modello al quale si è inspirata la proposta legislativa in discussione davanti alla I Commissione della Camera. I capisaldi della disciplina statunitense - che riguarda non soltanto i governanti ma tutti i detentori di funzioni pubbliche (sia pure con specificità diverse da settore a settore) - possono individuarsi, secondo la sintesi fattane dal Pres. della Commissione Violante, nella c.d. "disclosure", nel "qualified blind trust", nel "diversified blind trust", nonché all'occorrenza nell'obbligo di alienazione dei beni. L'obbligo di alienazione può essere imposto 12


soltanto ai membri dell'Esecutivo (non al Presidente e al Vice Presidente) soltanto come ultima ratio e sempre a condizione che intendano mantenere l'incarico pubblico. È peraltro vero che alcune agenzie impongono a tutti i propri dipendenti di dismettere le partecipazioni finanziarie nei settori di còmpetenza dell'ente. Ad esempio, le persone designate dal Presidente degli USA a ricoprire responsabilità nel settore della Difesa debbono dismettere le partecipazioni finanziarie nell'industria bellica. Ma non si tratta di una regola generale. I due trust hanno come caratteristica fondamentale la "cecità" del conferente rispetto al proprio patrimonio. Il trust è cieco solo quando il fiduciario notifica che i beni sono stati ceduti o sostituiti con altri, dei quali il conferente non conosce né la natura né l'ammontare. Un "qua1fied blind trust" deve rispondere a caratteristiche rigorosissime. Il pubblico ufficiale non deve aver avuto rapporti precedenti con il fiduciario e non potrà comunicare con lui durante il corso del "trust". Il fiduciario può fornire solo informazioni specifiche relative alla vendita dei beni e le informazioni necessarie per motivi fiscali. Questi "trust" sono supervisionati e disponibili al pubblico per controlli. Il qua4fied diversified trust consiste nel conferimento di un portafoglio di titoli ampiamente diversificati e rapidamente trasferibili, nessuno dei quali deve far riferimento a settori di primaria responsabilità del conferente. La linea di sbarramento è costituita dal capitolo 11 del codice penale che disciplina, fra l'altro, i Conflict of interests. La sect. 208 punisce ogni pubblico ufficiale federale che partecipa, nell'esercizio delle sue funzioni, ad una decisione che riguarda questioni nelle quali egli ha un qualsivoglia interesse finanziario. Obbligo generale è la disclousure, ossia la pubblicizzazione delle risorse economiche dell'interessato, del coniuge convivente e dei figli a carico. Sono esclusi dalla pubblicizzazione i beni affidati ad un qua1fìed blind trust o ad un qua1fìed diversfìed trust. Il livello della pubblicizzizione è massimo per i gradi più alti dell'Esecutivo; si riduce per ilivelli più bassi. Conviene osservare, aquesto punto, che il modello statuniten- ... in Gran se, imperniato sul "blind trust" in alternativa alla vendita forzata Bretagna di determinati beni, ha fatto scuola diffusamente, nel senso che è 13


stato imitato non solo in ordinamenti di cultura anglosassone, come quelli inglese e canadese, ma anche in sistemi di democrazia continentale, come quello spagnolo. Vediamo allora che in Gran Bretagna, in conformità ad uno dei fondamentali tratti caratteristici dell'ordinamento inglese, la disciplina del conflitto d'interessi relativo ai governanti non discende da norme legislative, ma da un "Ministerial Code" emanato (da ultimo nel 2005) dagli Uffici del Premier (e precisamente dal Cabinet Office) in funzione di autoregolamentazione etica e procedurale dei Ministri. Alla base di esso - che peraltro si affianca, in caso di cumulo delle cariche, alla disciplina in materia riguardante i parlamentari dettata dai Regolamenti delle Camere - c'è il principio generale della trasparenza, alla cui stregua ogni membro del Governo è obbligato, 'innanzitutto, a dichiarare pubblicamente tutti i privati interessi correlati alla carica e ad adoperarsi, poi, per risolvere ogni conflitto in modo da tutelare l'interesse pubblico. Ulteriore principio generale che ispira il Code è l'affidamento alla responsabilità di ciascun Ministro - sia pure con l'assistenza degli Uffici del Premier della decisione circa l'an e il quomodo delle iniziative atte ad evitare il conflitto, per risponderne eventualmente dinanzi alle Camere. In questa logica, è prassi che, qualora il Ministro risulti titolare di interessi di natura privata, egli dichiari - ogni qual volta le decisioni del Governo possono incidere su di essi - tali interessi agli altri Ministri e rimanga estraneo alle deliberazioni. Quanto infine alle misure risolutive dei casi di conflitto, sempre nella logica suddetta, spetta al Ministro, al momento della nomina, decidere se lasciare ogni altra carica pubblica eventualmente detenuta ovvero sottoporre al Premier la possibilità di mantenerla; come pure assicurarsi di non avere partecipazioni in enti privati le cui finalità possano configgere con la politica governativa. Analogamente, i membri del Governo devono, a proposito della propria adesione ad organizzazioni sindacali, evitare che essa dia adito a situazioni conflittuali. È peraltro in relazione agli interessi finanziari privati potenzialmente in contrasto con la carica pubblica che il Code assegna un più marcato rilievo al parere degli Uffici del Premier, avendo anche cura di richiamare le implicazioni giudiziarie delle scelte in materia di conflitti compiute dai Ministri: che vanno dall'annullamento di singoli atti posti in essere -

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alle sanzioni penali. In particolare, in alternativa alle soluzioni più radicali - e cioè la dismissione dei beni privati che sono alla base del conflitto, ovvero le dimissioni del Ministro - spicca la devoluzione degli investimenti finanziari del Ministro ad un "blind trust", in modo da ottenere la temporanea separazione della titolarità dei beni dalla loro gestione, che viene rimessa ad un soggetto indipendente al quale è precluso informare il titolare circa le variazioni patrimoniali intervenute. Soluzione che, 'tuttavia, il Code reputa idonea solo nel caso in cui gli interessi finanziari in questione siano molto frammentati e diversificati. Altrimenti il Ministro può essere costretto ad astenersi dall'operare sul mercato azionario rilevante per un determinato periodo, oppure vedersi impedito l'accesso a determinati documenti e la partecipazione a determinate deliberazioni. Specifiche previsioni riguardano, inoltre, la partecipazione dei governanti in studi professionali, aziende, gruppi immobiliari, imprese assicurative ecc. In Canada, invece, accanto alla vendita dei beni, si registra, oltre . ..Canada alla soluzione "blind trust" di tipo statunitense, una variante di esso costituita dal "blind management agreement", ossia un accordo con il quale il governante/proprietario trasferisce tutti i diritti relativi ai suoi beni ad un fiduciario, da lui scelto, ma sottoposto al beneplacito dell'apposita Autorità. Questo fiduciario ha tutti i poteri necessari alla gestione e non può cercare né ottenere consigli dal governante, il quale a sua volta deve astenersi dal darglieli e dal partecipare a qualunque discussione o attività decisionale che possa in qualche modo riguardare i beni messi in gestione. In questo tipo di accordo, tuttavia, è possibile l'intervento personale del governante/proprietario limitatamente a circostanze eccezionali, previo consenso dell'Autorità e qualora un evento straordinario possa concretamente influire sui beni. Al fiduciario, peraltro, resta vietata la possibilità di procedere da solo all'alienazione, divisione, ipoteca o modifica sostanziale dei beni gestiti. Il connotato della "cecità" del governante è dunque qui meno rigido che nei "trust" statunitensi. Quanto alla Spagna, va ricordato anzitutto l'art. 98, III c., Cost. che vieta ai membri del Governo l'esercizio di altre funzioni rappresentative, eccettuato il mandato parlamentare e di ogni altra

...Spagna

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funzione pubblica non inerente all'incarico, nonché l'esercizio di attività professionali o commerciali. Lo stesso art., al IV c., demanda alla legge la disciplina dettagliata di queste incompatibilità; e la legge è ripetutamente intervenuta in materia, a partire dal 1983, fino a pervenire, con la 1. 5/2006, ad una sostanziale riforma della disciplina precedente, allo scopo di prevenire conflitti d'interesse dei governanti e delle più alte cariche dell'Amministrazione statale, dopo che nel febbraio 2005 era stato adottato, in sede del Consiglio dei Ministri, il c.d. "Codice del buon governo". La legge del 2006, dopo aver elencato le "alte cariche" destinatane della nuova disciplina, cominciando con i membri del Governo, definisce come conflitto d'interessi (art. 4) qualunque intervento dei titolari delle cariche in discorso su temi in cui confluiscono interessi pubblici e interessi privati propri o di familiari. Dopodiché, nel ribadire per i titolari delle cariche stesse l'incompatibilità in linea di massima con qualunque attività professionale e incarico di carattere pubblico o privato, provvede ad indicare le attività compatibili. Tra le attività pubbliche compatibili rientrano: lo svolgimento di incarichi a carattere istituzionale o commissionati dal Governo; la presidenza di società di proprietà statale diretta o indiretta aventi finalità connesse con quelle dell'alta carica; la rappresentanza dell'amministrazione statale negli organi direttivi di imprese o enti pubblici; la rappresentanza parlamentare. Le attività private consentite sono solo tre: gestione del proprio patrimonio personale e familiare; produzione e creazione letteraria artistica scientifica o tecnica; partecipazione ad istituti culturali o di beneficenza senza fini di lucro (e senza retribuzione personale). La legge stabilisce inoltre il divieto di possedere partecipazioni dirette o indirette superiori al 10% del capitale in aziende che abbiano rapporti contrattuali col settore pubblico; ma, nel caso di società con capitale superiore a 600.000 euro, il divieto si applica alle partecipazioni patrimoniali che, senza raggiungere il 10%, comportano tuttavia una posizione societaria dominante. In particolare, qualora il titolare della carica possieda, al momento della nomina o successivamente, partecipazioni superiori ai limiti suddetti, è stabilito che egli dovrà privarsene, e quindi cederle, entro tre mesi. Viene infine istituito presso il ministero dell'Amministrazione pubblica, ma in regime di piena autonomia funzionale, un 16


Ufficio (la Oficina de conflictos de interese) preposto ai controlli sulle incompatibilità delle alte cariche e alla tenuta dei due Registri: quello delle attività delle alte cariche e quello dei loro beni e diritti patrimoniali. Ad essi gli interessati devono presentare, entro tre mesi dall'inizio dell'incarico, rispettivamente una dichiarazione relativa alle attività in cui sono impegnati, ed una contenente tutte le informazioni relative ai beni, diritti e obbligazioni posseduti, compresi i titoli finanziari negoziabili e le partecipazioni societarie. Con cadenza semestrale la Officina deve inviare al Governo per la successiva trasmissione al Congreso de los Deputados un'informativa dettagliata sull'attuazione degli adempimenti previsti dalla legge e delle infrazioni eventualmente rilevate. Infrazioni di cui le più gravi - alle quali corrisponde un regime di sanzioni irrogabili dal Consiglio dei Ministri (destituzione dell'incarico, obbligo di restituire le somme indebitamente percepite, impossibilità di accedere nuovamente alle cariche per un periodo da cinque a dieci anni) - sono tre: mancato rispetto dei principi generali di incompatibilità, presentazione di dati e documenti falsi, mancato rispetto della disciplina relativa al "blind trust". Anche nel sistema spagnolo, quindi, è presente questo istituto di matrice statunitense, i cui elementi principali sono stati ricordati poco sopra. Nella legge del 2006, infatti, in caso di forme di partecipazione - da parte dei titolari delle cariche o di stretti parenti - in società commerciali che emettono titoli negoziabili, come pure in caso di'c6ntrollo di esse, si dispone che l'amministrazione di tali interessi deve essere delegata, a cura degli interessati, ad un'entità finanziaria per l'intera durata della carica e per i due anni successivi alla cessazione; obbligo escluso solo qualora il valore complessivo dei titoli non superi i 100.000 euro. Tale entità finanziaria svolgerà i suoi compiti nel rispetto dei principi generali della redditività e dei rischi stabiliti nella delega, col divieto sia di ricevere indicazioni sugli investimenti da parte dell'interessati, sia di comunicare loro la composizione assunta dagli investimenti stessi (salvo casi previsti dalla legge). Prima di chiudere, è opportuno spendere ancora qualche parola a proposito della vendita forzata dei beni del governante, per ribadire nuovamente la configurazione di essa come "onere" e non

ConsideraZIOnI conclusive

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come "obbligo"; e sottolineare perciò che stigmatizzarla - come talora si fa - alla stregua degli "espropri proletari" di non buona memoria è del tutto forviante. Anzitutto perché con la vendita non si violenta nessuno, in quanto quella di fare politica entrando nel Governo anziché restandone fuori rimane una libera scelta personale; e poi perché non si ruba nulla, dal momento che il controvalore dei beni venduti resta naturalmente al governante. D'altronde, basta ricordare gli artt. 41 e 42 Cost. - dove si legge che "l'utilità sociale" rientra tra i limiti da apporre all'iniziativa economica privata, e che "l'interesse generale" può giustificare l'esproprio della proprietà privata - per convincersi che, rientrando l'accesso alle cariche di Governo fra le materie in cui "utilità sociale" e "interesse generale" sono macroscopicamente presenti, esso è argomento in cui ampiamente si giustificano limitazioni all'iniziativa economica e alla proprietà privata. È impossibile negare, inoltre, che vi soncì beni patrimoniali (come gli immobili e le aziende) nei confronti dei quali il conflitto di interessi del governante/proprietario, qualora, ne sussistano gli estremi, non puo essere superato se non rescrndendo il rapporto di proprietà. Altrimenti il governante, non diventando "cieco", nei confronti dei suoi beni, potrà sempre usare i poteri governativi (o essere sospettato di usarli) per avvantaggiare le sue proprietà e/o danneggiare i concorrenti. Pertanto, in questi casi, la soluzione statunitense del "blind trust", come pure quella canadese del "blind management agreement", possono risultare soddisfacenti soltanto dopo che i beni del governante hanno perso identificabilità: nel senso che il governante/proprietario non sa in cosa sono stati trasformati. Non per nulla, d'altronde, la vendita dei beni rientra tra le misure previste vuoi negli USA, vuoi in Canada, dove esistono sistemi politico-economici che non sono secondi ad alcuno in tema di salvaguardia del diritto di proprietà e della libertà di mercato. Ne viene che coloro i quali vogliono escludere la vendita forzata dei beni dalla disciplina del conflitto d'interessi possono di certo argomentare in vario modo questa esclusione, ma dovrebbero lasciare in pace la Costituzione che non richiede affatto l'esclusione stessa. Un problema, semmai, resta aperto relativamente alla vendita dei beni: ed è quello di evitare che essa si risolva in una farsa. Come accadrebbe, ad esempio, se il governante/proprietario riuscisse ii:i


a vendere a sé medesimo attraverso familiari o prestanomi. Ma di questo aspetto sono i privatisti che devono occuparsi. In chiave costituzionalistica è sufficiente tenere presente che un problema del genere esiste. E che di esso non ci si può sbarazzare semplicisticamente, rinunciando alla soluzione vendita con l'argomento che potrebbe essere impossibile, all'atto pratico e soprattutto in presenza di aziende molto grosse, trovare acquirenti disponibili ad un acquisto "onesto", e in particolare acquirenti nazionali e non stranieri. Non è possibile sbarazzarsene anzitutto perché il passaggio in mani straniere di imprese nazionali è una conseguenza naturale del libero mercato, che non può essere accettato solo quando fa comodo; e poi perché a risolvere tutti i problemi resta sempre la possibilità che il proprietario in questione rinunci a fare politica andando al Governo, e si limiti a farla - ad esémpio - restando in Parlamento.

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queste istituzioni n. 144 inverno 2007

La "democrazia della cittadinanza". Il ruolo della Corte dei conti euro p ea* di Andrea Manzella

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a Corte dei conti europea entra in funzione 30 anni fa, nel 1977. Era lo stesso periodo in cui il Parlamento europeo consegue il più importante dei suoi poteri di bilancio. Il potere di discarico nei confronti della Commissione europea per la responsabilità nell'esecuzione del bilancio comunitario. Nasce, dunque, la Corte dei conti europea quando nel circuito istituzionale dell'Unione acquistano peso ed evidenza i poteri di controllo del PE. Organismo indipendente, rispetto alle altre istituzioni, neutrale rispetto agli Stati. Ma con quella particolare ausiliarietà nei confronti del Parlamento che ne fa, materialmente, una istituzione parlamentare. Una istituzione, cioè, che condiziona il buon esercizio delle funzioni di controllo parlamentare. E che proprio per svolgere bene il suo compito deve restare indipendente, anche, e forse soprattutto, nei confronti del Parlamento. La Corte dei conti comincia dunque .a lavorare nel 1977 e prende casa a Lussemburgo, in via Alcide De Gasperi, che è sempre un buon indirizzo europeo. Ma solo a Maastricht nel 1992 è riconosciuta come istituzione dell'Unione. Maastricht è anche il punto preciso del tempo in cui si comin- Una cia a prendere generale coscienza di un ordinamento costituzio- istituzione nale europeo. Coscienza generale perché una coscienza dei aeu Unione pochi" già c'era. Di quei pochi che già avevano definito come fenomeni costituzionali - che cambiavano cioè le Costituzioni nazionali - i grandi rivolgimenti giuridici iniziati con il Trattato di Roma del 1957.

L'Autore è Presidente della 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea). 20


Erano gli intensi fenomeni normativi comunitari (che modificavano i poteri dei Parlamenti nazionali). Era la giurisprudenza della Corte di giustizia (che incideva sugli indirizzi delle magistrature nazionali e persino sulle Corti costituzionali). Erano i poteri anti-monopolistici e l'esclusiva iniziativa normativa della Commissione. Dopo Maasstricht - che parla di cittadinanza europea e di moneta unica - non si possono più chiudere gli occhi. Un ordinamento costituzionale europeo è ora nella fattualità della vita degli europei. Un trattato costituzionale formale (quale quello concluso il 29 ottobre 2004 a Roma) può aggiungere molti e importanti elementi di completamento e propulsione a quell'ordinamento. Ma la ritardata ratifica del Trattato non può togliere nulla alla sua effettività. Da allora, e anche qui, oggi, la domanda che ci poniamo è: ma di che tipo è questo ordinamento costituzionale europeo? E la risposta che ci pare la più soddisfacente è: si tratta di un ordinamento sovranazionale che vive in una indissolubile simbiosi con gli ordinamenti nazionali. La vecchia idea di relazioni internazionali è sconvolta. Perché qui abbiamo un ordinamento sovranazionale costituito per limitazioni di sovranità di altri ordinamenti nazionali (è la formula apripista dell'art. 11 della nostra Costituzione). Ma che da essi non si distacca, ma con essi convive e fa sistema. Non cancella l'identità costituzionale degli Stati membri, ma questa identità e l'apparato che la esprime gli è necessaria per funzionare praticamente. Un ordinamento che è una unione di ordinamenti, una unione di Costituzioni. Come la cittadinanza europea: che è una e duale, completa la cittadinanza nazionale ma non la sostituisce. Un dualismo nell'unità. E allora oggi che la Corte dei conti europea viene in una sede Una visita in parlamentare nazionale a presentare la sua Relazione annuale che casa propria ha già presentato al PE, ebbene questa visita non è una visita a casa d'altri. È a casa sua. Perché percorre una via naturale in quell'intreccio costituzionale di cui parliamo. Quello per cui non esiste, non può esistere il Parlamento europeo, da un lato, e i Parlamenti nazionali, dall'altro lato, in condizioni di separatezza. Esiste, deve esistere un sistema parlamentare europeo. Che è già 21


fatto di cose concrete: i forum sempre piìi frequenti del PE con i PN, gli incontri di formato COSAC tra le Commissioni specializzate, le audizioni incrociate tra i livelli parlamentari, le sperimentazioni di procedure a salvaguardia del principio di sussidiarietà. Non per niente, Ella, signor Presidente, accogliendo immediatamente una proposta formulata ad Helsinki dalle nostre due Commissioni, ha voluto invitare a Roma per il 50 0 i presidenti dei Parlamenti dell'Unione e delle loro Commissioni affari europei. Volendo significare, prima della riunione di Berlino dei Capi di Stato e di governo, che l'Unione è retta da un policentrico regime parlamentare. Bene, è rispetto a questo sistema parlamentare europeo che la Corte dei conti europea si deve sentire complessivamente "ausiliaria". E non potrebbe non essere così dal momento che l'80 per cento delle politiche dell'Unione sono, per così dire, "decentrate": cioè sono svolte dagli Stati membri. Il meccanismo del cofinanziamento, dell'aggiuntività delle risorse nazionali rispetto a quelle comunitarie, i flussi finanziari incrociati, non permettono una dissociazione dei controlli a livello nazionale e a livello europeo. Questo comporta tre conseguenze: la prima è che quando la Corte dei conti parla al Parlamento europeo, parla anche ai Parlamenti nazionali e ne sollecita garanzie e controlli secondo i rispettvi ordinamenti; la seconda è che vi deve essere una compenetrazione sempre più stretta e una tendenziale uniformità tra metodi e finalità dei controlli contabili svolti dalla Corte europea e quelli svolti dalle Corti nazionali, con forme di collaborazione crescente tra i 28 istituti: la terza è che si devono accentuare gli sforzi per la adozione di principi contabili uniformi e affìdabili a livello europeo.

Un ausilio importante

La nostra Commissione del Senato si sta concentrando su quésto punto che ci sembra essenziale (proprio mercoledì prossimo ci sarà l'audlzione del prof. Riccardo Mussari, capofila della Scuola di Siena di aziendalisti pubblici). Non è più possibile andare avanti in assenza di coerenti sistemi di misurazione contabile, accettati da tutti gli Stati dell'Unione. La loro interdipen-

L'impegno sul "fronte ,, interno

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denza sociale ed economica, la necessità di confrontarsi insieme sul mercato internazionale dei capitali per il reperimento di risorse finanziarie, sono realtà stringenti per un sistema europeo di contabilità, che non sia solo formalmente accettato. E, naturalmente, ognuno deve cominciare mettendo ordine a casa propria. Da noi, per esempio, dobbiamo guardare sempre con attenzione al coordinamento delle istituzioni nazionali che, con diversi criteri, elaborano statistiche di finanza pubblica (Ragioneria generale, Banca d'Italia, Istat e la stessa Corte dei conti). Questo Senato, approvando il 10 novembre scorso, un ordine del giorno dei colleghi Legnini e Morando, è andato più in là. Ha impegnato il governo ad una dichiarazione unica di verifica di conformità sull'utilizzazione delle risorse comunitarie da parte delle varie amministrazioni e ad una relazione annuale sui controlli effettuati sui sistemi regionali, locali e settoriali. Ognuno vede come questa ricerca di regole condivise nella tenuta dei conti pubblici sia anche la base per quella riforma delle procedure di bilancio che vede il forte impegno delle nostre Commissioni bilancio (sotto la spinta dell'opinione pubblica allarmata per le condizioni in cui sono state approvate le leggi finanziarie degli ultimi anni). Si ricava allora da tutto questo un forte ordine di missione Le criticità della Corte dei conti europea. La sua fi.nzione consultiva, il "potere di osservazioni" - anche non richiesto (ma ben legittimo in base all'art. 248 del Trattato) - possono e devono innestarsi sulle sue funzioni di controllo che abbracciano tutta la galassia degli organismi comunitari e perfino spese operative (dal Fondo per la ricostruzione del Kossovo alle elezioni in Palestina ... ). La Corte dei conti ha dunque in mano un filo di Arianna, di razionalizzazione e di unificazione con i suoi rilievi e i suoi suggerimenti. Una precisa posizione trasversale nell'ordinamento a molti livelli dell'Unione. Così non ci ha affatto stupito che questa Relazione sia ancora così piena di denunce di criticità. Ma neppure ci ha meravigliato che nel dibattito davanti al PE il Commissario Kailas "ricordasse", in un certo senso, alla Corte la prevalenza sulle forme dei suoi stessi criteri di "sana gestione economica". Efficacia: si sono 23


conseguiti gli obiettivi della politica dell'Unione? Efficienza: si è realizzato un impiego ottimale delle risorse? Economicità: è stata impiegata Ja minima quantità di risorse o ci sono stati sprechi? E ancora, ci aspettavamo, per contrappasso, che i nostri colleghi cosiddetti "euro-scettici" del Parlamento europeo, cogliessero l'occasione per vedere in ogni irregolarità, magari determinata proprio dalla neutralità delle regole contabili, una frode (ed eccoli a parlare delle 20 mila vacche - non svizzere ma slovene della cui esistenza si dubita ... ). Da quel dibattito parlamentare sono venuti, dunque, utili avvertimenti per tutti: rendere uniforme e trasparente la contabilità europea; distinguere bene le irregolarità contabili dalle frodi; avere ben presenti le regole moderne dell'aziendalismo pubblico. Queste: ormai sagomate sul rapporto tra funzioni, risorse, da un lato e missioni, obiettivi dall'altro. Soprattutto ora che l'impegno europeo della Strategia di Lisbona si declina per indicatori e obiettivi che valgono sia dentro che fuori ciascuno Stato membro. Il PM dei Signòr Presidente, Signore, Signori, ognuno intende come ciascuno di questi temi richiederebbe contribuenti ben altri svolgimenti di quelli consentiti in un intervento di ac- europei coglienza alla "prima volta parlameiitare" della Relazione della Corte dei conti europea. Ma è tempo di concludere. Con una ultima considerazione. La Corte dei conti europea, come del resto l'intero quadro istituzionale comunitario, si pone oggi sul crinale, sulla linea di confine tra due sistemi complessi. Da un lato, il sistema comunitario che trova negli Stati membri le sue unità elementari di base. Dall'altro, il sistema complesso che ciascuno di questi Stati membri è, per le sue articolazioni interne, regionali e subregionali. Ebbene una istituzione-cerniera come la Corte dei conti europea nel momento in cui opera, senza frontiere, tra questi due sistemi - l'uno sovrastatale o interstatale, l'altro sub-statale - può assumere una straordinaria funzione di diffusione di buone pratiche gestionali di tipo federale. Penso all'attuazione dell'art. 119 della nostra Costituzione, 24


l'attuazione del cosidetto "federalismo fiscale" (una riforma da fare in questa legislatura forse con un grado di importanza, se non di urgenza, superiore a quello della stessa riforma elettorale: dato che questa riguarda la forma di governo e l'art. 119, invece, la stessa forma dello Stato). E penso a quanti utili suggerimenti e raffronti potrebbero venirci per la gestione del nostro fondo di perequazione regionale dalla Corte dei conti europea in analogia con la gestione della politica di coesione comunitaria. Non è un caso, d'altronde, se nel dicembre scorso nel nostro Quadro Strategico Nazionale si sono integrate la politica regionale comunitaria e quella nazionale, con l'unificazione delle risorse dei Fondi strutturali comunitari con il nostro Fondo Aree sottosviluppate. Naturalmente, in un rapporto di fertilizzazione reciproca, esperienze e concetti possono ben compiere un cammino inverso. Le nostre Regioni, in questi ultimi anni, non sono state con le mani in mano come aziende pubbliche. Basta ricordare per tutte le esperienze innovative della Regione Campania, con l'introduzione di logiche di controllo strategico nella sua amministrazione, e della Regione Lombardia con lo strumento del rapporto di gestione tra Giunta e Consiglio regionale che permette un molto intenso - e molto politico - dialogo sui conti. Ci pare, dunque - a me e alla Commissione da me presieduta - che la maniera migliore di accogliere la relazione della Corte sia collocarla in queste prospettive d'avvenire. Ricordavamo che essa - come istituzione - nacque a Maastricht assieme alla ciLtadinanza europea. Ebbene, a questa "democrazia della cittadinanza" la Corte deve essere sempre ricongiunta. Sostegno dei Parlamenti, pubblico ministero dei contribuenti europei.

* Relazione tenuta dal Senatore Manzelha in occasione della presentazione della prima Relazione al Parlamento Europeo della Corte dei conti europea, Roma 5 marzo 2007

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istituzioni n. 144 inverno 2007

Misure antiterrorismo e diritti civili: ultimi sviluppi del caso statunitense di Carla Bassu

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a determinazione di nuovi equilibri strategici a livello mondiale e la previsione di grandi eventi politici quali le campagne elettorali per le elezioni presidenziali in Francia e Stati Uniti, potenze timone per la comunità internazionale, fanno percepire la natura cruciale dell'attuale momento storico. Il 2007 si prospetta, infatti, come un anno di transizione per la definizione della situazione geopolitica globale e, in particolare, i segnali colti finora sembrano testimoniare un cambio di prospettiva nella gestione politica della guerra al terrorismo promossa dagli Stati Uniti sui fronte interno e su scala internazionale. Particolarmente importanti nella realtà statunitense sono le conseguenze prodotte dal mutamento delle maggioranze congressuali dopo le elezioni di mid-term del 7 novembre 2006. Per comprendere a pieno i passaggi che hanno condotto agli ultimi sviluppi della politica dell'Amministrazione Bush occorre fare un passo indietro e ricostruire le fasi principali delle dinamiche istituzionali statunitensi nell'ultimo anno. Nel dicembre 2005 il Congresso è stato chiamato a riesaminare Il riesame il Patriot Act per decretarne l'eventuale proroga a tempo indeter- del Patriot minato, così come richiesto dal Presidente. Si ricorda che, al mo- Act mento dell'emanazione della legge, nell'ottobre 2001, l'assemblea parlamentare aveva assunto un ruolo defilato, adottando un iter legislativo facilitato per consentire l'adozione della legge nel più breve tempo possibilel. Con l'andare del tempo, tuttavia, l'osservazione degli effetti esercitati concretamente dall'applicazione della legge antiterrori-

L'Autore è Dottore di ricerca di Diritto pubblico comparato nell'Università di Siena. 26


smo aveva acceso il dibattito sulla legittimità delle misure adottate, ritenute eccessivamente restrittive delle libertà individuali 2 . In particolare, si contestava la violazione dei principi fondamentali della political freedom, del due process e dell'equa1 treatrnent, che costituiscono la base fondante il costituzionalismo statunitense. Anche la popolazione, in un primo momento schierata univocamente a fianco del Presidente, comincia a prendere progressivamente le distanze dalla strategia antiterrorismo. La svolta si ha il 16 dicembre 2005, quando il New York Times pubblica scottanti rivelazioni su un ordine che la Casa Bianca avrebbe impartito in segreto alla National Security Agency (NsA), agenzia di spionaggio dotata di poteri superiori a quelli della CIA e che opera nella massima segretezza, per effettuare intercettazioni telefoniche a tappeto e monitorare la posta elettronica di migliaia di persone, senza la dovuta autorizzazione giudiziaria. I fatti sono particolarmente gravi perché lo spionaggio delle comunicazioni svolto dalla NSA su commissione presidenziale riguarda il territorio americano, circostanza medita e inammissibile alla luce dell'apparato di garanzie previste dall'ordinamento statunitense per la protezione dei diritti di riservatezza e difesa. Questo dato rappresenta un significativo campanello di allarme per i cittadini statunitensi che sperimentano direttamente la portata invasiva della legislazione antiterrorismo, riscontrando la violazione di libertà la cui intangibilità non era mai stata messa in discussione. La presa di coscienza da parte degli statunitensi dell'impatto del Patriot Act nella quotidianità dei singoli rappresenta un momento determinante nel percorso evolutivo della strategia presidenziale contro il terrorismo. La piena accettazione della severa legislazione antiterrorismo introdotta dopo l'il settembre era probabilmente, almeno in parte, riconducibile al fatto che gli americani non ne subivano gli effetti in prima persona. La grande maggioranza delle misure restrittive risponde infatti a criteri di selettività. Tali previsioni sono state concepite in riferimento a precise categorie di persone e applicate nel corso degli anni solo a determinati gruppi di soggetti: gli stranieri. È evidente che se gli strumenti restrittivi sono selettivi, la maggioranza della popolazione non si sentirà lesa direttamente e

Lo Spionaggio

delle comunica-

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sarà di conseguenza maggiormente predisposta ad accettarne l'utilizzo. La scoperta del complesso sistema di spionaggio dei cittadini da parte dell'NsA esercita un peso determinante sulla decisione del Parlamento statunitense che decide di estendere a tempo determinato le disposizioni più controverse del Patriot Act, riservandosi di riconsiderare volta per volta la proroga della legge. Un altro evento importante si ha nel giugno 2006, quando il Presidente si trova costretto a fare appello al sostegno della maggioranza repubblicana in Parlamento per ovviare a quanto prescritto in una sentenza della Corte suprema. In questa decisione i giudici della Corte ribadivano quanto già affermato nelle tre pronunce sul caso Guantanamo del 2004, riaffermando l'illegittimità delle corti speciali militari. Di fronte a tale presa di posizione Bush invoca l'appoggio dello schieramento repubblicano che, incurante di quanto disposto dalla Corte suprema, approva una legge che conferma l'utilizzo di corti militari e di metodi probatori e di interrogatorio "non convenzionali", per combattere il terrorismo 4 Per evitare la pronta applicazione della pronuncia dei giudici supremi il presidente fa appello al cosiddetto "conventional wisdom", una sorta di buon senso sociale, politico e culturale, fondato sui principi ispiratori dello spirito democratico-liberale statunitense, che viene richiamato dal potere costituito per l'approvazione dileggi o per la legittimazione di azioni che sarebbero altrimenti difficilmente giustificabili e attuabili.

Gli interventi della Corte suprema

A cambiare le cose interviene però il già menzionato successo elettorale ottenuto dai democratici nelle elezioni di medio termine. La Camera dei Rappresentanti presenta attualmente una forte maggioranza democratica e i discorsi programmatici dei nuovi leader congressuali prospettano da subito una dura campagna di opposizione, orientata soprattutto a contrastare la politica presidenziale in materia di terrorismo. In questa rinnovata cornice congressuale, nel gennaio 2007, il procuratore generale Alberto Gonzales viene convocato dal Senato federale per ricostruire lo scenario delle attività di spionaggio telematico condotte dalla NSA su commissione dell'Esecutivo.

Un nuovo congresso

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Gonzales afferma che il controllo sui cittadini effettuato per mezzo dei sistemi di sorveglianza delle agenzie federali è stato ragionevole e necessario per prevenire attacchi terroristici. Egli fa riferimento a un comunicato ufficiale emanato nel febbraio 2006, in cui si affermava che "attacchi simili a quelli avvenuti nelle capitali europee sono stati sventati grazie allo sforzo del presidente Bush per monitorare, prevenire e annientare la minaccia terroristica" 5 . Secondo la Casa Bianca, dunque, gli strumenti di controllo utilizzati costituiscono un'arma fondamentale e irrinunciabile nella lotta al terrorismo e per questo non è possibile rinunciarvi. Certamente l'utilizzo delle risorse tecnologiche per fini di con- I precedenti della ultima trollo, che vanno dagli scopi investigativi alle operazioni di marketing aziendale, non è nato dopo l'il settembre ma è un fe- misura nomeno già presente nelle moderne società industrializzate. Tuttavia, l'incombere dell'emergenza terrorismo ha determinato un forte potenziamento dei sistemi di sorveglianza che assumono attualmente proporzioni imponenti. Si ricorda che già alla fine degli anni Quaranta, gli Stati anglofoni, riuniti sotto la guida della Us National Security Agency, la già citata NSA, avevano instaurato un'associazione di intercettazione e ascolto elettronico chiamata l'alleanza UKUSA. Tale sodalizio si rivelò utile soprattutto durante la Guerra fredda, quando le agenzie di ascolto operarono per raccogliere informazioni nel blocco sovietico. Oggi i Paesi della UKUSA Si servono del sistema di comunicazione satellitare Intelsat, che permette il monitoraggio della maggior parte delle telefonate, e-mail e fax scambiati ogni giorno nel mondo. Tuttavia esiste ancora un sistema chiamato ECHELON, che collega in rete tutti i computer nell'ambito delle agenzie UKUSA, tramite un complesso sistema di parole chiave condivise. In particolare negli Stati Uniti si registra l'attivazione, in tempi non sospetti, di un programma denominato CARNivou che, una volta installato nei provider di Internet consente alle agenzie di Stato di operare un monitoraggio completo dei movimenti nella rete e delle e-mail scambiate dall'utente 6 . Un altro, importante strumento di controllo statale sulla sfera individuale è dato dai dispositivi introdotti per rintracciare e ricostruire le operazioni di riciclaggio di denaro sporco, utili al fine di 29


giungere alle fonti di finanziamento del terrorismo internazionale. A questo scopo interviene l'azione dello Us Treasury Department in the Financial Crimes Enforcement Network (FinCen), nel quale converge il lavoro di giuristi ed economisti al fine di individuare e perseguire le attività di "money laundering" e altri crimini di natura finanziaria. Prima dell'il settembre, questi grandi sistemi di controllo di Stato trovavano un limite al proprio potere di ingerenza sia a livello giuridico-normativo che in prospettiva politica. La legislazione interna di tutti i paesi appartenenti all'UKuSA, per esempio, stabiliva il preciso divieto di intercettare e controllare i propri cittadini e il gr.ande potenziale di questo sistema di vigilanza integrato attirò l'attenzione delle Istituzioni europee che mostrarono una certa preoccupazione. Nello specifico, in seno al Parlamento europeo nacque una discussione in merito all'impatto negativo di questo sistema sugli interessi economici dei paesi dell'Unione, nel caso di un utilizzo impropri0 8 Per quanto attiene le innovazioni introdotte dalla legislazione successiva all'li settembre si segnalano tre sections del Patriot Act relative al controllo delle comunicazioni, funzionali all'espletamento di indagini penali, alle operazioni di intelligence internazionali e al riciclaggio di denaro sporco. Rispetto al monitoraggio delle comunicazioni interpersonali per scopi investigativi si segnala un generale allentamento delle restrizioni relative alla salvaguardia delle garanzie individuali e all'intervento dell'autorità giudiziaria per autorizzare i controlli 9 C'è da dire che le nuove tecnologie, pur rappresentando una risorsa importantissima per la garanzia della pubblica sicurezza, aumentano il rischio di una deriva orwelliana, che è direttamente proporzionale al mancato rispetto della, sfera dei diritti fondamentali. .

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Tornando all'audizione di Gonzales di fronte al Senato, si rileva Abuso di potere una situazione piuttosto animata che vede un vivace contraddittono tra alcuni senatori e il procuratore generale! 0 . Alcuni esponenti democratici, in particolare, sostengono che gli interventi sulla sfera della riservatezza individuale, posti in essere per mezzo degli apparati telematici di spionaggio costituiscano una palese 30


violazione del Foreign Inteiigence Surveillance Act (FIsA) del 1978 che subordina l'applicazione di misure considerate invasive all'autorizzazione giudiziaria. Il FIsA specifica infatti che per mettere in pratica tutte le operazioni di sorveglianza eseguite all'interno dei confini statunitensi ogni ente federale ha bisogno dell'approvazione di un tribunale. Le attività di intercettazione disposte dalla presidenza USA, invece, sono state fino a ora sottratte a qualunque forma di controllo giuridico spettante alla magistratura. Questo perché, a parere dell'attuale Amministrazione statunitense, la qualifica di comandate in capo delle forze armate consente al presidente di autorizzare qualsiasi tipo di intercettazione, in virtù dei pieni poteri conferiti dopo l'il settembre. Pare opportuno attirare l'attenzione sul fatto che, con un tempismo a dir poco perfetto, il giorno prima dell'audizione parlamentare di Gonzales, il Dipartimento di Giustizia aveva emesso un comunicato in cui annunciava la decisione di affidare il controllo del sistema di intercettazioni interne a un garante indipendente. Nel rapporto, inviato al presidente della Commissione giustizia del Senato, il Procuratore afferma la competenza a stabilire la legittimità delle misure di sorveglianza in capo alla Foreign Intelligence Surveillance Court che sta già valutando il caso di un presunto sostenitore di al-Qaida. A questo proposito, l'addetto stampa presidenziale, Tony Snow, comunica la modifica delle guidelines che disciplinano l'attività della Foreign Intelligence Surveillance Court, riviste al fine di rispondere alle esigenze di rapidità operativa proprie della politica antiterrorismo. In sostanza, in virtù del report dell'Esecutivo, d'ora in poi, ogni attività di sorveglianza elettronica prevista dal Terrorist Surveillance Program dovrà essere soggetta all'approvazione della Foreign Inteiigence Surveillance Court. Pur non comportando di fatto un ridimensionamento degli Inversione di amplissimi poteri inquirenti spettanti all'Esecutivo, questa presa rotta di posizione determina tuttavia un'importante inversione di rotta in senso garantista nella gestione della lotta al terrorismo. Va da sé che la scelta presidenziale deve essere comunque considerata nel quadro del nuovo contesto politico e appare comunque come una mossa "preventiva" e anticipatoria delle istanze congressuali, 31


in vista della convocazione del procuratore generale da parte della Camera alta. L'audizione di Gonzales si conclude con la richiesta formale da parte del Senato di provvedere tempestivamente a ricondurre le attività di sorveglianza intraprese nella sfera definita dal FIsA, senza trascurare di fare chiarezza sulla portata lesiva delle operazioni effettuate nel corso degli ultimi anni. A questo proposito, è bene ricordare che le agenzie federali di spionaggio, a partire dal 2001, hanno esercitato ordinariamente operazioni di controllo sui conti bancari e di credito di centinaia di americani sospettati di spionaggio o terrorismo. Questa prerogativa è subordinata a un permesso che, in virtù del Patriot Act, deve essere rilasciato dall' Office of the National Intelligence Director per mezzo delle cosiddette "national security letters" che costituiscono il lasciapassare per lo svolgimento di questo tipo di attività senza che venga interpellata l'autorità giudiziaria. Il sospetto è che le national security letters, concepite come strumento da utilizzare come estrema ratio in casi del tutto eccezionali, si sia trasformato in un metodo di intervento perfettamente usuale. L'atteggiamento di rigore assunto dal Congresso verso la politica presidenziale pare solo là punta di un iceberg che comincia a sciogliersi a testimonianza dell'inizio di una nuova primavera per ilLegislativo USA. In questo quadro si inserisce.l.:stoccata inferta alla politica estera di Bush il 16 febbraio 2007, quando la Camera dei Rappresentanti ha bocciato, 246 voti a favore e 182 contrari, la nuova strategia per la gestione della situazione in Iraq. Il dato importante è che ai deputati democratici si sono affiancati diciassette esponenti della minoranza repubblicana che non hanno esitato a esprimere il proprio dissenso in ordine a uno dei capisaldi del piano di governo del Presidente. La Camera ha sottoscritto una mozione non vincolante in cui si esprime la "disapprovazione" della decisione di inviare a Baghdad un ulteriore contingente militare, pari a 21.500 soldati, pur ribadendo che non si intende operare tagli ai fondi già stanziati per le truppe americane in Medio Oriente. C'è da dire che, in ragione del sistema di rigido riparto delle 32

Una nuova primavera


competenze, tipico della forma di governo statunitense, il presidente non ha bisogno dell approvazione dell organo legislativo per mettere in atto le scelte in ambito militare. Ciò perché il capo dell'Esecutivo è anche comandante supremo delle Forze armate ed è libero nella gestione dei soldati; d'altra parte, però, la Costituzione assegna alle due Camere del Congresso la competenza esclusiva per l'assegnazione dei finanziamenti. L'influenza parlamentare sulla politica militare è dunque sostanziale, per quanto indiretta. Alla luce di questo, il voto della Camera acquista certamente un significativo valore simbolico e rappresenta un chiaro monito rivolto al presidente che, di fatto, non è più libero di agire ma dovrà di volta in volta confrontarsi con le posizioni di deputati e senatori il cui appoggio non è più scontato. La risoluzione adottata dalla House ofRepresentatives è frutto di un acceso dibattito che si è protratto per quattro giorni e, pur esprimendo solidarietà e sostegno ai soldati americani, chiarisce un netto rifiuto per la guerra in generale e per la campagna militare iraquena in particolare. La Speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha affermato che si tratta del primo messaggio di condanna da parte di un'istituzione che rappresenta l'opinione della popolazione e segna un radicale cambiamento di direzione, posto in essere allo scopo di porre fine alle ostilità e riportare a casa i militari USA. Certamente, tale presa di posizione apre un periodo nuovo nei rapporti tra Esecutivo e Legislativo sulla gestione dell'agenda in politica estera. In questo frangente rilevano gli impegni presi dal candidato sfi- Argini solidi dante di Hillary Clinton alle primarie democratiche per le presidenziali del 2008: il popolare senatore Barack Obama, che ha già elaborato un articolato di mozione per il ritiro delle truppe dall'Iraq. Nello stesso senso, si segnala l'impegno del senatore Joe Biden che auspica la revoca dell'autorizzazione parlamentare del 2002, con cui è stato conferito al presidente il potere di intraprendere l'iniziativa bellica. Tuttavia, la prospettiva più minacciosa per l'attuale Amministrazione, è quella delineata dal deputato democratico della Pennsylvania, John Murtha, un ex-ufflciale dei marines ora nettamente schierato contro la guerra. Murtha è capo 33


della sottocommissione della Camera per i finanziamenti militari e gode del pieno appoggio del presidente Pelosi che sostiene la sua iniziativa di bloccare la missione in Iraq per mezzo del bilancio supplementare del Pentagono. All'inizio dell'anno Bush ha fatto istanza al Congresso per l'erogazione di ulteriori 98,5 miliardi di dollari, finalizzati a finanziare i conflitti in Iraq e Afghanistan. La posizione dei democratici è complessa perché da una parte non si vuole correre il rischio di apparire poco dotati di amor di Patria, negando il finanziamento e mostrando così poca attenzione ai soldati attualmente di stanza in Iraq. L'escamotage pensato da Murtha per uscire da questa difficile situazione è quello di introdurre nella legge di stanziamento requisiti e condizioni che ostacoleranno in maniera rilevante l'invio dei rinforzi. Nello specifico, si intende disporre per esempio il divieto di inviare militari in Iraq senza che sia stato previamente fornito un addestramento adeguato e senza che sia messo a disposizione di ognuno un equipaggiamento tecnologicamente avanzato. Allo stato attuale tali condizioni non possono essere soddisfatte in tempi brevi perché richiedono uno sforzo economico e operativo non indifferente. Il i marzo il presidente George W. Bush, il suo vice Cheney, e i vertici democratici di Congresso e Senato, Nancy Pelosi e John Reid, si sono incontrati alla Casa Bianca per fare il punto sulla guerra in Iraq: i democratici sono determinati a spingere affinché i fondi per la guerra siano reinvestiti nella ricostruzione dei Paesi coinvolti e nella lotta al terrorismo internazionale da realizzarsi però con mezzi pacifici. Staremo a vedere se la forza del Congresso sarà tale da riuscire a porre argini solidi alla politica di un Esecutivo che, fino a ora, è stato lasciato libero di "straripare".

V. C. BASSU, Il ruolo del Congresso degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, in «Rassegna parlamentare», n. 1/2006, pp. 227-240. 2 Vengono messi in discussione soprattutto gli interventi sulla sfera della privacy dei cittadini americani e le limitazioni alla libertà personale degli stranieri previsti da! Patriot Act, in deroga al dettato costituzionale.

