Il Piccolo del Cremasco

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Appuntamento con la Storia

Venerdì 2 Luglio 2010

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Il duecentennale dalla sua morte tra polemiche e revisionismo

Cavour: grande statista, uomo di Stato, padre della Patria Il conte e la Destra storica: dignità, liberalismo, amor di Patria

di Fabio Tumminello

C

Cavour e l’epopea risorgimentale amillo Benso conte di Cavour nacque il 10 agosto del 1810 a Torino. Definito dalla madre “chiassone” e “bontempone”, in gioventù maturò interessi per lo studio dell’economia politica e della filosofia utilitaristica, accostandosi ben presto a una visione della storia in cui Ragione e progresso avrebbero necessariamente trionfato. Credeva fermamente nella religione del progresso, nel senso di uno sviluppo intellettuale e morale quale rinnovamento della società in senso liberale. Di schietti principi conservatori, fu però un ardente ammiratore del liberalismo inglese, convinto che una buona politica riformista potesse scongiurare il rischio di una rivoluzione; fautore del libero mercato in economia, allo stesso tempo credeva nello Stato interventista, mentre, sotto il profilo religioso, le sue forti convinzione razionaliste lo portarono negli anni ad assumere posizioni decisamene liberali.

Camillo Benso conte di Cavour

Così scriveva in una lettera inviata allo zio de Sellon l’8 agosto del 1829: “dopo l’ultimo viaggio a Ginevra si è prodotto in me un grande mutamento (…) ho letto i libri che mi erano stati dipinti come empii, e non potei non accorgermi del fragile fondamento delle nostre credenze religiose. Dopo aver letto Guizot e Benjamin Costant, mi fu impossibile di non aprire gli occhi (…) non si può comandare alla propria convinzione. Mi è altrettanto difficile credere all’infallibilità del papa” (“Vita di Cavour”, Romeo, pp. 34-35, Laterza 2004). Nel Piemonte gesuitico, questo apparve ovviamente come una forte polemica nei confronti del clero cattolico, anche se Cavour era convinto che cristianesimo ‘autentico’ e liberalismo fossero legati da una naturale solidarietà (Romeo). Nel 1831 si congedò dal servizio militare e nel 1832 divenne sindaco di Torino. A trentasette anni Cavour entrò finalmente nella vita pubblica. Giornalista prima, deputato poi, nel 1847 divenne direttore del “Risorgimento”; sulle pagine di questo giornale Cavour scrisse una serie di articoli importanti sotto il profilo politico-costituzionale riguardanti sia la formazione del corpo elettorale sia la convinzione della natura ‘sociale’ delle basi dello Stato liberale. Imprescindibile punto di partenza in tal senso era, naturalmente, la concessione dello Statuto Albertino, emanato a Torino nel febbraio 1848. In quel periodo il movimento patriottico rivendicava a gran voce l’indipendenza nazionale: se i democratici e i mazziniani inneggiavano all’autonoma iniziativa popolare, i moderati professavano invece una soluzione pacifica frutto dall’accordo tra gli Stati. Cavour, uomo pragmatico, guardava con estrema apprensione la possibilità che il Piemonte venisse trascinato in guerra ma, una volta

Il Congresso di Parigi (1856). I capi delegazione delle singole potenze. Il primo a sinistra è Cavour (Regno di Sardegna), il terzo Buol-Schauenstein (Impero austriaco). Seduti, da sinistra, Orlov (Impero russo) e, al di là del tavolo, Manteuffel (Prussia). Al di qua del tavolo: Walewski (Francia), Clarendon (Gran Bretagna) e Aali (Impero ottomano).