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V. Hamdan v. Rumsfeld. Si tratta del Militaiy CommissionsAct, 2006. 5 V. Prepared Statement of of Hon. Alberto R. Gonzales, Attorney Generai of

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the United States, 6 febbraio 2006, reperibile al sito http://www.usdoj.gov/aglspeechesl2006/ag...speech_060206.html 6 V. R. WHITAKER, The End ofPriviuy: How Total Surveillance is Becoming a Reality, The New York Press, New York, 1999. V. UNITED STATES DEPARTMENT OF THE TREASURY, Financial Crimes Enforcement Network, Strategic Plan 2000-2005, consultabile al sito http://www.fineen.gov/finsrrategicplan2000.pdf 8 In particolare, la rappresentanza francese al Parlamento europeo affermò l'esistenza di "una rete di spionaggio angiofoba" che potrebbe essere usata ai danni degli interessi economici europei. V. S. DAVIES, Spies like Us, in «Daily Telegraph», 16 dicembre 1997. 9 V. Titolo 11, del Patriot Act Sec. 201. "Authority to intercept wire, oral, and electronic communications relating to terrorism"; Sec. 202. "Authority to intercept wire, oral, and electronic communications relating to computer fraud and abuse offenses"; Sec. 203, "Authority to share criminal investigative information"; Sec. 204, "Clarification of intelligence exceptions from limitations on interception and disclosure of wire, ora!, and electronic communications"; Sec. 205, "Employment of translators by the Federal Bureau of Investigation"; Sec. 206, "Roving surveillance authority under the Foreign Intelligence Surveillance Act of 1978"; Sec. 207, "Duration of FIsA surveillance of non-United States persons who are agents of a foreign power"; Sec. 208, "Designation ofjudges"; Sec, 209, "Seizure of voice-mail messages pursuant to warrants"; Sec. 210, "Scope of subpoenas for records of electronic communications"; Sec. 211, "Clarification ofscope"; Sec. 212, "Emergency disclosure of electronic communications to protect life and limb"; Sec. 213, "Authority for delaying notice of the execurion of a warrant", Sec. 214, "Pen register and trap and trace authority under FIsA"; Sec. 215, "Access to records and other irems under the Foreign Intelligence Surveillance Act"; Section 216, "Modification OfAuthorities Relating To Use Of Pen Registers And Trap And Trace Devices"; Section 217, Sec. 217, "Interception Of Computer Trespasser Communications"; Sec. 217, "Interception of computer trespasser communications"; Sec. 218 "Foreign intelligence information"; Sec. 219, "Single-jurisdiction search warrants for terrorism"; Sec. 220, "Nationwide service of search warrants for electronic evidence"; Sec. 221, "Trade sanctions"; Sec. 222, "Assistance to law enforcement agencies"; Sec. 223, "Civil liability for certain unauthorized disclosures"; Sec. 224, "Sunset"; Sec. 225, "Immunity for compliance with FI5A wiretap". IO Il senatore Patrick Leahy ha attaccato duramente la posizione di Gonzales affermando che "nella lista degli spiati sono finiti soggetti improbabili: i pacifici quaccheri, le suore cattoliche e persino i bambini più piccoli".

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queste istituzioni n. 144 inverno 2007

Governare lo sviluppo dei sistemi economici locali di Francesco Velo

N

egli ultimi anni l'accelerazione vissuta, in tutti i Paesi industrializzati, dal processo di progressiva integrazione economica e sociale ha imposto una profonda riflessione sul modo con cui i diversi soggetti economici si orientano ed agiscono in spazi competitivi piìt ampi 1 . La crescente interdipendenza dei sistemi economici ha evidenziato come l'esigenza di riformulare le proprie strategie competitive non sia più "privilegio esclusivo" di quelle imprese che appartengono a settori particolari: il problema si pone a livello più ampio, in considerazione del fatto che tutti i soggetti presenti in un territorio sono esposti a questo fenomeno 2. L'aumento della complessità del contesto di riferimento ha infatti interessato una pluralità di soggetti, pubblici e privati, rendendo sempre più difficile l'individuazione di segmenti, o nicchie di mercato protetti dalla concorrenza. L'accelerazione del processo di integrazione, congiuntamente alla nascita di organismi sovranazionali in grado di imporre il rispetto delle regole di concorrenza sul mercato, ha portato a modificare radicalmente i meccanismi protezionistici, che di fatto escludevano interi settori dell'economia nazionale dalla concorrenza esterna 3 . Ilprocesso di progressiva apertura dei sistemi economici impat- Territori ed ta non solamente sui settori industriali, o sui soggetti profit-orien- economia tea esso sempre più chiaramente svolge un'influenza profonda su tutto il sistema economico, riportando la riflessione culturale sul tema del ruolo dei territori nello sviluppo economico di una nazione. Tutti i soggetti economici, pubblici e privati, profit e non profit

L'Autore è dottore di ricerca e docente a contratto presso l'Università degli Studi di Pavia. 36


sono oggi chiamati a relazionarsi con uno spazio competitivo più vasto. Per questo risulta inadeguato un approccio mirato a ridefinire le scelte strategiche, di posizionamento, di un sistema economico che valorizzi solamente rischi e opportunità per alcuni settori. Le teorie aziendali 4 in anni recenti hanno più volte sottolineato la necessità di sviluppare un approccio sistemico al governo dell'economia 5 . Questo approccio pone il problema di individuare strumenti di intervento in grado di far crescere le risorse e le competenze di un sistema territoriale, valorizzando tutte le capacità in esso presenti6 .

Un tratto caratteristico della globalizzazione, e dei suoi effetti Globalizzazione e sulla strategia di impresa, è per questo riconoscibile nella crescente necessità di reperire conoscenze, know-how specifico, in grado sviluppo di consentire ai soggetti economici di operare in uno scenario di locale crescente complessità 7 Questo approccio deve oggi essere applicato su vasta scala, con la finalità di definire, in modo ampio, quale possa essere il bisogno di competenze, servizi e tecnologia in grado di supportare la crescita non di una singola impresa ma di un sistema economico nel suo complesso. Più autori sottolineano l'importanza del tessuto locale, economico e sociale, come base per rilanciare lo sviluppo di un sistema economic0 8 Ciò si è tradotto, nei passati decenni, in una maggiore attenzione verso i sistemi distrettuali, come strumento per sostenere la capacità dei soggetti economici di "fare sistema". Alla luce delle trasformazioni oggi in atto, appare opportuno interrogarsi sulla possibilità che queste soluzioni evolvano, per affrontare le nuove sfide che la globalizzazione porta con sé. .

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Nel 1998, la Commissione europea 9 sottolineava come la crescita economica e sociale dell'Europa fosse legata allo sviluppo del settore terziario. In particolare, veniva evidenziata l'importanza di "determinare condizioni ottimali al fine di assicurare che il settore dei servizi alle imprese (potesse contribuire) alla creazione di occupazione al suo interno e anche indirettamente grazie al suo contributo in termini di valore aggiunto all'industr1a" 10 . Cardine 37


delle misure individuate a sostegno del settore dei servizi era la necessità di promuovere non solo lo sviluppo assoluto dello specifico settore, ma anche la necessità di integrare la crescita con la creazione di un legame piu forte con 1 industria e le amministrazioni pubbliche, Punto di forza del sistema era da ricondurre alla possibilità di creare un vantaggio concorrenziale, grazie alla creazione e diffusione di conoscenze: lo sviluppo del settore dei servizi diventava requisito essenziale per migliorare la capacità di governare e fare dell'innovazione elemento competitivo della strategia delle imprese. Un aumento della concorrenza nel settore dei servizi alle imprese, la promozione della cooperazione tra fornitori di servizi si univano, in questo quadro, alla necessità di incoraggiare la modernizzazione della pubblica amministrazione. È possibile riconoscere, in questo documento, l'indicazione a perseguire uno sviluppo corale del sistema economico, attraverso la creazione di relazioni dinamiche fra i diversi settori economici. La necessità di sostenere sistemi economici sempre più esposti alla concorrenza internazionale si concretizza nella consapevolezza del ruolo dei servizi nel rafforzamento della competitività dei sistemi stessi, rilanciando l'idea di una concertazione, in senso ampio, fra le differenti componenti di un sistema per garantirne lo sviluppo. L'identificazione dei distretti attraverso le sole componenti industriali, in questo quadro, lascia spazio ad un approccio più ampio, che coinvolge più settori economici. Il trait-d'union è la possibilità che tutti i soggetti presenti in un'area possano contribuire al suo sviluppo. Questa stessa impostazione è ripresa, nel 2003, dalla stessa Commissione che sottolinea come l'interconnessione sempre più stretta tra servizi e industria modifichi "i contorni dell'attività industriale propriamente detta, accentuando la manifesta diminuzione dell'importanza dell'industria manifatturiera "Il Il percorso di crescita virtuosa del sistema sembra dunque poter procedere, in modo simmetrico, in due direzioni: mentre la componente immateriale del prodotto agisce sulla competitività dell'industria manifatturiera, uno sviluppo di quest'ultima alimenta la creazione di situazioni favorevoli allo sviluppo dell'inte.

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Economia della conoscenza e sviluppo dei sistemi economici locali


ro sistema economico, moltiplicando a sua volta "gli effetti di trascinamento che l'industria ha sulle altre attività, in particolare per i servizi alle imprese" 2 . La necessità di un approccio integrato alle questioni della competitività è assunta come condizione imprescindibile, per le istituzioni comunitarie e gli Stati membri, per contribuire alla creazione di condizioni favorevoli alle attività di tutte le imprese 13 . Un'ulteriore notazione sembra essere, soprattutto se riferita al caso italiano, opportuna. Questa affermazione assume infatti una connotazione particolare, frutto anche del progressivo fenomeno di deindustrializzazione che le economie occidentali stanno oggi vivendo. Si lega alle considerazioni sulla contrazione della presenza dei grandi gruppi industriali, e sul ruolo che le piccole e medie imprese hanno dovuto svolgere a supporto dello sviluppo economico dei sistemi. Proprio la presenza non equilibrata, soprattutto in Italia, di grande e piccola impresa, è uno dei fattori che in questo contesto richiamano la necessità di nuove strategie di sviluppo 14 . In altre parole, è bene riflettere sulla possibilità che la base di uno sviluppo equilibrato fra servizi ed industria ponga le proprie radici su un riequilibrio dei ruoli fra grandi gruppi e piccole realtà imprenditoriali, evidenziando il fatto di come la minore presenza dei primi non trovi, perfetto sostituto nella diffusione e nella costituzione di reti fra piccole e medie imprese: diverse sono le capacità di avviare progetti di ricerca, programmi di investimento, di seguire strategie di lungo periodo, di generare e trasferire conoscenza. Il problema, nel caso specifico italiano, assume una valenza ancor piìt particolare, in considerazione dell'estrema polverizzazione del tessuto industriale, composto per la quasi totalità da piccole e medie imprese. Da qui discende la fragilità di un sistema in cui è già presente un elemento di squilibrio, legato al venir meno del rapporto fra piccola e grande impresa, a fronte della necessità di individuare nuovi equilibri e strategie in grado di ridare forza allo sviluppo del sistema. Alcuni autori 1 5 hanno evidenziato come, anche per la grande impresa, le decisioni sulle scelte di ricerca e sviluppo siano state

Squilibri tra grandi e piccole

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alla base del comportamento divergente fra manager e shareholder. Gli investimenti in R&D sono solitamente considerati come potenzialmente rischiosi, soprattutto in relazione alla probabilità di insuccesso di progetti fortemente innovativi. L'onerosità degli investimenti ha creato per questo una convergenza fra strategie sostenute dal management, avverso ad intraprendere iniziative rischiose, e le strategie sostenute dagli azionisti, interessati a proteggersi dal rischio attraverso la diversificazione delle scelte di portafoglio. Il confronto fra grande e piccola impresa offre per questo un ulteriore spunto di riflessione sulla capacità di trovare al proprio interno le risorse, soprattutto finanziarie, per dar vita a progetti innovativi. La difficoltà, in particolare da parte delle imprese di grande dimensione, e in misura certamente maggiore per quelle di piccola dimensione, di sviluppare al proprio interno le competenze necessarie per operare in un contesto più ampio, ha accentuato la necessità di agire in modo innovativo a supporto delle imprese, operando sui funzionamento dell'intero sistema 16 .

L'esigenza di ridefinire le proprie strategie cresce oggi per i singoli Il riposiziosistemi economici in corrispondenza della necessità di trovare nuo- namento dei ve fonti di vantaggio competitivo, in particolare cercando di appro- soggetti priarsi dei fattori produttivi che possono risultare determinanti per consentire lo sviluppo in un ambito competitivo allargatol 7 Non è la dunque la definizione di sistema locale ad essere messa in discussione, ma il ruolo e la centralità delle scelte che i soggetti presenti al suo interno possono adottare, congiuntamente, ponendosi come cardine dello sviluppo economico di un sistema 18 La soluzione al problema strategico delle imprese è, al tempo stesso, soluzione al problema della competitività per l'ambiente di riferimento. La tensione verso il potenziamento dell'azione anche degli attori pubblici appare in questo contesto naturale. Uno dei punti cardine sui quali si è sviluppato il dibattito culturale è certamente rappresentato dal fatto che, in risposta alle esigenze sorte con le trasformazioni in atto, si è avviato negli ultimi decenni un ampio processo di riposizionamento dei soggetti che operano a supporto del sistema economico. Per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, in Italia, a partire dagli anni .

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Novanta, ha preso forma un processo di profondo cambiamento, orientato ai principi di federalismo e sussidiarietà. L'esigenza di aumentare l'efficienza ed efficacia dello Stato, in tutte le sue articolazioni, si è sviluppata in parallelo con la necessità di supportare la crescita del sistema, attraverso l'effetto volano dovuto ad una crescita virtuosa del settore pubblico ed al potenziamento della capacità di governance del sistema. È la declinazione del concetto di governance che assume oggi, La per questo, un nuovo significato. L'evoluzione del contesto eco- governance nomico e sociale impone una riflessione sulle modalità con cui sia dei sistemi le Amministrazioni e gli organi centrali dello Stato sia i soggetti locali privati definiscono forme di gestione strategica del sistema economico. L'opportunità legata all'estensione, in senso verticale ed orizzontale, della sussidiarietà trova una dimensione fondamentale nel coinvolgimento degli stakeholder, non solo come "portatori di interessi" ma come attori sempre più partecipi nella definizione di politiche ed azioni. Su questi temi, la comunità scientifica si è orientata negli ultimi anni concentrando la propria attenzione sulle implicazioni che questi fenomeni potevano avere a livello locale. È infatti a questo livello che sono emerse le prime esperienze di metodi gestionali e strategici innovativi, attraverso le quali si poteva riconoscere un nuovo modello di governance. La tematica della riforma dei servizi alle imprese ed ai cittadini, e del ruolo degli Enti locali, ha in questo quadro portato il dibattito economico e sociale a riconsiderare non solo il rapporto fra amministrazione pubblica ed utenti, ma anche alla ridefinizione del ruolo che tutti i soggetti presenti sul territorio possono assumere, alla loro organizzazione, alla forma stessa del tessuto sociale! 9 È questo, inevitabilmente, anche un problema di democrazia. Da più ambiti disciplinari concorrono voci diverse, tese ad evidenziare le potenzialità della costruzione di rapporti e della ridefinizione di competenze, che agiscano sia in senso verticale, tra i differenti livelli di governo, che orizzontale, coinvolgendo soggetti pubblici e privati. La capacità di mobilitare e coalizzare interessi diversi, e di coinvolgere soggetti di diversa natura, la programmazione di una stra.

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tegia multidimensionale e la costruzione di strumenti attraverso cui coinvolgere e dare forza agli interessi dei vari stakeholder assumono il ruolo di cardini di un rinnovato approccio di governance del sistema economico. Il dibattito che si è aperto sulla possibilità di estendere e potenziare il governo del sistema, o governance, assume un ruolo centrale. La sua importanza appare evidente anche in relazione alle molteplici declinazioni che questo concetto ha assunto, richiamando in particolare: - ad una concezione del governo come processo attivo, distinto dall'esercizio dell'attività istituzionale dell'amministrazione; - alla necessità di guidare il governo della comunità e di coinvolgere i soggetti pubblici, privati e non profit presenti sul territorio. In questo senso, il concetto di partnership, cui frequentemente si trova riferimento nel dibattito culturale e politico, riassume in sé l'idea di questo spostamento dal governo alla governance del sistema, attraverso una ridefinizione delle competenze fra le diverse articolazioni dello Stato ed i diversi attori che possono essere coinvolti nel processo. Una ulteriore riflessione evidenzia come un elemento di criticità sia riconducibile alla fragilità delle suddivisioni amministrative, come mezzo per garantire una corretta rappresentatività delle istanze degli individui. Ciò impone di rimettere in discussione sia i principi di rappresentanza democratica (ovvero la necessità di nuove forme statuarie in grado di rispondere alle nuove esigenze degli individui) sia di interrogarsi su quali siano oggi i confini verso cui si può estendere, la legittimità delle istanze che ogni individuo rivolge all'ambiente sociale ed economico. È questo ultimo punto che assume sempre maggiore rilevanza, nell'istante in cui i soggetti che fanno parte di un sistema possono operare al di fuori dell'ambiente a cui sono legati da un vincolo burocratico. La definizione di sottoinsiemi della società, attraverso criteri amministrativi, politici o sociali sino ad oggi considerati validi, non sono sempre in grado di comprendere e rappresentare esigenze, bisogni, aspirazioni di gruppi di individui 2 ø. Questa problematica, ovvero l'individuazione di meccanismi in 42

Nuove forme e nuovi meccanismi


grado di sostenere la competitività dei sistemi, di dare voce a singoli soggetti come a interi gruppi sociali, assume oggi una nuova portata, in parallelo con l'evoluzione degli strumenti in grado di veicolare le istanze e gli interessi degli individui. Le organizzazioni sono al centro di questa problematica: in quanto inserite in un contesto sociale, e soprattutto in quanto esse stesse composte da una pluralità di soggetti umani, sono obbligate a confrontarsi con schemi ed organi di governo, amministrativo ed economico inprimis21 .

La riflessione sulla globalizzazione e l'internazionalizzazione evi- Sussidiarietà denzia il generale mutamento nei contesti competitivi in cui le e sviluppo organizzazioni operano, mostrando come esse siano inserite in locale un'arena competitiva nuova. Si trovano ad agire, rafforzandolo e accelerandolo dall'interno, in un processo di crescente integrazione fra aree e sistemi Paese. Un ulteriore elemento di criticità è per questo legato all'esistenza di due livelli, contrapposti, cui si manifestano gli interessi economici e sociali. L'esistenza di sottoinsiemi politici ed amministrativi ribadisce e rafforza il legame di individui ed organizzazioni con il territorio di appartenenza, e con le istituzioni in esse contenute. Eppure, appare sempre più evidente come lo spazio competitivo che oggi si va definendo, in cui è determinante la crescente mobilità delle risorse (in particolare risorse immateriali, saperi, tecnologie), imponga agli individui e ai soggetti economici di relazionarsi con un sistema più vasto. L'apertura a spazi competitivi più ampi appare in questo quadro non solo come un'opportunità, ma come la naturale evoluzione delle organizzazioni, ove in grado di mantenere la propria capacità di operare nel sistema economic0 22 Si riteneva, in passato, che la competitività delle imprese fosse determinata sia dalle capacità e dai saperi trattenuti internamente, sia dalla possibilità di far propri i vantaggi e le risorse diffusi in una determinata area. Allo stesso modo, lo sviluppo di un territorio si basava sulla capacità di far nascere e crescere iniziative imprenditoriali locali, rafforzando i punti di forza in esso contenuti, sulla base di un percorso sostenibile di crescita. È questo un approccio che, certamente, è stato valido in passato, e che traeva la .

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propria forza dal perdurare di suddivisioni e partizioni, a livello sovranazionale come locale. Oggi, a mettere almeno parzialmente in discussione il legame fra crescita dei soggetti presenti in un territorio ed il suo sviluppo, è la consapevolezza di come sia sempre più necessario reperire risorse all'esterno di esso, seguendo un approccio sistemic0 23 . Il riferimento al solo ambito locale non è più sufficiente a garantire lo sviluppo di tutte le componenti sociali in esso presenti. In sempre più numerosi casi il riferimento ad una specifica dimensione territoriale può costituire un vincolo alla crescita. Sempre più individui, e soggetti economici, si fanno portatori di Il ruolo della interessi che appaiono in contrasto con l'idea di uno sviluppo loca- globalizzale, agendo nella direzione di un rafforzamento delle relazioni con sistemi economici lontani. Questo fenomeno non è recente: in questa direzione, possono essere lette le iniziative avviate dalle imprese che hanno delocalizzato, in parte o totalmente, la propria produzione all'estero alla ricerca di un vantaggio in termini di costo, o che hanno individuato opportunità di sviluppo in nuovi mercati. Con l'avvicinamento dei mercati, in seguito all'allargamento degli spazi competitivi, la vicinanza fra offerta e domanda non è più requisito essenziale per lo sviluppo di prossimità dell'impresa. Muta, in questo quadro, il soggetto imprenditoriale in grado di rispondere ad un bisogno espresso da soggetti umani che domandano beni e servizi, mostrando effetti non neutrali sull'equilibrio di sottoinsiemi economici. Tali effetti sono tanto più forti quanto più i benefici vengono trattenuti da soggetti "lontani", e per questo non in grado di diffonderli, a loro volta, all'interno del territorio in cui la domanda si è sviluppata. In questo quadro, l'ambiente non è più solamente determinato dalle caratteristiche dei cittadini, o soggetti economici, che ne fanno parte. Una concezione più ampia, in grado di rappresentare la molteplicità e l'intreccio di più livelli di analisi si rende necessaria. Lo sviluppo e la crescita economica e sociale di un territorio, la capacità competitiva dei soggetti ivi localizzati sembrano sempre più funzione della capacità di agire in base ad un approccio multidimensionale. 44


Per le imprese, il problema strategico si traduce nella necessità Quali risorse di comprendere quali risorse, quali territori e mercati siano oggi e azioni2 in grado di supportarne la crescita o l'esistenza. Per le istituzioni chiamate ad orientare lo sviluppo delle aree territoriali, la problematica si traduce nella decisione di allocare le risorse in esso presenti, e contestualmente di comprendere quali imprese e quali individui possano in questo contesto essere funzionali al suo sviluppo, considerando sia quelli presenti al suo interno o localizzati altrove. Ancora, per tutti i soggetti considerati (dagli individui alle imprese, agli organi di governo locale) la contemporaneità dei rapporti con più ambienti di riferimento si traduce anche nella necessità di vedere istituzionalmente riconosciuta l'appartenenza a più sistemi, ovvero alla possibilità di esercitare su più livelli la propria influenza di stakeholder. L'applicazione di questo modello teorico di riferimento su scala più ampia, ai gruppi di imprese, ai soggetti economici o alle istituzioni che operano in un territorio, può consentire di approfondire• i meccanismi di costruzione, sussidiaria, dei sistemi di governance. È necessario comprendere a quale livello (locale, nazionale, sovranazionale) ed attraverso il coinvolgimento di quali risorse possa essere oggi data soluzione al problema dello sviluppo di un sistema economico e degli attori che in esso operano. Essa si concretizza nella definizione di possibili combinazioni di risorse e di' azioni in grado di consentirne la crescita, riconoscendo le direttrici ed le diverse dimensioni in cui si articolano le condizioni che ne garantiscono l'esistenza stessa. Ciò che appare oggi inevitabile è, per questo, la continuazione di questa riflessione culturale e politica, sulle modalità con cui questo rapporto possa prendere forma in futuro per adattarsi ed affrontare il cambiamento in atto. La questione Il rilancio del dibattito sulle possibilità di sviluppo locale, anche rispetto al processo di integrazione sovranazionale, ha dunque della un'importanza decisiva, per i soggetti economici, per le ammini- multidimensionalità strazioni pubbliche, per i singoli individui. La multidimensionalità dei connotati d'ambiente, cioè il fatto che a determinare vincoli, condizioni ed opportunità siano nel contempo le diverse

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componenti dell'ambiente di primo riferimento (ambiente locale, ambiente regionale, ambiente pluriregionale), e quelle dell'ambiente di riferimento generale (ambiente statale, ambiente europeo, ambiente globale) costituisce uno dei temi fondamentali da affrontare. Il dibattito sulle modalità con cui tale approccio metodologico potrà dare vita ad azioni concrete è aperto. Certa è l'importanza, come evidenziato dagli Autori del Libro bianco del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, di una profonda azione di rinnovamento, che tragga forza dalla valorizzazione delle risorse locali come dal rafforzamento della capacità di 24 coordinamento e guida di tutto il sistema, a livello nazionale La materia è complessa, perché abbraccia problematiche fondamentali come il ruolo dei diversi livelli di governo, il rispetto e la promozione delle autonomie, o le stesse modalità con cui trasferire le risorse fra i diversi livelli territoriali 25 . Più vicino è Può essere questa l'occasione, mentre si discute delle modalità con cui completare l'ordinamento dei rapporti centro-autonomie meglio locali, per rilanciare in modo più profondo il dibattito sulla possibilità di garantire uno sviluppo equilibrato dei sottosistemi economici e sociali, sulla tutela dei diritti individuali, sulla forma stessa che la democrazia può assumere. In questa situazione, una prospettiva generale di razionalizzazione dell'azione di governo dei sistemi, così come un suo allargamento a livello orizzontale, può essere intravista già da oggi nella tendenza all'adozione del principio di sussidiarietà da parte dei sistemi istituzionali nazionali e di quelli ricompresi nel sistema sovranazionale (statali, regionali e locali). Lesistenza di elementi di uniformità a livello globale o mondiale, a cui si sovrappongono elementi di specificità regionali e locali non fa registrare necessariamente la prevalenza di un livello rispetto agli altri. Può avere in questo contesto valore decisivo l'adozione del principio di sussidiarietà, che spinge ad individuare l'ordine dei problemi e a ricercarne le soluzioni a partire da quelli più vicini al singolo soggetto. Ciò si trasmette, nella realtà delle amministrazioni, dei cittadini come di tutti i soggetti economici, nell'opportunità, o necessità, di sviluppare un approccio innovativo con l'ambiente in cui ciascuno di questi soggetti si trova.

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I A. MAJ0ccHI, Economia e strategia dei processi d'internazionalizzazione delle imp rese, Giuffrè editore, Milano 1997. 2 Su questi temi si rimanda in particolare a: CoNsIGLIo ITALIANO PER LE SCIENZE SOCIALI, Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia, Marsilio Editori, Venezia 2005. 3 L. GALLINO, La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi, Torino 2004. ' Il riferimento è all'evoluzione seguita negli ultimi decenni dell'approccio se-

guito dagli studiosi delle materie umanistiche come scientifiche. L'approccio "aziendalistico", qui citato, assume per questo un significato diverso rispetto al passato; così come avviene in altre discipline, anche le teorie aziendali oggi si stanno diffondendo, contribuendo ad arricchire aree culturali un tempo segmentate. G. M. GOLINELLI, L'approccio sistemico al governo dell'Impresa. La dinamica evolutiva del sistema impresa tra economia efinanza, Cedam ed., Padova 2000. M. G. CAROLI, Il Marketing territoriale, Franco Angeli, Milano 1999. 7 A. LANZA, Knowledge governance: dinamiche competitive e cooperative nell'economia della conoscenza, Egea, Milano 2000. 8 Su questi temi si rimanda al contributo di B. PELLIZZEUI, G. VETRITTO in Italia disorganizzata, Edizioni Dedalo, Roma 2006. 9 Comunicazione della COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE: "Il contributo dei servizi alle imprese all'efficienza dell'industria - Un quadro politico comune"

1998. 0

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, ibid. Comunicazione della COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE: "Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata" 2003. 12 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, ibid. 13 Comunicazione della CoMMISSIoNE DELLE COMUNITÀ EUROPEE: "Alcune questioni fondamentali in tema di competitività europea- Verso un approccio integrato" 2003. 14 Cfr. CONSIGLIO ITALIANO I'ER LE SCIENZE SOCIALI, op. cit., pp. 36 e seguenti; pp. 51 e seguenti. IS F. MUNARI, M. SOBRERO, "Corporate Governance and Innovation", in M. CALDERINI, P. GARRONE, M. SooiuRo (eds), Corporate Governance, Market Structure and Innovation, Edward Elgar, Cheltenham-UK 2003. 16 A. AMIN, P. COHENDET, Architectures ofknowledge, Oxford University Press, Oxford 2004. 17 M. G. CAROLI, Piccole imprese oltre confine, Carocci Editori, Roma 2002. 18 Sulla nozione di impresa ed azienda si rimanda alle definizioni offerte da L. BORRE, Gli assetti e le performance d'azienda: un modello di valutazione, Giuffrè editore, Milano 2003, pp. 8 e seguenti. 9 Cfr. CONSIGLIO ITALIANO PER LE SCIENZE SOCIALI, op. cit., pp. 73 e seguenti. 20 Il riconoscimento dell'obsolescenza del sistema degli Stati nazionali, come definito nel corso del XX secolo, è stato negli ultimi 60 anni all'origine del processo di costituzione dell'unità europea. La costituzione di una comunità economica sovranazionale, e la scelta di formare un'unione di Stati, si collocano all'inIl

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temo di un processo in cui si rende necessario condividere, ad un livello più vasto, valori, decisioni, risorse. Allo stesso modo la diffusione di un approccio sussidiario si ricongiunge alla necessità di ripensare schemi di rappresentanza democratica, non più in grado di supportare Io sviluppo e la gestione di sottoinsiemi della società civile, e di valorizzare le risorse presenti, in modo diffuso, in specifici ambiti territoriali. 21 Cfr. G. USAI, Le organizzazioni nella complessità, CEDAM, Padova 2002; A. GRANDI, M.R. TAGLIAVENTI, Organizzazione della ricerca e gestione della conoscenza, in «Studi Orpnizzativi», n. 2-2003. 22 Un esem pi o èhiarificatore, in questo quadro, sembra essere offerto dal mercato dei servizi ad elevata o elevatissima specializzazione, in cui domanda ed offerta si confrontano ed operano su scala globale. Si veda, ad esempio, il caso dei servizi sanitari di alta specialità, in cui non si verifica un'elevata mobilità internazionale dei pazienti, ma soprattutto dei ricercatori e degli operatori sanitari. 23 Si rimanda su questi temi al contributo di G. M. GOLINELLI, op. cit. 2000. 24 Cfr. CONSIGLIO ITALIANO PER LE SCIENZE SociAli, op. cit., pag. 104 25 L'interesse istituzionale per la partecipazione al dibattito su questi temi emerge chiaramente, ad esempio, dalla recente pubblicazione nella collana "Analisi e Strumenti per l'Innovazione" del Dipartimento della Funzione Pubblica, del volume: AA.Vv., La pianficazione strategica per lo sviluppo dei territori, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2006.

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istituzioni n. 144 inverno 2007

L'operosità delle formiche Le gestioni degli acquisti pubblici sul modello Consip Spa di Stefania Zuccolotto

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ulla spinta delle innovazioni previste dalla normativa nazionale e comunitaria e nel tentativo di rispondere ad un piii generale piano di rinnovamento e snellimento delle procedure pubbliche, molte amministrazioni hanno messo in pratica prassi innovative nell'ambito della gestione degli acquisti. Accanto alla ben nota esperienza di centralizzazione delle committenze pubbliche affidata a Consip Spa, a livello regionale e locale si sono sviluppate diverse strutture alle quali le amministrazioni affidano la gestione dei processi di acquisto al fine, da un lato, di sgravare le amministrazioni stesse di alcune attività, permettendo loro di concentrare le proprie risorse su attività a maggior valore aggiunto per la struttura, e, dall'altro lato, di ottenere condizionimaggiormente convenienti, agendo sull'aggregazione della spesa. La sempre maggiore consapevolezza dell'importanza che il L'intervento mercato degli appalti pubblici riveste in Europa, quantificabile dell'Europa nel 16% del PIL dell'Unione', e della necessità di rendere maggiormente efficiente l'intero sistema, in quanto caratterizzato da un mercato non ancora sufficientemente aperto e competitivo, ha spinto il legislatore comunitario in primis a semplificare l'intero quadro normativo riguardante gli appalti pubblici a partire dal piano comunitario fino ad arrivare alle realtà locali. A questo bisogno rispondono le due direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE nelle quali sono state raccolte le norme in materia di acquisti pubblici precedentemente contenute delle tre direttive "classiche" 2 ed in quella relativa ai cosiddetti "settqri esclusi". La

L'Autrice è Assistente di direzione della Bi-car sri. Già consulente della Presidenza del Consiglio e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. 49


disciplina contenuta in esse ha avuto la funzione di coordinare le procedure nazionali al fine di garantire da un lato la trasparenza dei processi d'acquisto, dall'altro, l'apertura alla concorrenza sul mercato comunitario, limitando peraltro la sua diretta influenza solo agli appalti superiori a determinate soglie economiche. Oltre a procedere a chiarire disposizioni che in precedenza risultavano oscure o complesse, le direttive sono state l'occasione per aggiornare il quadro normativo anche alla luce delle innovazioni legate all'introduzione delle tecnologie informatiche e delle modifiche intervenute nel contesto economico, per semplificarlo alleggerendo normative talvolta troppo dettagliate e complesse ed infine per renderlo maggiormente flessibile al fine di definire delle procedure maggiormente aderenti alle esigenze dei committenti pubblici. Agli stessi obiettivi intendeva rispondere il d.lgs 12 aprile 2006 n. 163, notocome "Codice degli appalti", il quale, oltre a recepire le citate direttive comunitarie, ha introdotto interessanti novità nell'ambito del panorama della normativa vigente in materia di appalti pubblici; con l'ulteriore scopo di riunire in un unico corpus normativo le innumerevoli disposizioni sparse nell'ordinamento in materia e riservando grande attenzione alle procedure elettroniche, aste on line e mercato elettronico, anche alla luce di quanto già previsto nel d.PR 4 aprile 2002, n. 101. Alla base di queste introduzioni, vi è la convinzione che le innovazioni tecnologiche rappresentino una straordinaria opportunità per semplificare il modo di lavorare e procedere ad una revisione non solo dell'organizzazione e del funzionamento interno delle pubbliche amministrazioni, ma anche delle modalità di interazione con il mercato. La consistenza effettiva dei cambiamenti chiaramente non si può basare solamente sul testo normativo, ma dipende in misura determinante dalla capacità di azione delle singole istituzioni, ossia dalla loro capacità di coinvolgimento dei vari livelli di governo a sostegno dei processi di innovazione. A supportodi quanto affermato, è noto come il tentativo di Le criticità imporre a partire dalle amministrazioni statali a quelle locali un del sistema sistema di acquisti accntrato attraverso l'obbligo di adesione a convenzioni quadro definite da Consip Spa nei precedenti anni 50


si sia rivelato poco efficace. L'ottima intuizione che aveva portato alla nascita di quella società, pur rispondendo a indubbie logiche di risparmio di spesa, ottenibile grazie all'aggregazione della domanda - assicurandosi così una maggiore forza contrattuale grazie alla richiesta sul mercato di quantitativi maggiori di beni o servizi e spuntando così prezzi maggiormente convenienti -, non consentiva di offrire alle amministrazioni un servizio adeguato alle aspettative, né in termini di qualità dei prodotti forniti, né in termini di tempi di fornitura. Non trascurabile, inoltre, come tale sistema si fosse dovuto scontrare con grosse resistenze da parte delle amministrazioni coinvolte, che si vedevano improvvisamente private di una importante attività prima direttamente gestita, e con le imprese di minori dimensioni presenti sui territorio, che si trovavano nell'impossibilità di partecipare alle gare. L'esigenza sempre più sentita di trovare sistemi in grado di garantire una diminuzione della spesa pubblica e nello stesso tempo di offrire dei servizi sempre più specializzati, l'aumento delle competenze affidate alle singole amministrazioni accanto all'impossibilità di aumentare le risorse sia economiche sia di personale a disposizione, hanno spinto le amministrazioni a riconsiderare il principio della gestione accentrata della fornitura di beni e servizi, cercando però di definire dei sistemi ad hoc in grado di offrire un servizio effettivamente "ritagliato" sulla base delle proprie specifiche esigenze. Peraltro, nel momento in cui si voleva ottenere una riduzione de- Esigenze gli sprechi e delle spese correnti della pubblica amministrazione, ri- imprescin chiedendo nel medesimo momento anche una gestione sempre dibili più efficiente, efficace e soprattutto moderna della "macchina pubblica", l'adozione delle nuove tecnologie infòrmatiche sembrava un passo obbligato da fare; infatti, l'introduzione delle stesse, attraverso l'individuazione di modelli operativi tali da garantire le regole poste alla base delle procedure tradizionalmente utilizzate, consentiva di ottenere risparmi di risorse, non soltanto economiche. L'obiettivo delle amministrazioni era infatti quello di identificare un sistema in grado di unire da un lato i vantaggi della centralizzazione (ovvero la riduzione dei costi di gestione, la possibilità di disporre di expertise tecnico-specializzata, la possibilità 51


di pianificare adeguatamente la spesa e la garanzia di un maggiore controllo della stessa), dall'altro lato, i vantaggi della decentralizzazione (ovvero la velocizzazione delle procedure d'acquisto, la maggiore vicinanza all'utente finale e risposte rapide e puntuali). Concretamente, già la stessa Consip Spa si era fatta promotrice dell'utilizzo del market piace e delle gare telematiche, dimostrando come esse fossero in grado di garantire degli importanti benefici sotto diversi profili e ponendosi alle amministrazioni come parametro di confronto e come supporto per la sperimentazione di sistemi analoghi. Cogliendo l'invito del legislatore contenuto nella Legge finanziaria 2000, e ripreso nelle successive, sono così sorte molte esperienze in ambito regionale e locale, che avevano l'obiettivo di coniugare i vantaggi della centralizzazione degli acquisti con quelli del ricorso alle tecnologie informatiche e della maggiore capacità di capire e interpretare le esigenze delle singole amministrazioni coinvolte e le caratteristiche del tessuto economico in cui le stesse amministrazioni erano inserite. Esempi d'eccellenza sono riscontrabili nell'esperienza del Csi Piemonte4 in quella della Regione Toscana o del Comune di Udine che sono concretamente giunti a creare delle strutture a servizio delle amministrazioni presenti sul proprio territorio e si sono fatte promotrici dell'utilizzo delle tecnologie informatiche applicate alle procedure d'acquisto. Ilproliferare di tali strutture ha permesso, peraltro, alla stessa Consip di trovare uno stimolo nuovo per cercare di rivedere le proprie azioni al fine di offrire dei servizi qualitativamente migliori alle amministrazioni-clienti e per proporsi quale coordinatore di queste nuove realtà. Il processo di cambiamento ha visto, nella maggior parte dei casi5 , un ruolo assolutamente determinante della direzione responsabile degli acquisti. Un simile cambiamento, infatti, non è stato imposto da normative nazionali o locali; ma, dall'analisi delle condizioni di contesto alla strategia da adottare, dall'elaborazione del progetto stesso fino all'avvio della sperimentazione, le condizioni di operatività delle nuove centrali sono state valutate prima dalla parte tecnica dell'amministrazione, e solo successivamente portate all'attenzione della componente politica ed ,

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Nuove centrali


inserite tra gli obiettivi di risultato, in quanto ritenute tali da garantire dei miglioramenti organizzativi e degli importanti risparmi di risorse. Tale decisione per le amministrazioni è stata una vera e propria scommessa, in quanto, salvo rarissimi casi, i fondi utilizzati per procedere alla sperimentazione ed alla successiva operatività del sistema erano loro propri; inoltre, non sempre all'interno dell'ente erano reperibili le competenze necessarie per affrontare adeguatamente ed ottimizzare la gestione dei necessari strumenti, con la conseguenza della necessità di ulteriori investimenti in formazione del personale addetto e rilevanti sforzi per educare anche i potenziali fornitori al cambiamento in atto. A fronte di simili difficoltà emergono diversi vantaggi confermati anche dalle amministrazioni che hanno sperimentato il ricorso alle centrali di committenza ed alle procedure telematiche. In particolare, si riscontra come siano ottenibili importanti economie di spesa: le gare on line permettono alle amministrazioni di ottenere dei prezzi maggiormente convenienti rispetto a quanto consentito dalle procedure tradizionali. Grazie all'aggregazione della domanda, ove le amministrazioni abbiano deciso di fare riferimento ad una centrale d'acquisto locale ovvero di unirsi per affrontare meglio tale processo, ed alle tecniche di gara a rilancio dinamico spesso utilizzate dalle amministrazioni, in cui si genera effettivamente concorrenza tra i fornitori, si riescono ad assicurare condizioni maggiormente vantaggiose. Inoltre, in questo modo si conseguono notevoli risparmi in termini di tempo impiegato. Da un lato, infatti, la stessa normativa nazionale e comunitaria consente di ridurre i tempi tecnici delle procedure qualora l'amministrazione decida di ricorrere alle procedure telematiche (sia per quanto riguarda la pubblicità dei documenti e delle informazioni di gara, sia per quanto riguarda la gestione della gara vera e propria); dall'altro, il fatto stesso di gestire l'intera gara on line permette di velocizzare molto le procedure, oltre a fornire una maggiore garanzia di trasparenza del processo rispetto alle procedure tradizionali. Si sottolinea oltremodo come, una volta vinte le diffidenze iniziali, detti strumenti consentano di strutturare pii facilmente e rapidamente un dialogo con i fornitori; le comunicazioni risul-

I vantaggi

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tano essere più semplici da gestire rispetto a quanto consentito dalle procedure tradizionali, anche perché si beneficia della "riduzione" dello spazio; le comunicazioni di gara si effettuano infatti totalmente su supporto informatico, ed ai fornitori l'amministrazione si presenta come soggetto unitario e non più come somma di tanti soggetti agenti autonomamente. È inoltre attribuibile ai sistemi centralizzati una ottimizzazione della gestione delle risorse umane impiegate, in quanto da un lato si coinvolgono molti meno soggetti rispetto ai criteri tradizionali ed, essendo metodi più rapidi, anche per un periodo di tempo inferiore; dall'altro lato, si riescono ad avere a disposizione persone specializzate esclusivamente dedicate a gestire le dinamiche di acquisto. Infine, non è trascurabile l'effetto dato da un consistente snellimento delle procedure che l'amministrazione si trova a dover gestire e, di conseguenza, una rilevante semplificazione delle gare. L'introduzione delle tecnologie informatiche nella gestione dell'intero processo di acquisto consente una "smaterializzazione" dei documenti di gara, sia dal lato dell'amministrazione in quanto capitolato, bando e restanti atti di gara possono essere messi a disposizione totalmente on line, sia dal lato dei fornitori. Pur promuovendo la diffusione di queste strutture, non sono stati La necessità forniti degli standard da rispettare; pertanto, oggi risulterebbe oppor- diun tuno individuare un sistema in grado di definire un coordinamento coordina trale realta sviluppatesi a livello nazionale e quelle a livello locale e tra mento... queste ultime. Questa carenza ha spesso permesso il sorgere di sovrapposizioni tra le iniziative assunte ai diversi livelli amministrativi; in termini di servizi offerti come, ad esempio, la predisposizione di convenzioni-quadro e negozi elettronici, l'organizzazione di un mercato elettronico e l'assistenza nell'espletamento di gare telematiche. Il legislatore nazionale nella Legge finanziaria per il 20076, al fine di provare a porre rimedio a queste difficoltà, ha inserito un comma in cui prevede che centrali di committenza sia a livello nazionale che regionale debbano costituire «un sistema a rete, perseguendo l'armonizzazione dei piani di razionalizzazione della spesa e realizzando sinergie nell'utilizzo degli strumenti informatici per l'acquisto di beni e servizi" 7, attribuendo inoltre in detto comma alla Con54


ferenza Stato-Regioni il ruolo di coordinare tale sistema approvando annualmente i "programmi per io sviluppo della rete delle centrali di acquisto della pubblica amministrazione e per la razionalizzazione delle forniture di beni e servizi", definendo le modalità e monitorando il raggiungimento dei risultati rispetto agli obiettivi. "Il sistema delle Pubbliche Amministrazioni è sempre meno . ..e di una un organismo monolitico unitario e sempre pii un insieme di cultura di aziende autonome, dinamicamente alla ricerca del necessario networking equilibrio tra interessi particolari ed interessi di sistema" 8 In una società così complessa e frammentata, l'attenzione è posta sui risultati finali. Questi devono essere definiti ex ante, non potendo prospettare come obiettivo il rispetto di regole di processo, le quali non sarebbero in grado di garantire equità e uniformità in un contesto in continua modifica. L'azione delle singole amministrazioni, infatti, è sempre pit caratterizzato dall'essere dinamico, complesso, integrato, difficilmente parcellizzabile in operazioni di routine. È opportuno, quindi, assecondare la tendenza dell'universo amministrativo ad evolversi come un sistema di soggetti autonomi, in grado di perseguire al meglio i propri obiettivi, costruendo relazioni positive, coerenti ad una cultura di networking e di competizione collaborativa. La dinamica spontanea alla collaborazione, infatti, dovrebbe essere favorita dalla percezione di un interesse comune superiore. La teoria sulle possibili riforme che possono coinvolgere il settore pubblico, ai diversi livelli di governo, risulta essere molto varia. Un cambiamento, come nel caso della centralizzazione degli acquisti e del ricorso alle procedure informatiche, per avere effettivamente efficacia, deve nascere dall'interno dell'amministrazione stessa. Il personale, di qualsiasi ordine e grado, deve saper trovare delle motivazioni per fare propri i progetti di riforma ed adattarli al proprio contesto. A fronte di questo impegno da parte delle amministrazioni dovrebbe comunque corrispondere un analogo impegno a coordinare le diverse esperienze, in modo tale da non dover, ove possibile, duplicare sforzi inutili da parte delle singole amministrazioni e conseguire effettivi miglioramenti nell'intero processo grazie al costante dialogo e confronto tra le diverse strutture. .

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Cfr, "Comunicazione della Commissione europea del 7 maggio 2003 sulla strategia per il mercato interno". 2 Si intende fare riferimento alle direttive 92/50/CEE, 93136/CEE e 93/37/CEE. Decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163, "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004117/CE e 2004118/CE". Consorzio per il Sistema Informativo Piemonte. Ăˆ un portale istituito nel 2000 al fine di offrire ai cittadini ed alle imprese un punto di accesso unico, semplice e organizzato per ricercare servizi e informazioni delle pubbliche amministrazioni piemontesi. All'interno ditale sistema opera il portale degli acquisti: Cfr. ricerca curata dal FORMEZ, Gare telemati che e processi di innovazione, Collana "Azioni di sistema per la Pubblica Amministrazione", in corso di pubblicazione. 6 Legge 27 dicembre 2006, n. 296, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)". ' Cfr. comma 457 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)". 8 Cfr. F. LoNGO, Federalismo e decentramento. Proposte economico-aziendali per le riforme, Egea, Milano 2001

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-

dibattito

queste istituzioni n. 144 inverno 2007

r

Sussidiarietà: una replica allo specchio dì Mauro Barberis

J

1 lavoro di Giovanni Vetritto sui dilemmi della sussidiarietà pubblicato sui penultimo numero di questa Rivista' - che fa seguito a Italia disorganizzata, il bel libro scritto insieme con Pierfranco Pellizzetti 2 - è talmente condivisibile che sarebbe fatica vana cercare con il lanternino motivi di dissenso. Piuttosto che una replica nel senso di una serie di obiezioni, dunque, qui di seguito si fornirà una sorta di risposta "allo specchio": una serie di riscontri piit o meno puntuali delle tesi di Dilemmi della sussidiarietà (ma anche di Italia disorganizz.ata) in campi disciplinari diversi da quelli coltivati da Vetritto, e in particolare nella teoria del diritto e della politica. Gli stessi problemi che occupano il teorico dell'organizzazione e lo scienziato sociale, in effetti, interessano anche il teorico del diritto e della politica, e la loro traduzione in altri lessici può comunque aiutare a mostrarne tutte le implicazioni. Vetritto si occupa soprattutto della sussidiarietà "orizzontale", fra organizzazioni statali e non statali; altri, come di recente Realino Marra, si occupano invece della sussidiarietà "verticale" fra centro e periferia delle stesse organizzazioni statali 3 . Problemi analoghi, peraltro, si annidano anche sotto altre etichette; per fare solo un esempio, in un lavoro recente, ancora inedito, il sottoscritto propone di trattarli entrambi come estensioni del vecchio tema liberale della separazione dei poteri: la sussidiarietà verticale sotto la rubrica del federalismo, la sussidiarietà orizzontale sotto

Federalismo e 4uralismo

LAutore è professore ordinario di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza, Università di Trieste

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la rubrica del pluralismo (in uno dei tanti sensi del termine) 4 . La nuova fortuna di entrambe le sussidiarietà, in effetti, si deve anche ai motivi rispettivamente anticentralistici e antistatalistici di cui sono da sempre portatori il federalismo e il pluralismo. Comunque sia, Vetritto, e anche Vetritto e Pellizzetti, si occupano soprattutto della sussidiarietà orizzontale, o del pluralismo, e meno della sussidiarietà verticale, o del federalismo: tema sui quale il risultato del referendum di giugno - specie nelle interpretazioni che insistono sul ruolo assorbente giocato dal tema della devolution 5 potrebbe produrre la tentazione di collocare una simbolica pietra tombale. In realtà, è noto che la riforma del titolo V della Costituzione, operata a suo tempo dal centro-sinistra e tuttora in vigore, attende a sua volta una meta-riforma - una riforma della riforma - resa meno urgente, sinora, solo dal lavorio incessante della Corte costituzionale nel districare la selva di possibili conflitti di competenza; e, comunque, molte delle preoccupazioni di Vetritto potrebbero estendersi a questo tema. Nella nuova stagione del governo Prodi - se non dura Io spazio di un mattino - sarà forse più facile astenersi dalla retorica federalista dilagata nelle stagioni precedenti: retorica sotto la quale qualsivoglia potere, di destra o di sinistra, può sempre occultare la pratica della propria riproduzione capillare. Altro che microfisica del potere: dopo la sbornia federalista di questi anni, siamo ormai alla fisica subatomica del potere. Nel nostro Paise, poi, sembra ci si sia dimenticati che il caso paradigmatico di federalismo è l'aggregazione di unità statali in unità sempre più vaste, come gli Stati Uniti e la stessa Unione europea, non lo spezzettamento ultra necessitatem dello Stato: con creazione di micro-poteri rionali, condominiali e di pianerottolo che rispondono soio alle esigenze di moltiplicazione delle poltrone diffuse nel ceto politico indipendentemente dalle bandiere. -

La sussidiarietà orizzontale, dunque: ossia, nientedimeno, la ridefinizione della "grande dicotomia" pubblico/privato, del "paradigma bipolare" società civile/Stato 6. In questi anni, mentre teorici dell'organizzazione, scienziati sociali e anche giuristi (internazionalisti, costituzionalisti, amministrativisti) ridisegnavano i vecchi confini, la teoria del diritto e della politica è parsa parlare

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La

discussione sull'abolizione dello Stato


d'altro: è parsa discutere - neppure dello Stato minimo, ma dell'abolizione dello Stato. Questa, almeno, poteva apparire la posta in gioco nella discussione, particolarmente vivace a partire dagli anni Novanta, su Bruno Leoni 7 . Sarebbe ingeneroso, ora, prendere le distanze da un dibattito, svoltosi su riviste prestigiose come Il politico e in importanti convegni, al quale anche il sottoscritto ha per la sua parte contributo 8 È vero però che nel tentativo di reperire in Leoni - precursore degli anarco-capitalisti nordamericani ben più che di Friedrich Hayek - un padre nobile per la destra italiana, vi sono state molte ingenuità e molti provincialismi; invece di occuparsi dei problemi concreti, in particolare, si è data spesso l'impressione di coltivare l'utopia di una deregulation tanto radicale che nessun governo avrebbe mai potuto perseguirla senza darsi la zappa sui piedi: neppure se fosse stato più presentabile di quello, soi-disant liberale, che ha avuto cinque anni per realizzarla. Soprattutto, si è equivocato fra liberalismo, o meglio libertarianism, con le sue proposte di Stati minimi, modesti o leggeri, ma pur sempre forti, e anarchismo, o meglio anarco-capitalismo: una sorta di dissoluzione del pubblico nel privato, che talvolta ha indossato anche i panni della sussidiarietà. .

I limiti della Molti liberali improvvisati, se non proprio immaginari, hanno deregulation in effetti dimenticato, in questi anni, che vi è almeno un limite insuperabile per qualsiasi deregulation: il monopolio statale della forza, le due funzioni principali, se non uniche, dello stesso Stato minimo, ossia la difesa esterna e l'ordine interno. Quanto alla difesa esterna, a nessuno, per fortuna, è ancora venuto in mente di privatizzare la difesa: anche se l'utilizzo discreto di mercenari in Iraq andava in questa direzione. Ma quanto alla tutela dell'ordine interno, la maggioranza di destra ha approvato, in campagna elettorale, una riforma della legittima difesa che, estendendo equivo- camente la possibilità di sparare dall'autotutela dell'incolumità personale sino all'autotutela della proprietà, ha aperto una breccia nel monopolio statale della forza. Non c'è da stupirsi che a difesa del provvedimento abbia potuto essere invocato, dal relatore leghista, un "principio federalista di sussidiarietà". "Perché - si è chiesto costui - non applicare fino in

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fondo tale principio, riconoscendo ad ogni cittadino il diritto naturale all'autodifesa, restituendogli la sovranità almeno nel proprio domicilio?" 9 . Già: perché non estendere l'individualismo radicale e la sovranità del consumatore sostenuti da Leoni'° sino alla restituzione agli individui, meglio ancora ai proprietari, del "diritto naturale" di farsi giustizia da sé? Forse perché il monopolio statale della forza, e il conseguente divieto di autotutela del cittadino - salvo per difendere la persona, non i beni, e comunque non al prezzo della vita altrui - costituiscono l'ultima frontiera dello Stato liberale. Oltre, non c'è la "sussidiarietà federalista": c'è la jungla. La questione della sussidiarietà orizzontale, ossia della ridefini- Rete, zione dei rapporti pubblico-privato, viene opportunamente for- regolazione e mulata da Vetritto in termini di governance non più il tradiziona- governance le government, che continua a essere caratterizzato da un potere di supremazia anche quando lo Stato diviene fornitore di beni e servizi, ma una sorta di "amministrazione condivisa". Vedremo fra un attimo come i maestri novecenteschi del diritto pubblico e della teoria generale del diritto, sia istituzionalisti sia normativisti, non fossero del tutto sprovvisti di strumenti per far fronte a queste novità; ma è vero che queste tematiche hanno fatto ufficialmente il loro ingresso negli studi di teoria del diritto solo di recente: in particolare con l'ormai noto libro di Franois Ost e Michel van de Kerchove intitolato De lapyramide au réseau? (2002). L'idea alla base di questo libro - per la verità ancora formulata, cme nel passato, nei termini di una grande dicotomia, ed espressa sin dal titolo in termini interrogativi - è appunto che dal modello "a piramide" della sovranità, caratterizzato dalla regolamentazione (réglementation) o peggio dal comando statale sulla società, si stia passando a un modello "a rete", caratterizzato dalla regolazione (régulation), o meglio dell'autoregolazione della società nelle forme ibride, miste di pubblico e privato, della multi-level governance. Nelle parole degli stessi autori: "rete, regolazione e governance formano così un nuovo dispositivo di cui sarebbe senza dubbio eccessivo dire che si è sostituito alla triade classica piramide, regolamentazione, government, ma che certo la eccede (déborde), sovvertendone talvolta i modi di funzionamento"ll. 60


Su queste tesi, che naturalmente meriterebbero ben altro ap- Modelli utili profondimento, in questa sede si possono fare soio due osservazioni. La prima è che, come spesso accade, in questo tipo diletteratura c'è un'enfasi eccessiva sui mutamenti di paradigma, invariabilmente presentati come svolte epocali o rivoluzioni copernicane; la stessa opposizione rete/piramide, trapiantata dall'epistemologia alla teoria del diritto, così, può portare a letture distorte della tradizione giuspubblicistica e teorico-generale novecentesca. Autori come Hans Kelsen - il maggiore cultore del diritto pubblico e della teoria generale del Novecento - possono finire per apparire meri ripropositori del modello autoritario piramidale: il pensiero corre subito alla teoria kelseniana dell'ordinamento giuridico come Stufenbau, struttura piramidale a gradini. In realtà, in Kelsen non meno che in istituzionalisti come Santi Romano, le teorie dell'ordinamento giuridico non servivano solo ai fini statalistici, centralistici e autoritari che vengono loro attribuiti 12 teorie del genere servivano a raffigurare in uno schema unitario - che nel caso di Kelsen era gerarchico solo a conferma del primato liberale della costituzione sulla legislazione, e della legislazione sulla giurisdizione - la moltiplicazione delle fonti del diritto che aveva segnato il tramonto dello Stato liberale ottocentesco. Da questo punto di vista, gli ulteriori sviluppi dei sistemi giuridici continentali segnalati da Ost e van de Kerchove non costituiscono una rottura, un passaggio dalla piramide alla rete, ma una prosecuzione dello stesso processo: la sussidiarietà orizzontale come estensione della sussidiarietà verticale. La seconda osservazione riguarda più da vicino il lavoro di Vetritto, e anzi ancor più il libro di Vetritto e Pellizzetti, che sostituisce il modello dicotomico piramide/rete con un modello tricotomico: le organizzazioni sociali, cioè, potrebbero essere "a rizoma" (senza centro né progetto), "a ragnatela" (con un centro e un progetto), e appunto "a rete" (con un progetto, ma senza centro) Rispetto alla grande dicotomia piramide/rete, la tricotomia rizoma/ragnatela/rete ha forse meno appeal— i modelli in bianco e nero sono sempre più attraenti dei modelli a colori - ma ha almeno un pregio: ricordarci appunto che si tratta solo di modelli, provvisori tentativi di ridurre la complessità con l'aiuto di qualche metafora. Detto altrimenti, i modelli servono solo come la ;

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scala di Wittgenstein: ossia al fine di poterne fare a meno una volta che li si è usati. Sin dal titolo, il saggio qui "replicato" insiste sull'equivocità del concetto di sussidiarietà: i dilemmi della sussidiarietà orizzontale di Vetritto, qui, fanno il paio con le aporie della sussidiarietà verticale di Marra. Che le attuali fortune della sussidiarietà si debbano alla strutturale ambiguità del concetto, e che esistano tante declinazioni dell'idea quante sono le ideologie correnti, non è solo plausibile: è sicuro. Lo stesso potrebbe dirsi, però, per gran parte delle parole chiave del lessico etico-politico contemporaneo; come hanno mostrato Herbert Hart, Alf Ross e John Rawls a proposito di nozioni come quelle di eguaglianza e di giustizia, è sempre possibile distinguere fra un nucleo comune - il concetto propriamente detto - e le diverse interpretazioni di tale nucleo, ossia le differenti concezioni dello stesso concetto 14 Nel caso della sussidiarietà orizzontale, dunque, occorre chiedersi in cosa consista questo nucleo comune, questo minimo comune denominatore delle diverse concezioni: domanda cui Vetritto risponde insistendo su "la prevalenza (logica e cronologica) dell'azione dei privati, l'autonomia della società civile, la chiamata 'in sussidio' del potere pubblico da parte dell'agente (individuo o corpo sociale che sia)". Detto altrimenti, perché possa parlarsi di sussidiarietà orizzontale, occorre che soggetti privati, individui o gruppi, si attivino autonomamente al fine di assicurare servizi non efficacemente garantiti dallo Stato, nelle sue articolazioni centrali e locali: anche se poi è arduo distinguere iniziative del genere dai rapporti collusivi che s'instaurano fra grandi organizzazioni solo nominalmente private e pubbliche amministrazioni' 5

Concetto

equivoco

.

.

Che cosa abbia poi in comune questa sussidiarietà orizzontale con quella sussidiarietà verticale che alimenta rivendicazioni autoforniste all'interno tanto degli Stati nazionali quanto dell'Unione europea, è un altro problema: forse solo un generico favore per l'allocazione dei poteri presso i soggetti che possono esercitarli con maggiore efficienza, anche se per l'efficienza si può ripetere la solita domanda di Norberto Bobbio (quale efficienza, nell'interes62

Interpretazioni

confliggenti


se di chi?). Qui il contributo dei teorici del diritto e della politica, che tendono a perdere di vista il diritto positivo e l'amministrazione dello Stato, è quasi assente: colpevolmente, perché quando si ascoltano discorsi sulla sussidiarietà orizzontale diversi e per certi versi opposti come quelli di Vetritto e di Gregorio Arena, per fare un solo esempio, un contributo di chiarificazione sarebbe necessario. L'oggetto del contendere verte su due grandi temi: la riforma del titolo quinto della Costituzione, e in particolare l'introduzione di un ultimo comma dell'art. 118 che riconosce espressamente la sussidiarietà orizzontale, e il ricorso da parte di tale disposizione alla nozione di interesse generale. Sull'ultimo comma dell'art. 118, Vetritto parla di "irrisolta tensione" fra questo e l'art. 3, comma 2 Cost., mentre Arena presenta il principio di sussidiarietà orizzontale come "l'altra faccia del principio di uguaglianza sostanziale". Quanto alla nozione di interesse generale, Vetritto la considera "una categoria politologica equivoca", che presuppone una fittizia armonia degli interessi e che legittima qualsiasi autoritarismo: mentre Arena la costruisce come "il ponte che unisce l'art. 3, comma 2 e l'art. 118, u. c.", salvo riconoscere che solo la legge può specificarla e determinarla 16 Qui il teorico del diritto e della politica non può certo atteggiarsi ad arbitro delle ragioni e dei torti, ma deve limitarsi a registrare la possibilità di due interpretazioni confliggenti del nostro e di qualsiasi testo costituzionale: una lettura tendenzialmente conflittualista e pluralista, come quella di Vetritto, e una armonicista e monista, come quella di Arena. Si tratta di due letture confliggenti ma forse compatibili, sinché rispondano a due diverse esigenze disciplinari: l'esigenza del teorico dell'organizzazione di spiegare i fenomeni concreti, e l'esigenza del giurista di interpretare le disposizioni in modo da evitare le antinomie. Questo conferma che, anche per la sussidiarietà orizzontale, il dialogo interdisciplinare è comunque proficuo; che moltiplicare i punti di vista è l'unico modo per avere una visione affidabile ed equilibrata dei problemi. .

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I

G. VETRITTO, Dilemmi della sussidiarietà, in questa Rivista, 2005, nn.

138/139, pp. 24 Ss. 2 P. PELLIZZETTI e G. VETRITTO, Italia disorganizzata. Incapaci cronici in un

mondo complesso, Dedalo, Bari 2006. R. MARRA, Significati e aporie della sussidiarietà, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2004, 1, pp. 245-253. ' M. BARBERIS, Se'paration des pouvoirs, in corso di stampa per Traité international de droit constitutionnei, sous la direction de M. Troper e D. Chagnollaud, Dalloz, Paris 2007; sui sensi di "pluralismo", invece, M. BARBERIS, Eticapergiuristi, Larerza, Roma-Bari 2006, capp. 3 e 5, e ancora più specificamente a Id., Pluralismi, in corso di stampa per «Ragion pratica», 28, 2007. Cfr. gran parte dei contributi a «11 Mulino», 2006, 4 (rubriche "Il telaio istituzionale" e ."Database"). 6 Per queste formulazioni, cfr. N. Bobbio, La grande dicotomia (1974), ora in Id., Dalla struttura alla flnzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Comunità, Milano 1977, pp. 145-163, e S. CASSESE, L'arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2001, specie p. 602. Il dibattito è stato scandito dalla ripubblicazione dei principali lavori di Leoni, portata avanti in particolare da Raimondo Cubeddu e Antonio Masala: v, almeno B. LEONI, Freedom and the Law (1963), trad. it. La libertà e la legge, a cura di R. Cubeddu, Liberilibri, Macerata 1994; B. LEONI, Le pretese e ipoteri: le radici individuali del diritto e della politica, a cura di M. Stoppino, Società Aperta, Milano 1997; B. LEONI, Il diritto come pretesa, a cura di A. Masala, Liberilibri, Macerata 2004. 8 Cfr. almeno M. BARBERIS, Diritto e legislazione. Rileggendo Leoni, in Rivista internazionale di filosofia dei diritto, 1996, pp. 23 1-255; Id., La teoria del diritto di Bruno Leoni, in A. Masala (a cura di), La teoria politica di Bruno Leoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 15-34. Corsivi aggiunti. Passi come questi, o peggiori, sono ampiamente citati negli scritti dei tanti penalisti critici del provvedimento: cfr. in particolare E. DOLCINI, La rfrma della legittima dsa: leggi "sacrosante" e sacro valore della vita umana, in «Diritto penale e processo», 2006, 4, specie p. 433, e più diffusamente F. VIGANO, Sulla "nuova" legittima difisa, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2006, 1, pp. 189-233. IO B. LEONI, La sovranità dei consumatore, con prefazionedi S. Ricossa, Ideazione, Roma 1997. Il F. OsT, M. VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au réseau? Pour une théorie diaiectique du droit, Publications des Facultés Universitaires Saint-Louis, Bruxelles 2002, p. 26. Per una riproposta delle tesi del libro, generalizzate a linee di tendenza della teoria del diritto continentale, cfr. almeno G. I-IAARSCHER, Some Contemporary Trends in Continental Philosophy ofLaw, in M. E GOLDING, W. A. EDMUNDSON (eds.), The Blackwell Guide to the Philosophy ofLaw and Legai Theory, Blackwell, Oxford 2005, pp. 300-3 12. 12 Lo mostra, forse malgré soi, anche uno dei teorici italiani più polemici nei confronti delle teorie dell'ordinamento giuridico: cfr. G. TARELLO, Ordinamento 64


giuridico (1975), ora in Id., Cultura giuridica epolitica del diritto, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 173-204. 13 P. PELLIZZETTI e G. VETRITTO, Italia disorganizzata, cit., p. 29. 14 J riferimenti sono a H. L. A. HART, Il concetto di diritto (1961), trad. it., Einaudi, Torino 1965; A. Ross, Diritto e giustizia (1958), trad. it., Einaudi, Torino 1965; J. RAwI.s, Una teoria della giustizia (1971), trad. it., Feltrinelli, Milano 1982. Ma oltre all'ambiguità, molti concetti etico-politici presentano la caratteristica ulteriore della vaghezza combinatoria, ossia manca persino il nucleo comune: fenomeno di cui talvolta si parla in termini di essenziale contestabilità dei concetti. 15 In P. PELLIZZETTI e G. VETRI1TO, Italia disorganizzata, cit., p. 88, si fa l'esempio dei rapporti fra Regione Lombardia e Compagnia delle opere; ma naturalmente si potrebbe anche pensare ai rapporti fra amministrazioni "rosse" e cooperative. 16 G. ARENA, Ilprinczpio di sussidiarietà orizzontale nell'art. 118 u. c. della Costituzione, relazione al Convegno «Cittadini attivi per una nuova amministrazione» (Roma, 2003), leggibile in edizione provvisoria in www.quellidell 18.it/documenti; lier una lettura simile dei rapporti fra primo e secondo comma dell'ari 3 cost., cfr. T. MAZZARESE, Principio d'uguaglianza e diritti fondamentali: una (ri)lettura dell'articolo 3 della Costituzione, in G. MANIACI (a cura di), Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, Giuffrè, Milano 2006, pp. 329-360.

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dossier

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Sulle tracce della Finanziaria

Riprendiamo ad occuparci della legge finanziaria. Qual è lo stato dell'arte, alla luce delle esperienze e delle applicazioni prati che degli ormai diciannove anni dall'entrata in vigore della legge n. 468 del 5 agosto 1978, "Rfbrma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio'? Come riprendere un dibattito serio dopo varie sessioni di bilancio che hanno portato al limite la logica disto rta che ben presto ha assunto la legge finanziaria? Questa Rivista ha un lungo curriculum di interventi. Dal libro 'Dentro la finanziaria. Bilancio '86 e politiche pubbliche" - edito nel 1986 nella collana "Ricerche" di queste istituzioni — che raccoglie i contributi di più autori, al libro del 2003, "I guardiani del bilancio" anch'esso polifinico — curato da Giancarlo Salvemini per i tipi "Saggi e Rapporti Ristuccia Advisors" dell'editore Marsilio. Nel mezzo - ed ancor prima — il tema della finanza pubblica e del governo economico del Paese ha intessuto un fil rouge lungo le pagine della Rivista. Basta ricordare il contributo dell'allora responsabile del "Il bilancio: una riforma senza Servizio del Bilancia del Senato Paolo De loanna convenienze politiche? Riflessioni dall'interno del 'partito della riforma' ", n. 72-73 (1987), pp. 109-114). Oggi Capo di Gabinetto del ministero dell'Economia e delle Fi-

(cfr.

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nanze, De loanna contribuisce ad impostare il dibattito con un articolo sull'ultima finanziaria. Di Giuseppe Pisauro, Rettore della Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze e membro della Commissione tecnica del ministero del Tesoro per la spesa pubblica dal 1991 al 2003 va ricordato l'articolo"Procedure e metodi di programmazione finanziaria. La prima esperienza (dimezzata) dell'86-87", n. 74 (1988), pp. 128142, mentre l'attuale Segretario generale del Senato della Repubblica Antonio Malaschi ni contribuì già prima con l'articolo "La politica di bilancio in Parlamento: legge finanziaria e procedura regolamentare", n. 39 (1980), pp. 12-20. La lista non termina qui, ma questo è un significativo campionario dell'interesse di queste istituzioni per il tema oggetto di questo dossier. Ripercorrendo questo filo, è interessante (o dovremmo dire: sconsolante) vedere come le questioni sul tavolo sono rimaste le stesse. Nonostante i correttivi. Nonostante le modifiche ai testi normativi e regolamentari (inerenti le sessioni di bilancio delle Assemblee legislative). Nonostante difitti e virtù della prassi. Siamo stati bravi a cogliere tempestivamente i nodi problematici e le urgenze? Ovvero, i legislatori hanno dimostrato scarsa capacità di premunirsi contro gliffetti del dettato normativo sulle prassi e sulle politiche pubbliche? Entrambe le cose. Nel libro citato del 1986, Sergio Ristuccia già parlava di "ascesa e declino della legge finanziaria" ("più che l'insoddisfazione per lo strumento 'legge finanziaria utensile utile ma non indispensabile, è legittima l'insoddisfazione per il modo in cui è adoperato'), con previsioni fin troppo realistiche: "Difficilmente si interromperà la vicenda dell'ascesa e declino della legge finanziaria.., il governo della finanza pubblica e il riordino dello Stato sociale sono impegni di lunga Iena e di grande costanza. Impegni esigenti di cui non ci si libera una volta per tutte, come forse implicitamente si ritiene quando si invocano le grandi leggi di riordino'). Un declino che si sarebbe rivelato un lungo, lento declino, accompagnato da costanti, incessanti lamenti funebri ed un'affollata quanto ipocrita veglia bi-partisan. Il dossier riiprende il discorso da qui, ribadendo la convinzione circa la necessità di interventi correttivi e non strutturali del processo di bilancio, privilegiando un approccio pragmatico, non erratico in balìa di accordi e spartizioni assembleari, bensì di costanza ed unitarietà di progetto e di rispetto dei vincoli. Come quello fissato dall'art. 11 della citata legge n. 468 (limiti di contenuto) circa l'inammissibilità in finanziaria di norme di spesa che non siano finalizzate direttamente al sostegno e al rilancio dell'economia, norme di delega ovvero di carattere meramente ordinamentale o organizzativo, norme che abbiano carattere localistico o microsettoriale, e norme di modifica della disczplina legislativa della contabilità generale dello Stato. Giancarlo Salvemini e Claudio Virnò, in "Nuovi guardiani della trasparenza dei conti pubblici", in Credito Popolare, n. 3, 2006, Associazione nazionale fra le banche 68


popolari, pp. 345-3 79, hanno ricordato che la legge del 1978 e le successive modifiche rispondono (anche) al bisogno di "messa a punto di metodi affidabili per la valutazione delle conseguenze finanziarie degli atti normativi (che) richiede dunque un impegno diretto da parte del governo a... promuovere un insieme di iniziative volte a coordinare i diversi soggetti istituzionali coinvolti nell'attività valutativa" In realtà, il legislatore ha posto in essere al servizio del decisore pubblico, cioè anche di se stesso, strumenti poi decaduti in mero adempimento formale privo di ogni rigore formale e metodologico, standardizzazione, sistematicità ed aggiornamento (dalla relazione tecnica all2lnalisi di Impatto della Regolazione, AIR). Il circolo virtuoso "decisione-valutazione" è, nei fatti, una chimera. Bisognerà tenerne conto con sodo realismo.

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istituzioni n. 144 inverno 2007

La decisione di bilancio: procedure come risultato o per un risultato. Note e riflessioni a margine dell'approvazione della legge finanziaria 20012009* di Paolo De loanna

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isponiamo di un orizzonte storico di osservazione sufficientemente lungo (circa trent'anni) per cercare di mettere a fuoco i tratti morfologici e le criticità più evidenti degli strumenti normativi e delle procedure che regolano la formazione dei conti dello Stato e del settore delle pubbliche amministrazioni in Italia. La riforma del 1978 (legge n. 468) segna certamente il punto di discontinuità e di avvio di una fase segnata dalla operatività di strumenti (la legge finanziaria, le previsioni di cassa, il bilancio pluriennale, la disciplina dei conti della PA) e di procedure parlamentari (la sessione di bilancio, l'esame della ammissibilità dei testi normativi sotto il profilo dei contenuti ammessi e della copertura) inediti rispetto alla fase storica precedente. L'ampiezza e la convergenza critica della discussione che si è aperta dopo il complesso iter della legge finanziaria per il 2007 (ed il triennio 20072009), riproducono, almeno per certi aspetti, il contesto che nel biennio 1986-87 condusse le forze politiche di allora a produrre il primo (e più importante) intervento di correzione della legge n. 468 e delle procedure parlamentari che regolano la sessione di bilancio: la legge n. 382 del 1988. Con la presente riflessione ci proponiamo, quindi, di: offrire una rappresentazione stilizzata dei tratti morfologici e delle criticità di questa ormai trentennale esperienza; mettere a fuoco i profili di maggior criticità (o abnormità, per usare l'espressione del Presidente della Repubblica) della sessione di bilancio appena conclusasi; svolgere alcune sintetiche considerazioni sul nesso più denso di implicazioni sistemiche generali che emerge da questa vicenda trentennale (il rapporto tra tecnica e scelte politiche);

LAutore è Capo di Gabinetto del ministero dell'Economia e della Finanza * Testo pubblicato nel volume, AA.Vv., Proposte per far finzionare meglio il Parlamento. Astrid, Roma, in corso di pubblicazione. 70


d) fornire qualche indicazione di lavoro per quanti, al di là dell'asprezza delle polemiche in una fase molto dura del confronto politico, intendessero impegnarsi per una nuova tornata di correzioni-innovazioni delle nostre istituzioni di bilancio. UN'ESPERIENZA QUASI TRENTENNALE: DALLA LEGGE N. 468 DEL 1978 ALLA PRIMA "SESSIONE" DI BILANCIO DELLA XV LEGISLATURA

La legge n. 468 del 1978 innova il perimetro del "campo di gioco" che delimita i rapporti tra Governo e Parlamento nelle procedure di bilancio: amplia questo perimetro con la legge finanziaria e così spezza la tipicità, di marca contabile, dei documenti di bilancio quali conformati dalla legislazione preesistente; crea le condizioni di procedura parlamentare per introdurre - vera novità nella vicenda repubblicana - la sessione di bilancio: cioè una disciplina che, nei tempi e nei modi, istituisce un luogo protetto per l'iniziativa governativa; la protezione funziona perfettamente come limite temporale, fornendo per la prima volta al Governo (e alla sua maggioranza) un veicolo che rompe le vischiosità di una agenda dei lavori parlamentari cogestita con l'opposizione e permette di alleggerire il ricorso allo strumento della decretazione di urgenza. Ma questa morfologia degli strumenti e delle procedure apre immediatamente due questioni cruciali: quella della ampiezza normativa delle innovazioni che possono essere veicolate nella legge finanziaria e quella del controllo dei vincoli quantitativi e qualitativi che il Governo ha impresso alla propria proposta. La questione della collocazione sistemica della legge finanziaria tra terzo comma (limiti funzionali all'innovazione normativa) e quarto comma (obbligo di copertura) dell'art. 81 cost. diviene, al di là della sua soluzione tecnico giuridica, un rilevante problema pratico e quindi politico: come si fa ad utilizzare la "finanziaria" come strumento che non solo deve garantire la copertura della parte corrente delle nuove spese (pareggio al margine della parte corrente), ma soprattutto deve svolgere una funzione di vincolo - correzione per introdurre consistenti elementi di razionalizzazione - riduzione nel trend di crescita delle spese pubbliche e, quindi, consentire di ridurre sia lo stock del debito che il delta annuale rappresentato dal disavanzo che si salda algebricamente con lo stock? La legge n. 382 del 1988, figlia del sovraccarico decisionale delle finanziarie dei primi anni Ottanta, giudicato del tutto non gestibile in quel quadro politico, ritorna su alcuni nessi critici della legge n. 468; in primo 71


luogo, affida ad uno strumento esterno alla sessione la definizione dei vincoli quantitativi e qualitativi che le Camere si auto impongono in sessione (si tratta del Documento di programmazione economico finanziaria e delle risoluzioni parlamentari che lo approvano); in secondo luogo, qualifica in modo preciso la qualità dei mezzi di copertura che assolvono correttamente all'obbligo di copertura e, soprattutto, incorpora nel procedimento di assolvimento dell'obbligo di copertura la fase della quantificazione tecnica degli effetti finanziari delle innovazioni nòrmative presentate in sessione, prevedendo per tale fase la ricostruzione a regime degli oneri e, comunque, almeno con riferimento all'orizzonte compreso nel bilancio triennale. Quest'ultima novità apre la strada alla costituzione dei Servizi del bilancio in Parlamento (1990) e ad un forte rafforzamento del ruolo delle burocrazie governative preposte alla cura dell'equilibrio dei conti pubblici, in primis la Ragioneria generale dello Stato. Il nesso tecnica-politica viene così ad inserirsi nel procedimento legislativo di bilancio con una sua nuova fisionomia specifica. La legge n. 362 del 1988, inoltre, alleggerisce e tipizza i contenuti della finanziaria a cui possono essere affidati solo interventi di entrata o di correzione-riduzione della spesa; sposta sui cosidetti "collegati" il carico delle innovazioni più importanti, incluse eventuali deleghe legislative. Il tempo di approvazione dei collegati è rimesso alla procedura parlamentare. La XIII legislatura (quella dell'ingresso nell'Unione monetaria europea) è chiamata a produrre una correzione strutturale e profonda nei conti in poco meno di un biennio (1996-1997); e ciò impone al Governo di continuare a chiedere alle Camere di organizzare la discussione dei collegati come elementi temporalmente e funzionalmente propedeutici alla approvazione della finanziaria. Il carico decisionale della finanziaria si sposta decisamente sui collegati, deleghe incluse, ampliandone nettamente i contenuti. Nella fase che precede l'ingresso nell'Unione monetaria, il Governo (sotto la spinta del ministro del Tesoro pro tempore che fu l'artefice principale di questo ingresso) riorganizza profondamente la struttura del bilancio, (legge n. 94 del 1997) con lo scopo di aprire la strada ad una nuova presentazione degli involucri che autorizzano la spesa: l'idea di fondo è quella di ridurre il numero dei capitoli da oltre 6000 ad alcune centinaia programmi base, intorno ai quali proporre un esame parlamentare più approfondito; l'idea, in larga misura rimasta sulla carta, è quella di valorizzare il ruolo del Parlamento nella decisione di bilancio, migliorando la comprensione delle scelte macro e delle politiche di settore; si tratta, inol72


tre, di rafforzare le funzioni di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato, come sintesi governativa degli si5ecialismi implicati nel processo endogovernativo di quantificazione degli oneri (espresso nelle relazioni tecniche) e come poio di riferimento del lavoro dei nuovi Servizi del bilancio presso le Camere. Entrati nell'Unione monetaria con un formidabile quanto inaspettato colpo di reni che riequilibra i conti, a partire dal 1998, si ripropone in Parlamento l'esigenza di sgonfiare la sessione di bilancio e semplificarne i contenuti: la legge n. 208 del 1999 è il frutto di questa ulteriore fase di novellazione della legge n. 468 del 1978. Vi è la sensazione diffusa che 1 sforzo piìi importante di risanamento si è, compiuto, e dunque si può immaginare una fase pii ordinata e distesa nell'esame dei documenti di bilancio. Nella sostanza si torna all'idea di una legge finanziaria che può intervenire anche con misure di sviluppo e quindi di spesa; mentre si espellono drasticamente dalla sessione i cosiddetti collegati, affidati a fasi successive del lavoro parlamentare, in quanto coniderati fonte di un intreccio decisionale non gestibile in sessione in modo limpido e ben scandito nei contenuti e negli effetti finanziari prevedibili e monitorabili. Nella )UV legislatura con il c. d. decreto taglia spese (d. I. n. 194 del 6 settembre 2002, convertito nella legge n. 246 del 31 ottore 2002) si affida al Governo (rectius Ragioneria generale dello Stato) un inedito potere di blocco degli impegni di spesa in corso di gestione, di fatto sancendo un dominio ed un controllo completo dell'Esecutivo anche nella gestione del bilancio. Il Governo pro tempore, nonostante una schiacciante maggioranza parlamentare, quasi a stabilizzare il suo completo controllo sulle procedure di bilancio (e a controllare la sua maggioranza) ricorre in modo sistematico alla questione di fiducia sia sul decreto legge (o i decreti legge) che accompagnano la finanziaria sia, ed è questo l'elemento di maggiore rottura istituzionale rispetto alle prassi delle precedenti legislature, per la stessa legge finanziaria. E ragionevole affermare che nessun Governo della Repubblica abbia esercitato un dominio sui conti pubblici così esteso e profondo come quello che ha diretto la XIV legislatura, in ragione soprattutto dell'ampiezza numerica della sua maggioranza. La questione è di un certo interesse, ad avviso di chi scrive, per saggiare la fondatezza empirica della c.d. teoria della prevalenza governativa sine conditione sul bilancio: prevalenza che garantirebbe ottime performance almeno in termini di equilibrio dei conti. L'andamento dei conti pubblici nella XIV legislatura smentisce in modo clamoroso questo assunto. 73


LA PRIMA SESSIONE DI BILANCIO DELLA XV LEGISLATURA

Questo breve excursus storico ci sembra confermi un dato di base da tempo posto in evidenza dagli studiosi della teoria della regolazione: l'evoluzione delle strutture istituzionali dipende da molteplici fattori psico cognitivi, economici e sociali, ma è crucialmente determinata dal modo con cui le forze politiche che imprimono la direzione di marcia ai processi di innovazione istituzionale sono in grado di interpretare la direzione della innovazione ed interagire con questi processi. La dinamica delle nostre istituzioni del bilancio pubblico non è legata, in ultima analisi a questioni tecniche, di ingegneria contabile o procedurale, che pure contano molto, ma ad un dato politico di fondo: quale è, in realtà, l'assetto di democrazia parlamentare maggioritaria che i nostri gruppi dirigenti ritengono di poter gestire insieme senza delegittimarsi a vicenda? Quale è il quantum di innovazione normativa (di riforme) che possono essere discusse ed approvate in modo ordinato e trasparente dentro e fuori la sessione di bilancio? Certamente le procedure legislative hanno una loro interna esigenza di coerenza e di qualità: sono disegnate e disegnabili in funzione di un risultato ed in tale funzione devono mantenere una loro funzionalità e qualità interna. L'esperienza della sessione appena conclusasi, ad avviso di chi scrive, è segnata da tre elementi che ne spiegano in buona parte la dinamica: la scelta politica forte di riprodurre subito lo stesso colpo di reni che ci portò nell'Unione, per uscire dal grave squilibrio dei conti pubblici consegnato dalla precedente legislatura; e questa scelta è scolpita nel DPEF 2007-2011, che presenta i risultati di una medita, quanto tecnicamente attrezzata, ricognizione preventiva dello stato reale dei conti; la debolezza numerica di una maggioranza che nelle fasi cruciali, soprattutto nella lettura del Senato, deve affidarsi alla fiducia, vista la nulla volontà di confronto reale dell'opposizione; la sua composizione interna, figlia di una insidiosa quanto infausta legge elettorale, che tende a riprodurre continuamente conflitti e rincorse tra le forze della coalizione, alla ricerca di una loro visibilità ed identità. La combinazione di questi tre elementi, calati nelle prassi lasciate dalla precedente legislatura, non solo non è riuscita a produrre elementi di maggior semplificazione normativa, come pure era chiaramente indicato nel DPEF, ma ha scaricato sui contenuti della finanziaria gli aspetti 74


più problematici di questa coalizione, producendo un plus di abnormità rispetto alla situazione precedente: il testo finale reca circa il doppio dei commi recati dalla finanziaria del 2006 (1300 contro 650 circa) e l'esame delle norme non è stato concluso in nessuna delle due commissioni bilancio delle due Camere: e ciò nonostante che, soprattutto nella seconda lettura, il metodo di lavoro impostato dalla presidenza della commissione ed il tempo disponibile avrebbero consentito un esame adeguato almeno delle questioni più importanti. Dunque si ripropone in pieno il profilo, mai compiutamente risolto, dei contenuti della finanziaria. E tuttavia, all'interno di questa abnormità, resta del tutto intatto il risultato straordinario di una finanziaria che in un solo anno, senza recare vulnus al nostro sistema di garanzie sociali, riporta i conti pubblici all'interno di un sentiero di evoluzione coerente con i vincoli comunitari e, quel che più conta, con le esigenze di sviluppo di un sistema economico ormai del tutto fermo negli ultimi tre anni e con una finanza pubblica foriera di nuovi disavanzi e di nuovo debito. Le scelte di base del testo iniziale sono rimaste sostanzialmente confermate e l'effetto di correzione triennale dei conti del tutto preservato. Non sembra un risultato di poco conto. Ma soprattutto conferma che il punto irrisolto del nostro sistema delle decisioni di bilancio sta ancora nei contenuti della sessione, mentre il tempo della sessione e la tenuta dei vincoli sembrano profili stabilizzati e condivisi. 11 dato irrisolto (l'ambito della innovazione trattabile) si colloca, a nostro avviso, in un nesso sistemico che non può essere compiutamente risolto a regime se prima non si ritrova un nuovo e condiviso punto di sintesi e di equilibrio nella formazione della volontà politica della maggioranza: il nesso ritorna a collocarsi nella legge elettorale e nel punto di equilibrio tra rappresentanza e decisione. Naturalmente questa riflessione di marca politologica non esclude che correttivi da introdurre nella cornice legislativa contabile (la legge n. 468) e nei regolamenti parlamentari possano essere assecondati, proprio per saggiare la volontà, apparentemente generale, di non riprodurre, già nella prossima sessione, gli inconvenienti emersi in questa appena conclusa. E i correttivi si inseriscono tutti, a nostro avviso, in quel delicato rapporto tra tecnica e politica per il quale la finanziaria appena approvata introduce rilevanti novità; è su questo rapporto che, prima di svolgere qualche considerazione propositiva, intendiamo ora svolgere alcune riflessioni più generali. 75


ANALISI TECNICA E SCELTE POLITICHE

La questione della quantificazione, adeguata e monitorabile, degli effetti finanziari riconducibili alle innovazioni normative introdotte nel tessuto dell'ordinamento giuridico si colloca in un punto cruciale del rapporto tra tecnica e politica. È questione che si ripropone, sia pure secondo schemi diversificati, in tutte le esperienze storiche di democrazie rappresentative e si colloca con tratti di specificità lungo lo svolgimento del rapporto Governo-Parlamento nel corso della formazione-discussione-approvazione dei documenti finanziari. La specificità si declina lungo due direttrici: - la formazione delle priorità politiche endogovernative, a partire dalla piattaforma tecnica su cui si esercitano queste priorità; - le modalità con cui il Parlamento interagisce in concreto con le scelte del Governo, controllando ed utilizzando a sua volta la base di dati e metodi proposta dal Governo. Da tempo, chi scrive ha espresso l'opinione che la questione dell'emendabilità parlamentare del binomio legge di bilancio-legge finanziaria deve essere collocata e risolta sullo sfondo di una chiara comprensione delle modalità con cui le due linee direttrici prima indicate vengono, in concreto, praticate nel rapporto Governo-Parlamento. E tale prassi costituisce un elemento assai rilevante per capire la qualità e la trasparenza della governance di un sistema politico. Il sistema italiano delle istituzioni del bilancio pubblico, a partire dalla formazione del bilancio dello Stato, emerge, come abbiamo visto, dalla stratificazione di interventi successivi che hanno tuttavia operato dentro lo schema originario della legge n. 468 del 1978; dentro lo schema binario legge finanziaria-legge di bilancio. L'intreccio tra criteri di copertura riconducibili a fonti di marca costituzionale (art. 81 cost. e vincoli di convergenza europei), criteri posti nella legislazione contabile nazionale (legge n. 468 e successive modifiche) e schemi posti nei regolamenti parlamentari ha disegnato un assetto di fortissima procedimentalizzazione dell'esame degli strumenti che compongono la manovra di bilancio; tuttavia, tale procedimentalizzazione, per uanto precisa nei passaggi e nei vincoli, non è idonea a risolvere una questione che è insieme tecnica e politica: come si forma la proposta del Governo? Su quali basi conoscitive viene ad appoggiarsi? E quale è la base tecnica di fondo sulla quale si calcola l'ampiezza e la qualità della correzione che viene presentata in primo luogo nel DPEF? In effetti si potrebbe osservare che, nel pendolo tra rappresentanza e decisione, 76


la sessione appena conclusa ha segnato il massimo della decisione; e, tuttavia, se si osserva il contributo delle mo€4fiche parlamentari si arriva alla conclusione opposta: si è trattato del massimo della rappresentanza; e, tuttavia, indagando ancora, si potrebbe dire che si è trattato di una vicenda sostanzialmente interna alla maggioranza la quale ha utilizzato le forzature trasmesse dalla precedente legislatura (fiducia su decreto legge e finanziaria) per immettere tutti i segni identificativi delle issues politiche delle diverse componenti; ma ciò allora rinvia alla fase a monte della formazione della proposta politica iniziale del Governo; rinvia al rapporto tra la macchina burocratica e il nuovo indirizzo politico; rinvia al rapporto tra correzione dei conti pubblici, presidiata dal ministero dell'Economia e della Finanza, e proposte ulteriori, nella formazione della proposta iniziale e nell'esame parlamentare. Ognuno di questi passaggi pone questioni di prassi e di innovazione normativa: ognuna di tali questioni meriterebbe una nuova messa aflioco. Ilfii.lcro delle questioni ruota sempre, ad avviso di chi scrive, sul punto di ricaduta di due temi base: integrazione dei saperi e degli specialismi; chiara imputazione di responsabilità politica e tecnica. Probabilmente nella traiettoria evolutiva delle nostre istituzioni di bilancio c'è l'autobiografia istituzionale del nostro sistema politico. Proviamo a chiederci perché si stabilizzano la sessione e il sistema dei vincoli esterni, mentre non trova un punto di equilibrio la questione dei contenuti normativi. La sessione si stabilizza probabilmente perché c'è una convenienza-convergenza tra Governo e forze politiche a disporre di un luogo protetto (nei tempi) per l'innovazione legislativa. I vincoli ex ante (sistema dei saldi) si stabilizzano perché c'è una convenienza-convergenza tra Governo e forze politiche ad accettare una regola quantitativa esterna (convergenza europea; obbligo costituzionale ex art. 81 cost.) che delimita il campo della decisione negli effetti finanziari valutabili. Non si coagula ancora una convergenza-convenienza a stabilizzare i contenuti normativi ammessi in sessione (in particolare per la finanziaria), perché non sembra ancora compiuta la transizione verso un assetto di parlamentarismo razionalizzato; in questo processo si inserisce ora la variabile, di non poco momento, del coordinamento dei bilanci pubblici quale materia concorrente, ai sensi del nuovo Titolo V della Costituzione. Questo tema del nesso tra tecnica e politica, tra la fine della precedente legislatura e l'avvio della nuova, si è organizzato intorno al discorso della desiderabilità di una nuova Autorità indipendente per il monitoraggio 77


neutrale dei conti pubblici e per la valutazione delle tecniche di formazione del bilancio tendenziale, su cui si appoggiano tutte le proposte di correzione. Si tratta di una proposta che ha assunto una grande forza attrattiva nella discussione di area accademica, dove l'idea dei vincoli alla fiscal policy da affiancare ai vincoli alla politica monetaria ha fatto numerosi adepti. Emerge in questo tipo di impostazioni accademiche, ad avviso di chi scrive, una sorta di fuga dalle responsabilità pratiche che derivano da un processo di riforma-ammodernamento della macchina amministrativa vigente e delle sue istituzioni storicamente date; emerge una sorta di fuga dalla amministrazione pubblica tradizionale e dalla soluzione istituzionale di problemi collettivi complessi, macchina con regole e procedure da innovare, per surrogarla con l'indipendenza dalla politica di luoghi di formazione (apparentemente non burocratici) di comandi di livello regolamentare capaci di neutralizzare la politica e conformare mercati competitivi e fonti neutre e certificate dei conti pubblici. Chi scrive ritiene che questa enfasi sulle Autorità indipendenti nasce da una scarsa conoscenza delle dinamiche del cambiamento istituzionale, dinamiche studiate da quella scuola della regolazione che, per le sue radici strutturaliste, è fuori dal campo delle analisi econometriche neo marginaliste, che dominano, per ora, l'analisi economica. E, tuttavia, proprio le analisi pRi recenti di questo campo teorico della regolazione tendono a valorizzare le tecniche di analisi che spiegano la formazione dei processi cognitivi e decisionali delle istituzioni complesse, delimitando una nuova sintesi tra teoria delle scelte pubbliche e dinamiche delle istituzioni aperte, foriera di risultati assai promettenti. Un punto certo, per ora, di questa sintesi sta nella valorizzazione del criterio della trasparenza, intesa come piena e continua conoscibilità delle basi analitiche e metodologiche utilizzate dal Governo nel proporre le sue priorità nel processo decisionale. E questo criterio della trasparenza può ben essere declinato come leva del cambiamento e della innovazione delle istituzioni storicamente presenti nel nostro assetto amministrativo: la Ragioneria generale dello Stato; le strutture di supporto del Parlamento; la Corte dei conti; gli organismi introdotti per il controllo sulla gestione e sui risultati. Si può ben immaginare e praticare un percorso di riforma che faccia leva sulla innovazione delle istituzioni storiche e non trasferisca in nuove istituzioni burocratiche il sogno di una fuga dalla politicità inevitabile delle scelte pubbliche; istituzioni che stanno a segnare tutta l'evoluzione del criterio di legalità nell'azione della pubblica amministrazione negli or78


dinamenti giuridici europei, segnati da una forte presenza della funzione pubblica a garanzia dei diritti uguali della cittadinanza. Di questa discussione vi è una traccia precisa nel DPEF 2007-2011 e nella sua traduzione in norme della legge finanziaria 2007. Questa traccia si rinviene nei compiti affidati alla nuova Commissione tecnica di finanza pubblica e nella forte ripresa di un disegno di rilancio delle funzioni dei Servizi bilancio in Parlamento. La conclusione del tutto provvisoria di questa riflessione potrebbe essere questa: non c'è soluzione di continuità tra sapere specialistico e scelta politica; c'è solo un problema di trasparenza che connette continuamente tecnica, politica e processo di fo rmazione dell'opinione pubblica in una società democratica. VERSO UNA NUOVA TORNATA DI "NOVELLE" ALLE PROCEDURE DI BlLANCIO?