scoppiata l’insurrezione a Milano il 18 marzo 1848, realizzò l’assoluta necessità per la monarchia sabauda di porsi alla testa del movimento nazionale per scongiurare ogni possibile deriva rivoluzionaria. Con queste parole arringò i lettori sulle pagine del “Risorgimento”: “l’ora suprema per la monarchia sarda è suonata, l’ora delle forti deliberazioni, l’ora dalla quale dipendono i fati degli imperii, le sorti dei popoli” (ibidem, p. 159). Nel frattempo era maturata la convinzione di affrettare i tempi dell’annessione, ma la notizia della catastrofe di Custoza (23-25 luglio) ebbe ben presto il sopravvento: la ‘diserzione’ di Pio IX in aprile e l’armistizio di Salasco il 9 agosto fecero ribollire il sangue al conte di Cavour: “I nostri disastri politici e militari mi hanno inebetito. Non ho più la forza di scrivere un rigo. Quanti errori, gran Dio!” (ibidem, p. 166). Alla Camera, però, la maggioranza democratica respingeva l’armistizio, inneggiando alla guerra a oltranza e a sollevarsi contro la monarchia. Quello che venne a mancare, però, furono le premesse democratiche sullo scacchiere internazionale: nel 1849, infatti, la rivoluzione era ormai sconfitta dappertutto, a Roma, a Venezia, a Vienna e a Budapest, per non parlare di Parigi. Alla fine, il “proclama di Moncalieri” emanato dal nuovo sovrano Vittorio Emanuele, appianò ogni controversia. Nel 1950 Cavour venne nominato Ministro dell’Agricoltura e del Commercio del Governo d’Azeglio e subito seppe cogliere alcune importanti opportunità; la sconfitta rivoluzionaria in Francia nel dicembre 1851 (la vittoria dell’ “Europa dei re” sull’ “Europa dei popoli”!), aveva infatti rafforzato la politica nazionale cavouriana, quale possibilità di un’analoga ‘rivoluzione conservatrice’ in Italia condotta dai moderati. Avversa a questo progetto era, naturalmente, la politica azegliana del “niente di meno, niente di più dello Statuto”. Fu allora, nel 1852, che nacque il famoso “connubio” CavourRattazzi: l’accordo, come noto, prevedeva la conversione al centro dei due schieramenti moderati di destra e di sinistra e una netta separazione dalle rispettive ali estreme. Nello stesso anno, però, si verificò un passo indietro di Cavour dal ministero d’Azeglio; lo statista piemontese si allontanò per un breve periodo dalla vita di governo recandosi all’estero, in particolare a Londra e a Parigi, dove prese contatti direttamente con Napoleone III (nipote del grande Napoleone) con il quale individuò il nucleo centrale della futura politica estera piemontese. Tornato a Torino, in novembre

Cavour venne incaricato dal re di formare un nuovo ministero; sotto il profilo della politica estera, sin dall’incontro parigino con l’imperatore francese, si nascondevano nuove importanti trame che avrebbero ridisegnato l’assetto europeo definito a Vienna nel 1815. Una volta ribadita la rinuncia all’ “Italia farà da sé”, alla fine del 1854 Cavour prese l’importante decisione di intervenire direttamente nella ‘questione d’Oriente’, in modo da consentire al Regno di Sardegna non solo di innalzare il Piemonte al rango di media-grande potenza, ma, altresì, di consentire allo stesso di potersi sedere al tavolo delle trattative e portare all’attenzione delle grandi potenze la ‘questione italiana’. Lo Stato sabaudo entrò in guerra nel gennaio del 1855 inviando in Crimea un contingente di diciottomila soldati al comando del generale La Marmora.

I delicati equilibri politici che Cavour stava tentando di costruire rischiarono di crollare nel gennaio 1858 con l’attentato di Felice Orsini all’imperatore Napoleone III. Il tentativo di regicidio, grazie alla solita abilità diplomatica del conte, se da un lato non deteriorò i rapporti tra Francia e Regno di Sardegna ma al contrario li rafforzò, dall’altro, si inserì in un progetto politico di più ampi respiro che già da alcuni anni Napoleone III aveva elaborato. La cancellazione dei trattati del 1815. In quest’ottica, la partecipazione francese alla guerra italiana contro l’Impero asburgico sarebbe stata inevitabile e allo stesso tempo avrebbe sancito la supremazia della Francia nell’Europa continentale. Un disegno politico ben preciso, che rischiò però di essere messo in discussione da alcuni ‘ripensamenti’ dell’imperatore francese; ma la solita abilità diplomatica di Cavour a Plombié-