Sulla base delle considerazioni svolte proviamo a presentare qualche sintetica indicazione sui possibili profili di un disegno di ulteriore innovazione delle procedure di formazione nel Governo e discussione in Parlamento del disegno di legge finanziaria e del disegno di legge di bilancio. Chi scrive, da tempo (1993) ha espresso l'opinione che esistano le condizioni per tornare ad una struttura unitaria del disegno di legge che forma i conti dello Stato; dove nella formulazione "forma i conti" si include un ambito di innovazione normativa che, attualizzando l'interpretazione dell'art. 81 cost., integri e ritipizzi in un unico contenitore, articolato in due sezioni, LF e LB. Si tratta di costruire una legge per la formazione e l'autorizzazione a gestire i conti articolata in due sezioni: una prima sezione normativa ed una seconda sezione autorizzativi, strettamente integrate, anche sul piano documentale e nei loro rimandi interni. Tuttavia, tenuto conto del dibattito fin qui svolto e di alcune indicazioni già emerse, accantonando per ora lo schema unitario prima ricordato, possono comunque tentativamente avanzarsi alcune linee di lavoro che concludendo - proviamo così a riassumere: - riconsiderare il profilo dell'ambito contenutistico della legge finanziaria (dove sono emerse le criticità più vistose nella "sessione" appena conclusasi), individuando, in accordo con le commissioni bilancio delle Camere, le innovazioni legislative (novelle alla legge n. 468 del 1978) e regolamentari (novelle alle procedure parlamentari) trattabili con interventi 79


che possano essere discussi e decisi entro giugno 2007, in modo da consentire lo svolgimento della sessione 2008 con regole nuove e condivise; - valorizzare il ruolo del Parlamento nella decisione di bilancio, migliorando la comprensione degli obiettivi macro e delle politiche di settore; - controllare il contenuto della legge finanziaria riproponendo la tecnica dei saldi di settore (e del controllo interno al settore di aggregati di norme omogenee); i saldi di settore (sanità, enti territoriali, amministrazioni pubbliche, previdenza, ecc.) dovrebbero costituire il ponte tra gli effetti di correzione macro proposti nella manovra e le tendenze dei settori su cui si interviene, in coerenza con le determinazioni poste nel DPEF; - proporre un ridisegno della procedura parlamentare di esame della "finanziaria" coerente con lo schema dei saldi di settore; si tratterebbe di disegnare uno schema di redigente speciale che faccia perno sulla funzione centrale della Commissione bilancio. L'Assemblea potrebbe votare solo gli articoli che guidano i saldi di settore e (in blocco) le disposizioni che traducono quei saldi in innovazioni normative primarie. La Commissione bilancio potrebbe votare in via preliminare i saldi di settore e le Commissioni di merito dovrebbero lavorare dentro quei saldi; - la struttura del bilancio dovrebbe essere innovata al fine di presentare una corrispondenza con i settori trattati nella finanziaria e, in tal modo, rendere più nitido il rapporto tra andamenti tendenziali e innovazioni legislative di settore; - realizzare una più forte responsabilizzazione verso la disciplina fiscale evidenziando la coerenza tra obiettivi aggregati, obiettivi di settore e monitoraggio in corso d'anno; si tratta di migliorare nettamente i parametri e gli elementi conoscitivi che in corso d'anno fanno emergere responsabilità di gestione. Si tratta di costruire una base dei conti della PA trasparente e monitorabile, chiaramente raccordata con gli elementi della decisione parlamentare riferita alla struttura del bilancio. Questa linea deve essere resa percepibile fin dall'avvio della costruzione del progetto di bilancio a legislazione vigente e deve essere articolata in una procedura endo-governativa più nitida e formalizzata. Naturalmente una linea di innovazione, quale quella ipotizzata o comunque idonea ad affrontare i nessi critici emersi in modo nitido nell'ultima sessione di bilancio, suppone una reale volontà dell'opposizione di concorrere a questa nuova fase di razionalizzazione del nostro sistema di democrazia rappresentativa. M IE


queste istituzioni n. 144 inverno 2007

Dentro la fi nanz i ari a * di Giuseppe Pisauro e Giancarlo Salvemini

J

1 titolo di questo contributo.richiama quello utilizzato in un volume del 1986 dal Gruppo di studio Società e Istituzioni, promotore della Rivista, e ripreso due anni dopo in un numero monografico di "queste iiii. Ora, si vuole discutere nuovamente su quale dovrebbe essere il contenuto della legge finanziaria, quali i collegamenti con il bilancio, la programmazione di medio termine, la manovra finanziaria e la copertura delle leggi di spesa. La materia ha presentato una continua evoluzione nella legislazione e nella prass12 , tuttavia, pur in un quadro di complessiva razionalità, l'applicazione anno dopo anno lascia sempre più insoddisfatti 3 . In queste pagine si propongono alcune soluzioni per perfezionare/potenziare il meccanismo programmatorio di cui la legge finanziaria è il fulcro (le analisi relative richiederebbero molte più pagine di quelle qui disponibili). La concezione "illuministica" che sottende queste pagine, non deriva dal ritenere che un buon impianto tecnico può condizionare le scelte politiche, ma proprio dal riconoscere l'importanza di queste che devono quindi essere fondate opportunamente e trasparenti. Il primo paragrafo è dedicato alla fase di programmazione a monte della legge finanziaria, il secondo alla fase a lato definita dai provvedimenti collegati, il terzo al bilancio e alla legge finanziaria. IL DPEF: NORMATIVA ATTUALE E PROSPETTIVE

Il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), introdotto in maniera definitiva con la legge 362/88, ha segnato la distinzione nelle decisioni di bilancio tra il momento in cui viene impostata la proGiuseppe Pisauro è professore e rettore della Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze; Giancarlo Salvemini è Direttore principale alla Banca d'Italia. Le opinioni espresse non coinvolgono le Istituzioni di appartenenza. 81


grammazione finanziaria ed economica e la sessione autunnale, in cui la manovra viene definita nei suoi aspetti specifici 4 . L'esperienza indica che la predisposizione di obiettivi credibili, perseguita con costanza nella sequenza dei successivi DPEF, è stato un elemento fondamentale per il rientro della finanza pubblica degli anni Novanta; prima del 1993, invece, l'unione di obiettivi scarsamente credibili e comportamenti non sufficientemente coerenti aveva impedito la riduzione del disavanzo della finanza pubblica. Nel processo di risanamento degli anni Novanta, il DPEF ha assunto un ruolo non secondario come fattore di vincolo e di controllo sia per il Governo sia per il Parlamento nella definizione delle politiche di bilancio. Negli ultimi anni, il ruolo del Documento quale strumento di policy è stato ridotto dall'assenza di alcuni elementi informativi importanti, come la dimensione quantitativa degli interventi di finanza pubblica e la definizione del quadro programmatico del conto economico delle Amministrazioni pubbliche. Alla luce del nuovo assetto normativo, costituzionale e legislativo, diventa fondamentale invece un adeguamento degli strumenti informativi in esso contenuti. A questo proposito, il 4 giugno 2002 era stata adottata dalle Commissioni bilancio della Camera e del Senato una risoluzione sul "riordino degli strumenti normativi della manovra di bilancio" che, per quanto riguarda il DPEF, sottolineava la necessità di: - valorizzare la funzione di raccordo svolta dal DPEF nei riguardi del programma di stabilità europeo, indicando valori dell'indebitamento netto, anche per i sottosettori amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza, che possano essere quelli di riferimento per il Patto di stabilità interno, che dovrebbe essere regolamentato, per la parte pit stabile, con la riforma dei titoli IV e V della legge 468/78 e, annualmente, nella legge finanziaria 5 - articolare gli obiettivi esposti nel DPEF secondo le classificazioni economica e funzionale di contabilità nazionale; - definire gli effetti economico-finanziari di ciascun provvedimento collegato. Dalla analisi dei passati DPEF Si possono ricavare i principali indicatori che so1disfano le esigenze informative dettate dalla legge 6 e quindi immaginare alcune integrazioni alla luce della citata risoluzione adottata dal Parlamento. La tav. i sintetizza i contenuti specifici di ciascun DPEF a partire dal documento presentato nel 1995 (DPEF 1996-98), che per la prima vo1;

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ta ha riportato gli obiettivi di finanza pubblica riferiti anche al conto economico delle Amministrazioni pubbliche. Si nota soprattutto una riduzione di contenuti informativi dei DPEF a partire da quello del 2001-04. Riguardo alle previsioni per l'anno in corso (punto 2 della tav. 1), sono costantemente presenti nei DPEF: l'aggiornamento degli indicatori dell'economia reale; una sintesi degli effetti della manovra di finanza pubblica sull'indebitarnento netto (disaggregata per le entrate e per le spese); il confronto tra le previsioni aggiornate dei principali aggregati di finanza pubblica e dei principali indicatori macroeconomici rispetto alla previsione riportata nel precedente DPEF. Questi elementi rappresentano un punto di partenza fondamentale per la costruzione degli andamenti tendenziali dei conti e degli obiettivi programmatici per il periodo di riferimento; tuttavia dal DPEF 200 1-2004 manca la tavola degli effetti della manovra sull'indebitamento netto, con disaggregazione di entrate e spese delle Amministrazioni pubbliche. Nel DPEF per il 2002-06, è stata sottolineata la necessità di spiegare la divergenza, che si è manifestata a partire dal 1999, tra l'indebitamento netto, che secondo il SEC 95 segue i criteri della competenza economica, e il fabbisogno di cassa ed è stata inserita una tavola di raccordò a partire dal fabbisogno del settore pubblico. Nella risoluzione approvata il 4 giugno 2002 si richiedeva esplicitamente la produzione della tavoli di raccordo tra l'indebitamento netto e ilfabbisogno delle stesse Amministrazioni pubbliche. Riguardo agli obiettivi macroeconomici (punto 3), con il DPEF 2002-06 è stato per la prima volta distintamente riportato il quadro macroeconomico tendenziale, in aggiunta a quello programmatico, esplicitando gli effetti prodotti dalla politica fiscale sulle variabili macroeconomiche. Tale innovazione, seguita anche nei DPEF successivi, pur portando a un risultato identico in termini di quadro programmatico di finanza pubblica, dovrebbe rendere più trasparente il modello economico di riferimento seguito dall'esecutivo, rendendo espliciti, attraverso le ipotesi macroeconomiche, gli effetti indotti dalle misure di finanza pubblica programmate. In questo caso occorre peraltro segnalare la difficoltà di definire un quadro di previsione tendenziale preciso e significativamente diff&enziato da quello programmatico, con il rischio di complicare l'interpretazione anziché determinare un maggior contenuto informativo. Rispetto al quadro di finanza pubblica (punto 4), i DPEF hanno finora definito in modo sufficientemente esplicito i criteri adottati per la proiezione tendenziale delle variabili fiscali aggregate (sia di entrata sia di spe83


favola i - IprÉnczpali contenuti del L)PEF () DPEF

1996-98 2000-03"

2001-04 2009-11

L'evoluzione economica e finanziaria internazionale Lo scenario internazionale: crescita, mercato del lavoro, inflazione e tassi di interesse Indicatori congiunturali internazionali

.x

x

Gli obiettivi e le previsioni per l'anno in corso Economia reale Conto economico delle risorse e degli impieghi

x

x

Finanza pubblica La manovra di fInanza pubblica sull'indebitamento netto Variazione delle previsioni rispetto al precedente DPEF Raccordo fabbisogno e indebitamento netto della PA -

x x no

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Gli indicatori macroeconomici Quadro macroeconomico tendenzi'ale Principali indicatori macroeconomici

no

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-

Quadro macroeconomico programmatico Principali indicatori: Pii, reale, tasso di inflazione, occupazione, disoccupazione, tasso Bor a 12 mesi Conto economico delle risorse e degli impieghi -

-

Le previsioni tendenziali di finanza pubblica Definizione del quadro tendenziale di finanza pubblica - Le previsioni tendenziali delle amministrazioni pubbliche (conto aggregato eprincpali saldi) - Le previsioni tendenziali delle amministr centrali, locali ed enti previdenziali (conti disaggregati eprincspali saldi) Obiettivi programmatici dei saldi di finanzapubblica Definizione della politica di bilancio nel periodo di riferimento - Il quadro programmatico delle amministrazioni pubbliche (conto aggregato eprinc:pali saldi) - Il quadro programmatico delle amministrazioni centrali, locali ed enti previdenziali (conti disaggregati e principali saldi) - Il quadro programmatico secondo la classfìcazioneJisnzionale

solo saldi (6) solo saldi (6) no no

no no

Articolazione e valutazione economica degli interventi di finanza pubblica Indirizzi per gli interventi di settore - Gli interventi diflnanza pubblica sui conti della PA (manovra correttiva e politiche di sviluppo): differenze dei saldi tendenziali eprogrammatici

x (7)

no

1 criteri e i parametri per la formazione del bilancio pluriennale dello Stato Il Bilancio programmatico dello Stato (competenza) - Il Bilancio programmatico della Stato

x' x

no no (8)

I disegni di legge collegati Elenco dei disegni di legge collegati Valutazione degli effetti finanziari

x no

no (9) no

(*) La descrizione si riferisce ai capitoli resenti nei DPE!', secondo la struttura richiesta dalla legge 468178; in corsivo sono indicate le tavole essenziali che sonò o dovrebbero essere presenti in questi capitoli; con lo sfondo grigio si riportano le voci la cui trattazione è stata sollecitata nelle risoluzioni parlamentari del 4 giugno 2002. (1) Presente solo nel DPEF 2002-06. (2) Presenti dal DPEF 2002-06. (3) Tasso BOT non più presente dal DPEF 2003-06. (4) Assente nel DPEF 1998-2000. (5) Nessuna informazione sul rapporto debito/Pri. nel DPEF 2006-09. (6) Dal DPEF 2000-03 le tavole sono state presentate generalmente nell'ambito della Nota di aggiornamento presentata nel mese di settembre dello stesso anno. (7) Per i DPEI' 1996-98 e 1997-99, con riferimento al settore statale. (8) Presente nei Dl'EP 2003-06 e 2004-07. (9) Presente fino al DPEF 2002 7 06.

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sa). In conformità a questi criteri viene presentato il conto economico tendenziale delle Amministrazioni pubbliche. Riguardo alla definizione del quadro programmatico (punto 5), invece, si è manifestata, negli ultimi anni, la tendenza a rimandare la specificazione del conto economico delle Amministrazioni pubbliche ad una Nota di aggiornamento nel mese di settembre, in concomitanza con la presentazione della Relazione previsionale e programmatica e della legge finanziaria. Questa tendenza comporta, di fatto, uno svuotamento dei contenuti del documento, che risulterebbe privo di una valutazione quantitativa degli interventi di finanza pubblica. Si deve peraltro osservare che sulla base della risoluzione citata, non solo sarebbe opportuno il reinserimento del quadro programmatico e della valutazione economica degli interventi di finanza pubblica previsti, ma anche l'indicazione delle previsioni tendenziali e programmatiche distinte per le amministrazioni centrali, le amministrazioni locali e gli enti di previdenza, in modo da avere un riferimento concreto per l'articolazione delle regole del Patto di stabilità interno 7. Infine, la citata risoluzione richiamava la necessità di inserire nel Documento una articolazione degli obiettivi secondo la classificazione funzionale 8 Riguardo alla articolazione della manovra di bilancioe dei provvedimenti collegati (punti 6 e 8), anche in questo caso negli ultimi DPEF è stata rimandata a settembre la definizione quantitativa degli interventi di finanza pubblica, con le conseguenze già sottolineate nel punto precedente. La citata risoluzione riconfermava l'importanza della presentazione nel DPEF di valutazioni in merito a questi interventi. Suggerimenti per creare una "corsia preferenziale" per i disegni collegati, sostanzialmente in armonia con la ratio della risoluzione, sono presentati nel successivo paragrafo. Riguardo alle regole di variazione delle voci del bilancio di competenza dello Stato (punto 7), si può osservare che nel DPEF 2001-04 e in gran parte dei successivi la tavola di riferimento, che riporta gli obiettivi programmatici del bilancio triennale, è comparsa solo nella Nota di aggiornamento presentata a settembre, lasciando di fatto non soddisfatte le prescrizioni della legge. La tabella, comunque, è molto aggregata e, inoltre, non sono indicate le connessioni con l'andamento dei grandi settori di entrata e di spesa delle Amministrazioni pubbliche (addirittura negli ultimi DPEF non è presentato alcun commento alla tabella). Il DPEF, pur corposo, rimane tuttavia in gran parte dedicato all'illustrazione qualitativa del programma del Governo. Più volte sia il presente Governo sia quello della precedente legislatura hanno espresso l'intenzio.

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ne di avviare una riforma del complesso delle regole di bilancio, per tener conto, da un lato, degli impegni europei e, dall'altro, della nuova formulazione del Titolo V della Costituzione. Si prevedeva di modificare la struttura della Legge finanziaria in modo che adeguasse ogni anno la legislazione nazionale al contenuto del Patto di stabilità e crescita e che coinvolgesse ciascun livello di governo al rispetto del patto stesso, indicando le previsioni tendenziali e programmatiche dell'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, distinto per sotto-settori (amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di previdenza). Nel sottolineare che quest'ultimo intendimento è del tutto condivisibile (la sua realizzazione, anzi, appare non più rinviabile), si deve notare come esso contrasti con il contenuto dei DPEF, che - come si è visto - forniscono previsioni tendenziali e programmatiche con un grado insoddisfacente di dettaglio e solo per il complesso delle Amministrazioni pubbliche. Sarebbe opportuno anticipare la riforma, iniziandone una sperimentazione fin dalla prossima edizione del DPEF. I più recenti DPEF, a partire da quello deI 200 1-04, pur essendo di dimensioni simili a quelle degli scorsi anni nelle parti cruciali, sono molto scarni di indicazioni, con un contenuto ancora più lontano che in passato da quanto prescrive la legge 468/1978. La virtuale assenza di indicazioni sui contenuti della manovra, frutto evidentemente delle difficoltà in sede politica a pervenire a luglio a una sua definizione anche sommaria, ha indotto alcuni a chiedersi se non sia più opportuno ridurre drasticamente la portata del DPEF, limitandola a poche tabelle con l'indicazione degli obiettivi sui saldi di bilancio. Va notato che in pratica ciò è quanto già avviene, poiché gran parte del Documento contiene materiali non rilevanti rispetto alle finalità che il sistema delle procedure di bilancio gli assegna. Comunque, anche qualora si ritenesse (cosa che gli autori non ritengono) che con il DPEF non si possa dare una prima definizione dei contenuti della manovra, resterebbe l'esigenza di una maggiore trasparenza delle modalità di costruzione dei quadri di finanza pubblica, che richiederebbe per lo meno la predisposizione all'interno del Documento di una vera e propria relazione tecnica sulle previsioni tendenziali. Le scarse informazioni fornite non consentono una valutazione del grado di realismo delle ipotesi adottate e delle modalità concrete di elaborazione delle previsioni a legislazione vigente. Sarebbé opportuna la predisposizione di una relazione tecnica sulle previsioni tendenziali in modo da far rientrare anch'esse nel ciclo della quantificazione degli oneri finanziari che oggi interessa solo i nuovi provvedimenti di legge. 86


Addirittura gli Autori ritengono che il DPEF dovrebbe essere il frutto conclusivo di un profondo dibattito all'interno del Governo, tra le diverse istanze funzionali della spesa rappresentate dai diversi ministeri, e in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, per una distribuzione di risorse e responsabilità tra centro e periferia. L'allocazione funzionale della spesa per grandi linee, per l'anno e il triennio successivo, dovrebbe avvenire già nel DPEF e dovrebbe essere ratificata dal Parlamento, con lo stesso grado di stringenza con il quale si approva ora il saldo netto da finanziare. Fatte queste grandi scelte, la legge finanziaria dovrebbe contenere soio l'attuazione da parte del Governo delle allocazioni decise, e il Parlamento dovrebbe, da un lato, semplicemente verificare il rispetto di quanto deciso nelle grandi linee nel DPEF, dall'altro, discutere approfonditamente le applicazioni più innovative presenti nei collegati (con tempi e modalità meglio definite nel successivo paragrafo) 9 . Ovviamente, per quanto detto, non si può non essere d'accordo con il ministro dell'Economia circa il fatto che il mese di luglio debba restare la scadenza per la presentazione del DPEF al Parlamentolo. I PROVVEDIMENTI COLLEGATI ALLA MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA Le difficoltà nell'approvare i disegni di legge collegati nelle ultime legislature, dopo la riforma della legge 468/78 effettuata con la legge 208/99, porta ad alcune considerazioni e suggerimenti, riguardanti una più chiara specificazione delle caratteristiche proprie dei collegati, una anticipazione nei tempi di presentazione in Parlamento e la previsidne di una "corsia preferenziale" per una possibile approvazione prima della sessione di bilancio dell'anno successivo (o meglio prima della presentazione del successivo DPEF)'I. Nell'esperienza di applicazione della legge 208/99 si nota scarsa informazione sui contenuti dei provvedimenti collegati fornita prima della ioro presentazione. I DPEF (e, di conseguenza, le risoluzioni parlamentari), infatti, si sono limitati al più a un elenco dei settori interessati, senza indicazioni sul tipo di interventi che si intendevano attuare 12 . In generale si può rilevare che: a) spesso non risulta rispettata la prescritta omogeneità 13 b) il termine del 15 novembre, previsto dalla legge come data limite per la presentazione, non sempre è stato rispettato; c) le risoluzioni di approvazione del DPEF non sono strutturate in modo da fornire un adeguato "parametro" per la valutazione dei provvedimenti. 87


L'art. 3 della legge 468/78 richiede che il DPEF non si limiti ad elencare genericamente i provvedimenti collegati, ma che ne precisi il contenuto di massima (la cosiddetta "articolazione") e l'impatto finanziario (e lo stesso vale per gli interventi che si intende attuare con la legge finanziaria). L'esperienza indica che i Governi in carica dopo l'approvazione della legge 208, all'atto della presentazione del DPEF (dalla legge prevista per il 30 giugno), non sono stati in grado di assumere impegni sui contenuti della manovra che vadano al di là di una generica elencazione dei presumibili settori di intervento. Dovrebbe essere approfondita la questione se questa incapacità è da considerarsi intrinseca all'attuale organizzazione dell'amministrazione e della politica italiana. Si è, comunque, configurato un degrado rispetto al quadro ordinamentale consolidatosi prima che intervenisse la legge 208/99. Allora, il quadro complessivo della manovra si precisava, in settembre con la presentazione del d.d.l. finanziaria e del d.d.l. collegato di sessione. Dopo la legge 208/99, il ruolo dei collegati nel concorrere a determinare la manovra si precisa solo a metà novembre. Inoltre, non essendovi garanzia di approvazione entro una data certa, si corre il rischio che una parte, anche rilevante, della manovra resti indefinita 14 Una soluzione potrebbe prevedere i seguenti momenti: la) nel caso si ritenesse l'esperienza degli ultimi anni determinata da fattori accidentali: conferma della regola di articolazione dei provvedimenti collegati nel DPEF, prevedendo anzi che la non applicazione di tale norma escluda la possibilità di definire un provvedimento come collegato; lb)nel caso si ritenesse impossibile una articolazione, sia pur sommaria, dei provvedimenti collegati nel DPEF: articolazione del contenuto e dell'impatto finanziario dei collegati da presentare a fine settembre nella Relazione previsionale e programmatica, che diverrebbe la sede nella quale viene precisato il quadro dettagliato degli interventi che concorrono alla manovra triennale, tratteggiato solo nelle linee generali dal DPEF; 2) presentazione dei provvedimenti collegati entro il mese di ottobre, insieme a un emendamento al d.d.l. finanziaria che ne inserisca gli effetti nei fondi speciali (sempre a parità di saldo netto da finanziare definito con il DPEF): Con riguardo al punto 1, probabilmente è preferibile la prima alternativa, in quanto con la seconda si rischia un progressivo svuotamento di significato del DPEF. E vero che genericità e vaghezza degli interventi programmati erano caratteristiche del DPEF anche prima della legge 208/99 .

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(con riferimento anche al collegato di sessione), tuttavia, come abbiamo già indicato, è auspicabile che nei prossimi anni, approssimati gli obiettivi del Patto di stabilità e crescita, si rafforzi la tendenza a uno spostamento di enfasi dai saldi agli aspetti allocativi della manovra, dove natura e contenuti degli interventi di settore diventano elementi cruciali. Per quanto concerne il punto 2, l'anticipazione della presentazione dei collegati a fine ottobre consentirebbe di emendare le Tabelle A e B (fondi speciali) prima della conclusione del primo passaggio parlamentare del d.d.l. finanziaria. I fondi speciali tornerebbero così ad essere la sede di garanzia dell'unitarietà della manovra, come nel disegno tracciato dalla legge 362/88. In pratica, nei fondi speciali vi sarebbero due parti: la prima con fondi indistinti con la sola indicazione dei ministeri (come avviene oggi), la seconda con l'indicazione esplicita degli effetti nel triennio dei provvedimenti collegati. Nel caso in cui un collegato avesse effetti di riduzione del disavanzo, questi dovrebbero essere mostrati in una voce negativa del fondo speciale (come previsto dalla legge 362/88). Questa soluzione per i fondi speciali potrebbe rappresentare un giusto bilanciamento tra l'attuale prassi che privilegia l'elasticità di bilancio attraverso la definizione a fini operativi dei fondi solo per i ministeri (e, inoltre, attraverso un ampio ricorso all'utilizzo in difformità) e la finalità programmatoria privilegiata dal legislatore originario che prevedeva una articolazione dei fondi per ministeri e per programm1 15 La definizione di un disegno di legge come "collegato", ratificato nella risoluzione di approvazione del DPEF e nella previsione di un accantonamento specifico nei fondi speciali della legge finanziaria, avrebbe i seguenti vantaggi ai fini di una rapida approvazione dei provvedimenti: semplificazione nella ricerca della copertura finanziaria, che dovrebbe, almeno per la gran parte, essere già prevista nei fondi speciali, e per la quale non dovrebbe essere possibile uno storno ad altre finalità; semplificazione nell'oggetto del provvedimento, in quanto sarebbero stralciate dallo stesso le norme di argomento non omogeneo, e analogamente limitati i possibili emendamenti (regole già previste nei regolamenti parlamentari); predeterminazione dei tempi di discussione (già prevista nei regolamenti parlamentari, pur con alcune differenziazioni tra Camera e Senato, per i lavori in Assemblea, potrebbe essere introdotta anche per i lavori in Commissione, con tempi ridotti per il secondo ramo del Parlamento). .

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Per fare in modo che l'approvazione possa avvenire senza intersezioni con i provvedimenti collegati del successivo DPEF, Si potrebbe proporre che questi "benefici" valgano solo per un periodo limitato, fino ad aprile (o giugno) dell'anno successivo; oltre quella data questi provvedimenti sarebbero trattati come qualsiasi altro disegno di legge16. Naturalmente sarebbe sempre possibile per il Governo confermare che un vecchio collegato, per il quale si ritiene difficile l'approvazione nei tempi stabiliti, mantenga la sua natura con riferimento alla nuova manovra, inserendo quel provvedimento tra quelli illustrati nel DPEF (ovvero nella Relazione previsionale e programmatica, nel caso si ripieghi sulla proposta precedentemente esposta al punto ib). Sarà compito del Governo cercare di calibrare il numero e la complessità dei disegni di legge collegati, in modo da garantire la loro possibile approvazione entro i tempi ottimali definiti (dall'esperienza degli anni passati sembrerebbe difficile che possano essere approvati con questa modalità più di 5 provvedimenti, tra l'altro in un periodo limitato 17 ). LA LEGGE FINANZIARIA E LA DECISIONE DI BILANCIO

La definizione degli aspetti specifici della manovra di finanza pubblica avviene nella sessione autunnale di bilancio. Le leggi finanziarie per il 2001, il 2002 e il 2003 hanno in pratica assorbito, al di là delle intenzioni del legislatore della legge 208 del 1999, i sostanziali contenuti del soppresso provvedimento collegato di sessione: nelle successive manovre di bilancio tale ruolo è stato svolto da decreti-legge e dal moltiplicarsi dei commi della legge finanziaria. Anche a prescindere da norme di carattere ordinamentale, in alcuni casi indispensabili per modulare le policy di breve periodo nei vari settori, la tipizzazione prevista dalla riforma del 1999 non ha funzionato come incisivo argine contenutistico. L'idea secondo cui, realizzato il risanamento finanziario, si potesse procedere senza l'ausilio del potente strumento del "collegato di sessione", con una finanziaria "snella", simile, se non proprio uguale, a quelle del decennio 1988-1998, e provvedimenti collegati ordinamentali, presentati nel corso della sessione ed approvati nei mesi successivi, non ha funzionato 18 . Le leggi finanziarie hanno incluso varie norme ordinamentali, motivate da esigenze diverse, sicuramente dallo spettro molto più ampio di quello previsto dalla lettera i-bis, introdotta dalla riforma del 1999, che limita le norme ordinamentali alla fattispecie del significativo miglioramento dei 90


saldi. Analogamente, pii che ampio utilizzo della fattispecie prevista dalla lettera i-ter si è avuto con le norme che implicano maggiori spese. Gli interventi per favorire lo sviluppo, di carattere non microsettoriale, tendono a dilatarsi, fino a ricomprendere, in alcuni casi, anche trasferimenti correnti alle famiglie, nonché interventi specifici (in cui la soglia della microsettonalità viene posta molto in basso rispetto a quelli che probabilmente erano gli intendimenti del "riformatore" della legge 468178).19 Al riguardo, si potrebbe introdurre un limite quantitativo (ad esempio, intorno allo 0,0005 del PIL del triennio di riferimento del bilancio pluriennale) per discriminare l'introduzione di una norma nella legge finanziaria. Rispetto alla situazione del 1986 analizzata da Sergio Ristuccia in un saggio dal significativo titolo "Ascesa e declino della legge finanziaria"20 uno degli elementi fondamentali - l'ampiezza del contenuto della legge finanziaria - è sostanzialmente rimasto immutato. Inizialmente, la legge 362 del 1988 ha segnato il superamento del modello della finanziaria "omnibus" che aveva caratterizzato il primo decennio di applicazione della legge 468, asciugando ("tipizzando") il contenuto della legge finanziaria e introducendo i provvedimenti collegati. In realtà, il declino è stato solo apparente: a una finanziaria snella si è ben presto affiancato un collegato di sessione "omnibus". Nel 1999, poi, con la legge 208 si è ritornati a una finanziaria "robusta". Negli anni si sono sperimentate variazioni sui tema. Nella sessione di bilancio 2004, una legge finanziaria relativamente "snella" fu accompagnata' sempre da un omnibus, un nuovo collegato di sessione, stavolta addirittura in forma di decreto_legge 21 . Negli anni successivi una legge finanziaria pingue, con centinaia di commi approvati con un unico' voto di fiducia, è stata accompagnata anche da decreti-legge. In pratica, pur nell'oscillazione dei modelli formali, la presenza di un provvedimento omnibus tra quelli discussi nella sessione di bilancio è una costante in un'esperienza che ormai dura da pi1 di un quarto di secolo. Rispetto alla situazione del 1986, un aspetto è invece mutato in modo sostanziale, quello dei vincoli sulla decisione di bilancio. La legge 468 non aveva intaccato la particolarità della decisione di bilancio di rappresentare una sorta di "zona franca" rispetto agli obblighi di copertura: la legge finanziaria nasce, infatti, libera da vincoli di copertura (oltre che di contenuto). Il rapporto tra decisione di bilancio e quarto comma dell'articolo 81 viene risolto dalla legge 362 del 1988, che disegna il sistema di vincoli ancora oggi vigente a garanzia della tenuta dell'architettura che affida al DPEF l'impostazione della programmazione finanziaria. ,

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Il sistema di vincoli definito dal combinato disposto del quarto comma dell'articolo 81, della legge 468 del 1978 modificata dalla legge 362/88 e dei Regolamenti parlamentari prevede, per quel che concerne le leggi ordinarie, che nuove o maggiori spese sono possibili solo se controbilanciate da incrementi di entrate o riduzioni di spesa. Per i provvedimenti approvati nella sessione di bilancio (legge finanziaria ed eventuali collegati), vi è un vincolo di copertura, analogo a quello operante per le leggi ordinarie, limitato alla parte corrente del bilancio. Conseguenza di questo sistema è che il disavanzo di bilancio può peggiorare da un anno all'altro esclusivamente per uno dei seguenti motivi: 1) aumento delle spese (o riduzione delle entrate) a legislazione vigente; 2 errata quantificazione degli effetti finanziari di nuovi provvedimenti legislativi; 3) maggiori spese in conto capitale decise nella sessione di bilancio. Le decisioni prese nella sessione di bilancio sono poi soggette a un ulteriore vincolo, che richiede di non peggiorare il saldo complessivo di bilancio (saldo netto da finanziare di competenza) programmato dal Governo nel DPEF e recepito dal Parlamento nelle risoluzioni di approvazione dello stesso DPEF 22 . Ciò fa sì che le eventuali spese in conto capitale decise nella sessione di bilancio e finanziate in disavanzo (di cui al punto 3) non possano comunque determinare un disavanzo complessivo di bilancio in contrasto con quanto programmato dal Governo. A questo proposito, i regolamenti parlamentari stabiliscono che nella sessione di bilancio il Presidente dell'Assemblea (ovvero, nella fase referente, il Presidente della Commissione bilancio) ha il potere di dichiarare non ammissibili gli emendamenti (di iniziativa parlamentare o governativa) che contrastino con le regole di copertura delle spese correnti e con quelle relative al saldo netto da finanziare. A partire dagli anni Novanta, anche l'obiettivo del fabbisogno (di cassa) del settore statale, programmato dal Governo nel DPEF e riproposto nella Relazione previsionale e programmatica, è stato utilizzato come vincolo da far operare nella trattazione degli emendamenti. Analogo ruolo svolge, a partire dalla sessione di bilancio per il 1998, l'obiettivo sull'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche. In estrema sintesi, si può affermare che il quadro dei vincoli che abbiamo descritto per grandi linee è costruito per assicurare la tenuta di un obiettivo sul disavanzo. È naturale chiedersi se esso costituisca una garanzia contro disavanzi elevati e crescenti. La risposta è negativa. In realtà, i vincoli incorporati nella legislazione italiana come si è definita all'inizio 92


degli anni Novanta - pur se rispettati non soio ex ante ma anche ex post, vale a dire anche in assenza di errori di quantificazione o di previsione non implicano affatto un disavanzo decrescente, né tanto meno il pareggio del bilancio, neanche della sola parte corrente. L'andamento spontaneo della spesa per i programmi permanenti (entitlements, interessi, spese per il funzionamento della macchina amministrativa) di cui al punto 1) può benissimo portare a disavanzi elevati e crescenti. Secondo una lettura molto diffusa, pur non implicando il pareggio del bilancio, il sistema di vincoli definito all'inizio degli anni Novanta corrisponde al pareggio al margine. Si tratta di una tesi messa in crisi dall'esperienza dei primi anni del nuovo secolo. Nella sessione di bilancio 2000, tra i mezzi di copertura della legge finanziaria ha fatto la sua comparsa il miglioramento del risparmio pubblico (il saldo della parte corrente del bilancio). La prassi è stata riproposta nelle tre successive sessioni di bilancio (non in quella 2004, ma solo perché per la prima volta dopo sei anni il risparmio pubblico peggiora invece di migliorare, e, per lo stesso motivo, neppure in quelle del 2005 e del 2006), dando così seguito a un'interpretazione parlamentare del comma 5 dell'articolo 11 della 468, che risale al 1989, ma che era rimasta senza conseguenze pratiche nel decennio successiv0 23 Al di là della questione del miglioramento del risparmio pubblico, tutto il sistema di vincoli che deriva dal quarto comma dell'art. 81 della Costituzione ne sconta la caratteristica fondamentale di limitare unicamente le nuove decisioni di bilancio, senza alcuna considerazione degli effetti finanziari delle decisioni prese nel passato 24 . Per un bilancio caratterizzato da un limitato peso degli automatismi di spesa, un vincolo sulle nuove decisioni poteva anche approssimare un vincolo sull'equilibrio complessivo del bilancio La diffusione di programmi di spesa open-ended, soprattutto nell'area della protezione sociale, che ha caratterizzato l'evoluzione della finanza pubblica nel dopoguerra, ha allargato in modo irrimediabile la distanza tra effetti delle nuove decisioni e dinamica del disavanzo complessivo. Insomma, i vincoli, in quanto agiscono sulle nuove decisioni di bilancio, non limitano di per sé il saldo programmato dal Governo entro un livello prefissato. I vincoli esistenti, se rispettati ex ante ed ex post, servono a garantire che il disavanzo sia quello "desiderato" dal Governo. Questo sembra essere il vero cardine del sistema di vincoli derivati dall'obbligo costituzionale di copertura. Infatti, un disavanzo di bilancio "non desiderato" può emergere solo attraverso le cause indicate nel punto 2) - errori nella quantificazione delle conseguenze finanziarie della nuova legislazione - e nel punto 1) .

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gli andamenti a legislazione vigente - limitatamente, quest'ultimi, alla parte non prevista. Da questo punto di vista, si deve riconoscere che il sistema ha avuto successo. La legge 362 ha segnato una cesura nel ruolo della sessione di bilancio nella determinazione del saldo. Negli anni Settanta e Ottanta, le modifiche decise in Parlamento tendevano ad ampliare in misura molto rilevante - anche di quasi il 50% - il saldo netto da finanziare proposto dal Governo. Nel periodo successivo, i vincoli di copertura della parte corrente della legge finanziaria e sul saldo complessivo introdotti dalla legge 362 hanno funzionato con efficacia: le modifiche subite dal saldo sono sempre state di entità modesta e, a volte, di segno negativo. La sistemazione attuata nel 1988 con la legge 362 ha lasciato ancora da affrontare due ordini di questioni: la possibilità che errori di previsione vanifichino ex post la difesa dell'obiettivo sul disavanzo e l'assenza di un vincolo sul livello del disavanzo. L'evoluzione successiva alla 362 ha riguardato proprio questi due aspetti. Iniziamo dal primo. Sforzi importanti sono stati fatti per migliorare la qualità delle previsioni. Una delle più importanti innovazioni della 362 è stata la formalizzazione di una procedura per la quantificazione degli oneri, che prevedeva che i disegni di legge e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportassero nuove o maggiori spese ovvero diminuzioni di entrate dovessero essere corredati da una relazione tecnica, soggetta a verifica da parte dei Servizi bilancio del Parlamento (istituiti per tale scopo). La procedura restava, tuttavia, all'interno della logica del pareggio (previsto) al margine. Il riferimento della norma unicamente alle innovazioni con effetti potenziali di incremento del disavanzo (nuove o maggiori spese e minori entrate) è, a questo proposito, indicativo. Successivamente, prima la prassi parlamentare e poi la legge 208 del 1999 hanno esteso il circuito relazione tecnica-verifica delle quantificazioni ai disegni di legge con effetti di riduzione del disavanzo. La stessa legge 208 ha reso obbligatoria la predisposizione della relazione tecnica anche per i decreti legislativi. Anche dopo la 208 è assente, comunque, una verifica tecnica delle previsioni a legislazione vigente e sostanzialmente mancano momenti di verifica ex post degli effetti finanziari delle innovazioni legislative (cfr. nelle pagine successive le notazioni sul DL 194/2002). La procedura non incide, quindi, su errori di previsione della crescita spontanea della spesa e delle conseguenze finanziarie della nuova legislazione: i due fattori che abbiamo individuato come potenzialmente responsabili di scostamenti tra obiettivi e risultati. Riguardo al primo aspetto, è singolare, ad esempio, che risorse vengano impiegate nella 94


verifica ex ante delle quantificazioni di innovazioni legislative anche di poco conto, mentre le previsioni a legislazione vigente di grandi voci di spesa come quelle per il personale, la sanità o le prestazioni pensionistiche non siano soggette ad alcuno scrutinio. Per consolidare le garanzie di tenuta degli obiettivi, è ancora da completare, quindi, il sistema della verifica delle quantificazioni. A tal fine sarebbe necessario estendere la verifica ex ante delle previsioni a tutti i documenti incorporati nel progetto di bilancio, inclusi gli andamenti tendenziali dei grandi programmi di spesa e di entrata. In generale, la stessa quantificazione degli effetti di innovazioni legislative in materia di entrate e in molti settori di spesa non può essere effettuata se non a partire dagli andamenti a legislazione vigente. Al riguardo, è molto opportuna la decisione contenuta nella legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 480) di predisporre una "spending review". Per quanto riguarda la verifica ex post degli effetti finanziari delle leggi di spesa, va ricordato che la legge 362 stabiliva che il ministro dell'Economia riferisse al Parlamento e assumesse le conseguenti iniziative correttive qualora nel corso dell'attuazione dileggi si fossero verificati scostamenti rispetto alle previsioni di spesa o di entrate indicate nelle medesime leggi al fine della copertura finanziaria (legge 468/1978, art. 1 1-ter, comma 7). Questa disposizione, tuttavia, non ha mai trovato applicazione concreta, fino alla innovazione introdotta dal cosiddetto decreto "taglia spese" (DL 194/2002, convertito nella legge 246/2003) che ha modificato la legge 468, prevedendo l'obbligo di una clausola di salvaguardia per spese il cui onere non può considerarsi un tetto di spesa (cfr. infra) e aggiungendo all'elenco dei contenuti della legge finanziaria una nuova fattispecie: "norme recanti misure correttive degli effetti finanziari delle leggi" per le quali si sono verificati scostamenti rispetto alle previsioni (legge 468/78, art. 11, comma 3, lett. i-quater). La novità non è, quindi, di grande portata: si limita a indicare un "contenitore" (la legge finanziaria) per una procedura che poteva essere attivata già nel quadro normativo precedente. La prima applicazione della nuova norma si è ritrovata nell'allegato i alla legge finanziaria 2004 che riporta un elenc9 dileggi per le quali si erano verificate eccedenze di spese che andavano coperte con la legge finanziaria. Con riferimento al bilancio dello Stato, si tratta in gran parte di trasferimenti all'INPs e, inoltre, di trasferimenti ai Comuni e delle spese di giustizia (spese collegate allo svolgimento dei procedimenti civili e penali) 25 . Questa applicazione della procedura ex comma 7, art. 11 -ter, ripetuta negli anni seguenti (alcune volte per le stesse voci), lascia perplessi, soprattutto in 95


quanto non sono chiari né i criteri con cui sono state selezionate le leggi di spesa assoggettate alla procedura, né le modalità di calcolo che hanno portato a individuare le eccedenze di spesa. Se fosse presente una relazione tecnica che giustificasse pienamente i motivi dei debordi di spesa di precedenti leggi, che comunque si intendono continuare ad applicare, la tecnica proposta con l'art. 11, comma 3, lett. i-quater, avrebbe i suoi meriti. La legge finanziaria rappresenterebbe un punto di snodo importante tra la nuova manovra, che per la spesa dovrebbe essere esposta soprattutto nei fondi speciali, e la copertura di precedenti provvedimenti rifinanziati o ricoperti; il tutto nel. rispetto di un saldo complessivo, principale decisione politica contenuta nella legge finanziaria e in precedenza programmata nel DPEF. Potenzialmente piii importante è un'altra innovazione del DL 194: quella secondo cui ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese non quantificabili con certezza (e che quindi dia luogo a uno stanziamento che non possa configurarsi come limite massimo di spesa) definisca "una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime". Le caratteristiche della clausola di salvaguardia restano, tuttavia, ancora da precisare. Per ora, nella produzione legislativa, la clausola di salvaguardia ha assunto la forma, del tutto pleonastica, di rinvio alla procedura sopra descritta di cui al comma 7 dell'art. 1 1-ter di monitoraggio della spesa, con trasmissione al Parlamento, corredati da apposite relazioni, degli eventuali decreti di utilizzo dei Fondi di riserva per le spese impreviste o per le spese obbligatorie e d'ordine. A ciò si è aggiunto il rischio che venga considerata non degna di attenzione la giustificazione degli oneri indicati come tetti di spesa (mentre dovrebbe essere mostrata la congruenza tra stanziamento e obiettivo delle norme); nonché il rischio di giudicare le clausole di salvaguardia alternative ad una attenta quantificazione. Per ora il quadro delle innovazioni del DL 194 relative alle leggi di spesa appare confuso. Il dato nuovo, positivo, in un sistema che tradizionalmente ha sempre trascurato le valutazioni ex post, è l'attenzione a questo aspetto. Resta da vedere se da essa possano derivare azioni conseguenti che consentano un effettivo e trasparente monitoraggio della spesa 26 . Allo scopo è anche necessario un aggiornamento delle relazioni tecniche da parte della Ragioneria generale dello Stato al passaggio tra un ramo e l'altro del Parlamento. Solo una relazione che rappresenti il provvedimento come approvato definitivamente dal Parlamento può essere una pietra di paragone per un significativo monitoraggio della spesa 27 . Trattando del decreto "taglia spese", non si può evitare di accennare a una 96


disposizione, non direttamente rilevante ai nostri fini, ma di grande importanza per gli equilibri del processo di bilancio. Ci riferiamo alla norma (art. 1, comma 3) che attribuisce al ministro dell'Economia la facoltà di limitare, previa una procedura non particolarmente stringente, gli impegni di spesa e i pagamenti entro limiti percentuali determinati in misura uniforme rispetto a tutte le dotazioni di bilancio (con esclusione di una serie di spese obbligatorie). Al di là delle buone intenzioni, tale disposizione potrebbe avere effetti negativi, in quanto rende non vincolante l'esito del processo di formazione del bilancio e danneggia la funzionalità di un'amministrazione dotata di un bilancio da considerarsi sempre sub iudice. A ben vedere, tuttavia, se si riflette sulla tradizionale gestione del bilancio di cassa e sul ruolo che in esso assume la gestione della Tesoreria, si tratta solo di una conferma di una caratteristica del nostro processo di bilancio: "tra Governo e Parlamento" solo nella fase della formazione, mai in quella della gestione. Questione irrisolta ancora all'inizio degli anni Novanta era l'assenza di un vincolo sul livello del disavanzo. La novità più rilevante dell'ultimo quindicennio è, appunto, la modifica della nostra costituzione fiscale con l'inclusione di un tale vincolo: quello derivante dal Trattato dell'UME che fissa un limite (3% del PIL) all'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche. L'innovazione, rispetto al tradizionale ambito dei vincoli sulla nostra decisione di bilancio, è duplice: il vincolo europeo opera sui risultati (invece che sulle previsioni) e riguarda la totalità delle Arnministrazioni pubbliche (invece del solo bilancio dello Stato). Il vincolo europeo pone notevoli problemi di carattere pratico, connessi alla sua integrazione nel nostro sistema di vincoli sulle decisioni di bilancio. Lintegrazione e importante anche perche 1 apparente maggior potenza" del vincolo europeo rispetto al nostro vincolo costituzionale potrebbe indurre alcuni a ritenere che il secondo sia ormai superfluo. Si tratterebbe di un grave errore: in realtà i due vincoli dal punto di vista logico sono complementari. Quello di copertura ex ante agisce a livello delle singole decisioni, quello europeo interviene a posteriori sul risultato aggregato. Ai fini dell'integrazione, le discrasie più evidenti sono due: il vincolo europeo agisce su un disavanzo espresso in termini misti cassa-competenza (più precisamente, di competenza economica) ed è relativo all'intero conto delle Amministrazioni pubbliche, il sistema di vincoli pre-esistente opera su previsioni di competenza giuridica riferite al solo bilancio dello Stato. A ben vedere, le stesse discrasie erano presenti in passato, quando si 97


poneva in relazione l'obiettivo della politica finanziaria allora utilizzato il fabbisogno di cassa del settore statale - e la nozione di disavanzo determinata nei documenti di bilancio, il saldo netto da finanziare. La prassi parlamentare, di far operare il fabbisogno come vincolo nella trattazione degli emendamenti, era una risposta molto parziale al problema. Ciò non soltanto per le differenze tra i conti ma in quanto il riferimento al fabbisogno del settore statale restava ancora un corpo estraneo in una sessione di bilancio tutta incentrata sulla competenza: gli effetti complessivi sul settore statale delle decisioni prese nella sessione di bilancio sono visibili soltanto tre mesi dopo la sua conclusione, quando, alla fine di marzo, viene presentata la prima Relazione trimestrale di cassa. Da questo punto di vista, il vincolo europeo sulle Amministrazioni pubbliche si è semplicemente aggiunto a quello sul fabbisogno del settore statale, condividendone la difficoltà di integrazione nelle procedure di bilancio. Le relazioni tra competenza e cassa riguardo sia al bilancio dello Stato sia ai conti delle Amministrazioni pubbliche, insieme con collegamenti pRi stringenti tra la programmazione di bilancio (DPEF) e i provvedimenti "collegati", sono questioni molto importanti, che sarebbe auspicabile fossero affrontate comunque, a prescindere dalle novità istituzionali introdotte dai trattati europei. Queste ultime aumentano il peso di tali questioni nell'agenda di una riforma delle nostre procedure di bilanci0 28 .

Questo articolo riprende quanto pubblicato in Autori vari, Coltivare istituzioni, istituire cultura: "Festschrzj"per Sergio Ristuccia, 2003. Sono stati aggiornati alcuni riferimenti a DPEF e leggi Finanziarie più recenti.

AA.Vv., Dentro la finanziaria, QIR 1986 e «queste istituzioni», n. 74, 1988. Analogamente si sarebbero potute intitolare queste pagine come il Rapporto della Fondazione Olivetti (1985), Il Bilancio fra Governo e Parlamento, a cura di Sergio Ristuccia, per ricordare un filone di analisi sempre curato da Ristuccia in articoli, convegni (di cui almeno due del Gruppo di studio Società e Istituzioni a Cortona) e nell'attività professionale. 2 Si rimanda, ad esempio, a DEGNI M., SALVE98

G., L'evoluzione del processo di bilancio dal la legge 46811978 alla recente riforma, in Le nuove regole del bilancio statale a cura di M.L. BASSI, Franco Angeli, 2001. Ad esempio, per quel che riguarda la copertura delle leggi di spesa, si veda l'analisi critica contenuta in SALVEMINI G. (a cura di), I guardiani del bilancio, Marsilio 2003. Se "la valutazione dei costi delle leggi - questo, in ogui caso, è il punto - è anche e soprattutto un'occasione per riqua4ficare l'Amministrazione" (così concludeva Sergio RiMINI


stuccia in un convegno all'Iscona dell'aprile 1988 il suo intervento, pubblicato col titolo Valutazione dei costi delle leggi di spesa, in Rivista bancaria - Minerva bancaria), sarebbe opportuno non sprecare le potenzialità dello strumento delle relazioni tecniche, che tra l'altro avevano ben operato nella fase di riequilibrio della finanza pubblica del 1992-1997. Le regole formali e sostanziali da applicare alle relazioni tecniche appaiono meritevoli di ulteriori approfondimenti metodologici. 'I Cfr. DEGNI M. , SALVEMINI G., op. cit., pagg. 123-130. 5 In particolare, le scelte del DPEF vengono riproposte generalmente senza sostanziali cambiamenti nel Programma di stabilità presentato all'UE nel successivo mese di dicembre; le scelte del DPEF non possono essere contrastanti con quanto esposto nel precedente Programma di stabilità, ma non è detto che, con apposita chiarificazione, non possano discostarsi da questo, pur nel rispetto del Patto di stabilità europea che richiede un indebitamento netto "dose to ba/ance"o in avanzo, quale garanzia del rispetto del limite massimo del 3 per cento fissato dal Trattato UE. Secondo quanto esposto nella Relazione della Banca d'Italia per il 2001, il Patto di stabilità e

crescita prefigura "una situazione in cui i saldi di bilancio effettivi oscillano intorno al pareggio in finzione della congiuntura» senza mai registrare disavanzi superiori al 3 per cento del prodotto". Ovviamente per l'Italia deve continuare la progressiva riduzione del debito pubblico. 6 Una analisi economica dei passati DPEF è contenuta in DEGNI M., EMILIANI N., GASTALDI E, SALVEMINI G., VIRNO C., Il riequilibrio della finanza pubblica negli anni Novanta, in «Studi e Note di Economia», Quaderni 7, 2001, pagg. 29-52 a cura di F. GASTALDI (con la quale si è discusso questo paragrafo). ' Una prima indicazione di questa esigenza si era riscontrata nel DPEF per il 2001-04, che riportava però solo alcune informazioni di sintesi sull'andamento delle entrate e delle spese per il comparto delle amministrazioni locali, 8 Ciò dovrebbe essere coerente con la riclassi-

ficazione della struttura del bilancio dello Stato sulla quale si sta lavorando nel corso del 2007 nell'ambito del ministero dell'Economia e delle Finanze. 9 Si veda anche la relazione di G. PISAURO al seminario su "La democrazia del bilancio" del 27.2.2007, tenutosi in Roma presso la Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze.

"Io penso e confermo con forza la mia convinzione, cioè che luglio debba auspicabilmente restare il momento di fissazione dei paletti', rappresentati non soltanto dal saldo ma anche dai principali aggregati del bilancio", in Audizione del ministro dell'Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, Commissioni bilancio riunite, seduta del 13/2/2007. il Il modello consolidatosi negli anni Novanta prevedeva, accanto a una legge finanziaria costituita da disposizioni meramente quantitative (modifiche di parametri tributari, rimodulazione delle leggi di spesa pluriennale, determinazione degli stanziamenti dileggi di spesa permanenti, ecc.), un provvedimento collegato di sessione, da approvare entro il 31 dicembre, nel quale trovavano posto le innovazioni legislative che rappresentavano il nucleo della manovra. Tale provvedimento collegato ha spesso riproposto patologie analoghe a quelle delle finanziarie omnibus che avevano caratterizzato il modello prevalente negli anni Ottanta. Soprattutto sul finire degli anni Novanta si è, infatti, affermata la tendenza a sovraccaricare il collegato di sessione di norme prive di effetti finanziari immediati (norme di tipo ordinamentale e deleghe). La legge 208/99 ha, come è noto, mutato il quadro riallargando l'ambito della legge finanziaria per comprendere, in generale, norme che comportano effetti finanziari, purché questi si esplichino fin dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale. Sono, comunque, espressamente escluse dall'ambito della legge finanziaria norme di delega o di carattere ordinamentale e organizzatorio (queste ultime, fatto salvo il caso in cui si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi) e norme finaIO

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lizzate al sostegno e al rilancio dell'economia che contengano interventi di carattere localistico microsettoriale (art. 11, legge 468/78 e successive modifiche). Per quanto riguarda i provvedimenti collegati, si fissa il 15 novembre come tempo limite per la presentazione alle Camere, si fornisce un'indicazione sul contenuto, stabilendo che ciascun provvedimento debba recare "disposizioni omogenee per materia". 12 Il 15 novembre 1999 sono stati presentati 7 provvedimenti collegati alla manovra di bilancio 2000 (divenuti 8 con l'inserimento del disegno di legge sulle aziende municipalizzate nelle priorità governative), di questi solo 3 sono stati trasformati in legge, dopo che erano stati confermati come collegati nel DPEF 200 1-04, che non ha introdotto altri provvedimenti della specie per l'imminenza della fine della legislatura. Nel 2002, la nuova maggioranza di governo ha presentato 7 disegni di legge collegati, divenuti 10 in seguito agli stralci effettuati (3 sono stati approvati nella seconda parte del 2002 e 4 nel 2003). Nel 2003, non sono stati presentati provvedimenti collegati ordinamentali; tuttavia, il decreto-legge presentato insieme alla legge finanziaria per il 2004, in pratica risulta ripristinare uno strumento simile al "collegato di sessione" degli anni Novanta. Anche nelle manovre per il 2006 e per il 2007 è stata seguita questa procedura anomala, con la presenza di un decreto-legge "di sessione". 13 A provvedimenti di rilevanza settoriale, che rispondono sostanzialmente a una congerie di esigenze normative delle Amministrazioni di spesa, solo parzialmente soddisfatte con la legge finanziaria, si affiancano provvedimenti di natura più generale, tendenti a riformare in profondità interi comparti, con un intenso ricorso alle deleghe e a strumenti futuri (la legge finanziaria) per la realizzazione concreta di quanto annunciato nelle norme di natura programmatica. 4 Va comunque notato che poiché gli attuali collegati alla manovra di finanza pubblica riguardano il profilo di medio periodo, le conseguenze di una loro mancata approvazione appaiono me100

no dirompenti rispetto al quadro normativo precedente (dove, essendo il collegato di sessione parte integrante della manovra finanziaria per l'anno successivo, carenze nella sua definizione avrebbero implicato il fallimento di questa). 5 Per un esame dettagliato della normativa e delle problematiche dei fondi speciali si rimanda a DEGNI M., SALVEMINI G. (2001), op. cit. (in particolare, § 3.4, pagg. 162-171). 16 Peraltro le grandi riforme strutturali dovrebbero essere esaminate nelle Commissioni parlamentari competenti e con procedimento legislativo normale. 17 Tale vincolo sulla numerosità dei disegni di legge collegati, fermo restando quello sulla omogeneità per materia già previsto dalle norme vigenti, potrebbe anche essere introdotto nella legislazione, rendendo il Governo più "forte" nel non soddisfare richieste dei singoli ministri e nello svolgere una programmazione di medio periodo per l'attuazione del proprio programma. 18 Il problema, che appare con chiarezza fin dalle prime battute del percorso parlamentare dei disegni di legge finanziaria, risulta confermato e rafforzato nel testo definitivo. Alcuni semplici dati quantitativi rendono con immediatezza il carattere "alluvionale" assunto dal documento finanziario. Per il 2001, dai 76 articoli del testo iniziale si è passati ai 158 del testo finale; per il 2002, da 37 a 79; per il 2003, da 46 a 95. Per il 2004, gli articoli approvati si sono ridotti (solo 4), ma i commi si sono moltiplicati (ben 497); ciò è avvenuto in modo esponenziale anche per le leggi finanziarie per il 2005, il 2006 e il 2007 (rispettivamente di 572, 612 e 1.364 commi, relativi a un unico articolo, approvato con il voto di fiducia). Le ragioni di queste difficoltà sono molteplici. La dinamica delle relazioni parlamentari non ha mai consentito in questi anni la definizione di corsie preferenziali, capaci di dare certezza alle riforme di spesa settoriali. Di conseguenza la finanziaria, che resta l'unico vero "treno normativo" sicuramente destinato a giungere a destinazione nei tempi prefissati, risente di un inevitabile sovraccarico decisionale. Nonostante


queste situazioni che, per molti aspetti, fanno impallidire il ricordo delle leggi finanziarie omnibus che hanno preceduto la riforma del 1988 (mediamente di 30 articoli, ridottisi nel decennio successivo sotto i 10), va comunque sottolineato il dato positivo del rispetto, almeno formale, degli obiettivi complessivi prefissati con la manovra di bilancio. In altre parole, il sistema fondato sulla fissazione di vincoli esterni alla sessione, nella risoluzione sul DPEF in termini di indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, di fabbisogno del settore statale e di saldo netto da finanziare del bilancio, ha mostrato una notevole capacità di tenuta. Anzi, ha "retto" anche con il passaggio dal risanamento allo sviluppo, al di fuori cioè di una situazione di emergenza finanziaria, che aveva costituito per quasi un decennio un potente deterrente al proliferare delle intenzioni di spesa. 19 Spesso, durante l'iter di approvazione della legge finanziaria, sono state presentate proposte emendative, fino a diverse migliaia, per motivi di ostruzionismo o di rappresentazione di interessi particolari. Il filtro di ammissibilità, anche se non risolve strutturalmente il problema, che probabilmente va affrontato con la fissazione di limiti quantitativi, opportunamente dosati, alla possibilità di presentare emendamenti nella sessione di bilancio, avrebbe dovuto rappresentare un valido ausilio. Consentire coperture generalizzate, valide per tutte le proposte emendative, a livello di gruppo parlamentare, come è stato fatto in alcune sessioni, indebolisce fortemente questo segmento del processo decisionale. Probabilmente la costruzione di un vaglio di ammissibilità più rigoroso sul versante della quantificazione e della copertura, soprattutto nella fase dell'esame in commissione, avrebbe costituito un freno alla proliferazione degli emendamenti, che si sarebbero concentrati sulle questioni di maggiore rilievo. Il Governo, che in qualche modo definisce, con la presentazione del disegno di legge, il contenuto eventuale della finanziaria, dovrebbe, nel corso dell'esame parlamentare, esercitare con discrezione il potere di emendamento,

indirizzandolo principalmente alla soluzione di aspetti generali della manovra. L'obbligo di presentazione delle relazioni tecniche documentate e dell'aggiornamento dei quadri riepilogativi allegati al disegno di legge dovrebbe inoltre essere tempestivo e puntuale, per evitare incertezze nel processo decisionale. Nelle passate sessioni di bilancio gran parte delle centinaia di proposte emendative accolte vanno ascritte, direttamente o indirettamente, alla responsabilità del Governo che, con la loro formulazione, ha svolto una azione di mediazione a tutto campo: tra le varie amministrazioni di spesa, prolungando di fatto nella sessione la fase di consultazione-programmazione che dovrebbe precedere la presentazione dei documenti finanziari; tra i gruppi della maggioranza, che a loro volta filtravano istanze provenienti da vari segmenti della società; con gli stessi gruppi dell'opposizione che, nonostante la critica radicale espressa nella discussione generale e con la presentazione di moltissime proposte emendative, hanno su molti aspetti specifici, realizzato significative convergenze. 20 RISTUCCIA S., Ascesa e declino della leggefinanziaria, in AA.Vv., op.cit., 1986, pagg. 9-57. 21 11 ricorso alla decretazione d'urgenza nasceva secondo il Governo dalla necessità "diproro-

gare alcuni interventi programmati e di avviare con immediatezza misure per stimolare l'economia con particolare riguardo ai settori in grado di incidere più significativamente sullo sviluppo e la competitività del sistema Italia" (Relazione illustrativa al disegno di legge finanziaria 2004 presentato il 30 settembre 2003). Nel caso specifico, l'ampiezza dei contenuti del decreto-legge ha suscitato perplessità. 22 Questo vincolo ha di fatto sostituito nella prassi parlamentare, quello previsto dalla legge 468, art. 11, sesto comma, secondo cui "le nuove o maggiori spese disposte con la legge finanziaria non possono concorrere a determinare tassi di evoluzione delle spese medesime, sia correnti che in conto capitale, incompatibili con le regole [di variazione delle entrate e delle spese del bilancio di competenza dello Stato e delle aziende autonome e de101


gli enti pubblici ricompresi nel conto delle pubbliche amministrazioni] determinate nel DPEF, come deliberato dal Parlamento". Per un approfon-

dimento, cfr. PISAURO G,, Un caso particolare di applicazione dell'art. 81: la legge Jìnanziaria, in I guardiani del bilancio, a cura di G. SALVEMINI, Marsilio, Venezia 2003, pagg. 141-156. 23 Questa modalità di copertura non era mai stata usata Lino al 1999, neppure negli anni (1998 e 1999) in cui i dati del bilancio evidenziavano effettivamente un miglioramento del risparmio pubblico. La ragione che comunemente si avanzava per spiegare questo approccio prudente era la scarsa rappresentatività degli anni 2 e 3 del bilancio pluriennale a legislazione vigente (cfr. DE IOANNA P., FOTIA G., 1996, Il bilancio dello Stato. Norme, istituzioni, prassi, La Nuova Italia Scientifica, Roma; Senato - Servizio del bilancio, 2000, La decisione di bilancio per il triennio 2000-2002, "Documento di base", n. 28, marzo). Secondo tale interpretazione, il miglioramento deve emergere dal confronto tra il risparmio pubblico del d.d,l. di bilancio pluriennale a legislazione vigente e il risparmio pubblico risultante dalle previsioni assestate per l'anno in corso. La norma può essere così sintetizzata: il risparmio pubblico per gli anni 1, 2 e 3, oggetto della decisione di bilancio, ha come limite inferiore il peggiore tra il risparmio pubblico dell'anno 1 a legislazione vigente e quello dell'anno O assestato. Si tratta di una rilevante deviazione da un principio di "pareggio al margine", per di più con una evidente asimmetria: se il risparmio pubblico a legislazione vigente migliora, lo spazio di copertura di nuovi oneri correnti si amplia; se, invece, il risparmio pubblico peggiora, lo spazio di copertura resta immutato. Insomma, più che di pareggio al margine si dovrebbe parlare di un divieto di non alterare in peggio, come paventava Luigi Einaudi nella "predica inutile" del 1948 che non a caso Sergio Ristuccia riproduce in calce al suo saggio del 1986. Per un'analisi dettagliata del ricorso al miglioramento del

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risparmio pubblico nelle sessioni 2000-2003 si rinvia a Pisauro (2003), op. cit. 24 Per questo motivo si può interpretare l'arr. 81, quarto comma, della Costituzione come una norma volta a scelte consapevoli nella allocazione delle risorse, piuttosto che come una norma diretta a perseguire il pareggio di bilancio. 25 Nel complesso, l'eccedenza rilevata per il 2004 è di 2.827 milioni di euro (al netto di 1.786 milioni considerati come regolazioni debitorie, in quanto spese già effettuate nel 2003) che vanno ad aggiungersi alla legislazione vigente del bilancio; nella relazione tecnica l'effetto delle stesse voci sul conto delle Amministrazioni pubbliche viene valutato in 310 milioni (presumibilmente si tratta della voce relativa alle spese di giustizia). Vista la natura delle spese, l'unica spiegazione possibile è che esse erano già state incluse nel tendenziale (a legislazione vigente) delle Amministrazioni pubbliche. Appare così palese, ma solo a posteriori, che spese per 1.786 milioni nel 2003 e 2.517 milioni nel 2004 non incluse nel bilancio dello Stato erano già comprese nel conto delle Amministrazioni pubbliche. 26 In questa direzione andrebbe una ristrutturazione del bilancio, in modo che a ciascuna legge corrisponda un capitolo, indicata tra le ipotesi allo studio nell'audizione del Ragioniere generale dello Stato presso la Commissione Bilancio della Camera del 16 luglio 2003. 27 Cfr. SALVEMINI G. (a cura di), 2003, op. cit. 28 Sulla copertura attuale del bilancio e la relazione tra cassa e competenza, si rinvia a: Commissione tecnica per la spesa pubblica, Raziona-

lizzazione e semplificazione dei documenti contabili, Roma 1998; FERRO P., SALvEMINI G., Le riforme dell'amministrazione, del bilancio statale e dei controlli: le nuove regole di costituzione fiscale, in «Economia pubblica», n. 5, 1999; PISAURO G., La programmazione finanziaria dopo le rfrme degli anni Novanta, Commissione tecnica per la spesa pubblica, Raccomandazione n. 412001, aprile 2001.


istituzioni n. 144 inverno 2007

Psicopatologia della manovra annuale di bilancio. Rassegna dei problemi e delle proposte di Claudia Lopedote

" ' a legge omnibus , 1 autostrada di emendamenti , il gioco dell oca , la Finanziaria degli eccessi , un moloch di comI 1 " I il 11 mi , un gigante poroso e permeaiie , i "1' assaito aiia alugen. ,, " . ,, ( ,, " . . . . za , la sindrome di onnipotenza legislativa , la fantasia al potere , i alluvione normativa", "un temo al Lotto", "la moltiplicazione dei commi e degli articoli", "la fiera della bulimia legislativa": il lessico politico (spesso di matrice giornalistica, non meno sovente di diretta origine parlamentare) in materia di manovra di bilancio è assai ricco, ma si attesta su un'area semantica assai ristretta e, almeno questa volta, di larga convergenza tra le parti e le opinioni più disparate. Questa procedura s'ha da rifare.

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ANAMNESI NAZIONALE

Adattando al nostro caso il brillante titolo di un saggio di Luciano Vandelli, Psicopatologia delle riforme quotidiane. Le turbe delle istituzioni. sintomi, diagnosi e terapie (Contemporanea, Il Mulino, 2006), si potrebbe parlare di psicopatologia della riforma della manovra di bilancio, che puntuale come le epidemie influenzali - investe la nazione una volta l'anno, ma si trascina per almeno cinque mesi ogni volta. Da ogni parte si levano voci indignate e preoccupate per le sorti (principalmente economico-finanziarie, con punte di criticità di rilievo costituzionale-legale ed etico) dello Stato di fronte ad una procedura che - in quanto blindata da un iter parlamentare garantito, il maxiemendamento con voto di fiducia sull'intero pacchetto a scatola chiusa, e dall'entrata in vigore certa entro la fine dell'anno - è un invito ad inserire ogni sorta di innovazione legislativa desiderata. Nelle parole di Zagrebelsky, "la Finanziaria è diventata un atto normativo mostruoso e incostituzionale"i. Al di là del problema di

L'Autrice è Assistente di direzione del Consiglio italiano per le Scienze Sociali 103


merito circa l'ammissibilità di norme non pertinenti con la manovra o non ammesse ex art. 81 cost., c'è poi il fatto che norme pur utili e necessarie - che richiederebbero comunque altre sedi e tempi di discussione e confronto, magari con ponderazione tecnica ed opportune analisi di impatto - fanno la loro comparsa nel maxi-emendamento e passano senza colpo ferire, e nella generale inconsapevolezza delle Assemblee parlamentari stesse. E, spesso, senza adeguato coordinamento e perfezionamento rispetto all'intera disciplina di pertinenza. La logica decisionale ne esce così fortemente alterata, senza che sia possibile ricostruire i circuiti delle responsabilità e dell'iter di singole disposizioni (v. la vicenda del c.d. comma Fuda in materia di prescrizione nei giudizi davanti alla Corte dei conti e l'indagine filologico-complottista alla ricerca del mandante). Un fenomeno, questo, intensificatosi negli ultimi dieci anni - con la I. n. 208 del 1999 che reintroduce nella Finanziaria la previsione di norme sostanziali in materia di spese e di entrate - tuttavia non nuovo al nostro sistema parlamentare: ricorda Valerio Onida che "ai tempi del parlamentarismo del primo Novecento le disposizioni inserite impropriamente nella legge di bilancio si chiamavano cavaliers budgetaires"2 . Giungiamo così ad oggi, con l'immutata ed irrisolta urgenza di snellire la procedura e riequilibrare i poteri di iniziativa di bilancio e di controllo tra Governo e Parlamento. Necessità, questa, che la modifica costituzionale del titolo V del 2001 (legge costituzionale n. 3) ha contribuito a rendere stringente ed attuale, alla luce dell'"enunciazione di un modello di ispirazione federale , insieme ad altri fattori esogeni al bilancio quali il "consolidamento di una forma nettamente maggioritaria nei processi di formazione della rappresentanza politica" 3 ed il complesso di "regole co munitarie del Patto di stabilità e crescita e dei relativi canali di monitoraggio" 4 . In riferimento alle ricadute di tali cambiamenti sulle procedure di formazione dei documenti finanziari dello Stato, Manin Carabba parla di "democrazia del bilancio smarrita". Da ritrovare 5 . Prima di passare ai lavori in corso, un sintetico excursus in tema di controlli. CURE ED ASSISTENZA

Sul profilo del controllo vi sono numerose proposte in favore della delega della redazione della relazione tecnica ai Servizi di bilancio di Camera e Senato, sul modello del Congress budget office degli USA (CB0), al fine di 104


inserire un terzo soggetto tecnico, politicamente neutrale ma responsabile in quanto non di diretto e stretto controllo politico - come invece la Ragioneria generale dello Stato - ma comunque legato al Parlamento in quanto sua struttura di supporto e documentazione/consulenza tecniconormativa6 L'on Pietro Armani, nel corso della seduta delle Commissioni riunite di Camera e Senato (V e 50) del 13 febbraio 2007, ha prospettato l'ipotesi di "modificare la Bassanini per scorporare rispetto al ministero dell'Economia e delle Finanze un servizio del bilancio che fosse, magari, non un vero e proprio ministero come era una volta, ma un servizio di bilancio che fungesse da authority di controllo di tutti i meccanismi della spesa. Non solo delle amministrazioni centrali, ma anche di quelle vincolate al Patto di stabilità interna. Evidentemente sarebbe l'ideale". Aggiungendo: Mi sembra, pero, che la situazione parlamentare, quanto meno in uno dei due rami del Parlamento, non consenta grossi interventi di riforma di questo tipo. Io mi limiterei pertanto ad alcuni aspetti giustamente ricordati dal senatore Vegas". Questa la proposta del sen. G. Vegas: "Si potrebbe offrire una sorta di contropartita per il maggior accentramento di potere in mano al Governp e per la limitazione dell'area di emendabilità , costituendo un nucleo indipendente di controllo delle decisioni legislative di entrata di spesa, parzialmente sulla scorta dell'esperienza del CB0 statunitense. Si tratterebbe di un sistema di garanzie che non andrebbe solo a vantaggio del Parlamento, ma che permetterebbe anche un maggiore controllo di molte iniziative ministeriali, soprattutto quando esse transitano impropriamente attraverso veicoli parlamentari" 7 Nella pratica, è esattamente quanto già accade, come rilevato da Perticone: 1 elevato tecnicismo, come pure la diffusa e comprensibile poca conoscenza da parte dei parlamentari della disciplina contabilistica, porta nell'esperienza comune a vanificare di fatto il sistema dei controlli sulla emendabilità delle disposizioni presentate dal Governo, attraverso una serie articolata e complessa di principi solo in parte positivizzati, sempre pii, anche di recente, integrati e specificati dalla prassi parlamentare, non sempre conforme tra i due rami del Parlamento. L'esperienza professionale dimostra, infatti, una remissione al corpo tecnico dell'Amministrazione delle Camere della determinazione materiale della copertura degli emendamenti presentati da deputati di maggioranza ed opposizione. In tal senso si assiste ad una congestione, ed allo stesso tempo ad un'autonomia di .

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giudizio e di decisione, di alcuni servizi della Camera nella determinazione della correttezza o dell'adeguatezza delle scelte assunte dal Governo e delle proposte di modifica presentate dai deputati. Alla stessa stregua del GAO, il Generai accounting office, o del CBO, il Servizio del bilancio dello Stato della Camera e del Senato svolge il controllo sull'attuazione e l'efficacia dei provvedimenti legislativi, oltre all'assistenza alle attività delle Commissioni permanenti sugli effetti finanziari dei documenti contabili. E d'altro canto facilmente verificabile la sproporzione tra il numero dei componenti dei Consiglieri parlamentari che svolgono questa attività nel nostro Parlamento e quella dei funzionari nord americani: in periodi di attività intensa, in sostanza nel corso dell'esame degli emendamenti presentati alla Commissione Bilancio, il rapporto non arriva a toccare quello di uno a dieci, pur volendo considerare l'elevatissimo contributo apportato dai documentaristi e il coinvolgimento dei Consiglieri del Servizio Commissionj" 8 Secondo Carabba 9 invece: "Una forma di controllo ampio ma mirato dell'evoluzione della spesa potrebbe ricalcare, secondo proposte formulate dalla cultura economica italiana (Giuseppe Pisauro) il metodo effettivamente seguito dalla Gran Bretagna (che non è per nulla seguito dal taglio Siniscalco) e che si caratterizza come una programmazione strategica pluriennale. In Gran Bretagna ogni due anni, il Governo pubblica una Spending review che fissa la spesa per ciascun Dipartimento su un orizzonte di tre anni... Insomma un approccio non improvvisato, con un'ottica pluriennale, dove certo i piani di spesa futuri non sono fatti sulla base di percentuali di crescita uniformi, ma per dirla con le parole del Treasury 'have targeted resources at the Governments priorities". Tra le esperienze estere, poi, l'autore cita "modelli gestionali imperniati sulla contabilità economica". Ci si riferisce, in questa chiave, soprattutto al Results act negli Stati Uniti (Government Performance and Results Act 1993), alla legge organica francese dell'agosto 2001 (Loi organique n. 2001/692), all'esperienza inglese del new public management. .

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DIAGNosI

Nel febbraio 2007, per la terza volta, la riforma dei conti dello Stato e della Finanziaria - nella proposta del ministro Padoa-Schioppa - è tornata all'esame del Consiglio dei ministri per poi dare il via alla nuova Commissione tecnica per la finanza pubblica, i cui dieci saggi hanno il compi106


to di rivedere le procedure di esame dei provvedimenti contabili, secondo due direttrici principali: analisi e valutazione della spesa delle PA statali; riclassificazione del bilancio e della finanziaria. La previsione iniziale era quella di sperimentare una versione della riforma già nel triennio 20082010. Poi, gli eventi in corso (la crisi di Governo a seguito del mancato appoggio in Senato alla proposta di risoluzione della maggioranza in materia di politica estera) hanno reso la previsione, oltre che ambiziosa, assai incerta. L'inaugurazione dei lavori della Commissione è stata fatta il 29 marzo, con la prima riunione in materia di spending review, riforma delle procedure della legge finanziaria e disegno di legge delega per l'attuazione del federalismo fiscale (la cosiddetta "bozza Giarda" - la prima, già archiviata, e la seconda, attualmente in circolo - sottoposta alle Regioni per raccoglierne pareri e suggerimenti, non ha suscitato gli entusiasmi dei Governatori, soprattutto per l'insoddisfazione circa la vaghezza del capitolo relativo al fondo perequativo). Quest'ultima, sotto la pressione dei Governatori di quelle Regioni - Veneto e Piemonte in testa (il Governatore Giancarlo Galan, Regione Veneto, ha chiesto al Governo Prodi certezze sui tempi dell'iter legislativo in materia) - molto preoccupati per i processi di "smottamento istituzionale" messi in atto dai referendum indetti in numerosi Comuni "di confine", desiderosi di distaccarsi dalle Regioni di appartenenza per "trasferirsi" nelle vicine Regioni a statuto speciale: Cortina d'Ampezzo, Asiago e dodici altri Comuni nel solo Veneto. Ad ogni modo, è opinione condivisa, per quanto diversamente sostanziata, che si debba al più presto ed inevitabilmente procedere ad una riforma o intervento sui documenti finanziari e sulle relative procedure di esame - secondo una delle molte diverse opzioni possibili - nel segno della semplificazione e della razionalizzazione. Pur con alcuni punti fermi, che escludono alcune possibilità: ad esempio, il modello britannico di legge finanziaria di iniziativa governativa che il Parlamento approva o rigetta senza potere emendativi; così come non si pone il problema della scelta tra "zero-based budget"e l'attuale sistema' 0 , poiché i vantaggi strategici intrinseci alla legge Finanziaria introdotta dalla legge n. 468 del 1978, come strumento di governo e controllo della finanza pubblica, ne hanno fatto da subito una ghiotta occasione di gestione micro-distributiva in un'ottica di opportunistica costruzione del consenso e degli accordi tra le parti politiche proprio in virtù del sistema delle politiche incrementali e congiunturali: "una finanziaria asciutta in cui non fosse possi-

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bile inserire norme di spesa e disposizioni relative a qualsivoglia materia sarebbe percepita come una camicia di forza dai parlamentari della maggioranza, e dai ministri e sottosegretari membri del governo, i quali vedrebbero svanire la possibilità di inserire nell'ultimo treno per Yum (l'ultima legge di spesa ad approvazione garantita prima dello scioglimento delle Camere) i tanti piccoli provvedimenti attesi dalle rispettive costituencies Tuttavia, una volta imboccata questa linea critica, vale ricordare - per non spingersi oltre in integralismi irrealistici - quanto detto da Vegas: "sotto un profilo pratico, la finanziaria costituisce un veicolo utile per Governo e Parlamento: infatti, da una parte, in essa trovano spazio norme che probabilmente non riuscirebbero, seguendo le vie ordinarie, ad essere approvate se non con tempi lunghissimi e con ampie modifiche, e, dall'altra, non si deve dimenticare che la finanziaria costituisce pur sempre strumento per l'attuazione del programma di governo, così come approvato dalla maggioranza che io sostiene. La finanziaria è poi strumento di raccordo complessivo della legislazione di spesa, che consente al Presidente del Consiglio, e per suo tramite al ministro dell'Economia, di ridurre ad unità e di valutare la compatibilità delle spinte centrifughe, difficili da controllare se lasciate ad iniziative e percorsi autonomi, che provengono da tutti i ministeri di spesa 12 . D'accordo con l'approccio realistico al tema della razionalizzazione e trasparenza anche Pisauro: "per certi versi, si tratta di un obiettivo che va perseguito con coerenza, nella consapevolezza che una sua completa realizzazione non è possibile. Il pork-barrel e il log-rolling, la costruzione di pacchetti di misure che accontentino tutti i partecipanti al processo come strumento necessario per raggiungere il consenso ed arrivare a una decisione, sono fenomeni ampiamente studiati dalla letteratura, soprattutto americana, e rappresentano caratteristiche probabilmente ineliminabili di un processo di bilancio parlamentare. Da questo punto di vista, l'idea che con intermittenza viene riproposta nel dibattito, di regolamentare l'oggetto della decisione, delimitando il contenuto della Legge finanziaria, non sembra finora aver avuto successo. Negli ultimi decenni siamo passati, senza risultati apprezzabili, dalla finanziaria 'omnibus' della legge 468/1978 alla finanziaria 'snella', integrata dai provvedimenti collegati, nella legge 362/1988, per tornare alla finanziaria 'robusta' con la legge 208/1999" 13• 108


TERAPIA

Il necessario ripensamento dei dispositivi di finanza pubblica dovrà prendere l'avvio dagli strumenti che informano la manovra di bilancio e che attualmente sono assai frammentati, consistendo di diversi documenti: il DPEF; lalegge finanziaria in binomio con la legge di bilancio; i "collegati" 14 ; le relative procedure parlamentari di esame; i regolamenti di Camera e Senato per la sessione di bilancio. Sarà quindi necessario riconsiderare la funzione da attribuire rispettivamente alla legge finanziaria e alla legge di bilancio (ruolo, finalità, struttura, e metodi di redazione), alla luce di due principi interrelati: la previsione di fonti legislative federali, oltre che statali, per il coordinamento della finanza pubblica e l'armonizzazione dei bilanci in qualità di materie di competenza concorrente; la collocazione dei meccanismi generali di coordinamento a monte degli strumenti annuali di formazione ed approvazione dei conti dello Stato, attraverso una "protezione di tipo procedimentale per quelle decisioni legislative che attuano le basi del federalismo (art. 119 cost.), pongono i principi del coordinamento e dell'armonizzazione di bilanci pubblici, e disciplinano la perequazione ed i livelli essenziali di cittadinanza (art. 117, lett. m) ed e), cost.)" 5 . In questò modo, le modifiche alla legge di contabilità nazionale vanno incontro al proposito fermo - da entrambe le parti politiche - di superare gli attuali limiti di leggibilità e trasparenza dei documenti di bilancio e delle relative procedure di formazione e di esame, al fine di restituire al Parlamento il ruolo che gli compete e che, secondo l'opinione maggioritaria in materia, è stato ampiamente defalcato a seguito dell'emanazione del decreto-legge "taglia-spese" (d.l. n. 194 del 2002). La riforma dovrebbe quindi prevedere una lista di interlocutori da coinvolgere a vario titolo nell'iter della manovra di bilancio: a monte, in itinere ed a valle. In primis, le Regioni ed il sistema delle autonomie locali, al fine di dare attuazione, in termini funzionali, al dettato costituzionale in materia di coordinamento della finanza pubblica per tutti gli enti pubblici, nel rispetto dei vincoli comunitari (art. 117 commi i e 2, cost.), ed in materia di piena autonomia finanziaria degli Enti locali (art. 119 cost.). E poi: l'Istituto di studi ed analisi economica (IsA]) e l'IsTAT, ai fini del coordinamento operativo tra finanza pubblica e contabilità economica nazionale. Infine, la Corte dei conti e la Corte costituzionale. Quanto a quest'ultima, il nodo dell'ammissibilità di proposte di norme ed emendamenti 109


nell'ambito della legge finanziaria nel rispetto di un principio di omogeneità della materia (l'attuazione della manovra economica) pone il problema del controllo, che in Italia è rimesso alla Presidenza delle Assemblee parlamentari (v. Reg. Camera artt. 120.2 e 121.5; Reg. Senato artt. 126.3 e 128.6 ), con ciò affidando la garanzia del rispetto dei contenuti propri della legge finanziaria alla maggioranza di turno. In Francia, al contrario, esiste la previsione di una procedura di ricorso immediato al Conseil constitution nel per far valere il rispetto di tali previsioni in caso di contenuto improprio della loi definances. Una proposta che va in tale direzione è quella di De loanna, il quale si richiama al complesso di opportunità del dibattito sulla forma di governo e le procedure di bilancio, nell'ambito dell'affermazione del modello (tendenziale) della democrazia maggioritaria e bipolare, per formulare la previsione di un meccanismo di rapido ricorso, in itinere, alla Corte costituzionale, in caso di conflitti tra maggioranza ed opposizione e tra Stato e Regioni. Con riferimento alla Corte dei conti, non mancano proposte'G che, sull'esempio del Generai Accounting Office (GA0) statunitense, ne prevedono il coinvolgimento nel ruolo di certificazione della gestione di finanza pubblica e di valutazione delle relative politiche pubbliche, alle dipendenze funzionali del Parlamento, con la garanzia di indipendenza. Su questo punto, è sufficiente accennare alle molteplici problematiche - non di poco conto - che apre un'ipotesi del genere. Si tratta, nei fatti, di considerare la fattibilità e soprattutto l'opportunità di un continuum "Corte dei conti-Corte costituzionale" nell'ambito del controllo giurisdizionale in materia di revisione del bilancio che, nel mezzo, vede le leggi di spesa, ovvero il rapporto "Corte dei conti-Parlamento". Al profilo degli "spazi vitali" della politica istituzionale si aggiungono poi considerazioni metodologiche - queste sì di fattibilità - relative all'effettiva e realistica esportabilità (pur con le dovute interpretazioni ed adattamenti) del modus operandi di un modello quale il GAO. Fra le soluzioni prospettate ed i disegni di legge via via presentati nelle Aule parlamentari, sul fronte minimalista c'è chi ritiene che molti dei problemi emersi possono essere "agevolmente" superati attraverso la mera e corretta applicazione della legge n. 468 del 1978 e successive modifiche, in coordinamento con quanto previsto dai Regolamenti parlamentari: prima fra tutti, una pit stringente e letterale attuazione dei ben noti e soventemente richiamati criteri di ammissibilità delle disposizioni contenu-

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te sia nel disegno di legge originario sia nei relativi emendamenti, costantemente aggirati. Di altra opinione è l'orientamento secondo il quale vi è l'esigenza di avviare una seria riflessione circa l'ipotesi di modifica dell'articolo 81 della Costituzione, insieme al processo di revisione degli istituti normativi in materia di finanza pubblica. Processo, questo, che investe materie tradizionalmente ascritte alla competenza parlamentare, intesa come rapporto Governo-Parlamento e come procedura endo-parlamentare, la funzione più classica di quelle democratiche: il Governo ha potere di decidere come e quanto spendere e tassare, il Parlamento ha il potere di autorizzarlo (o no). La bocciatura dei People's Budget di Lloyd George da parte della Camera dei Lords nel 1909, che produsse come conseguenza la riduzione dei ruolo della Camera Alta da parte del Pariiament Act del 1911, con l'introduzione del Money Bili; la vicenda della Prussia del 1862 - quando il Parlamento si rifiutò di votare il bilancio che conteneva stanziamenti per il potenziamento dell'esercito in vista della guerra - poi chiusa dall'intervento di Bismarckl 7 le parole di Edmund Burke nei discorso agli elettori di Bristol del 1977, sulla funzione di controllo 18 quale prerogativa principale del Parlamento. Senza andare troppo in là nel tempo, nell'Australia del 1975, una delle crisi più gravi si giocò proprio sui rigetto del bilancio di Governo da parte del Senato. Torniamo ad oggi. Seguendo la struttura ed i punti in comune alle proposte sull'argomento, è possibile individuare cinque principali punti di intervento, tre strumenti normativi e due ambiti problematici. Sinteticamente: il Documento di programmazione economico-finanziaria. Questo documento ha un potenziale di funzione di raccordo rispetto agii impegni annualmente assunti dall'Italia in sede comunitaria mediante il programma di stabilità, implementabile attraverso una struttura più razionale che contenga, ad esempio: un'adeguata esplicitazione delle politiche da perseguire; una netta distinzione tra andamenti programmatici e tendenziali; un'articolazione degli obiettivi per categorie economiche e funzionali in base alle classificazioni di contabilità nazionale; la legge di bilancio. Ai sensi dell'art. 81, comma terzo, della Costituzione, la legge di biiancio è legge formale con la quale non è possibile modificare la legislazione di entrata e di spesa esistente. In vista di un miglioramento della trasparenza e della leggibilità dei relativi dati, ed in connessione alla riforma della pubblica amministrazione, è particolar;