dava la Lombardia (successivamente ‘girata’ al Regno di Sardegna) mentre il secondo manteneva il possesso del Veneto e delle fortezze di Mantova e Peschiera. Il mancato rispetto degli accordi e il deteriorarsi del rapporto con Vittorio Emanuele, spinsero Cavour a presentare le proprie dimissioni. Tra il 1858 e il 1859, però, Cavour riuscì a mobilitare a sostegno della sua azione politica tutte le più importanti forze del Paese, ad eccezion dell’ala clerico-conservatrice, del re e della sinistra insurrezionalista; la presenza dello statista piemontese, quindi, si rivelava più che mai indispensabile. Il suo ‘ritorno al potere’, sull’onda della rinnovata popolarità, avvenne con l’incarico conferitogli dal re nel gennaio del 1860 di formare un nuovo Governo. Nonostante ‘incompiuta’, Villafranca aveva inferto all’Impero asburgico una grave sconfitta, così grave da sancire irrimediabilmente il proprio declino egemonico in Italia. Per la prima volta dopo il 1815, l’ “Europa delle nazionalità” aveva sconfitto l’ “Europa dei trattati”. Cavour, dopo aver negoziato con la Francia la cessione di Nizza e della Savoia, poté in questo modo dare vita alla stagione dei plebisciti che portarono, nel marzo 1860, all’annessione dell’Emilia, della Romagna e della Toscana. Tutto questo, però, era ancora molto lontano dall’ideale mazziniano di Italia unita e indipendente, opera degli stessi italiani e non delle potenze straniere. Così, dopo la politica dei moderati nel Nord, la palla passò all’azione delle forze democratiche e rivoluzionarie nel Sud. I progetti di Garibaldi per il Mezzogiorno misero alle strette Cavour: non era in gioco solamente la sopravvivenza del Governo, ma la direzione stessa del movimento nazionale. Inoltre, lo statista piemontese era

Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi nello storico incontro di Teano

Quando la guerra terminò nel 1856 con la vittoria della coalizione antirussa, anche il piccolo Regno di Sardegna si guadagnò un posto al tavolo delle trattative. Cavour partì alla volta di Parigi con due precisi obiettivi: indurre il Congresso a prendere in considerazione la ‘questione italiana’ e ottenere un ingrandimento territoriale del Piemonte tale da poter giustificare la partecipazione al conflitto. Deciso più che mai a raggiungere detti obiettivi, Cavour arrivò addirittura a utilizzare mezzi ‘poco consoni’, come il tentativo di corruzione dei delegati russi e turchi e il ricorso alle grazie di Virginia Castiglione per rendere più compiacente Napoleone III (le escort non sono una recente invenzione!).

res riuscì ad appianare tutti i problemi e a traghettare la Francia nel conflitto. Mancava solamente il casus belli: presto fatto, Cavour ordinò ai Cacciatori delle Alpi comandati da Garibaldi di compiere alcune manovre militari al confine con l’Austria. Il Governo asburgico lanciò un ultimatum al Governo piemontese; a buon gioco respinto da Cavour. Era guerra! Le sanguinose battaglie di Magenta, San Martino e Solferino sancirono la vittoria delle forze francopiemontesi. Napoleone III, però, incalzato dalla pressante opinione pubblica francese contraria a questa guerra, violò gli accordi di Plombiéres e decise, il 12 luglio, di firmare la tregua a Villafranca con Francesco Giuseppe. Secondo gli accordi firmati a Zurigo il 10 novembre 1859, al primo an-