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mente sentita la necessità di valorizzare l'articolazione dei meccanismi di individuazione dei centri di responsabilità e delle unità previsionali di base (legge n. 94 del 1997) al fine di renderli pienamente rispondenti ai livelli di responsabilità dirigenziale effettivi, in vista della verifica e della valutazione. Così anche per la necessità di raccordare la classificazione del bilancio ai criteri di contabilità nazionale - da estendere anche alla tesoreria - in modo da rendere chiari i legami tra singola autorizzazione di spesa e relativa proiezione contabile in bilancio. Vegas indica tre obiettivi in vista dei quali lavorare: a) passare ad un bilancio strutturato per funzioni; b) abbandonare il modello di bilancio finanziario, per adottare quello del bilancio economico; c) estendere il contenuto del bilancio votato dal Parlamento da quello del solo Stato anche a quello degli altri enti del settore statale, ferma restando la possibilità di arrivare ad una sorta di bilancio consolidato della pubblica amministrazione; la legge finanziaria. A partire dalla proposta di ridenominarla "legge di stabilità" sul modello britannico (con approccio triennale: la spending review), la legge finanziaria va confermata come strumento distinto rispetto al bilancio a legislazione vigente, per tenere adeguatamente in conto i vincoli esterni ed interni alla finanza pubblica (e l'ordinamento comunitario ex art. 117, commi i e 2, cost.) e le norme di coordinamento della finanza pubblica (artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, cost.) comprensive dei saldi per i vari livelli e sub-settori della pubblica amministrazione. A monte della riflessione, c'è poi la necessità di rafforzare e garantire il divieto di introdurre con la legge di stabilità norme ordinamentali prive di un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi, ovvero interventi di carattere localistico e microsettoriale, ovviando per tale via ai profili problematici evidenziati dall'applicazione della legge n. 208 del 1999. La legge finanziaria deve così poter diventare la legge di bilancio dello Stato e delle sue amministrazioni, corredata di una relazione tecnica di accompagnamento che ne fornisca il fondamento giuridico ed economico, come in Francia 19 . Per finire, in tema di emendabilità della legge finanziaria, a fronte dell'insufficiente filtro delle Presidenze parlamentari, si pone l'esigenza di mantenere la facoltà di emendare i testi, ma di definire un ambito più ristretto e rigoroso, con riferimento agli emendamenti parlamentari ma anche a quelli governativi. Si potrebbe intervenire sulle procedure parlamentari a mezzo di riforme dei Regolamenti interni; le regole della finanza degli enti territoriali. Vanno definite regole certe relative al Patto di stabilità interno, disciplinando anche: gli aspetti fi112


nanziari dei vincoli che ne discendono e che sono presi in carico dai diversi livelli della pubblica amministrazione; le procedure di concertazione per i vari enti coinvolti; le forme di responsabilità (i relativi incentivi e disincentivi) di ciascun livello rispetto al raggiungimento degli obiettivi fissati. Verso un compiuto federalismo fiscale. Per un corretto e chiaro coordinamento, è quindi opportuno un intervento di riordino della legge n. 468 del 1978 e successive modificazioni, al fine di pervenire: - ad un'omogeneizzazione dei principi e della struttura dei bilanci degli enti pubblici e delle relative modalità di redazione dei vari conti pubblici. Omogeneizzazione che, tuttavia, non necessariamente o auspicabilmente significa identità, poiché - secondo Pisauro - "la scelta di un unico sistema di contabilità analitica per centri di costo per tutte le amministrazioni dello Stato non appare condivisibile. Innanzi tutto, essa sconta un limite di autoreferenzialità, non essendo possibile comparare in modo significativo le informazioni relative alle diverse amministrazioni. In secondo luogo è un sistema in teoria funzionale al controllo interno, ma basato su uno strumento, il bilancio dello Stato, concepito semmai per finalità di controllo esterno (da parte del Parlamento). In terzo luogo rischia di essere percepito come un esercizio rituale, dato il grado di rigidità di gran parte delle risorse (personale). È opportuno lasciare che il bilancio serva le finalità della UE e del Parlamento, mentre Governo e dirigenza vengano supportati da sistemi progettati ad hoc per ciascuna struttura, basati su informazioni che vadano ben al di là di quelle desumibili dai dati finanziari, per quanto aggiustati"; - alla piena realizzazione di una rete telematica che consenta di conoscere nel tempo più breve possibile l'andamento dei flussi finanziari della pubblica amministrazione e di monitorare pertanto il raggiungimento degli obiettivi fissati, andando avanti con il sistema sperimentale sulle operazioni degli enti pubblici (SI0PE) - gestito dalla Banca d'Italia per la rilevazione telematica di pagamenti ed incassi effettuati dai tesorieri di tutte le PA (ma non per l'altrettanto centrale funzione di monitoraggio dei conti pubblici con riferimento ai criteri di competenza economica), sulla base di classificazioni omogenee. A questo riguardo, tra le raccomandazioni del ministero del Tesoro per evitare di creare spazi per pratiche di "contabilità creativa", figura una raccomandazione affinché "vengano regolarmente pubblicate informazioni sul livello e la composizione delle attività finanziarie dello Stato (con la stessa frequenza con la quale vengono pubblicati i dati sul debito)" 20, e si 113


rimanda a quanto prescrive il Code of Good Practices on Fiscal Transparency elaborato dal Fondo monetario internazionale: "il bilancio annuale dovrebbe coprire in dettaglio tutte le operazioni dell'amministrazione centrale e anche fornire informazioni sulle attività fuori-bilancio della stessa amministrazione centrale. Inoltre, si dovrebbero fornire informazioni sufficienti sulle entrate e spese dei livelli inferiori di governo per consentire la presentazione di una posizione finanziaria consolidata della Pubblica amministrazione i profili istituzionali. La disciplina dell'attività emendativa dell'Esecutivo in relazione ai disegni di legge di bilancio e finanziaria deve prevedere una procedura più rigorosa nel corso dell'esame parlamentare dei provvedimenti in questione, al fine di renderli più coerenti con i vincoli di finanza derivanti dall'impostazione della legge finanziaria. Va poi favorito l'aggiornamento della relazione tecnica di accompagnamento dei testi che implicano conseguenze finanziarie all'atto del passaggio dell'esame tra i due rami del Parlamento (il Governo, in particolare, aggira l'obbligo della relazione tecnica con le modifiche in itinere); oppure, laddove di difficile attuazione, bisognerebbe introdurre disposizioni volte a rivedere, semplificare e rendere tempestive le informazioni del Governo al Parlamento sugli andamenti periodici della finanza pubblica (ad esempio, prevedendo la comunicazione, con cadenza mensile, dei dati coordinati sull'evoluzione del fabbisogno e, con cadenza trimestrale, l'andamento del conto economico della pubblica amministrazione ed il quadro di raccordo con il fabbisogno), insieme alle norme di delega (già contenute nella legge n. 94 del 1997, art. 5, comma 1, lettere e) edf)) per la ridefinizione del sistema della Tesoreria unica ed la riorganizzazione dei conti di Tesoreria. I punti cardine della riforma ruotano, insomma, attorno alla problematica "verificabilità/monitoraggio/valutazione" della spesa pubblica rispetto ai criteri di efficienza interna ed esterna delle PA, che siano misurabili secondo regole ed indicatori oggettivi e replicabili anche ex post (v. spending review in tal senso, gli indicatori devono essere rilevanti/significativi, utili, solidi, verificabili), eventualmente sulla base di un bilancio di previsione redatto per funzioni (giustizia, sanità, istruzione, etc.) cui attribuire risorse e dotazioni richiamate in Finanziaria. Una base di partenza può essere offerta dai lavori della Commissione bilancio del Senato, aperti nel 2002 e proseguiti con un ciclo di audizioni 114


e due disegni di legge, il n. S1492 del 2002 del senatore Azzollini (Forza Italia) ed il n. S1548 del sen. Morando (Ds), che impostano alcune interessanti innovazioni normative volte a rafforzare i limiti e i contenuti propri della finanziaria, ed a migliorare la "trasparenza" del bilancio. Il d.d.l. n. S 1548/2002, in particolare, presenta puntuali proposte così riassunte nella relazione introduttiva: "tale strumento (n.d.r. il DPEF) non deve limitarsi semplicemente ad elencare i provvedimenti collegati, ma dovrà presentare al suo interno i contenuti di massima dei provvedimenti e il loro impatto finanziario... Inoltre, tra le informazioni contenute nel DPEF, dovranno essere ricomprese quelle relative all'andamento dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni... Per quanto riguarda la relazione tecnica ai disegni di legge di iniziativa governativa è previsto un obbligo in capo al Governo di provvedere all'aggiornamento della stessa relazione tecnica all'atto del passaggio del testo dei provvedimenti tra i due rami del Parlamento. Si prevede, in tema di copertura finanziaria delle leggi di spesa ordinarie, ivi comprese le deleghe legislative, l'espresso divieto, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, di utilizzare nuove o maggiori entrate derivanti dall'attivazione di effetti indiretti non automatici. Ogni legge, in sostanza, dovrà trovare la forma di copertura al proprio interno. All'articolo 2 viene data risposta alla necessità di predisporre dei testi unici in materia di formazione e gestione del bilancio dello Stato e di tesoreria. Le norme proposte stabiliscono che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, con regolamento governativo si provveda a modificare ed integrare il regolamento di contabilità generale dello Stato. Entro l'anno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento, il Governo è delegato ad adottare un testo, unico che raccolga, coordini e raccordi tutte le disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano la formazione e la gestione del bilancio dello Stato, e un altro che raccolga e coordini tutte le disposizioni legislative in materia di tesoreria. Per quanto riguarda il secondo gruppo di norme (...), alcune disposizioni determinano un raccordo stabile tra finanza locale e quella statale, istituzionalizzando la partecipazione degli Enti locali al rispetto degli obblighi comunitari, mentre altre disposizioni precisano meglio le regole di comportamento degli enti che compongono il conto delle amministrazioni pubbliche". È cronaca di questi giorni l'annuncio sugli sviluppi di una nuova iniziativa in tal senso da parte delle Commissioni bilancio di Camera e Senato, 115


i cui Presidenti - Duilio e Morando - hanno preparato una bozza del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla riforma della Finanziaria: due distinte risoluzioni da mettere ai voti delle Commissioni, dopo l'approvazione degli Uffici di presidenza congiunti. Più che una riforma, una serie di correttivi puntuali (emendamenti governativi al vaglio del Consiglio dei ministri; DPEF perno della manovra; bilancio dello Stato per funzioni-obiettivo; legge di bilancio come strumento- decisionale; etc.), che dovrebbero operare già dalla prossima sessione di bilancio. Nelle parole dell'on Duilio, "non avrebbe molto senso ipotizzare riforme che modifichino un quadro di regole che non ha fino ad ora trovato compiuta attuazione. Dobbiamo, in altri termini, evitare di ripetere in questa materia un errore troppo comune nel nostro Paese per cui si prefigurano continui cambiamenti delle regole prima ancora di aver garantito la piena attuazione di quelle già esistenti" 21 . Senza però rinunciare del tutto all'obiettivo di una revisione globale del processo di bilancio. Come sottolinea il sen. Enrico Morando, "l'attendibilità e la leggibilità dei dati di finanza pubblica e dei documenti di bilancio sono fondamentali per l'analisi e la decisione parlamentare, ma anche per una corretta informazione dell'opinione pubblica, per facilitare il confronto con le organizzazioni sociali e per moderare il contrasto tra gli schieramenti che, come recentemente accaduto, spesso si accende sull'entità dei disavanzi e delle correzioni necessarie, anziché sulle scelte alternative" 22 CONCLUSIONI E SVILUPPI

In conclusione, un'annotazione che apre un ancor più appassionante dibattito: la riforma della procedura di bilancio non riforma automaticamente la spesa pubblica. Non è questa l'occasione per affrontare quest'ulteriore profilo. Basterà considerare, in un tracciato di climax ascendente in termini di dolo e colpa grave, il complesso delle variabili di economia globale che non è possibile prevedere o controllare; l'insieme delle azioni e retro-azioni di soggetti - quale l'Unione europea - parte del quadro integrato delle norme e del funzionamento del nostro sistema; gli automatismi delle procedure parlamentari e non soio, con compiti ed impegni di crescente complessità, dei quali la stragrande maggioranza dei politici sono all'oscuro (qui si apre un intero capitolo sulla selezione della classe dirigente e sui criteri di rappresentanza.'..); la scarsa professionalità ed idealità, presupposti di 116


un'appropriata capacità di visione che non faccia perdere all'insieme degli interventi di politica economica i caratteri di unitarietà e programmaticità strategica; le condotte e le mire di corto, cortissimo respiro, di certa politica e di certi interessi che pressano per fare la differenza. Ad essere messa in discussione, dunque, non è la legittimità di un uso "politico" forte e spregiudicato degli strumenti di finanza pubblica, in primis la legge Finanziaria, da parte del Governo e delle stesse Assemblee legislative. Si sa che il bilancio è un elemento cruciale e assai potente nell'ambito della definizione della politica di governo e della contrattazione con gli attori interni ed esterni (opposizione, parti sociali, pubblica opinione), in quel gioco che De Toanna su queste pagine definisce "il pendolo tra rappresentanza e decisione". Il problema sorge nel momento in cui questa visione si spinge oltre, fino a perdere di vista il fine ultimo, la politica economica per le politiche pubbliche, dando forma ad una finanziaria per tentativi: "una specie di baion d'essai che viene proposto per saggiare reazioni e commenti ai fini di successive mediazioni e della redazione di uno o più testi aggiornati e definitivi" 23, alla mercé degli umori, dei ricatti e delle risorse di partiti, partitini e lobbisti che sanno fare bene il proprio lavoro. Diversamente dal Governo, che agisce ma non decide, poiché è privo della capacità di imporsi sulla base di un proprio, solido progetto.

ZAGREBELSKY

G., La Finanziaria, una legge

speciale, da la voce.info, 09 gennaio 2007. 2 ONIDA V., La Finanziaria degli eccessi in «Il Sole 24 Ore», 17 dicembre 2006, pp. i e 16.

CL N. Lupo, Le procedure di bilancio in una forma di governo maggioritaria. Relazione svolta nell'ambito del Seminario su "Principio di legalità, legge finanziaria, legge di bilancio", promosso dal Centro di ricerca sulle Amministrazioni Pubbliche "V. Bachelet", Luiss "Guido Carli", Roma, 27 maggio 2004. ' PAOLO DE IOANNA, Strumenti e procedure di bilancio nel nuovo contesto istituzionale: un'analisi introduttiva. Relazione svolta nell'ambito del Seminario su "Strumenti e procedure di bilancio". Gruppo Ds della Camera dei Deputati, Roma, 2 marzo 2005.

CL MIN CARABBA, Democrazia del bilancio e governo misurabile, addio, in «queste istituzioni», anno )OO(, n.130-131/2003, p. III. Di recente, l'Autore ha così ripreso il discorso (Dopo la finanziaria, una proposta. Come ricon quistare la democrazia del bilancio, da «l'Unità», 7 gennaio 2005): "Non si tratta, è bene ribadirlo, come pregiudiziale, di affermare il 'dominio' del Governo sul bilancio. In tutte le democrazie 'bipolari' il rapporto fra Assemblea elettiva e organi di governo è un momento determinante che garantisce la democraticità del sistema, nel momento in cui si valutano le compatibilità e si compiono le scelte fondamentali di ripartizione delle risorse. Non si può accettare il principio della inemendabilità della finanziaria e del bilancio, che chiuderebbe il cerchio della 'ditratu117


ra della maggioranza' (di qualunque maggioranza). Ma nuove regole devono essere cercate, per ricostruire il patto istituzionale fra Parlamento e Governo in tema di bilancio (essenziale per il funzionamento del sistema democratico)... È essenziale intervenire, con meccanismi regolamentari da collegare ai vincoli posti dalla Costituzione (art. 100; art. 81; art. 72)." 6 V. TITO BOERI e PIETRO GARIBALDI su lavoce.info, 12 dicembre 2006 e G. SALVEMINI, C. VIRNO, Nuovi guardiani della trasparenza dei conti pubblici, in «Credito Popolare», n. 3, 2006, Associazione nazionale fra le banche popolari, pp. 357-ss. 7 Cf. Intervento del Sottosegretario Giuseppe Ve-

gas di fronte alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, "La questione della revisione della struttura della legge finanziaria", Roma, 20 febbraio 2002. 8 PERTICONE F., 2001, Le evoluzioni della rforma del bilancio dello Stato e della legge finanziaria. Da http://ssai.interno.it/ 9 MANIN CARABBA, op. cit., pp. 5-6 IO Il primo impone ogni volta di ripensare ex novo il processo di assegnazione delle risorse; non così il secondo, che comunque, con gli aggiustamenti dovuti, può evidenziare la variazione di allocazione che il Parlamento è chiamato a votare. Il LANZILLOTI'A L., Basta finanziaria omnibus, lo proponga il centrosinistra, da «Il Riformista», 23 dicembre 2004. 12 G.VEGAs, op.cit.,p.2 13 PISAURO G., La programmazione finanziaria dopo le riforme degli anni Novanta, Raccomandazione n. 3, aprile 2001, CR. 21/01. Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, Commissione tecnica per la Spesa Pubblica, pp. 2-3). 14 Introdotti dalla I. n. 36211988 insieme al DPEF. 15 DE IOANNA P., op. cit., p. 2 16 Cf. CARABBA M., Appunto sulla finanziaria 2006. Trasparenza, procedure e copertura, IRES CGIL - Osservatorio di finanza pubblica, 2006. 118

17 All'inizio del processo di unificazione germanica, Guglielmo I trovò nel Parlamento un ostacolo risoluto ai suoi piani di rafforzamento dell'esercito. Venne chiamato allora il cancelliere conservatore Otto von Bismarck, il quale non godeva delle simpatie dell'area liberale e democratica, ma era devoto alla causa dinastica e militare prussiana di rafforzamento ed ingrandimento della Prussia. Il cancelliere, scavalcando il parere negativo del Parlamento, liquidò la questione. La vittoria della strategia di guerra di Bismarck portò ad una ratifica a posteriori, nel 1867, delle spese di guerra da parte del Parlamento. 18 EDMUND BURKE, Speak to the Electors of Bristol, (November 32 of 1974), Select Works ofEdmund Burke, Liberty Fund, 1999. Il celebre filosofo e politico del )(VI1I secolo, pose le basi delle argomentazioni divenute classiche in favore del governo rappresentativo invece che diretto: "If government were a matter of will upon any side, yours, without question, ought to be superior. But government and legislation are matters of reason and judgment, and not of inclination; and what sort of reason is that in which the determination precedes the discussion; in which one set of men deliberate and another decide; and where those who form the conclusion are perhaps 300miles distant from those who hear the arguments? To deliver an opinion is the right of all men; that of constituents is a weighty and respectable opinion, which a representative ought always to rejoice to hear; and which he ought always most seriously to consider. But authoritative instructions; mandates issued, which the member is bound blindly and implicitly to obey, to vote, and to argue for, though contrary to the clearest conviction of his judgment and conscience, these are things utterly unknown to the laws of this land and which anse from a fundamental mistake of the whole order and tenor of our constitution". 19 Per gli ultimi aggiornamenti in tema di riforma del bilancio, si veda il rapporto "Un Nouveau Cadre Budgétaire pour Réformer


l'État" a cura del Ministère de l'Économie, des Finances et de l'Industries: "The Constitutional bylaw ofAugust lst, 2001 on budget acts (Loi organique relative aux bis definances, LOLF) introduced new rules for preparing and implementing the State budget. In the business of State, the aim of the new rules is to move from a resource-based to a results-based approach". 20 "Nel nostro sistema, parte di queste informazioni sono diffuse a giugno nel DPEF (quando i contenuti della manovra di finanza pubblica sono annunciati solo a grandi linee) e a marzo nella Relazione trimestrale di cassa (che pre-

senta previsioni per l'anno in corso integrate con gli effetti del bilancio approvato tre mesi prima). Sarebbe preferibile che esse, opportunamente aggiornate e integrate, accompagnino la sessione di bilancio", G. PisAuRo, op. cit., p.6 21 Commissioni congiunte V (Bilancio, Tesoro e Programmazione) della Camera e 50 (Programmazione economica e Bilancio) del Senato della Repubblica, Resoconto stenografico dell'Indagine conoscitiva sulla rfrrma della finanziaria, seduta di martedì 13 febbraio 2007. 22 Ibidem. 23

MORANDO E.,

op. cit.

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dossier

"Democrazia degli interessi": regole e fatti

Il fenomeno dei gruppi di pressione che, organizzati secondo comuni obiettivi, premono sui decisore pubblico affinché compia una determinata azione, è si-rettamente legato allo sviluppo delle democrazie industriali. Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale ha fatto crescere le aspettative della cittadinanza più attiva, spingendo i più ad organizzarsi per divenire portatori, presso i decisori pubblici, di interessi particolari. Questo fenomeno, caratteristico - dunque - di tutte le democrazie, con sfumature e intensità dij'Jèrenti, è stato studiato prevalentemente in relazione ai suoi aspetti sociologici e politologi, e, in parte, anche storici o economici. È stato analizzato, ad esempio, il comportamento del "lobbista" (dell'agente che materialmente porta avanti l'attività di pressione), il suo profilo individuale, il suo inserimento nel tessuto sociale; sono state studiate le tecniche più efficaci di pressione, elaborando schemi di rifirimento e manuali pronti per l'uso; sono stati costruiti modelli economici volti a verificare l'impatto, sull'economia di un Paese, di questa attività. E però mancano, in Italia, studi organici dedicati specificatamente al tema (con poche eccezioni richiamate nei contributi che seguono), e questo per diversi motivi: il ruolo pressoché 121


monopolistico dei partiti politici nell'intermediazione tra società e Stato, la natura del tessuto economico-sociale caratterizzato da piccole e medie imprese, il basso livello di cittadinanza attiva e, certamente, il "mito" dell'interesse pubblico di derivazione francese (specialmente nell'azione amministrativa) che solo negli ultimi vent'anni sembra in via di superamento. LJ'tto è che, dopo la caduta verticale dei partiti come soggetti di intermediazione degli interessi, il processo decisionale pubblico risulta coperto da un velo impenetrabile. I due contributi che presentiamo, tuttavia, evidenziano come, pur nell'assenza di una regolamentazione nazionale e organica del rapporto tra decisore pubblico e gruppo di pressione, da un lato, a livello regionale vi siano tentativi di regolare ilfenomeno, e, dall'altro, le lobby operino indisturbate, maturando progressivamente tecniche e strategie di pressione sui livelli decisionali, in assenza di qualsiasi regola di trasparenza e di parità di accesso. A fronte di questo fenomeno sarebbe sbagliato confondere il lobbying con la corruzione, oppure rifiutare tout court l'eventualità (la necessità?) di accettare e disciplinare il fenomeno. La moderna "democrazia degli interessi ' se vuole essere aperta, fi€nzionale e non zpocrita, deve porsi il problema della sua esistenza e discutere approfonditamente il livello ed i modi della sua regolamentazione. Se possibile, facendo meglio dei pochi esempi che sono illustrati nelle pagine che seguono. In fondo, bisognerebbe soltanto accettare il fatto che il Re è nudo e capire che, forse, è il caso di vestirlo.

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istituzioni n. 144 inverno 2007

Gruppi di pressione e regole giuridiche: cronache marziane (e toscane) di Pier Luigi Petri/lo

I

n Italia manca una regolamentazione nazionale del fenomeno lobbistico, sebbene molto forte (e a volte evidente) sia l'influenza esercitata dai gruppi di pressione. Con il passaggio ad un sistema elettorale maggioritario, il dibattito sulle lobbies è tornato ad essere attuale, quasi che si trattasse di una tendenza nuova e non - come invece è - di un carattere strutturale del sistema politico italiano che trova la propria origine nella fitta rete di rapporti di "clientela" e di "parentela" tra gruppi di interesse, partiti politici e burocrazia. In realtà la questione supera i confini nazionali poiché il fenomeno dei gruppi di pressione che, organizzati secondo comuni obiettivi, premono sul decisore pubblico affinché compia una determinata azione, è questione strettamente legata allo sviluppo delle democrazie industriali. Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale, infatti, ha fatto crescere le aspettative della cittadinanza pi1 attiva, spingendo i piii ad organizzarsi per divenire portatori, presso i decisori pubblici, di interessi particolari. GRUPPI DI PRESSIONE E ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO: UN RAPPORTO "SREGOLATO"

La "risposta" degli ordinamenti nazionali a tale fenomeno non è uniforme: in alcuni di questi l'accesso dèi gruppi di pressione ai luoghi decisionali è oggetto di specifica legislazione, in cui sono indicati obblighi e diritti (così Usa e Canada); in altri, contano molto le procedure consuetudinarie o i codici di condotta e di deontologia professionale (così in Gran Bretagna); in altri ancora, manca ogni normazione come se la questione non si ponesse. La "risposta" muta, quindi, a seconda degli aspetti che il legislatore intende privilegiare: la trasparenza e/o la partecipazione.

LAutore è dottore di ricerca in Diritto pubblico comparato e docente di Diritto pubblico all'Università LUMSA di Roma. 123


Le analisi comparate evidenziano come nei sistemi in cui il Parlamento è "forte" - nel senso che gioca un ruolo chiave nei processi politici - esiste una regolamentazione della rappresentanza parlamentare delle lobbie.r, all'opposto, al Parlamento debole corrispondono interessi oscuri'. Non a caso, in ambito comunitario con il rafforzamento del ruolo decisionale del Parlamento si è posta la questione di come regolamentare i rapporti tra l'istituzione e i gruppi di pressione 2 In Italia, alla scarsa propensione del legislatore ad intervenire in argomento, fa eco la scarsa propensione dei giuristi ad analizzare il tema 3 e questo per diversi motivi: il ruolo pressoché monopolistico dei partiti politici nell'intermediazione tra società e Stato, la natura del tessuto economico-sociale caratterizzato da piccole e medie imprese, il basso livello di cittadinanza attiva e, certamente, il "mito" dell'interesse pubblico di derivazione francese (specialmente nell'azione amministrativa) che solo negli ultimi vent anni sembra in via di superamento. Leffetto e che dopo la caduta verticale dei partiti come soggetti di intermediazione degli interessi, il processo decisionale pubblico, nella composizione degli interessi contrapposti, risulta coperto da un velo impenetrabile" 4 Eppure non mancano proposte di legge volte a regolamentare il rapporto tra istituzioni rappresentative e di governo, e portatori di interessi particolari. Dal 1948 al marzo 2006 (termine della )UV legislatura) sono stati presentati circa 25 disegni in materia. Nessuno di questi è stato mai approvato; solo 6 sono stati esaminati dalle Commissioni competenti (in genere la Commissione lavoro e, nella )(IV legislatura, la Commissione affari costituzionali); nessuno è stato mai discusso in Assemblea. In un quadro così deprimente, caratterizzato anche da parlamentari e giornalisti parlamentari che, al di fuori di ogni regola e trasparenza, operano come lobbisti, la Regione Toscana e, senza troppa fantasia, la Regione Mouse, hanno introdotto norme minime volte a disciplinare il rapporto tra gruppi di pressione e Istituzioni. .

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L'ECCEZIONE SI CHIAMA TOSCANA: LA LEGGE REGIONALE 18 GENNAIO 2002 N. 5

Nel panorama italiano la Regione Toscana ha, infatti, dettato una prima regolamentazione del fenomeno lobbistico a livello di Consiglio regionale. 124


Si tratta della legge 18 gennaio 2002 n. 5 recante "Norme per la trasparenza dell'attività politica e amministrativa del Consiglio regionale della Toscana". IlPresidente del Consiglio regionale Toscano, l'on. Riccardo Nencini, fin dal discorso di insediamento, nel maggio 2000, aveva annunciato la volontà di approvare una normativa in materia di lobbies, forte dell'esperienza di parlamentare europeo. Per il Presidente Nencini l'obiettivo della legge doveva essere quello di garantire l'uguaglianza dell'accesso ai decisori politici da parte di tutti gli interessi organizzati, estendendo la partecipazione concreta ai lavori consiliari anche alle associazioni minori, con una ridotta visibilità, ma diffusamente presenti nella tradizione toscana 5 La legge regionale è stata, così, approvata a larghissima maggioranza, con il solo voto contrario del consigliere dei Comunisti italiani, non favorevole al riconoscimento dei gruppi di pressione. Il 9 aprile 2002, infine, è stato deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 2, secondo comma, della legge regionale n. 5/2002, il disciplinare di attuazione della normativa 6 .

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Le finalità della legge regionale L'art. i della legge regionale riconosce tre distinti, ambiziosi, obiettivi alla normativa: assicurare la trasparenza dell'attività politica e amministrativa, garantire l'accesso e la partecipazione per un numero sempre maggiore di soggetti, favorire i consiglieri regionali nello svolgimento del loro mandato. La regolamentazione così introdotta è quindi da inserire, teoricamente, in un "modello" di normazione che potremmo definire di "regolamentazione-partecipazione": il Consiglio regionale, infatti, riconosce i gruppi di pressione e ne valorizza il ruolo di portatori di interessi che, "ove siano compatibili con gli interessi della collettività" 7 , sono "recepiti".

La definizione dei gruppi di interesse e il loro accreditamento La legge regionale non dà una definizione di gruppi di interesse né di pressione o lobbies. L'art. 2 distingue due tipologie di gruppi: quelli che rappresentano categorie economiche, sociali, del terzo settore e sono maggiormente rappresentative a livello regionale e provinciale; e altri gruppi comunque attivi sul territorio toscano. 125


Per entrambi è obbligatoria l'iscrizione presso il "Registro dei gruppi di interesse accreditati", ma mentre per i primi è automatica, d'ufficio, per i secondi è necessario indirizzare al Consiglio una domanda sulla base di un modello-tipo disponibile sul sito della Regione 8 . In particolare, dispone l'art. 6 del Disciplinare di attuazione della legge, sono automaticamente accreditati i gruppi ammessi, direttamente o indirettamente, al tavolo di concertazione in fase di programmazione economica. L'art. 2, quinto comma, della legge limita la possibilità di iscrizione al Registro ai soli gruppi "la cui organizzazione interna sia regolata dal principio democratico", "perseguano interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico" e "siano costituiti da almeno sei mesi alla data della richiesta di iscrizione". Questo è un primo punto critico poiché una tale formulazione rende praticamente impossibile per una società specializzata nella "pressione" (lobbyingfirm, direbbero gli americani) di essere iscritta nel registro; il legislatore, con spirito (forse troppo) realistico, sembra così ritenere che sianò interessate a "fare lobby" presso il Consiglio, solo assoiazioni e comitati civici ma non anche, ad esempio, multinazionali. O forse ammette (davvero realisticamente) che queste ultime possono ben ricorrere ad altre forme di pressione e si rivolgono ad altri centri di potere. Possono comunque iscriversi i gruppi organizzati in associazioni o fondazioni, ancorché non riconosciute, ovvero in comitati con finalità temporanee 9 . Ai fini dell'iscrizione i gruppi d'interesse devono produrre, oltre alla domanda e all'atto costitutivo, lo statuto e la deliberazione degli organi statutari relativa alla rappresentanza esterna del gruppo'°. Ove da controlli successivi all'iscrizione nel registro risulti che uno o pii gruppi d'interesse non possiedano i requisiti previsti dalla presente legge, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale provvede alla comunicazione dell'esito del controllo ai soggetti controllati ed alla eventuale cancellazione degli stessi dal registro. Le richieste di iscrizione sono presentate entro il 31 marzo ed il 31 ottobre di ogni anno. L'iscrizione è disposta entro il trimestre successivo alla scadenza del termine. Il Registro è diviso per settori secondo le materie di competenza delle Commissioni consiliari ordinariell. Al marzo 2006 i settori sono 5 e cioè attività istituzionali, agricoltura, attività produttive, sanità, cultura e turismo, territorio e ambiente. Nell'iscriversi, i gruppi interessati debbono indicare il settore o i settori 126


per i quali si richiede l'accreditamento, in rapporto con le proprie finalità sociali, nonché i soggetti incaricati a rappresentare il gruppo presso il Consiglio regionale a seguito dell'accreditamento 12 A fine dicembre 2006 risultano iscritti 102 gruppi di interesse (con un incremento del 9% rispetto al 2005), anche profondamente diversi tra loro, per finalità e organizzazione interna: si va dall'Associazione Amici dei Musei fiorentini, al Comitato per lo sport regionale, all'Associazione conciatori della Toscana, ad Associazione culturali di quartiere (come la Tethys), fino alle grandi associazione di categoria come Confcommercio, Lega coop, Cgil, Cisl, Cna, Coldiretti 13 .

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IViodalità di tutela dell'interesse I gruppi iscritti nel Registro possono rappresentare e perseguire presso il Consiglio regionale (non, quindi, la Giunta) interessi pertinenti le loro finalità. Ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge regionale toscana, le richieste rappresentate dai soggetti accreditati possono riguardare atti proposti o da proporre all'esame del Consiglio. Nel primo caso, i rappresentanti dei gruppi di interesse possono chiedere di essere ascoltati dalle commissioni consiliari incaricate dell'istruttoria degli atti; nel secondo caso, le richieste formali dei gruppi d'interesse e la relativa documentazione sono trasmesse indistintamente a tutti i gruppi politici del Consiglio regionale, fatto salvo il principio di autonomia e di libertà nel determinare, nel rispetto della normativa vigente e del principio della trasparenza, le proprie modalità di relazione. Le proposte relative ad atti già all'esame delle Commissioni sono presentate al Servizio competente per la gestione dell' iter degli atti consiliari, che ne cura entro i successivi 5 giorni l'inoltro alle Commissioni competenti; altrimenti sono trasmesse a tutti i gruppi consiliari 14 Per le proposte relative ad atti già all'esame delle Commissioni, i gruppi accreditati hanno altresì il diritto - sulla falsa riga di quanto accade con le hearings statunitensi - di chiedere di essere ascoltati dalle Commissioni. I rappresentanti dei gruppi accreditati possono accedere ai locali del Consiglio; possono seguire per via telematica le sedute delle commissioni consiliari di loro specifico interesse, secondo le modalità disciplinate dal regolamento interno del Consiglio 15 Possono inoltre accedere agli uffici del Consiglio regionale per informa.

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zioni e chiarimenti di carattere tecnico relativi agli atti di loro interesse ovvero relativi all'organizzazione procedurale dei lavori del Consiglio stesso, nel rispetto dei principi di cui alla legge regionale in materia di accesso agli atti, con modalità e criteri di completezza e tempestività idonei a salvaguardare le finalità di trasparenza fissate dalla legge stessa 16 In ogni caso, dispone il quinto comma dell'art. 3 della legge, "rimane fermo quanto disposto dallo Statuto e dal regolamento relativamente alla partecipazione, al dovere di informazione, al potere delle commissioni in ordine alle consultazioni, ai soggetti da consultare e alle modalità delle consultazioni stesse". .

Attività di controllo e sanzioni Secondo l'art. 4 della legge regionale, gli atti formali dei gruppi accreditati e i componenti dei loro rappresentanti debbono essere coerenti con il ruolo e le funzioni che lo Statuto attribuisce al Consiglio regionale e ai suoi membri. E vietato, in particolare, "esercitare, nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto". Spetta all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, cui i consiglieri sono tenuti a comunicare fatti che possono presentare violazione delle norme di comportamento, valutare la sussistenza della violazione e comminare le sanzioni che, correlate alla gravità della stessa, possono andare dal richiamo formale, alla sospensione temporanea, alla revoca dell'iscrizione. Le deliberazioni relative all'irrogazione delle sanzioni di sospensioni e revoca dell'iscrizione sono pubblicate sul Bollettino ufficiale regionale 17• Dal 2000 al 2006 non risultano comminate sanzioni di alcun tipo.

UNA LEGGE INATTUATA MA IMITATA: IL CASO MousE

A fine dicembre 2006, lo si è detto, risultano iscritti 102 gruppi di interesse, molti dei quali hanno formulato la richiesta di accreditamento nei successivi tre mesi dall'entrata in vigore della legge. Eppure la legge rimane lettera morta. Nessun gruppo registrato ha, fino ad ora, sfruttato gli strumenti previsti; nessun documento inviato alle Commissioni, nessuna proposta per i gruppi; nessuno ha chiesto, ufficialmente, di essere audito, o di ottenere spiegazioni su atti del Consiglio. 128


Una legge sulla carta efficace per regolamentare la rappresentanza degli interessi, risulta essere, al momento, del tutto inutile. Senza alcuna riflessione sui motivi di questo (momentaneo?) fallimento, il Consiglio regionale del Molise ha adottato la stessa identica legge, copiandone (è il caso di dirlo) ogni singola parola nella legge regionale 22 ottobre 2004 n. 24 recante, esattamente come quella toscana, "Norme per la trasparenza dell'attività politica ed amministrativa del consiglio regionale del Mouse", come se i due territori fossero assimilabili per tradizione, cultura e, soprattutto, articolazione sociale ed economica. Al di là di questo infelice fenomeno imitativo, rimane l'interrogativo sulle ragioni della mancata attuazione della normativa da parte degli stessi gruppi registrati. C'è un dato di fatto che è comunque positivo: moltissime associazioni si sono iscritte e, iscrivendosi, hanno reso pubblico il loro status, hanno accettato di divenire visibili a chiunque, navigando in internet o passando per gli uffici del Consiglio, prenda visione del Registro dei gruppi di interesse. E ce ne è un altro che forse è la spiegazione del fallimento della legge: le disposizioni della legge regionale 5/2002 si applicano al Consiglio, all'attività di persuasione svolta nei confronti dei Consiglieri, non anche dei componenti della Giunta e degli altri amministratori regionali. FORIvLk DI GOVERNO E GRUPPI DI PRESSIONE: UNA RIFLESSIONE NECESSARIA PER UNA POSSIBILE (AUSPICABILE?) LEGGE NAZIONALE

È, dunque, nell'aver ignorato l'evoluzione della forma di governo regionale che va ritrovata la ragione del fallimento? Come si sa, l'organizzazione del potere a livello regionale ha subito, negli ultimi dieci anni, profondi cambiamenti. I Consigli non determinano più la vita e la morte degli esecutivi: molto tempo è trascorso dall'assemblearismo degli anni Settanta, caratterizzato dal predominio delle Assemblee sulla Giunta, e da una legge elettorale proporzionale (la legge 17 febbraio 1968 n. 108) utilizzata come strumento per rendere omogenea sul territorio nazionale la forma di governo regionale 18 La riforma del sistema elettorale nel 1995 (attuata con la legge 23 febbraio 1995 n. 43) e, soprattutto, la legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, che ha modificato anche gli articoli 122 e 126 della Costituzione, prevedendo un netto rafforzamento dell'esecutivo sui Consiglio at.

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traverso l'elezione diretta del suo Presidente ed il meccanismo dell'aut simul stabunt aut simul cadent, hanno attribuito un "vantaggio competitivo" alla realtà regionale nei confronti del governo centrale! 9 trasformando radicalmente i rapporti di forza all'interno del Consiglio e tra questo e la Giunta, ed affermando logiche conflittuali tra soggetti politici diversi e nuovi, come la maggioranza e l'opposizione. Il legislatore costituzionale ha confermato, in tal modo, la sua predilezione per un sistema politico competitivo, rilanciando, a livello regionale, quell'assetto istituzionale - derivato dal nazionale - che vede contrapposti, fin dal momento elettorale, due o piii aspiranti Presidenti di Giunta (ovvero del Consiglio) e, con loro, due o più coalizioni di partiti (o singoli partiti). Ed infatti, in attesa della deliberazione dei nuovi Statuti, le norme transitorie predisposte dalla legge costituzionale n. i del 1999, stabiliscono l'elezione diretta del Presidente della Regione ed un sistema elettorale di tipo essenzialmente proporzionale (per l'80% dei seggi), con voto uninominale e premio di maggioranza per la/e lista/e del candidato Presidente risultato vincitore. La ulteriore modifica del Titolo V della Costituzione con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha imposto l'approvazione di nuovi Statuti regionali da parte dei Consigli. Dopo il rinnovo dei Consigli regionali con le elezioni del 3 e 4 aprile, sono stati approvati, in seconda deliberazione, e promulgati 9 nuovi Statuti regionali: Calabria, Puglia, Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Umbria, Emilia-Romagna, Liguria 20 In alcuni dei nuovi Statuti e, specialmente, in quello dell'Emilia Romagna, si definiscono forme allargate dell'istruttoria legislativa, tali da permettere (e legittimare) l'intervento di qualunque soggetto portatore di interessi particolari registrati presso un albo pubblico (suddiviso per commissioni e per materie) previsto dallo Statuto stess0 21 Pur con queste note positive, in un contesto così definito, ci si chiede quanto possa essere efficace una disciplina delle lobbies solo presso il Consiglio. Anzi: quale possa essere lo spazio per le lobbies presso il Consiglio. O ancora (e meglio), quale sia lo spazio per il Consiglio. L'ultima domanda, è evidente, esula da questa trattazione (ma quanto è interessante!) e impone approfondimenti pure svolti dalla dottrina più autorevole, che evidenziano, tuttavia, lo stretto legame tra forma di governo e regolamentazione dei gruppi di pressione. Certo è che la legge regionale toscana n. 5 del 2002 rappresenta un primo tentativo di regolamentare dei gruppi di interesse. Seppur il tentativo ,

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del legislatore regionale di portare nell'Assemblea rappresentativa il pluralismo sociale pare essere fallito, esso rimane, fornendo un utile modello di riferimento per il livello centrale e indicando, al tempo stesso, spunti di riflessione per la via italiana alla regolamentazione giuridica di quel rapporto tra decisore pubblico e lobbies ritenuto fondamentale per il consolidamento di ogni processo democratico.

G., Introduzione, in P. TRuPIA, La democrazia degli interessi, Il Sole 24 Ore, Milano 1989, P. 16: l'A. riassume, così, in una formula: "Interessi forti in Parlamento forte con governo forte: questa è la ricetta". 2 Cfr. PETRILLO P.L., Parlamento europeo egruppi di pressione. Spunti di riflessione per il caso italiano, in «Rassegna parlamentare», 2, 2006, pp. 583 ss. da cui riprendo alcune considerazioni. Con una eccezione preziosa: Coi.wirn G., Rappresentanza e interessi organizzati, Giuffrè 2005. 'I BALDASSARRE A., Introduzione, in G. MAZZEI, Lobby della trasparenza. Manuale di relazioni istituzionali, Centro di documentazione giornalistica, Roma 2003, P. 11. 5 Cfr. NENCINI R., La legge sulle lobbies, in www.consiglio.regione.toscana.it/presidente/iniziative/lobbies.htm (3 giugno 2002). 6 Deliberazione n. 29 dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale toscano del 9 aprile 2002. ' Art. 1, c.2, I. r. 5/2002. 8 Art. 2, c.1, 1. r. 512002. 9 Art. 2, c. 3, 1. r. 5/2002. IO Art. 2, c. 4, 1. r. 512002. Il Art. 2, c. 1, Disciplinare attuazione I. r. 512002, deliberazione n. 2912002 dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale. 12 Art. 3, c. 2, ibidem. Cfr.

PASQUINO

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Fonte: http://www.consiglio. regione.toscana.it/Politica/gruppi-di-interesse/default.asp (20 dicembre 2006). 14 Art. 8, c. 2, Disciplinare di attuazione l.r. 512002, cit. 15 Art. 3, c. 2, l.r. 512002. ì6 Art. 3, c. 4, l.r. 512002. 17 Art. 11, c. 3, Disciplinare di attuazione I. r. 512002 cit. 18 In questo senso FUSARO C., Legge elettorale e forma di governo regionale, in A. BARBERA, L. CALIFANO (a cura di), Saggi e materiali di diritto regionale, Rimini-Bologna 1997, 250. 19 DECARO C., La Bestpractice di Westminster: dal Parlamento ai Parlamenti, in «Rass. ParI»., 3, 2004, 677. 20 Sul punto Si veda il volume a cura di M. CARLI, G. CARPANI, A. SINIScALCHI, I nuovi Sta-

tuti delle Regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Il Mulino, 2006. 21 Cfr. Artt. 15, c.3, e 19 St. Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, investita della questione di legittimità ditale disposizione, ha precisato, con la sentenza n. 379 del 2004, che la previsione di una disciplina trasparente volta a garantire la partecipazione nel procedimento legislativo di organismi associativi rappresentativi di interessi particolari (sociali o economici) non incide negativamente né limita l'indipendenza dell'Assemblea rappresentativa.

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istituzioni n. 144 inverno 2007

I lobbisti in Italia: profili politico-sociali del fenomeno' di Franco Spicciariello

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1 termine "lobbyist" pare essere stato inaugurato dal presidente degli Stati Uniti Ulysses Grant, che disprezzava i rappresentanti degli interessi particolari che usavano riunirsi nella lobby del Willard Hotel di Washington. Le varie definizioni legali (il Federal Regulation of Lobbying Act deI 1946, ad esempio, descriveva il lobbista come colui che cerca di influenzare le decisioni legislative; una descrizione più accurata è ora rinvenibile nel Lobbying Disclosure Act del 1995) non sono abbastanza esplicative di quale sia realmente la sua funzione. È colui che parla a favore della costruzione di un edificio di fronte ad un consiglio circoscrizionale, che interviene presso una commissione del Parlamento o di un consiglio regionale in favore di un'impresa, o chi partecipa tramite la costituzione di un gruppo di studio alla redazione di un progetto di legge. Tutti questi soggetti svolgono una funzione di rappresentanza di interessi e possono essere definite "lobbisti" nel senso più ampio del termine. Lobbisti sono tutte le persone che portano avanti professionalmente un'attività di lobbying nella maniera sopra descritta, di solito funzionari a tempo pieno al servizio di potenti organizzazioni quali quelle dei commercianti e degli agricoltori, oppure sindacalisti, liberi professionisti con molti clienti in grado di pagare per i servizi offerti, o anche cittadini che impegnano il loro tempo per portare avanti le proprie rivendicazioni. CHI E IL LOBBISTA DOC? E COME ACCEDE ALLE SALE DEL PALAZzO?

In assenza di elenchi ufficiali che indichino i soggetti abilitati a tale tipo di attività, tracciare l'identikit del lobbista italiano non risulta del tutto agevole. Si possono tuttavia individuare alcune grandi categorie: prima tra tutte quella degli incaricati per le relazioni istituzionali delle grandi associazioni imprenditoriali, quelli che la dottrina USA definisce association

L'Autore è Board Member di ELNET CEG Lobby Network e cultore della materia presso la cattedra di Diritto costituzionale dell'Università Lumsa di Roma. 132


lobbyists, i quali, esercitando permanentemente il loro mandato di rappresentanza, percorrono ogni giorno i corridoi di Montecitorio e palazzo Madama. Quindi i rappresentanti delle maggiori imprese, sia pubbliche che private, i company lobbyists. Seguono i delegati di enti pubblici ed enti locali territoriali e non, per i quali viene svolta anche un'attività di pubbliche relazioni. Più occasionali, ma non meno importanti, sono poi i membri delle associazioni dagli scopi civici, le Ong, i cause lobbyists; per non parlare degli incaricati per le relazioni istituzionali di studi specializzati che, su richiesta dei clienti, promuovono l'accelerazione o, se del caso, l'affossamento dell'iter di particolari atti legislativi, i cosiddetti contract lobbyists. Da segnalare i sottocasi dei giornalisti, degli assistenti parlamentari o dei collaboratori degli uffici di gabinetto ministeriali che, forti del loro accredito presso le Camere o presso i palazzi governativi, possono a tempo perso, promuovere questo o quell'interesse particolare. In questa ideale classifica di effettivi e potenziali lobbisti un posto a parte lo occupano gli ex parlamentari e gli ex funzionari governativi o di autorità indipendenti, i quali, in virtù della tradizionale benevolenza loro tributata, possono entrare e uscire dalle loro passate sedi di lavoro senza limitazioni di sorta, arrivando a contattare chi di dovere con evidente facilità. A voler quantificare il fenomeno, tuttavia, ci si accorge che i frequentatori abituali del Palazzo non ammontano a più di un centinaio di elementi, mentre quelli saltuari raggiungono le diverse centinaia: in ogni caso ben poca cosa rispetto ai i 3mila iscritti presso i registri del Congresso statunitense e agli oltre 14mila calcolati dagli organi dell'Unione europea.

Come opera Per quanto riguarda il problema dell'accesso occorre subito dire che il nostro ordinamento non tiene assolutamente conto dell'esistenza dei gruppi di pressione. Le uniche fonti normative che si occupano indirettamente di tali soggetti sono i regolamenti di Camera e Senato quando, nel disciplinare le attività conoscitive, nonché i lavori dei comitati ristretti delle rispettive commissioni (artt. 43, 47 e 48 Sen., artt. 79 e 144 Cam.), parlano di inviti a "qualsiasi persona in grado di fornire elementi utili ai fini dell'indagine". C'è da dire che il massimo dell'ambizione per il lobbista è essere ammesso, più che a questo tipo di indagini, a particolari forme di udienze 133


che si tengono presso le commissioni nel corso del procedimento legislativo, qualora i parlamentari avvertano la necessità di audizioni personali per meglio comprendere la natura del problema che si accingono a disciplinare: le cosiddette, appunto, udienze legislative. Quale occasione migliore per il rappresentante del gruppo di pressione per comunicare le proprie istanze? Tuttavia, nonostante tali udienze siano ormai entrate nella prassi, i regolamenti parlamentari non ne fanno minimamente menzione: con la conseguenza di rendere così questi incontri assolutamente informali e al riparo da ogni forma di regolamentazione e pubblicità. Va da sé che, alla luce di questi fatti, i gruppi di pressione terranno molto al fatto che il progetto di legge in questione venga assegnato in commissione in sede deliberante, in modo tale da poter agire su un ristretto numero di parlamentari ed evitare così l'esame in assemblea, luogo per sua stessa natura evidentemente affollato. Ancora una volta, quindi, con buona pace di studiosi del calibro di Manzella che ne reclamano la razionalizzazione, le lacune del sistema favoriscono quella che è stata definita la "carsicità" del processo di decisione parlamentare. E le conseguenti manovre occulte dei manipoli dei gruppi di pressione. Ma il canale privilegiato che i lobbisti generalmente privilegiano è quello del vis à vis col singolo parlamentare. Ottenuto il permesso di accedere al Palazzo dai questori delle Camere, o a seguito di un appuntamento col deputato o il senatore in questione, il lobbista in carriera entra nei palazzi istituzionali 2 incontra il politico, glj c0n5egia il suo position paper o il classico foglietto con le cc osservazioni e proposte di modifica . Va ricordato che ogni parlamentare infatti, pur nell'ambito della disciplina di gruppo, è libero sia di presentare progetti di legge ed emendamenti su qualsiasi argomento sia di esprimere in materia opinioni del tutto personali. Ecco quindi che il rapporto personale si fa veicolo di interessi particolaristici, all'insegna sempre dell'informalità e del non controllo da parte di chicchessia. Provocando le ire di quanti, pur ammettendo la pratica dell'"avvicinamento", non tollerano il fatto che l'informazione data debba essere appannaggio di un singolo e non di tutto il corpo parlamentare. La ratio degli incontri, peraltro, sembra per lo più escludere gli abbinamenti ideologici, favorendo invece in larga misura quelli geografici. Qualora, infatti, una determinata attività imprenditoriale debba nascere o magari essere più semplicemente favorita in una certa area del Paese, il contatto verrà cercato con un esponente di tale zona, magari specializzato professionalmente nel settore in questione. ,

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La professionalità del lobbista Al di là dell'immaginario collettivo sui lobbista faccendiere-comunicatore-Pr, in realtà il lobbista è (deve essere) un professionista a tutto tondo, con precise competenze tecnico-relazionali. Innanzitutto è fondamentale che abbia una delega chiara in relazione all'interesse rappresentato. Il lobbista deve essere, fare in modo di diventare un esperto del settore rappresentato, cercando quindi di costituire un punto di riferimento del decisore pubblico nel settore in cui opera. Di conseguenza, oltre che di livello, il parere espresso dal lobbista deve essere quanto più obiettivo e motivato, sì da diventare autorevole e inattaccabile dagli interessati in opposizione. E, infine, alla base, deve esserci una perfetta conoscenza di istituzioni e procedure. Conoscenza indispensabile ai fini del dispiegamento delle forze per l'attività di influenza sul decision-maker pubblico. L'Italia ha vissuto un processo di riforme di portata storica: sono state approvate leggi che hanno ridisegnato l'architettura istituzionale, secondo un processo di decentramento dei poteri e nella definizione di nuove funzioni e obiettivi che i soggetti istituzionali hanno assunto nel rapporto con i territori e con i portatori di interessi. Modifiche sostanziali della carta costituzionale come la riforma del Titolo V e la legge sulla devoluzione hanno modificato le modalità e la definizione dei rapporti tra decisori pubblici e interlocutori privati. Tentiamo quindi di dare un quadro pratico-teorico alle principali strategie conosciute, per quanto ciò non risulti assolutamente facile, data la necessità di adattare continuamente le strategie stesse alle singole fattispecie. Queste tecniche non sono nemmeno intercambiabili tra loro: nello sceglierle è necessario tener conto dei fini, ma anche delle proprie potenzialità organizzative, degli obiettivi di lungo periodo, delle variabili in campo eccetera. Sono, questi, fattori da valutare in modo continuativo. Quali possono essere gli elementi essenziali di una buona strategia di lobby, intesa come adeguata a svolgere quel lavoro di influenza e pressione sulle politiche pubbliche? Innanzitutto definiamo il concetto di strategia. La strategia altro non è se non una serie di scelte razionali ordinate in vista dell'obiettivo da raggiungere. La definizione della strategia progettuale è frutto della valutazione dei seguenti fattori: - grado di complessità che si vuole assegnare al progetto; 135


- valutazione dei punti di forza, in combinazione con l'evoluzione e i cambiamenti in corso nel settore di interesse; - identificazione ed eventuale riformulazione delle attività necessarie a raggiungere i risultati del progetto. Ed è sulla base delle risultanze di questa analisi complessa che si può procedere alla pianificazione vera e propria, ossia alla formulazione di un ordine di priorità che si produrranno in programmi indirizzati a obiettivi specifici, quantificabili, con precise scadenze temporali e azioni concrete e quantificabili, da associare a precise responsabilità e scadenze. Questa è strategia, in senso ampio.

Tecniche o prati che Le tecniche o le pratiche di lobbying possono essere raggruppate in relazione al tipo di rapporto che si stabilisce - o si tenta di stabilire - con il decisore pubblico, in base al quale si possono distinguere due tipi di comunicazione: diretta o indiretta. Non si pensi a un sapere tecnico codificato, manualistico. Non esiste ancora niente di simile a una stratificazione di conoscenze (descrizioni e spiegazioni) sulla partecipazione influente, sul contesto in cui si svolge, sullo Stato pluriclasse e sulla democrazia a pluralismo dispiegato, né in Italia né altrove. Ciò che esiste è una pratica confusa, malamente descritta e tendenziosamente interpretata, ufficiosa, colpita da ostracismi e vittima, nei suoi attori, di complessi di colpa. Se parliamo quindi di "tecniche", più propriamente si tratterà di "pratiche", che tuttavia cercheremo di ricondurre a un minimo di formalismo e di generalizzazione. L'individuazione di queste pratiche e della loro (probabile) utilità stimolerà chiarificazioni e approfondimenti e, in futuro, ne faciliterà la formalizzazione. Con queste avvertenze ne proponiamo ora una classificazione e, nei limiti detti, un'indicazione analitica. Le tecniche o pratiche di lobby possono essere raggruppate in cinque grandi categorie 3 in relazione al tipo di rapporto che si stabilisce - o si tenta di stabilire - con il decisore pubblico. - Il primo gruppo di tecniche può essere incluso nella categoria della comunicazione diretta e comprende azioni quali: monitoraggio del contesto; accreditamento; tematizzazione e personalizzazione; presentazione di documenti, dati e analisi tecniche; prese di posizione (position papers); partecipazione ad audizioni conoscitive. ,

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- Il secondo gruppo può essere incluso nella categoria della comunicazione indiretta, in quanto cerca di esporre il decision maker pubblico ai riflettori dell'opinione pubblica. Comprende azioni quali: pubblicazione di rapporti su media propri o indipendenti; dichiarazioni di esponenti dell'organizzazione; conferenze stampa; convegni e manifestazioni culturali con il coinvolgimento di personale qualificato indipendente; campagne-stampa e inchieste giornalistiche; rivelazioni documentate; studi e relativa campagna di divulgazione dei contenuti; raccolta e valorizzazione attraverso i media di testimonianze autorevoli; campagne di pressione sul decisore da parte della propria base; alleanze. - Il terzo gruppo può essere incluso nella categoria della contrattazione diretta. Le azioni si concretano in atti rivendicativi o vertenziali. Possono prendere la forma di: scambio di informazione e consenso contro decisione; dimostrazioni orchestrate presso il luogo in cui si assume la decisione; apertura di una vertenza pubblica; invito al decisore a partecipare a proprie manifestazioni e "confronto" con una base più o meno agguerrita. - Il quarto gruppo può essere catalogato come azione attraverso forze istituzionali (è una forma di contrattazione indiretta). Le azioni comprendono una pressione o un'attività di convincimento e di scambio con istituzioni influenti sulla decisione e sul decisore quali: associazionismo; ricerca di una sponsorizzazione di partiti e uomini politici; affidamento della propria causa a un soggetto amministrativo (ministero, organo di ente locale, ente autonomo); ricerca, all'interno delle formazioni partitiche, di soggetti simpatizzanti o sponsorizzanti. - Il quinto gruppo può essere classificato come azione legale o giudiziaria. Poco praticata in Italia, comprende: apertura di vertenze giudiziarie presso i tribunali, amministrativi e non; creazione di casse di risonanza durante il processo e dopo la sentenza (se favorevole); patrocinio a propri aderenti che aprano vertenze giudiziarie (possibilmente in numero elevato) sui temi di interesse dell'organizzazione; assistenza tecnico-legale a propri aderenti che si impegnino in vertenze giudiziarie come sopra.

Le tecniche Le tecniche che vengono appresso indicate sono classificabili in una o più delle cinque categorie richiamate, con l'avvertenza ulteriore che raramente esse vengono utilizzate allo stato puro e ancora più raramente vengono consapevolmente progettate. Una classificazione rigorosa non è 137


quindi ancora possibile. L'empirismo, l'intuito e la "praticaccia" tengono il campo. Precisiamo: non è quello che si deve fare, ma ciò che si fa "nelle migliori famiglie" (corpi sociali) in Italia e in Occidente. Desideriamo sottolineare come nessuna delle tecniche abbia qualcosa a che vedere con la corruzione di ogni genere. Il lobbying - è fondamentale insistere sul punto - è diverso dalla corruzione. La corruzione è la patologia del sistema, e l'attività di lobbying è un'alternativa manageriale ad essa, in quanto tende a consentire il raggiungimento dell'obiettivo utilizzando gli strumenti politici della partecipazione influente. Mappatura del contesto. Per contesto si intende l'inquadramento di ruoli, competenze e istituzioni del potere pubblico in Italia: l'individuazione, quindi, dei soggetti influenti all'interno del potere reale (ad esempio, il singolo parlamentare di un gruppo, in quanto interessato personalmente o lobbista lui stesso, il direttore generale di un ministero eccetera). Contrattazione diretta fra il lobbista e il singolo decision maker pubblico. Possiamo citare ad esempio il "faccia a faccia", la conversazione telefonica, le e-mail eccetera, esempi di un lobbying informale, portato avanti anche fuori dalle sedi istituzionali. Il clima d'informalità ha numerosi vantaggi tattici: consente di trattare in tono personalizzato e amichevole, concorre a instaurare un clima di fiducia e rapporti personali. È addirittura difficile "tracciare una linea fra lobbying ed amicizia" 4 .

Presentazione di documentazione. Fase delicata ma anche di grande efficacia perché possa avere un seguito in termini di elaborazione, legislativa o amministrativa che sia. Il lobbista, o la lobby in genere, deve essere in grado di presentarsi come la fonte pii'i autorevole e aggiornata d'informazione sul settore o l'interesse rappresentato. E in questo momento che viene presentato il cosiddetto position paper, in versione corta (due pagine per il decision maker), o lunga (ildossier per lo staff). Partecipazione ad audizioni conoscitive. La partecipazione diretta è insita nella regolamentazione, ma è anche il tramite di un lobbying "ufficioso", come abbiamo già visto. Il flusso d'informazione che si viene a creare è a due vie: in entrata, per ciò che riguarda l'informazione che va dalla lobby verso l'istituzione pubblica; in uscita, dall'istituzione verso la lobby, quando è questa a richiederla su decisioni che possono essere prese o non riguardo a un determinato interesse. Siamo in questo caso di fronte a un'anticipazione che consente di programmare l'attività e intervenire eventualmente sui processi decisionali, e di impedire le mosse di interessi opposti. 138


Grassroots lobbying. È tutta quell'attività di comunicazione e lobbying volta ad influenzare il decisore pubblico tramite l'opinione pubblica, facendo in modo che questa "dal basso" (da cui grassroots, alle radici dell'erba) influenzi il decisore. Parliamo di attività di mailing, cartaceo ed elettronico, telefonate, articoli e lettere preconfezionate pubblicate sui giornali eccetera. Certo, molte di queste tecniche non fanno parte della cultura p0litica italiana, da sempre fin troppo legata al ruolo dei partiti, e possono risultare anche dispendiose. Tuttavia attraverso i media, tanto pi'i oggi con le possibilità concesse dalla rete, è possibile raccogliere il consenso del pubblico o dei decisori 5 su un determinato obiettivo. Ilposition paper. Un position paper presenta un'opinione sostenibile circa una issue, una questione di vostro interesse. L'obiettivo di un position paper è di convincere le audiency 6 cui è diretto che il vostro parere è degno di essere ascoltato. Per quanto possa sembrare scontato - ma non lo è nella pratica - è fondamentale che tutti gli aspetti della questione vengano sviluppati in modo approfondito, e che vengano presentati nella maniera più semplice, di modo da poter essere compresi nel miglior modo possibile dalla vostra audience di riferimento. Il vostro lavoro è quello di esporre un'opinione e persuadere la vostra audience di riferimento che quanto da voi espresso è basato su un'ottima conoscenza dell'argomento. E fondamentale supportare la vostra opinione con prove che assicurino la validità di quanto da voi affermato, ma è anche importante presentare gli argomenti degli oppositori, sia per correttezza professionale che per dimostrare che avete sviscerato l'argomento in tutti i suoi aspetti. Issue criteria. Per prendere posizione su un argomento, è necessario innanzitutto comprendere se quella posizione è sostenibile. Si parta dalle seguenti domande per cercare di comprendere la solidità della nostra posizione: è una questione realmente controversa e incerta nelle sue possibili conseguenze? Si possono identificare due posizioni distinte? Siamo personalmente interessati a "sponsorizzare" una delle due posizioni in campo? La questione è abbastanza chiara e definita da poter essere gestibile? L'analisi della questione e lo sviluppo delle argomentazioni. Una volta individuata la questione, la prima cosa da fare è compiere alcune ricerche sulla materia. Infatti, mentre è forse facile avere già un'opinione sulla questione in ballo, e un'idea su quale posizione prendere, bisogna prima assicurarsi che la scelta sia ben supportata. Innanzitutto, va redatto un elenco dei pro e contro sulla questione. Redigere questo elenco aiuterà a 139


saper valutare al meglio le posizioni in campo. L'elenco va poi accompagnato con una lista di fatti, numeri, prove o altro a supporto di entrambe le posizioni. Ad esempio: notizie di dominio pubblico, praticamente verificabili da chiunque; statistiche; ricerche da parte di enti indipendenti; testimonianze verificabili. Nella pratica, è necessario sviluppare le argomentazioni possibili come se si dovessero sostenere tutti gli schieramenti rispetto alla questione di interesse. Una volta fatto tutto ciò, e analizzate le informazioni che si posseggono, si deve iniziare a prendere in considerazione quale possa essere la più utile ai fini di un esito positivo dell'azione di lobbying. Nel prendere in considerazione le audience di riferimento, ci si deve prima porre le seguenti domande: a quale audience ci si riferisce? A quale credo politico si ispira? Intende esporsi sull'argomento? Quali sono i suoi (possibili) interessi sulla questione? Che tipo di prove è meglio usare, in termini di efficacia (ricerche, articoli di giornale eccetera)? Nel determinare quindi il punto di vista da esporre, ci si chieda quanto segue: la questione in ballo è di ampio interesse? È possibile controllare il materiale all'interno delle specifiche date dal soggetto che si rappresenta? Il soggetto rappresentato propone esso stesso un piano d'azione, o dei target in termini di audience, specifici? C'è abbastanza materiale per sostenere il nostro punto di vista?

Il monitoraggio istituzionale. Il monitoraggio istituzionale può essere definito come un'attività di osservazione, analisi e controllo sistematico e continuo di una situazione o di un processo in corso presso una pubblica istituzione. Le attività di cui si costituisce il servizio di monitoraggio istituzionale sono state innanzitutto indicate come: a) Osservazione; b) Analisi; c) Controllo. Il target del monitoraggio non è l'istituzione (il Parlamento, il Comune, la Regione, la Commissione europea etc.) ma una situazione o un processo in corso. Il focus di chi gestisce l'attività di monitoraggio non è il decisore o il luogo della decisione, ma una situazione o un processo che può anche coinvolgere più istituzioni o decisori. L'attività di monitoraggio è quindi trasversale alle istituzioni.

Network monitoring e hub istituzionali. In una "società aperta" fondata sui pluralismo delle posizioni, l'interesse generale è frutto dell'incontro tra molteplici interessi, posizioni ed idee fallibili 7 . Interessi, idee, proposte spesso confliggenti sono rappresentati presso le istituzioni e i decisori da 140


una complessa molteplicità di entità organizzate (partiti, associazioni, gruppi, lobbisti). Tali soggetti difendono gli interessi rappresentati e rendono permanente il dialogo fra eletti ed elettori, assolvendo così ad una duplice funzione democratica. Da un lato, infatti, essi contribuiscono a portare all'attenzione dei decisori questioni, problemi, interessi dei rappresentati; dall'altro, assicurano che il rapporto tra elettori ed eletti non si esaurisca al momento del voto ma prosegua durante l'intera vita politica dell'istituzione. In una "società aperta", quindi, rappresentanza e complessità vanno di pari passo, ponendosi quali caratteri essenziali dell'intermediazione democratica. Date queste premesse, nella complessità che caratterizza gli iter decisionali, dove una molteplicità di soggetti più o meno formalmente costituiti rappresenta un numero molto più ampio di interessi confliggenti, come poter garantire che l'attività di monitoraggio istituzionale fornisca una rappresentazione efficace della realtà? Sociologi e politologi si sono interrogati e si interrogano diffusamente in merito ai modelli interpretativi dei processi decisionali. Tra questi, la teoria delle reti, evoluzione delle teorie dei sistemi complessi di derivazione cibernetica, propone un interessante paradigma per indagare la multiforme varietà della società, anche nei suoi aspetti politico-decisionali 8 . Secondo la teoria delle reti, nei sistemi complessi (reti sociali, economiche, biologiche) compaiono nodi con un insolitamente alto numero di link, detti connettori. Attraverso tali connettori, che nel nostro caso potrebbero essere le istituzioni competenti o i decisori rilevanti in una determinata questione, transitano interessi, proposte, idee alternative. Presso tali "grandi connettori", gli interessi rappresentati configgono e si compongono a formare decisioni politiche, risultato di una rete di interazioni, informazioni, responsabilità e conflitti che hanno in tali hub istituzionali il loro "nodo di riferimento" della rete. La teoria delle reti, dunque, fornisce modelli che consentono la descrizione della topologia della rete nonché la comprensione dei meccanismi che ne guidano l'evoluzione e il funzionamento. Nell'impostazione weberiana, istituzioni e burocrazia si caratterizzano per impersonalità, gerarchia, continuità, competenza e sono state intese come un inevitabile fenomeno collaterale della razionalizzazione del sistema politico e della democrazia di massa 9 . È la gerarchia razionale, quindi, a caratterizzare i rapporti all'interno delle istituzioni: l'organigramma ed il diagramma di flusso ne sarebbero le rappresentazioni più efficaci. La teoria delle reti stravolge tale impostazione. I rapporti intra- e inter-istitu141


zionali possono essere interpretati come una rete di relazioni e di nodi interconnessL Non necessariamente, inoltre, i nodi principali sono quelli gerarchicamente sovraordinati: si pensi, ad esempio, alla posizione non certo privilegiata delle segreterie e degli assistenti particolari nelle gerarchie burocratiche e all'importanza reale che questi invece rivestono nell'iter decisionale. Individuare i nodi rilevanti, monitorare gli hub della rete, esplicitarne le connessioni, analizzare gli output: in tali quattro principi si può riassumere l'applicazione della teoria delle reti all'attività di lobbying. GLI ERRORI PIU COMUNI DEI LOBBISTI

Una volta descritto chi sono i lobbisti e viste anche le principali strategie e tecniche di lobbying, chiudiamo cercando di illustrare in quali error1 10 un rappresentante di interessi, un lobbista, non dovrebbe cadere, ma che sono quelli tendenzialmente più diffusi. Le conoscenze altolocate. A rischio delusione, professionale oltre che umana. L'appoggiarsi troppo sulle conoscenze personali rischia di portare il lobbista a non mettere in campo tutta la propria professionalità, con i rischi che possono conseguire in termini di mancato risultato. Inoltre, si rischia di far passare per favore ciò che in realtà è un diritto, oltre a distrarre dall'inquadramento di possibili soggetti ostili e capaci di impedire alla nostra "conoscenza" di risolvere il nostro problema. Tutto è in vendita. Quanto costa? Pagare per ottenere un provvedimento, oltre al rischio di portare il lobbista nelle mani di un magistrato (giustamente) solerte nel perseguire la corruzione, riuscirà a trasformare un diritto in un favore. Con tale pratica, inoltre, si ammetterà implicitamente di non essere in grado di far valere le proprie ragioni in modo professionale. Pubbliche relazioni. Ricevimenti, cene, pranzi, feste, cocktail. Come noto, le persone che contano non hanno alcuna necessità di farsi pagare un pranzo o un cocktail. Di conseguenza, questi debbono rappresentare semplicemente momenti di socializzazione. Oltre tutto, chi già conosce tanta gente ed è molto conosciuto (a meno che non sia un politico in campagna elettorale) preferisce un breve scambio di idee e una negoziazione veloce piuttosto che rimanere bloccato per ore in un convivio. Certo, le pubbliche relazioni possono essere utile strumento in termini di dimostrazione di buona organizzazione, ma il vero lavoro di lobbying inizia proprio dove terminano le Pr. 142


La legge è stata approvata. Ce l'abbiamo fatta. L'Italia, piii di molti altri Paesi, è piena dileggi approvate, promulgate e mai applicate o implementate come avrebbero dovuto essere. Riuscire ad ottenere un provvedimento normativo favorevole è certamente un grande risultato, ma dimenticarsi della successiva necessaria attività da parte della pubblica amministrazione o del Governo (vedi, ad esempio, l'emanazione di decreti legislativi) potrebbe essere un errore fatale per gli interessi rappresentati dal lobbista. Quindi, finita la battaglia per l'approvazione della norma, la guerra continua... Entrare dopo nei particolari. Molto spesso i lobbisti vengono presi dalla nevrosi da incontro diretto. Spesso valutano (o si valuta dall'esterno) il proprio successo sulla base del numero e della qualità dei contatti realizzati (va detto che questo è un errore frequentemente causato dai clienti, anche se è il lobbista a compierlo). Il problema è che nella maggior parte questi incontri rimangono interlocutori, senza andare al punto, senza stabilire termini per una possibile azione. Si perde così di vista l'obiettivo finale. È, invece, fondamentale il foiow up, la telefonata o l'e-mail con il decisore incontrato o con il suo staif per chiedere le loro impressioni, i loro commenti sui contenuti dell'incontro, per ringraziare, auspicando di poter contare sul suo/loro aiuto negli step successivi. LA NECESSITÀ DI LEGITTIMARE IL LOBBYTNG

Al termine di questo cammino si è rafforzato il convincimento già espresso nelle considerazioni introduttive, in altre parole la necessità di una legittimazione democratica dell'attività di lobbying anche tramite una sua regolamentazione e professionalizzazione. Lo hanno dimostrato gli Stati Uniti, cui spesso si guarda come esempio, regolando un sistema che adesso funziona fisiologicamente!! e che è inserito nell'ambito di un controllo dell'illegalità con il supporto della regolamentazione relativa al finanziamento pubblico. Al di là poi di quanto fatto negli Stati Uniti, sono tutte le tendenze e le evoluzioni che il nostro tempo di grandi cambiamenti sta affrontando ad imporre un intervento sulla materia. Finora si è parlato di regolamentazione ciclicamente, in particolare nei momenti di crisi istituzionale quale è stato quello dell'inchiesta denominata Tangentopoli (primi anni Novanta), in cui era sostanzialmente d'obbligo parlare di lobby accostandola alla corruzione. Ancor piui se ne è parlato recentemente a seguito dei vari scandali bancari, citando attività che possono essere semplicemente riferite al lobbying quali incontri, cene ec143


cetera, senza passaggi di soldi e quindi senza episodi di corruttela. Di scorta a queste crisi sono state fatte proposte di regolamentazione cadute nel disinteresse, benché simili alla legge americana riconosciuta efficace nel tentativo di rendere trasparenti e visibili il processo decisionale pubblico e le influenze che subisce. La realtà d'oggi, tuttavia, impone chiarezza e trasparenza. Si è di fronte a cambiamenti di grande portata: basti pensare al prevalere, ormai, delle istituzioni europee su quelle nazionali. Il Parlamento interno conta sempre meno e l'Unione Europea invece, sempre piit (con la Commissione che perde potere e il Consiglio dei ministri e il Parlamento europeo che ne acquisiscono). Di fronte ai "cambiamenti europei" e a quello che il federalismo apporta, con il decentramento del potere verso le istituzioni locali, è sbagliato non muoversi nella direzione di una regolamentazione che istituzionalizzi in modo definitivo chi rappresenta gli interessi. Le sedi cambiano, aumentando e diminuendo la propria portata decisionale a seconda che si vada verso Bruxelles, e quindi ad un livello sovranazionale, o verso le Regioni, e questo comporta il cambiamento dei metodi del lobbying, dei soggetti interessati, dei decisori pubblici con cui i lobbisti entrano in contatto. Non solo. Tutto ciò si somma al fatto che gli interessi in gioco si moltiplicano e si frammentano sempre piuit. Andranno a scontrarsi, a livello europeo, con tutti gli interessi di uno specifico settore e, a livello locale, con tutti quelli di coloro che saranno coinvolti una volta spostato il centro decisionale. Anche se per quanto riguarda la questione europea ci sarà poco da fare, considerando la residualità dei poteri degli Stati che ne fanno parte, è in ogni modo necessario affrontare le evoluzioni a carattere nazionale e coprire ciò che l'Unione europea lascia scoperto. I cambiamenti portano sicuramente ad una lettura della questione nel senso di una necessaria tendenza alla regolamentazione e alla legittimazione dell'attività di lobbying. In una democrazia rappresentativa, quale è la nostra, ogni decisione pubblica dovrebbe essere assunta tenendo conto dell'interesse generale. Leggi, regole e norme servono ad assicurare ai cittadini un ordinato svolgersi della vita di associazione: politica, economica e sociale. Vi è un soggetto specificamente incaricato di questo compito ed è la pubblica amministrazione, la quale, rispetto a ciascuna questione che meriti di essere regolata dal potere pubblico, ha il compito di analizzare le diverse soluzioni possibili, tenendo in conto le implicazioni di ciascuna, e poi scegliere quella che più delle altre tutela l'interesse generale. Anche ai sensi dell'art. 97 della Costituzione italiana. Lo stesso legislatore rappresenta sì l'interesse generale, ma 144


in realtà, pur rimanendo nei limiti stabiliti dalla Costituzione, già oggi è espressione di una serie di interessi particolari, spesso in contrasto con quello generale, ma meglio organizzati. Vero problema è che questi interessi, attualmente, rimangono nell'ombra. A sua volta, ogni organizzazione complessa che operi consapevolmente nella società e sul mercato si trova ad essere coinvolta in questo processo, poiché deve attentamente osservare le dinamiche del processo decisionale pubblico per prevedere e influenzare, attraverso relazioni con i diversi soggetti della decisione pubblicà, tutte le possibili decisioni che potranno favorire od ostacolare il raggiungimento dei suoi obiettivi. A fronte di una necessità normativa, i decisori, nell'interesse generale, prendono posizione in base a ciascuna questione. È normale che questa posizione intacchi i pii svariati interessi, ed è di conseguenza normale che vi siano dei rappresentanti di questi interessi intaccati che tentino la difesa della propria posizione e che ne informino i decisori. Ne risulta che in una democrazia rappresentativa e pluralista è indiscutibile che la presenza dei gruppi di pressione, delle lobby, assicura al decisore la consapevolezza che ciascun argomento pro o contro una determinata questione è stato sviscerato fino in fondo, lasciandogli poi la responsabilità di decidere riguardo il bilanciamento di quegli interessi che, a suo giudizio, si avvicinino maggiormente all'interesse generale. Di fronte a queste considerazioni relative sia alle evoluzioni, sia al peso che si dà alle lobby, si giunge ad un'unica soluzione: è giusto che venga emanata una regolamentazione ad hoc. Se sono le leggi che assicurano la vita democratica e le lobby ne sono un elemento fondamentale, allora regolamentiamole. Ed il sillogismo si chiude. Se a tutte queste valutazioni aggiungiamo il fatto che l'attività di lobbying è legittimata, come abbiamo tentato di dimostrare, anche dalla Costituzione, il quadro si completa. L'Italia ha tutte le carte in regola per fare questo passo. Occorre adesso muoversi nella direzione giusta, la quale, sulla base delle ultime proposte, sembra essere stata imboccata.

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Cfr. "Lobbies: difesa dei diritti o moderno patronage?', scheda 5 del Rapporto Italia '96, Percorsi di ricerca nella società italiana, a cura dell'Eurispes. 2 11 centro storico di Roma vede ormai decine di palazzi di proprietà rispettivamente di Camera e Senato, dove sono allocati gruppi parlamentari, membri e uffici vari. Categorizzazione originariamente costruita da TRUPIA La democrazia degli interessi. Lobby e decisione collettiva, Il Sole-240re Libri, Milano, 1989. ' MCFARLAND, Common Cause. Lobbying in the Public Interest, Chatam House, Chatam 1984,p. 116. Un'azione di lobby collettiva è stata, ad esempio, realizzata dai "ricorsisti" chè non avevano superato i test di ammissione alla facoltà di Medicina, i quali hanno inondato le caselle

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dei parlamentari di migliaia di email: si veda il «Corriere della Sera», 6 marzo 2001. 6 Il pubblico su cui ci si attiva nel fare lobbying. ' POPPER K., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1996. 8 BARABASI A. L. Link. La nuova scienza delle reti, Einaudi, Torino 2003 9 Per l'analisi delle teorie weberiane in materia di burocrazia si veda Rossi P. (a cura di), Max Weber e l'analisi del mondo moderno, Einaudi, Torino, 1981 IO Ancora una volta ci rifacciamo, per la classificazione basè, all'opera di TRUPIA, 1989. li Certamente non mancano anche negli Stati Uniti casi in cui l'attività di lobbying è sfociata in corruzione, vedi il recente scandalo che ha coinvolto il famoso lobbista Jack Abramoff.


queste istituzioni n. 144 inverno 2007

saggio

Le trasformazioni e le complessita del sistema nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica di Ignazio Porte/li

gli inizi degli anni Sessanta, un convegno de Il Mondo venne dedicato al Paese delle cinque polizie!, da dove emergevano, attraverso la narrazione di alcuni esempi, gli apparati dell'ordine e della sicurezza pubblica caratterizzati da cospicue duplicazioni di attività e di uffici. In epoca più recente, è stato fatto notare 2 che "il succedersi delle stagioni e dei governi e i cambiamenti epocali della storia d'Italia, non hanno messo in fuga due dati di fondo, che oggi (....) appaiono in tutta la loro gravità. 1) Le forze di polizia sono state sempre prima di tutto forze "dell'ordine" invece che forze di sicurezza: è stato e continua ad essere l'ordine pubblico la prima e spesso pressoché unica preoccupazione, a detrimento della dialettica democratica da una parte e della lotta al crimine dall'altra. 2) Gli apparati (enormi e pletorici) di polizia hanno acquistato un ruolo extracostituzionale che ha finito per marginalizzare non solo quello della magistratura, ma degli stessi governi.

At

ALCUNE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA CLASSICO DELL'ORDINE E DELLA SICUREZZA PUBBLICA

Insomma le forze di polizia hanno costituito una sorta di potere a sé, davanti al quale governi, magistratura, classe politica e informazione hanno avuto atteggiamenti di disinteresse o di remissione. A ciò deve, poi, aggiungersi che in Italia il concetto di sicurezza non distingue tra la sicurezza in senso tecnico e la sicurezza in senso generale, contrariamente, ad esempio, alla Francia (sécuritè e surete) e all'Inghilterra (safety e security). Ciò determina una certa confusione tra i diversi livelli di intervento e di prevenzione, essendo assente la distinzione tra misure (anche individuali) e attività di maggiore respiro e strategia. L'Autore è prefettizio presso l'Ufficio aflri legislativi e relazioni parlamentari del ministero dell'Interno. 147


Un primo nucleo di caratteristiche attiene, quindi, in estrema sintesi: a)al privilegiare l'ordine piuttosto che la lotta al crimine; alla consistenza degli apparati preposti ad assicurare l'ordine e la sicurezza; all'occupazione da parte delle forze di polizia di un ruolo improprio, rispetto all'analisi comparata dell'assetto dei poteri pubblici ovvero nella fisionomia politica del nostro Stato; alla onnicomprensività del concetto di sicurezza e alle difficoltà di misurazione3 .

L'ordine e la paura (angoscia) Nel frattempo, il contesto di riferimento si è ulteriormente complicato, in quanto si è ormai apertamente determinato un nesso tra legalità, allarme sociale, libertà e sicurezza 4 . Questo nuovo e molto articolato aspetto è stato, tra l'altro, studiato dal CENsIs 5 , il cui campo di indagine, tenendo fermi gli obiettivi della cultura dello sviluppo e della cultura della legalità, fu quello dell'analisi dell'integrazione sociale, in forte modificazione strutturale a causa del flusso migratorio, ed il senso di sicurezza delle comunità locali, messo in tensione per il diffondersi della delinquenza comune, una paura comunque inferiore a quella per altri mali del nostro Paese (droga, immigrazione, disoccupazione) 6 . I dati sul fenomeno della delinquenza 7, anche quelli ufficiali, sono spesso contrastanti, a causa della diversità nei metodi di rilevazione e di calco10 8 . Tuttavia, anche se forse in questo ultimo periodo vi è forse stata una certa tendenza al ribasso, rimane stabile nell'ultimo decennio l'altissima percentuale del 90 per cento circa di autori rimasti ignoti, sebbene questo numero comprende pure le reiterazioni e i reati abituali (furto, borseggio e scippo). L'allarme sociale e la paura nei cittadin1 9 tende ad aumentare: sempre secondo il CENSIS'° nel 1999, infatti, il 34,7 % degli italiani era convinto che la propria zona di residenza negli ultimi anni era diventata più pericolosa e ben il 66,4 % pensava che in Italia i reati fossero in costante crescita''. L'insieme di queste alte percentuali viene anche confermato da altre rilevazioni più recenti 12 . Obiettivamente, "la sensazione di insicurezza dei cittadini può essere ricondotta soio parzialmente all'esperienza diretta: infatti, non va dimenti148


cato l'effetto moltiplicatore di propagazione delle paure che come cassa di risonanza deriva dai frequenti messaggi mediatici relativi agli episodi di violenza. Una valutazione troppo spesso basata unicamente sull'emotività dell'evento, colpisce la sensibilità collettiva e crea allarmismo, ma non aiuta il cittadino a valutare il reale peso del pericolo 13 ". Quindi, più di paura si dovrebbe trattare di angoscia 14 . La paura è un meccanismo di difesa organizzato contro un pericolo individuato, mentre l'angoscia è costituita dall'ansia parossistica che investe chi si sente in pericolo, ma non sapendolo individuare, non è in grado di organizzare una difesa 15 . Peraltro, questo stato d'animo viene fatto derivare anche dal caotico sviluppo urbanistico "senza una pianificazione". Gli spazi non sono stati fino ad oggi progettati o riqualificati con una attenzione particolare al tema della sicurezza. Questo contribuisce a generare ansie, paure e tensioni, indipendentemente dal pericolo reale 10 Per la attuale rilevanza del tema può essere utile considerare anche la promulgazione, a conclusione della XIII legislatura, del c.d. pacchetto sicurezza (legge 26 marzo 2001, n. 128), ovvero di un variegato insieme di disposizioni volto alla tutela della sicurezza dei cittadini frettolosamente approvato, e la centralità della sicurezza nelle ultime due campagne elettorali per il rinnovo del Parlamento: dal poliziotto di quartiere alla legittima difesa, dalla vivibilità delle città all'aumento dei presidi sul territorio. Pertanto, da questo contesto deriva che la sicurezza non è ormai solo un fattore giuridico 17, ma attiene ad una molteplicità di fattori sociali, culturali, storici, istituzionali e politici 18 .

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Iprinczpi ordinamentali e l'Unione europea È con l'affermazione e con l'evoluzione degli Stati moderni che si affermano le garanzie dei diritti dell'uomo e del cittadino' 9 per la cui tutela necessita una forza di polizia da utilizzare a vantaggio di tutti per la conservazione del patto sociale e per lo svolgimento delle libertà. Al di là delle vicende storiche, esiste un filo conduttore tra illuminismo, Stato liberai le, uguaglianza dei cittadini, uniformità e istituzioni preposte ad assicurare il pactum soci etatis, quali il prefetto e il ministro dell'Interno. Tra i diritti fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo vi sono la sicurezza della propria persona (art. 3) e la proteL zione della stessa (art. 12), riaffermate dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 6; Nizza, 7 dicembre 2000), i cui primordi nel,

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la materia sono già rinvenibili nel Titolo VT del Trattato di Maastricht (1992). Successivamente, sempre nell'ambito dell'Unione 20, il Trattato di Amsterdam (1999) sancisce esplicitamente l'impegno nel campo della prevenzione e del contrasto di tutte le forme di criminalità21, come uno degli obiettivi prioritari degli Stati membri (art. 29) per realizzare l'istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il primo Consiglio europeo dedicato esclusivamente ai temi della giustizia e degli affari interni (Tampere, 15-16 ottobre 1999) ha individuato alcuni settori principali di intervento in materia di sicurezza attinenti alle criminalità giovanile e urbana. Queste indicazioni vennero confermate durante la Conferenza ad alto livello (Praia de Falesia, 4-5 maggio 2000), dove è stata riconosciuta la centralità delle attività di prevenzione ad ampio raggio. Per tali ragioni, venne adottato il programma Hippokrates (biennio 20012002), per incoraggiare ad un'azione comune la molteplicità dei soggetti operanti nel settore della prevenzione e venne istituita la Rete europea di prevenzione della criminalità per sviluppare le strategie nazionali per la prevenzione del crimine con particolare riguardo alla criminalità giovanile e urbana nonché quella collegata alla droga 22 . Dall'Unione europea sono stati individuati, riprendendo una linea istituzionale presente nella Carta europea delle autonomie locali, almeno tre motivi per il pieno coinvolgimento delle comunità locali, negli interventi: il primo è che la sicurezza, è diventata una delle questioni strategiche nel governo locale; il secondo è che la prevenzione del crimine richiede un approccio multidisciplinare e multisettoriale; il terzo è che nella realizzazione delle attività va privilegiata la dimensione locale in modo che esse risultino essere le pRi calibrate possibil1 23 . In Italia, l'assetto dei poteri di polizia 24 e delle politiche di sicurezza è stato segnato, nel secondo dopoguerra, dall'aggiornamento delle regole ereditate dal regime fascista 25 in ragione dei precetti costituzionali e dei mutamenti della società italiana 26 . A tal proposito, rispetto al contesto nazionale e in linea generale tre aspetti hanno una preminente rilevanza: i Corpi di polizia sono il frutto di una secolare evoluzione, organizzativa e funzionale, con la quale io Stato ha progressivamente rafforzato e specializzato gli apparati deputati a garantire la sovranità interna; anche in uno Stato democratico, la sovranità dell'autorità statuale mantiene pur sempre il suo armamentario di apparati di polizia; 150


c) la democraticità delle politiche di sicurezza si misura in base agli indizi dei condizionamenti della maggioranza sugli indirizzi e sugli obiettivi, dell'ampiezza delle materie soggette ai poteri di polizia, del livello di tipizzazione legale dei poteri di polizia e dei loro presupposti e, infine, della effettività delle tutele accordate ad iniziare da quella giurisdizionale. IL SISTEMA NAZIONALE DELL'ORDINE E ÙELLA SICUREZZA PUBBLICA

La presenza di una vasta molteplicità di istituzioni e di soggett1 27 pubblici e privati, coinvolti in modo diretto od indiretto, preminente o secondario, giustifica la esistenza di un sistema nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica 28, che si è venuto a definire nelle sue varie componenti dalla metà degli anni Novanta. ,

L'assetto storico-istituzionale Una prima linea istituzionale è data dalla esistenza sul territorio di più forze di polizia29, alcune a competenza generale (Arma dei carabinieri e Polizia di Stato) altre a competenza mista, specifica e generale (Corpo forestale dello Stato, Corpo della polizia penitenziaria e Guardia di finanza). Ciò ha postulato e postula la necessità di provvedimenti e di azioni di coordinamento e, quindi, di attività di raccordo in vista dello scopo comune: la sicurezza dei singoli e delle formazioni economiche, sociali e culturali. La teoria classica del coordinamento nell'ambito in esame, ampiamente sviluppatasi con la promulgazione della legge di riforma della pubblica sicurezza e della Polizia di Stato (legge 1 aprile 1981, n. 121), pone a fondamento la individuazione di un agile strumento di raccordo, quantomeno sotto il profilo professionale delle varie forze di polizia, in modo da poter garantire, pur nella diversità dei rispettivi modelli organizzativi e delle peculiarità-professionalità ed esperienze operative, la fondamentale unitarietà dei fini e la possibilità di impiego in un disegno differenziato ma organico di difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica 30 È una concezione molto equilibrata che prende avvio dall'opera di Bachelet 31 e cerca di coniugarla con l'assetto istituzionale, salvaguardando l'autonomia funzionale delle singole forze di polizia. L'autonomia e il raccòrdo delle attività costituisce il binomio attorno al quale è stato costruito il modello del coordinamento delle forze di poli.

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zia, rafforzato, poi, da una serie di ruoli (autorità nazionale di pubblica sicurezza-ministro dell'Interno; capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza; autorità provinciale di pubblica sicurezza-prefetto), di organismi (Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica; Comitato provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica; Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata), di norme speciali (adozione di piani territoriali di prevenzione e di contrasto adottati dal questore quale autorità tecnica) e di vari livelli di responsabilità (comandanti provinciali e territoriali). Essendo il coordinamento delle forze di polizia 32 caratterizzato nei fatti da soggetti pari ordinati 33 e non esistendo gerarchie di apparati ed obbligo di accettare il coordinamento, accade che esso abbia avuto e abbia andamento incostante soprattutto in periferia e necessità di specifici poteri in capo al soggetto coordinatore 34 Sono da segnalare tre direttive del ministro dell'Interno. La prima è quella del ministro Scotti del 12 febbraio 1992 con "lo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse disponibili e di rafforzare il coordinamento operativo delle forze di polizia mediante una più razionale dislocazione dei dispositivi a competenza generale in materia di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, l'istituzione di nuovi presidi territoriali della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri dovrà tener conto, per l'avvenire, della necessità di evitare duplicazioni a livello locale", e per tale ragione, salvo motivate eccezioni, Ia prima dovra privilegiare il potenziamento della propria presenza nei centri capoluoghi di Provincia e la • seconda nelle altre località". Al prefetto viene chiesto di svolgere ampie • istruttorie, oltre alle valutazioni in sede di Comitato provinciale per l'ord..ine e la sicurezza pubblica, sulla rete dei presidi presenti nel territorio. Al contempo, vengono consolidati i comparti di specialità delle forze di polizia e vengono definite pure le modalità del concorso della Guardia di finanza e delle altre polizie nei servizi di ordine e sicurezza pubblica, nonché le prime regole per la interconnessione delle sale operative per lo scambio reciproco delle informazioni in tempo reale. Di sostanziale conferma della prima è la Direttiva del ministro Napolitano del 25 marzo 1998, con la novità di indicare ai prefetti di prevedere l'apporto della polizia municipale, previe intese con i sindaci, nei piani coordinati di controllo del territorio. Si tratta dell'inizio di una tendenza, che ha dato l'avvio e ha profondamente modificato in questi ultimi anni il sistema nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica 35 .

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Di maggiore rilievo è la Direttiva del ministro Bianco del 12 febbraio 2001 "per chiarire i compiti assegnati alle istituzioni che sui territorio agiscono per la tutela dell'ordine pubblico". Viene individuata la procedura del percorso decisionale, evidenziando i singoli segmenti che compongono l'azione delle forze di polizia e la funzione di coordinamento attribuita al ministro dell'Interno, al Dipartimento della pubblica sicurezza, ai prefetti e a livello tecnico operativo ai questori. In particolare, viene ribadito e meglio definito il ruolo del Dipartimento della pubblica sicurezza e le modalità di esercizio delle funzioni assegnate in materia di attuazione della politica dell'ordine pubblico e della sicurezza, nonché il coordinamento tecnicooperativo delle forze di polizia con una posizione di snodo e di raccordo tra l'indirizzo e la azione operativa. Si precisa, poi, la funzione fondamentale, anche se consultiva, svolta dal Comitato nazionale dell'ordine e sicurezza pubblica, i cui componenti sono i vertici del settore, e si ribadisce l'equiordinazione dei capi delle forze di polizia. Viene ribadita la sovraordinazione funzionale del Capo della Polizia-Direttore generale della pubblica sicurezza, a cui spetta il compito di rendere operativi gli indirizzi del ministro dell'Interno, così come riaffermato nella legge di delega di riordino del 2000 perché, evidentemente, il legislatore ne aveva avvertito l'esigenza 36 Per il ministro Bianco, il prefetto, una volta acquisita la consulenza del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, "è responsabile di una decisione autonoma che, non essendo atto complesso, può anche non coincidere con il contenuto del parere espresso dall'organo collegiale, ma che in tale ipotesi deve trovare una sua adeguata motivazione per non sconfinare in un possibile arbitrio". E quanto sia rilevante la questione del buon funzionamento del coordinamento viene anche affrontato il caso in cui, a livello provinciale, "sia il coordinato a resistere nei confronti dell'azione coordinatrice. Se infatti non v'è dubbio che al soggetto coordinato resti la possibilità di decidere se adeguarsi o meno al modello di coordinamento e fermo restando la sua libertà nelle scelte modali di attuazione della volontà manifestata dal prefetto riferita ai fini e alle priorità, è pure indiscutibile che l'atteggiamento di contrasto debba essere fondatamente motivato, altrimenti esso diventa arbitrario e come tale oggetto di censura di varia natura". E per tale ragione, "al fine di evitare il ripetersi di alcune situazioni di disagio funzionale e di difficoltà operative", vengono indicate alcune procedure a cui attenersi. Occorre, poi, aggiungere l'esistenza di nuclei di polizia alle dirette dipendenze di vari ministri, il cui funzionamento spesso sfuggiva al coordi.

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namento ad iniziare dalla istituzione degli stessi nuclei. Per tale ragione, il legislatore ha posto una regola e un metodo 37 L'insieme di queste direttive e disposizioni costituiscono, a vari livelli, lo sforzo per cercare di coordinare l'azione di ampi e ramificati apparati e testimoniano la complessità dell'esperienza maturata sul coordinament0 38 Gli inizi risalgono al d.l. 15 dicembre 1979, n. 626, di anticipo dei contenuti della legge n. 121/1981, i cui articoli sono dedicati a delineare i nuovi assetti istituzionali nei settore dell'ordine e della sicurezza pubblica39 . Da quel primo momento, si è registrato un crescendo di normative e di atti amministrativi che ribadiscono l'assetto della riforma. Sul piano operativo la sede naturale del coordinamento è il Dipartimento della pubblica sicurezza, dove peraltro è atti'o l'Ufficio di coordinamento delle forze di polizia con strutture interforze e con compiti attinenti alla elaborazione delle misure a salvaguardia della sicurezza, alla attuazione delle direttive emanate dal ministro dell'Interno, alla pianificazione della dislocazione dei presidi sul territorio, alla interconnessione delle sale operative, al controllo coordinato del territorio, alle relazioni internazionali. Mentre altre strutture si occupano, tra l'altro, del Centro elaborazioni dati (organismo di supporto informatico per l'attività operativa di tutte le forze di polizia) e dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e al traffico di stupefacenti. .