preoccupato per le note mire di Garibaldi negli Stati pontifici, anche se non se la sentì di opporsi con le armi alla spedizione dei Mille (adoperandosi però affinché questa venisse minuziosamente controllata). Quando Garibaldi sbarcò in Sicilia prima e in Calabria poi, Cavour realizzò che si era giunti al “momento supremo [quello in cui] con l’aiuto di Dio l’Italia sarà fatta in tre mesi” (ibidem, p. 470). In quest’ottica, egli decise di fare propria l’invasione dell’Umbria e delle Marche, trasformandola così da repubblicana e rivoluzionaria, ad azione politica moderata propria del Governo di Torino. Dopo la vittoria sul Volturno, si giunse al famoso incontro di Teano, in cui le ‘due Italie’, le due anime del Risorgimento, popolare e monar-

chica, si incontrarono il 26 ottobre 1860 dando vita al Regno d’Italia. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento nazionale proclamava re d’Italia Vittorio Emanuele II “per volontà di Dio e della nazione”, mentre il Presidente del Consiglio Cavour, uno dei fondatori della Patria nostra, si spense poche settimana più tardi a Torino, il 6 giugno, all’età di cinquant’anni. Moriva di malaria, prima che fosse completata l’Unità, colui che all’Italia dedicò la propria vita nel nome di un idea, di una Nazione, di un popolo. Duecentennale, Destra storica e destra attuale Il “regista”, il “tessitore” dell’Unità d’Italia. Con queste parole il Presidente della Repubblica ha voluto ricordare Camillo Benso conte di Cavour nel duecentennale dalla sua morte il 6 giugno scorso. Con un discorso a Santena (Torino), davanti alla tomba del grande statista Italiano, Giorgio Napolitano ha voluto porgere i suoi omaggi, nonostante un lieve malore, a una tra le più importanti icone del nostro Risorgimento. Il Presidente, inoltre, ha voluto fare il punto in merito alle crescenti riletture storiche ‘nordisticheggianti’ riguardanti la vita del grande statista piemontese: “Non ci si dedichi a esercizi improbabili, per non dire del tutto campati in aria, di nostalgismo meridional-borbonico o di cavourismo immaginario, nell’idoleggiamento di un presunto Cavour chiuso in un orizzonte nordista e travolto nolente alla liberazione del Mezzogiorno. Riconosciamoci tutti nell’esito esaltante del movimento per l’Unità d’Italia, condizione e premessa dell’ingresso del nostro Paese nell’Europa moderna e del suo successivo trasformarsi e svilupparsi”. E’ con questo importante intervento che il Presidente fa scudo alla memoria di un valoroso uomo di Stato, uno tra padri della Patria troppo frettolosamente dimenticato da un Paese senza memoria, da una società pigra e da una classe politica ingrata. Troppo liberale per la sinistra comunista e post-comunista, troppo uomo di Stato per una destra liberista e di mercato, troppo pragmatico per una destra populista e senza tradizione, il più grande statista italiano di sempre, il conte di Cavour, è stato eclissato da altre personalità più ‘eclatanti’ della storia d’Italia che meglio si prestavano alla propaganda politica in un Paese da sempre più avvezzo agli slogan e alle bandiere piuttosto che alla riflessione e alla critica ponderata. Cavour era il rappresentante della Destra storica, nata nel e col Risorgimento, una Destra liberale e costituzionale, diremmo oggi ‘montanelliana’; ed è proprio quel carattere liberale e costituzionale che solo negli ultimi tempi sta cercando di riemerge nel vivo della sua importanza, nel quadro di una destra sì conservatrice, ma costituzionale ed europea. E’ nel nome del patriottismo costituzionale, dunque, che deve riconoscersi un Paese politicamente e civilmente maturo; ed è proprio per questo motivo che esso, il patriottismo costituzionale, necessariamente di destra e di sinistra (!), risulta essere un patto inter-generazionale, proprio perché continui a essere rinnovato e onorato nel tempo. Ecco perché è importante ricordare Cavour, morto proprio mentre l’Italia stava nascendo, come rappresentante di una matrice, seppur lontana, dell’odierna destra liberale europea. Come giustamente ci ricorda Napolitano, le anime del Risorgimento “non sono santini, ma figure vive”!


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