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I molteplici fattori di trasformazione degli ultimi anni L'assetto tradizional 40 in epoca recente, ha subito non poche trasformazioni che portano ad incrementare il sistema e a modificare gli equilibri e le prassi consolidate. La prima trasformazione riguarda il nuovo assetto dei pubblici poteri dopo le leggi Bassanini, con una maggiore attenzione alla qualità dei servizi41 , con la creazione di distinti livelli di governo e nuove regole nella gestione degli apparati pubblici. La stagione riformatrice ha avuto ripercussioni di varia natura sull'ordine e sulla sicurezza pubblica ad iniziare dalla sottoposizione alle regole del controllo di gestione e dal dover valutare le capacità dei funzionari e degli ufficiali secondo le modalità del raggiungimento degli obiettivi assegnati e del dover bilanciare i costi con i benefici e, quindi, del dover decidere spese ragionate 42 Una seconda trasformazione deriva dalla sempre maggiore internazionalizzazione dei rapporti con l'impiego di appartenenti alle forze di polizia ,

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in missioni all'estero, derivanti anche da accordi bilaterali di collaborazione e di assistenza. Inoltre, all'iniziale e duraturo rapporto con l'Interpol si sono progressivamente affiancati l'istituzione dell'Europ01 43 , dell'area Schengen44 e dell'Accademia europea di polizia e lo svolgimento di servizi comuni con altre polizie (ad esempio: alle frontiere, sui treni Italia-Germania, ecc.), determinando raffronti, sinergie e scambi di conoscenze e di professionalità. Inoltre, il monopolio della sicurezza pubblica da parte delle forze di polizia è venuto meno con la possibilità del concorso delle forze armate nella vigilanza degli obiettivi sensibili. E una previsione nata con la legislazione di emergenza (Vespri siciliani 45 inizialmente, poi estesa alle Regioni Calabria, Campania, Puglia e Friuli-Venezia Giulia) ed ormai consolidata dalla pii recente normazione (art. 18 della legge n. 128/200 1, cit.). Una quarta trasformazione concerne la polizia di prossimità. Il presupposto è l'esistenza di una organizzazione dei servizi ben ramificata, in quanto la prossimità intende soddisfare l'esigenza che ogni istituzione si faccia carico di avvicinarsi al destinatario del servizio prodotto e, pertanto, essa riecheggia la sussidiarietà così come viene configurandosi nel diritto nazionale e in quello comunitario. In Francia vi sono state le prime esperienze in tal senso 46 , considerate come una delle soluzioni al senso di insicurezza dei cittadini. In Italia, inizialmente vi è stato l'approccio legato all'utilizzo, tra l'altro, di numeri telefonici dedicati all'accompagnamento degli anziani a ritirare la pensione negli uffici postali e successivamente per legge è stato disposto che l'operatore di polizia vada a prendere a domicilio le denuncie dei portatori di handicap, degli anziani e delle persone impedite a farlo direttamente (art. 17, comma 2, della legge n. 128 cit.). Infine, con la legge finanziaria per l'anno 2003 ha preso avvio il progetto del poliziotto e del carabiniere di quartiere, quale modello tangibile della prossimità. Vi è, poi, la crescita delle attività di polizia sussidiaria o di sicurezza sussidiaria od anche di polizia complementare, intendendo, in ogni modo, le attività sussidiarie di polizia eseguite dalle imprese di vigilanza privata. I temi della vigilanza e della sicurezza delle persone e dei beni costituiscono una questione essenziale ed attuale della convivenza civile 47 . Sebbene la Costituzione non affronti la questione, parte della dottrina sostiene l'esistenza di un diritto naturale dei cittadini alla difesa senza peraltro determinare una sovrapposizione alle essenziali funzioni esercitate dai pubblici poteri48 ,

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Nel corso dell'ultima legislatura, il Governo ha presentato un disegno di legge49 di riordino perché la vetustà delle disposizioni sulla vigilanza privata e sulla custodia e l'evoluzione della società "da tempo consigliavano una revisione normativa di settore, che tenesse soprattutto conto della contestuale evoluzione del concetto di sicurezza ( ... ) che diviene per così dire 'sicurezza partecipata', nella consapevolezza che il patrimonio sicurezza appartiene a tutti i cittadini ed è quindi connaturale che tutti debbano in qualche modo offrire il loro contributo. Di qui la necessità di elaborare un progetto di sicurezza complessiva che distingua tra una 'sicurezza primaria' che è e rimane affidata alle varie forze di polizia e fa capo alle autorità di pubblica sicurezza (nazionale provinciali) ed una 'sicurezza secondaria o sussidiaria' 50 , che consenta di demandare ai privati quelle attività che non presuppongono l'esercizio dei poteri coercitivi che le vigenti leggi attribuiscono esclusivamente alle forze di polizia". Di conseguenza, l'obiettivo del Governo, facendo tornare attuali idee degli inizi dello Stato liberale5 l, è quello dello sviluppo delle attività di sicurezza esperibili da soggetti privati in un più ampio contesto di sicurezza generale, coordinato e controllato dal ministero dell'Interno e dai prefetti, quali titolari della funzione di amministrazione generale.

Il coinvolgimento delle autonomie e della società civile La trasformazione di maggiore rilevanza è quella derivante dall'ampliamento dei soggetti coinvolti nelle politiche e nelle misure della sicurezza. Con ripetute novelle alla norma fondamentale (art. 20 della legge n. 121 cit.) viene prevista e perfezionata la presenza dei sindaci e del presidente della Provincia nel Comitato provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica, trasformandone la originaria natura di organo a composizione tecnica52 . Tale nuova composizione registra, però, una questione istituzionale più complessa. Con l'introduzione dell'istituto della elezione diretta mutano le leadership locali istituzionali e politiche. In particolare, il sindaco e il presidente della Provincia sono politicamente più forti e meno soggetti alle tensioni delle maggioranze consiliari. Vi è un rapporto più diretto tra corpo elettorale, programma di mandato ed eletti. Sicché questi ultimi diventano sempre più i referenti delle istanze dei cittadini 53 e tra queste domande vi è la sicurezza 54 . Nel confronto europe0 55 , un percorso simile si era già determinato in 156


Francia56, dove, nel 1990, il Governo istituì la Commissione dei sindaci, presieduta dal Sindaco di Epinay, Gilbert Bonnemaison. Nel 1992, vengono redatti i Piani locali di sicurezza (PDs) 57 , con l'obiettivo tra l'altro, della prevenzione e della collaborazione della polizia con gli altri attori locali per l'elaborazione e la realizzazione degli interventi. Alcuni anni dopo (1997), venivano sottoscritti dai vari soggetti coinvolti i primi contratti locali di sicurezza (CLDs) e veniva istituita una rete di organi e comitati, mentre il Primo ministro, Lionel Jospin, dichiarava "la sicurezza quale priorità dei Govern0 58 ", affidata all'opera dei prefetti. In Italia, sulla scia di una serie di iniziative, principalmente nella Regione Emilia-Romagna 59, nascono il progetto Città sicure (1995) e il Forum sulla sicurezza urbana (1996), collegato a quello europe0 60 . Costituiscono i primi tentativi per cercare, in un rinnovato contesto istituzionale, nuovi percorsi per assicurare adeguati livelli di tranquillità ai cittadin1 61 , avendo la prevenzione sociale come presupposto per la riduzione dei tassi di criminalità e di vittimizzazione. La questione diventa prioritaria per il Governo D'Alema (1998). Le forze di polizia sono le garanti dell'ordine pubblic0 62 e devono prevenire l'iliegalità anche attraverso il presidio del territorio, ma per presidiario necessitano anche altre forme di presenza e di intervento (luoghi di incontro, illuminazione, servizi a rete, recupero dei tossicodipendenti, ecc.) 63 . Su queste linee, improntate ad un ruolo centrale e di raccordo del prefetto 64, si sviluppano i protocolii e i contratti per la sicurezza, variamente denominati e che ormai superano i centoventi atti. Inizialmente, tra le due principali fattispecie vi era una differenza giuridica, in quanto i primi erano generalmente delle intese e i secondi, invece, contenevano l'assunzione concreta di impegni reciproci tra le parti. Tuttavia sembra che ormai dal 2002 vengano sottoscritti in via quasi esclusiva contratti e protocolli di legalità65 , il cui fondamento risiede negli accordi tra amministrazioni (art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241). A questi si aggiungono i Patti territoriali per lo svilupp0 66 coinvolgendo un numerò maggiore di soggetti. La caratteristica comune è quella di istituire una rete di soggetti (pubblici, privati, associazioni, imprese, sindacati, ecc.) coinvolti a vario titolo nella sicurezza67 . In questo modo si affianca al consolidato concetto della sicurezza dei cittadini quella urbana 68 e quella della sicurezza delle imprese69 e del territorio. In particolare, con i patti territoriali gli impegni molteplici assunti tra le varie parti si legano alle possibilità di sviluppo, so157


prattutto nel Mezzogiorn0 70, e al livello di sicurezza da assicurare, al punto tale che l'imprenditoria considera queste correlazioni una esigenza imprescindibile. UN SISTEMA IN MOWMENTO

Da questo insieme, si può provare ad individuare qualche profilo, certo non esaustivo e non conclusivo, su uno scenario probabilmente destinato ad ulteriori trasformazioni anche a seguito della riforma costituzionale del 200171. Intanto, appare chiaro che il monopolio della forza pubblica non è più dello Stato, che deve invece gestirla, tenendo conto di variabili di varia natura e di molteplici soggetti. Gli esiti, poi, delle recenti riforme degli apparati delle cinque tradizionali forze di polizia (legge 31 marzo 2000, n. 78) appaiono indirizzati ad una crescente autonomia dei singoli apparat172 con una certa sofferenza, a volte, nel continuare, ad esempio, ad accettare la figura del capo dipartimento della pubblica sicurezza quale anche capo della polizia di Stato quando questi proviene proprio da quei ruoli del personale. Lo Stato rimane il soggetto competente per l'ordine e la sicurezza pubblica e, in tal senso, la giurisprudenza del Giudice delle leggi appare consolidata73 anche nei confronti dell'applicazione di disposizioni statutarie delle Regioni a statuto speciale (art. 31 Statuto Sicilia). E ciò ha costituito una precisa limitazione ad alcune richieste ed iniziative dei presidenti delle Regioni. Più in generale, vi è da registrare la crescita di una stagione di partecipazione democratica della società italiana alle tematiche della sicurezza, che non è solo l'assenza di turbative al vivere quotidian0 74, ma viene avvertita come condizione strumentale per il migliore esercizio dei diritti di libertà costituzionalmente protett1 75 . Muta il modello del coordinamento, in quanto, pur rispettando l'autonomia e la competenza di ciascun soggetto pubblico e privato, si rafforza l'idea di una realtà condivisa nella quale gli obiettivi da raggiungere siano comuni quando attengono ad interessi essenziali e positivi. Al contempo, la concezione di prevenzione viene ampliata e legata ad una rinnovata cultura dove il controllo e la coesione trovano la loro forza nella capacità di associare ai processi decisionali ogni componente della comunità e del Paese. Il patrimonio della sicurezza appartiene ai cittadini 158


ed è, quindi, connaturale, comprensibile e legittima la richiesta di ottenere livelli di soddisfazione e di efficienza del sistema più adeguati 6 . Peraltro, le trasformazioni degli apparati pubblici dei Paesi maggiormente industrializzati e in particolare degli Stati Uniti 77 sono proprio incentrate sulla necessità di dover misurare il grado di soddisfazione e le attese dei cittadini. La polizia o sicurezza di prossimità 78, costituendo la traslazione nelle politiche della sicurezza del principio di sussidiarietà, viene a soddisfare l'esigenza che ogni istituzione debba comunque farsi carico, nell'ambito delle proprie competenze, di essere il più vicino possibile al destinatario del servizio da rendere e le comunità dei cittadini con le proprie espressioni pubbliche (le istituzioni) e private (il variegato mondo dell'associazionismo) si fanno a loro volta carico di compiti orientati all'interesse generale 79 In altri termini, nel nuovo contesto del sistema nazionale della sicurezza pubblica80 emergono la polizia di prossimità, la polizia di comunità, l'esercizio di funzioni primarie, l'esercizio di funzioni sussidiarie e la sicurezza partecipata 81 La polizia di prossimità indica un itinerario tracciato di avvicinamento ai cittadini da parte degli apparati tradizionali, mentre la polizia di comunità sottolinea la partecipazione della società civile che, considerando la sicurezza come bene strumentale per la salvaguardia e per la espansione dei diritti e delle libertà civili 82 intende farsi carico dell'esercizio di attività di sicurezza secondaria o sussidiaria. In altri termini, sono i cittadini che si avvicinano e collaborano con la polizia. Diversi sono i protagonisti. Nella polizia di prossimità si tratta di soggetti professionali riconosciuti 83 come agenti od ufficiali di pubblica sicurezza84, mentre nella polizia di comunità vi sono soggetti organizzati in via stabile o in via temporanea ed in alcuni casi sono riconosciuti pubblici ufficiali di fatto (le guardie giurate, secondo la giurisprudenza amministrativa). La sicurezza partecipata evidenzia che non esistono più attività istituzionali da vivere in solitudine o da rivendicare in modo esclusivo, soprattutto quando riguardano beni essenziali per lo sviluppo e il progresso della società. Vi sono rischi di frammentazione e di duplicazione delle azioni e degli interventi e per tale ragione appare fondamentale il coordinamento, perché appare indispensabile specificare in modo chiaro i campi di intervento e le modalità di coinvolgimento in un contesto di tutela di ogni autonomia, ma ben indirizzato a perseguire l'interesse generale 85 .

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G. BELLAVISTA, Il Paese delle cinque polizie, Milano, 1962. 2 A. D'ORSI, in «La Stampa», 8 agosto 2001, p. 21; dello stesso A., La polizia, Milano, 1972. CENSIS, Misurare l'insicurezza nella società italiana, Roma, 2001, pp. 13-14: "In altri termini, via via che lo stadio di sviluppo di un Paese migliora, sembra aumentare il tasso di criminalità ...; nelle società ricche (...) aumenta il numero delle vittime potenziali e diventano più consistenti le opportunità di compiere crimini, in ragione della diffusa disponibilità di beni che possono essere derubati con relativa facilità e di uno stile di vita che accentua l'esposizione personale al rischio di subire atti di microcriminalità". 4 D. DELLA PORTA, Sapere di polizia e ordine pubblico: alcune riflessioni sul caso italiano, in «Polis», 1996, pp. 361 ss. CEiiSis, I confini legali della società multietnica, Roma, 1999. 6 Sul punto, coevamente alla ricerca del Censis: M. BARBAGLI, Reati, vittime, insicurezza dei cittadini, in La sicurezza dei cittadini, ricerca condotta dall'Istat, Roma, 1998. Una ricostruzione storica del fenomeno è di R. CANOSA, Storia della criminalità in Italia (1845— 1945), Torino, 1991. 8 V. POLCHi, La sicurezza, in «La Repubblica», 23 ottobre 2003, pp. 15 Ss., riporta i dati di una ricerca dell'Istituto Cattaneo in base ai quali tutti gli indici di criminalità sono in costante rialzo. Diversamente le relazioni del ministero dell'Interno su "Lo stato della sicurezza in Italia", pubblicate dall'anno 2000 in poi. 9 In L. SALVATORI, R. RUMIATI, Nuovi rischi, vecchie paure, Bologna, 2005, si analizzano alcuni paradossali meccanismi che governano il Senso di sicurezza e di insicurezza dei cittadini, partendo dalla constatazione che neppure l'informazione più accurata, corredata di numeri, percentuali, statistiche, calcoli delle probabilità, riesce a scalfìre le paure, o, al contrario, l'ottimismo ingiustificato. Per gli A, esistono, invece, curiose distorsioni della mente e spesso il siste-

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ma paradossale prevale su quello cognitivo assieme alla potenza evocatrice delle immagini e delle parole rispetto all'afasia delle cifre. o Questi dati del Censis attengono agli anni 1997, 1998 e 1999. I A. MACCAFERRI, Il degrado che genera insicurezza, in «Il Sole-24 ore», 5 marzo 2004, p. 14: "Eppure la percezione di insicurezza è salita costantemente Lino a diventare una sindrome, diffusa peraltro in molti Paesi europei, che alimenta la domanda di sicurezza diffusa. Gli studiosi la chiamano crime complex, ovvero sindrome sociale da crimine che si rimanifesta in vari modi. Tra questi l'ingresso nell'agenda politica con una rappresentazione spesso emotiva, la convinzione diffusa dell'inadeguatezza e dell'inefficacia della giustizia penale, la diffusione di strategie difensive private (l'Italia è tra i quattro Paesi europei leader nel settore e il consumo interno dei dispositivi di sicurezza è salito oltre 1200 milioni di euro)". 12 G. GAlEorrI, Sicurezza, un diritto per tutti, in «www.La voce.info»; R. FESTA, La difficile scelta che la paura ci impone, in «La Repubblica», 22 luglio 2005, p. 36, intervistando B. Barber, ricorda lo slogan lanciato da F. D. Roosevelt: "L'unica cosa che dobbiamo temere è la paura". 13 C. BUCCINELLI, Quale sicurezza?, in «Rivista del volontariato», n. 7/8, 1999, p. 10. Cfr, L. GALLUZZO, Il paradiso siciliano. A Palermo non si spara, ma regna il izzo", in «Il Messaggero», 22 luglio 2000, p. 12. 4 Cfr, Fear itself in <>The Economist», 19 luglio 2003, n. 8333, p. 30. IS U. GALIMBERTI, Ecco di cosa abbiamo paura, in «La Repubblica», 22 luglio 2000, p. 10: "Di fronte a questi comportamenti innescati dalla sensazione imprecisa ma diffusa di sentirsi minacciati, nonostante le stime reali dicano di una diminuzione effettiva di questa minaccia, Giuseppe De Rita, direttore del Censis, parla di un"emozione che supera la realtà' e, per spiegare questa bella immagine, fa riferimento alla 'molecolarizzazione della società' che, tradotto, significa: siamo più emotivi perché più soli, più


zionale, che richiede una collaborazione di amliberi e più ricchi. Ne è prova il fatto che l'angopio respiro tra le forze politiche". scia per la criminalità è più grande nel Nordest 19 M. FLORES, Diritti umani, sicurezza e svidel benessere che nel Meridione che non ha gli luppo, in «Il Mulino», n. 1, 2006, pp. 180-188. stessi livelli di ricchezza. A questa interpretazio20 J, C0PPEL, The human rights act 1998, Chine, che ha una sua plausibilità, ne vorrei affianchester, 1999; J. A. USHER, Generai principles of care un'altra a mio parere ben più determinante. ECN, law, Edinburg, 1999. Alla base c'è sempre il denaro, ma non nel senso 21 Cfr, gli atti delle IX Giornate europee dei che i ricchi hanno più paura dei poveri di perrappresentanti territoriali dello Stato, The State derlo, ma nel senso che là dove vige solo la legge territorial representative and security in a period del denaro, il territorio, che è poi il deposito di 27-28 giugno 2002, IHEsI, Parigi, ofcrisis, Oslo, quegli usi, costumi e tradizioni, che rendono fi2002. duciario il rapporto tra gli uomini, rischia di 22 V. CALLEA, Profili di sicurezza urbana, pasfaldarsi e, nonostante il controllo delle forze per, Roma, 2004, pp. 4-6. dell'ordine, i sindaci-sceriffo, il porto d'armi, si 23 Cfr., JUMP, Amministrazioni locali epreventeme che detto rapporto non tenga più. E quezione della criminalità, Atti del convegno, 17 disto non perché sono arrivati gli albanesi, i kosocembre 2002, Roma. vari, i curdi, i nigeriani, ma perché il risvolto 24 A. ANDREASSI, Dalla polizia politica alla ponegativo della globalizzazione economica è la lizia di sicurezza: un'evoluzione complessa, in deterritorializzazione umana. Di questo hanno «Polizia moderna», n. 2 (supplemento), 2000. paura gli italiani. E anche se 'consciamente' non 25 Cfr., A. AQUARONE, L'organizzazione dello sanno individuarne la ragione, incosciamente Stato totalitario, Torino, 2003. avvertono che questa è la vera causa della crimi26 M. MAZZAMUTO, Poteri di polizia e ordine nalità, perché la deterritorializzazione, richiesta pubblico, in «Diritto amministrativo», n. 3-4, dai processi di globalizzazione, rende il territo1998, pp. 448 ss. rio incerto, e non fiduciario il rapporto umano. 27 G. Coitso, Ordine pubblico nel diritto amE siccome la globalizzazione concepisce le città ministrativo, in «Digesto discipline pubblicisticome semplici luoghi di scambi, più che luoghi che», vo1. X, Torino, 1995, pp. 437 Ss.; R. CAdi abitazione e di radicamento, nasce la perceNOSA, La polizia in Italia dal 1945 a oggi, Bolozione diffusa che siamo solo all'inizio di quel gna, 1976; AA.Vv., Ordine pubblico e criminaprocesso irreversibile che traduce le grandi città lità, Milano, 1975. in agglomerati di sconosciuti, senza più quel 28 Nella proposta di legge in materia di vigitessuto sociale che creava quel rapporto fiducialanza privata dell'on.le P. Palma (A. C. n. 4904, rio tra gli abitanti del territorio i quali, se anche )UII legislatura) forse per la prima volta vi è lo non si conoscevano, sapevano di sottostare a sforzo di delineare il concetto di sistema nazioquella legge non scritta che era l'uso e il costunale della sicurezza pubblica e di sicurezza sussime degli abitanti di quella città". diana. 16 G. AMENDOLA, in A. MACCAFERRI, cit., P. 29 G. CoRso, L'ordine pubblico, Bologna, 14. 17 G. AUQUÒ, R. SGALLA, Le politiche della si1979; G. RENATO, Gli ordinamenti della Pubblica Sicurezza, in «Amministrazione civile», n. 47curezza e dell'ordine pubblico, in «queste istitu51, 1961, pp. 1-40 (estratto). zioni», n. 111, 1997, pp. 19-46. 30 C. MOSCA, Il coordinamento delle forze di 18 N. COLAJANNI, Sull'ordine pubblico troppe polizia, Padova, 2005, p. 39: "Lo sforzo di conidee confise, in «Il Messaggero», 22 luglio 2000, cepire, di concettualizzare, di istituzionalizzare p. 1: "Sta diventando sempre più chiaro che mediante appositi interventi normativi il coorl'ordine pubblico costituisce una emergenza na161


dinamento di materie, di compiti, di finalità, ricercando gli strumenti di attuazione in termini di ordinamento e di distribuzione di funzioni, di organizzazione di uffici, di formazione del personale, di strutture procedimentali rappresenta, pertanto, un'esigenza così avvertita da non poter più essere trascurata. Non si tratta, allora, di "mettere un'ulteriore pezza ad un abito che è già di Arlecchino" quanto di evidenziare il profilo funzionale dell'istituto del coordinamento e di sfruttare la struttura coordinamentale proprio al fine funzionale, cioè come funzionale alla risoluzione di problemi reali che richiedono più efficienza ed efficacia nella produzione di beni e servizi pubblici". 31 V. BACHELET, Coordinamento, in Enciclopedia del diritto, vo!. X, Milano, 1962, pp. 630635, per il quale si tratta di attività volta ad armonizzare ed, eventualmente, a comporre a fini determinati pluralità di attività e di soggetti o di figure soggettive a cui l'ordinamento riconosce una qualche autonomia individuale: "Occorre dunque precisare innanzi tutto che il 'coordinamento' viene in rilievo quando ci si trova di fronte ad una pluralità di attività e di soggetti (o di figure soggettive) di cui l'ordinamento riconosce una qualche autonoma individualità, pur disponendone la armonizzazione ed eventualmente la cospirazione a fini determinanti" (p. 631). Per altri aspetti generali, si rinvia a L. ORLANDO, Contributo allo studio del coordinamento amministrativo, Milano, 1974, 32 Questo è un tema, soprattutto dagli inizi degli anni Novanta, costantemente ripreso dai ministri dell'Interno. Si veda, ad esempio, N. MANCINO, Nuove prospettive per le forze di polizia nella cultura del coordinamento, in «Rivista della Guardia di Finanza», n. 5, 1993, pp. 1 Ss. (estratto). 33 A conferma, si può far riferimento al ruolo del capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza che nella riforma del 1981 sembrava essere in una posizione di responsabilità maggiore rispetto ai comandanti generali delle altre forze di polizia, essendo al contempo

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al vertice di una di esse e al vertice della funzione pubblica sicurezza. Tuttavia, dalla fine degli anni Ottanta vi è stata una progressiva equiparazione (cfr, il novellato art. 5 della legge n. 121/1981). 34

C. MOSCA, Il coordinamento delle forze di polizia, cit., p. 26: "La supremazia derivante dalla sovraordinazione gerarchica implica il potere di costringere il soggetto subordinato ad eseguire le determinazioni adottate sotto qualsiasi forma. La sovraordinazione scarurente da un riconosciuto potere di coordinamento non presuppone, invece, né la supremazia dell'organo titolare del citato potere nei soggetti dei confronti coordinandi, né il potere di costrizione all'esecuzione della manifestazione di volontà. Si tratta, infatti, soltanto, di riconoscere al soggetto investito del potere di coordinare, una posizione di primazia (e non di supremazia) intesa come differente potestà, differente rispetto a quella riconosciuta ai soggetti da coordinare". 5 Alcune prime indicazioni sono contenute in G. NAPOLITANO, Pluralità e unità nell'ordinamento e nella direzione delle Forze di Polizia, in «Instrumenta», n. 3, 1997, pp. 883 ss. 36 L'articolo 10 della legge 31 marzo 2000, n. 78, così recita: "I1 ministro dell'interno, quale autorità nazionale di pubblica sicurezza, esercita le funzioni di coordinamento e di direzione ( ... ), mediante i! Dipartimento della pubblica sicurezza ( ... )". 37 L'articolo 11 della legge 31 marzo 2000, n. 78, così recita: "Per le Forze di polizia diverse dalla Polizia di Stato, l'istituzione, nonché le dotazioni di personale e mezzi, di comandi, unità e reparti comunque denominati, destinati allo svolgimento di attività specializzate presso Amministrazioni dello Stato diverse da quelle di appartenenza, sono disposte, su proposta del ministro interessato, dal ministro competente gerarchicamente, previo concerto con il ministro dell'Interno. Con la stessa procedura si provvede alla soppressione dei predetti comandi, unità e reparti, salvi i casi in cui la loro costituzione sia stata disposta con legge".


C. MOSCA, op. ult. cit., pp. 137-164. 39 A. CERRI, Ordine pubblico (diritto costituzionale), in Enciclopedia giuridica, Roma, 1990, pp. 3 ss., e C. MOSCA, Profili strutturali del nuovo ordinamento della Polizia italiana, Latina, 1981. 40 Cfr, G. CoRso, Ordine pubblico, in Enciclopedia del diritto, voi. XXX, Roma, 1980, pp. 1057 ss.; L. PAID!N, Ordine pubblico, in Nuovissimo Digesto Italiano, voi. )UI, Torino, 1965, 38

pp. 300 Ss.; C. LAVAGNA, Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme costituzionali, in «Democrazia e diritto», 1967, pp. 359 ss. 41 G. NEGRO, B. Susio, La qualità totale nella pubblica amministrazione, Milano, 1998, pp. 44-45: "Anche se molte amministrazioni, dirigenti e operatori dichiarano di essersi sempre mossi nella logica della qualità, in realtà questa è stata demandata a 'gendarmi' interni al sistema (Corte dei conti, segretari generali, dirigenti, ecc.) i quali dovevano verificare che il servizio fosse erogato secondo quanto previsto dal sistema delle norme e delle procedure ( ... ). Secondo la Qualità totale l'ottica si sposta invece all'esterno, sul cliente (ovvero il fruitore dei servizi pubblici): la qualità è considerata come piena soddisfazione dei bisogni e delle attese del cliente. Cambia così radicalmente il riferimento per verificare l'efficacia della gestione dell'ente pubblico". 42 Una prima riflessione su questo aspetto è di G. CAZZELLA, L'uso degli indicatori di prestazione nell'Amministrazione della pubblica sicurezza, in «Rivista di Polizia», n. 12, 1998, pp. 3-14. Per un calcolo della produttività delle forze di polizia in base ai delitti denunciati, agli arresti, alle schedature e alle identificazioni: S. PALIDDA, Poliziapostmoderna, Milano, 2000, pp. 198- 214. 43 Cfr., la legge 20 febbraio 2006, n. 93, e la legge 20 febbraio 2006, n. 94. ' S. BELLUCCI, Schengen, L'Europa senza frontiere e le nuove misure di cooperazione tra polizie, Roma, 1999. 45 Cfr., art. 1 del decreto-legge 25luglio 1992, n. 349, convertito in legge, con modifica-

zioni, dalla legge 23 settembre 1992, n. 386. 46 Cfr, M. C. DECHARRIERE, Les conditions du succès de la police de proximité, in «Administration», n. 3, 2001, pp. 48-5 1. 47 Cfr, M. D. WARFMAN, La sécuritè privé: mission ou marché?, in «Administration», n. 1, 2001, pp. 52-54. 48 R. BIN, Diritti e argomenti, Milano, 1992. 49 A. C., XIV legislatura, 25luglio 2003, n. 4209, recante "Disposizioni in materia di sicurezza sussidiaria". 50 A. C., n. 4209, cit., Relazione, p. 2. ' C. G. BONNIN, Principi di amministrazione pubblica, Napoli, 1824, pp. 37-38: "Tutt'i i bisogni sociali che costituiscono i pubblici rapporti de' cittadini collo Stato, sono fondati ancora su l'interesse pubblico. Questi rapporti diventano quindi, per gli amministratori, doveri imperiosi e sacre obbligazioni, su l'esecuzione delle quali riposa la salute dello Stato e la loro propria conservazione. Per tale modo tutto si concatena nell'ordine sociale, e ciò che costituisce l'ordine pubblico, consacra nel tempo stesso la sicurezza individuale. Perché ciò? Perché non vi esiste alcun punto di contatto fra lo Stato ed i suoi membri, che non riguardi insiememente l'individuo e la società. Son questi rapporti riflettuti, che formano l'azione dell'amministrazione, istituzione benefica creata per mettere le persone in armonia coll'intera società. Uarmonia sociale esiste solo fin'a che tutti i membri della società concorrono alla conservazione della società medesima. Da ciò il principio precedentemente enunciato, che cioè tutti si debbono alla comune difesa". 52 A. CATALANI, Evoluzione del ruolo dell'Am-

ministrazione dell'Interno nell'ambito dei mutamenti internazionali, in «Instrumenta», n. 3, 1997, p. 891: "Ovviamente, l'imputazione della funzione allo Stato non esclude il ruolo fondamentale degli Enti locali. Da sempre la tutela della pubblica sicurezza rende compartecipi i sindaci nell'assunzione delle responsabilità di autorità locali di ps. È un'antica tradizione che ha visto nel tempo i sindaci cooperare sempre 163


più attivamente con le autorità provinciali di p.s. e che, con l'ordinamento regionale, si è arricchita di nuove occasioni, coinvolgendovi altri enti, la Regione e la Provincia, l'una e l'altra chiamate ad esercitare, nell'ambito dei rispettivi ruoli, le funzioni di polizia locale 'urbana e rurale', come recita la Costituzione, ed a gestire attivamente la vasta area della polizia amministrativa. Certamente questa cooperazione, in un quadro di più ampia valorizzazione del principio auronomistico, può dare nuovi frutti, può sviluppare nuove sinergie, può arricolarsi in maniera più ampia e organica, ferma restando comunque la diretta imputazione allo Stato della responsabilità generale in materia". 53 A titolo di esempio, si veda M. BARBAGLI (a

quadro delle politiche di prevenzione, paper, Bologna, 1999. 58 La dichiarazione è del 19 giugno 1997. 59 A Bologna (1992) viene fondata la rivista «Sicurezza e territorio» e successivamente (1994) viene organizzato il convegno "Dalla prospettiva federalista più sicurezza per i cittadini". Inoltre, dal 1995, la Regione pubblica i

Rapporti annuali sulla sicurezza. 60 Altre significative esperienze erano quelle del Centro internazionale per la prevenzione della criminalità di Montreal, della Conferenza dei sindaci statunitensi e del Forum africano per la sicurezza urbana. 61 R. SELMINI, Sicurezza urbana e prevenzione della criminalità. il caso italiano, in «Polis», n. 1, cura di), Egregio Signor Sindaco, Lettere dei citta1999, pp. 121-142; E. Moizr-n, Un nuovo ruodini e risposta dell'istituzione sui problemi della lo per le autonomie locali, relazione al convegno sicurezza, Bologna, 1999. della CGIL "Quale modello per le politiche di si54 Per l'articolo 7 del DPCM 12 settembre curezza", Roma, 3 giugno 1998, p. 1: "È una 2001, in materia di polizia amministrativa locadomanda di sicurezza a cui vengono date, o forle, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali collabose è più corretto dire vengono prospettate, rirano in via permanente, nell'ambito delle risposte diverse, da quella che è ormai nota come spettive attribuzioni, al perseguimento di condila 'tolleranza zero', all'adozione di politiche di zioni ottimali di sicurezza delle città e del terripiù lungo respiro, di certo più civili, e sicuratorio extraurbano e di tutela dei diritti dei cittamente più efficaci, fondate sulla ricerca di una dini, anche attraverso la predisposizione e la più elevata qualità urbana, sulla mediazione dei realizzazione di specifici progetti concentrati, in conflitti, sulla riduzione del danno, su una più una accezione ampia ed articolata di sicurezza, ampia ed integrata presenza delle agenzie di siche non si limita all'ottica repressiva e al concurezza, ai diversi livelli, sul territorio". 62 trollo esclusivamente finalizzato al perseguiUna aggiornata analisi sociologica sulle camento degli illeciti, ma si estende a comprenderatteristiche e sulle trasformazioni delle forze di re, secondo una concezione di prevenzione glopolizia italiane per quanto riguarda la struttura bale e non invasiva, manifestazioni di vario georganizzativa, le competenze, la cultura è di D. nere, atte ad incidere sul tessuto sociale ed ecoDELLA PORTA, H. REITER, Polizia e potestà, Bolonomico. gna, 2004. 5 R. SELMINI, 63 Sicurezza urbana e prevenzione Si segnalano anche l'iniziativa del Comune della criminalità in Europa: alcune riflessioni di Reggio Emilia per la copertura assicurativa a comparate, in «Polis», n. 1, 1999, pp. 69-76. favore dei cittadini dei primi interventi per i 56 A. Guio,, La insicurezza dei cittadini, in danni subiti in conseguenza di furto in abitazio«Amministrazione pubblica», nn. 29-31, 2003, ne, scippo e rapina (2003) e l'iniziativa del Copp. 110-118; 1. PORTELLI, I contratti di sicurezza mune di Bari (2006) per la copertura assicuratipubblica, in «Nuove autonomie», 1998, nn. 2-3, va contro furti, scippi e rapine subiti da residenp. 433. ti e da turisti, per la consulenza sanitaria alle 57 L. MARTIN, I contratti locali di sicurezza nel persone con più di sessantacinque anni e per 164


l'invio di tecnici in caso di riparazioni urgenti dovute ad irruzione dei ladri. 64 Una rassegna in G. ROMANO, Il ruolo di coordinamento del Prefetto tra storia e prospettive fiture, in «Instrumenta», n. 24, pp. 841 ss.; C. A. CIAMPI, Prefetti, un ruolo riconosciuto dal Paese, in «Amministrazione civile», n. 2, 2002, pp. 18-20, soffermandosi sul ruolo del prefetto di raccordo tra il Governo e le autonomie locali e tra il centro ela periferia, afferma: "Un altro campo di intervento è quello legato alla gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica. Garantire la sicurezza dei cittadini rappresenta una condizione fondamentale per l'esercizio dei diritti di libertà. Lo Stato è tenuto ad assicurarla in egual misura a tutti e dappertutto. Il diritto di vivere sicuri è, se possibile, ancor più essenziale per le fasce deboli della popolazione, per coloro che - per particolari ragioni di età, di reddito, di salute, di cultura - avvertono maggiormente il peso dell'insicurezza. Raccogliere i segnali di disagio, capire le espressioni di protesta, rispondere ai sentimenti di inquietitudine che possano turbare i cittadini, rappresenta un dovere dello Stato. Un'azione efficace di contrasto alla criminalità, sia organizzata sia comune, deve partire dal territorio, dalla percezione e dall'analisi dei fenomeni criminosi che emergoiio dai contesti locali, per ritornare ad esso come capacità di modulare le strategie di risposta. Nell'una fase come nell'altra il ruolo dei Prefetti è essenziale". 65 Una recente rassegna di casi è contenuta nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta su/fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, )UV legislatura, Roma, 2006, Doc. )OUII, n. 16, pp. 1218 ss. e nella Relazione conclusiva di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata majìosa o similare, XIV legislatura, Roma, 2006, Doc. )OUII, n. 16 bis, pp. 45 Ss. 66 Una analisi ragionata è in Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, I Patti Territoriali e lo sviluppo locale, Roma, 1998. In materia

di cooperazione interistituzionale si veda: G. D'AURIA, Occupazione e programmazione negoziata, in «Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale», n. 1, 1998, p. 84: "La molteplicità delle amministrazioni, ciascuna con i suoi interessi pubblici da curare e - quel che più conta - con interessi non necessariamente comuni o posti a egual livello nella scala delle rispettive priorità politico-amministrative (quando non in conflitto fra loro), accresce la necessità di negoziati e accordi fra amministrazioni diverse (e fra queste e i privati), per regolare situazioni e interessi in termini per tutte soddisfacenti (e convenienti per i privati)". 67 V. CASTELLANI, Relazione introduttiva, seminario I rapporti tra le Autorità di pubblica sicurezza alla luce dei nuovi accordi derivanti dai protocolli d'intesa degli Enti locali, Scuola superiore dell'Amministrazione dell'interno, 22 febbraio 1999, p. 13, dattiloscritro: "credo che l'Italia possa definire un proprio modello in materia di sicurezza urbana. Se condividiamo la convinzione che sia necessario affiancare interventi per la tutela e il ripristino dell'ordine e della sicurezza pubblica con le iniziative atte a favorire la vivibilità del territorio - coniugando prevenzione, politiche socioculturali, controllo e repressione - allora è necessario definire un modello che sappia integrare tutti questi aspetti e coordinare i soggetti di pubblica sicurezza, istituzionali, sociali e politici coinvolti. La concertazione tra questi attori non è solo utile ma necessaria. Essa è il presupposto per una politica di sicurezza urbana realmente efficace ed efficiente su tutti i fronti". 68 R. SELMINI (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna, 2005. 69 In questo quadro, si segnala l'incentivo per consentire la riqualificazione e il potenziamento degli apparati di sicurezza nelle piccole e medie imprese commerciali (art. 74 della legge 27 dicembre 2002, n. 289). 70 Una interessante riflessione su sicurezza partecipata, partenariato e obiettivi di qualità nel Mezzogiorno è quella di G. PRocAcciNi, I 165


sistemi di qualità e le Forze di polizia, in «Instrumenta», n. 20, 2003, pp. 405 Ss., e soprattutto pp. 410-411. 7' Ad esempio, nel 2003, l'Anci, l'Upi e la Conferenza dei Presidenti di Regione e di Provincia approvarono lo schema di una proposta di legge nazionale per introdurre nuove Disposizioni per il coordinamento in materia di sicurezza pubblica e polizia amministrativa locale, e per la realizzazione di politiche integrate per la sicurezza. Si trattava di una proposta che, dichiarando di voler dare attuazione agli articoli 117 e 118 Cost., proponeva la trasformazione dell'assetto dei pubblici poteri. 72 G. D'Avanzo, Antiterrorismo burocratico, in «La Repubblica», 11luglio 2005, p. 17: "In Italia, il problema con evidenza non è creare un nuovo ministero, ma rendere effettivo il potere di quello che già esiste. Oggi accade, al contrario, che ogni polizia o intelligence faccia riferimento al suo "protettorato politico". Ai politici piace molto avere a disposizione una polizia. Quasi ogni ministero ne ha una sua". 73 Cfr, le sentenze n. 3911951, n. 13111963, n. 191/1994, n. 407/1992, n. 218/1993, n. 54/200 1 e n. 5512001. 74 M. CANNATA, A colloquio con Dario Antiseri: il prezzo della sicurezza, in «Noi.security», n. 2, 2006; sempre sul binomio sicurezza/libertà si veda, anche, T. E. FROsINI, Il diritto costituzionale alla sicurezza, in «www.forumcostituzionale.it ». 75 G. AMATO, La democrazia e i suoi nemici. Sicurezza. La difficile convivenza con la libertà, in «La Repubblica», 22 luglio 2005, p. 37: "La sicurezza, che fondamentalmente consiste nel poter vivere la propria vita quotidiana (e quindi dormire nella propria casa, camminare per la strada, viaggiare, incontrare altre persone) senza sentirsi a rischio, è il presupposto essenziale della libertà. Ma la tutela della sicurezza comporta limitazioni alla libertà, o quanto meno di alcune delle sue principali estrinsecazioni. È un circolo vizioso, che negli ultimi secoli ha cercato di spezzare la democrazia liberale, con il suo assunto e con le regole che ne sono seguite: più si 166

promuove e si garantisce la libertà di tutti coloro che vivono insieme, più si diminuiscono i nemici del regime comune e conseguentemente si diminuiscono i rischi per la sicurezza". 76 G. PROCACCINI, Condividere e partecipare, ecco il modello vincente, in «Amministrazione civile», n. 12, 2002, pp. 38-43. 77 Il riferimento è agli atti della Commissione Reinventing Governement, presieduta da A. Gore e istituita dal Presidente B. Clinton. 78 G. PISANU, La presenza sul territo rio ègaranzia di sicurezza, in «Amministrazione civile», n. 12, 2003, pp. 21-22: "Le strategie della prevenzione si fondano in larga misura sulla tempestiva individuazione delle esigenze della collettività e sulla individuazione dei problemi che esse avvertono come prioritari per la propria sicurezza. Politiche efficaci possono dunque scaturire solamente dai processi di collaborazione in cui siano coinvolti tutti gli attori sulla scena, in modo che tutti possano concorrere a individuare gli obiettivi, scegliere gli strumenti, programmare le iniziative, verificare i risultati ( ... ). Si tratta di una collaborazione davvero indispensabile per costruire quel sistema, cui aspiriamo, di 'sicurezza partecipata, integrata e globale', un sistema che vive appunto sulla piena intesa tra poteri centrali e autonomie locali, tra forze dell'ordine e polizie locali, tra pubblico e privato. ( ... ). La logica della 'prossimità' ( ... ), prima di essere una metodologia operativa, è una mentalità, vorrei dire una 'filosofia', alla quale debbono ispirarsi non soltanto alcuni 'specialisti', ma tutti gli operatori delle forze dell'ordine". 79 C. MOSCA, Sicurezza, un patrimonio che appartiene a tutti, in «Amministrazione civile», n. 12, 2002, p. 35. 80 G. PIsANU, Riconoscenza per la Polizia vicino alla gente, in «Amministrazione civile», n. 6, 2004, p. 9: "In molti casi il rinnovamento delle formule organizzative e delle metodologie di intervento delle forze dell'ordine ha imposto l'adozione di nuovi strumenti, la creazione di nuove professionalità, la ricerca di collaborazioni sempre più stringenti con le Regioni, con gli


Enti locali e con le istituzioni spontanee della società civile. La polizia di prossimità e la polizia di comunità hanno ormai cessato di essere solo filosofie astratte e sono diventate, al contrario, realtà operanti ed in continua evoluzione per adeguarsi alle crescenti esigenze di sicurezza dei cittadini". 81 Vengono, tra l'altro, considerati progetti di sicurezza partecipata: a) gli interventi per favorire l'integrazione reciproca tra immigrati e cittadini, quale il progetto Civis RAI; b) la banca dati delle infrazioni amministrative, alimentata dalle polizie municipali, nella distribuzione dei beni di prima necessità e per costruire con l'ANci un sistema di monitoraggio dei prezzi; c) il piano di interventi per la vigilanza nelle città, nelle campagne e nelle reti di comunicazione (autostrade, ferrovie, porti e aeroporti); d) i progetti pilota di diffusione della legalità e di utilizzo dei beni confiscati; e) i corsi organizzati delle prefetture per i vigili urbani e per i vigili di quartiere. 82 C. A. Ciipi, Il Prefetto è il naturale mediatore della moderna società civile, in «Amministrazione civile», n. 1, 2005, pp. 22-23: "Inoltre, in virtù dell'autorevolezza acquisita sul campo, l'istituto prefettizio è diventato anche l'interlocutore naturale della società civile, quando si tratti di affrontaré tematiche di forte impatto, suscettibili di provocare contrapposizioni profonde, come attestano i numerosi e frequenti tavoli di confronti istituzionali in sede locale. In tali occasioni, il costante e paziente lavoro di mediazione del Prefetto, oltre a raffreddare le tensioni e favorire la convergenza di idee su punti comuni, consente agli organi centrali di governo di acquisire una piena ed oggettiva conoscenza difatti e situazioni sui quali modulare i propri comportamenti. È un'attività, questa, strettamente correlata al ruolo tradizionale di

garantire la sicurezza nella legalità, in ogni Provincia. Garantire la sicurezza dei cittadini rappresenta una condizione fondamentale per l'esercizio dei diritti di libertà. Lo Stato è tenuto ad assicurarla in egual misura a tutti e dappertutto ( ... ). La attività [del Prefetto, n.d.a] di coordinamento delle forze di polizia e la quotidiana ricerca di ogni utile sinergia con le istituzioni locali e le espressioni delle realtà sociali, economiche e del volontariato, vanno indirizzate alla realizzazione di un modello di sicurezza allargata e partecipata". 83 C. MOSCA, op. ult. cit., p. 35. 84 In merito a queste casistiche, si rinvia a V. Di FRANCO, Diritto di polizia e politiche di sicurezza, Napoli, 2003, pp. 249 ss. 85 G. NEPPI MODONA, Come dfndersi dai micro-criminali, in «La Repubblica», 28 dicembre 1995, p. 13: "La linea di fondo è la creazione di vaste sinergie tra i servizi sociali operanti nel territorio, la polizia municipale, le forze dell'ordine dello Stato, le diverse forme di associazionismo che incominciano a sorgere per dare rappresentatività politica e sociale ai soggetti più deboli, vittime effettive o potenziali della microcriminalità. Gli obiettivi non sono dunque solo quelli di istituire da un lato il poliziotto di quartiere, di evitare dall'altro la formazione di squadre di vigilantes privati, ma di creare aggregazioni sociali e istituzionali capaci di isolare e, quindi, prevenire la diffusione della microcriminalità. In sintesi, le domande collettive di sicurezza debbono avere varie articolazioni del governo locale, mentre le risposte agli episodi individuali di microcriminalità dovranno essere assicurate da una nuova forma di giustizia penale, capace di intervenire in tempi reali nello stesso quartiere ove si è consumata l'aggressione della vittima".

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Il Consiglio italiano per le Scienze Sociali Il Css è un'associazione con personalità giuridica. Fondata nel dicembre 1973, con l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, ha raccolto l'eredità del Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.S.Po.S.), che svolse a suo tempo, negli anni Sessanta, grazie a un finanziamento della Fondazione Ford e della stessa Fondazione Olivetti, un ruolo fondamentale nella crescita delle scienze sociali italiane. Le finalità che ne ispirano l'azione sono: • contribuire allo sviluppo delle scienze sociali in Italia, ed in particolare promuovere il lavoro interdisciplinare; • incoraggiare ricerche finalizzate allo studio dei principali problemi della società contemporanea; e sensibilizzare i centri di decisione pubblici e privati, affinché tengano maggiormente conto delle conoscenze prodotte dalle scienze sociali per rendere le loro scelte consapevoli, razionali e piva efficaci.

Il Css rappresenta un forum indipendente di riflessione che, con le sue iniziative, vuole offrire meditati contributi all'analisi e alla soluzione dei grandi problemi della nostra società. A tal fine il Css associa ai propri progetti anche studiosi ed esperti esterni e può contare su una rete di contatti e di collaborazioni in tutti i principali centri di ricerca e di policy studies europei. Attualmente operano 3 commissioni di studio sui seguenti temi: le fondazioni in Italia; nuove frontiere della comunicazione e cosmopolitismo; valutazione degli effetti di politiche pubbliche. Vi sono anche 2 gruppi di lavoro sui seguenti temi: ceto medio, politica dell'innovazione e trasferimenti tecnologici. Da ricordare l'attività di ricerca di Etnobarometro sulle minoranze etniche in Europa. Presidente: SERGIO RISTUCCIA Vice Presidente: ARNALDO BAGNASCO Comitato Direttivo: SERGIO RISTUCCIA (Presidente), ARNALDO BAGNASCO, FABRiZIO BARCA, PIERO BASSETTI, GIOVANNI BECHELLONI, ANDREA BONACCORSI, GIUSEPPE DE MATTEIS, ANTONIO Di MAJO, BRUNO MANCHI, RICCARDO PATERNÒ, LORENZO ROMITO, Cio RONCA, CARLA Rossi, FELICE SCALvINI. Collegio dei Revisori: BRUNO GIMPEL (Presidente), MARCO COLANTONIO, ALESSANDRO FREZZA. Segretario generale: ALESSANDRO SILJ Vice Segretario generale: NICOLA CREPAX

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