Postcards from nowhere #3 - Gennaio 2022

POSTCARDS FROM NOWHERE #3 gennaio 2022

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#3 g e n n aio 2022 Inizia un nuovo anno: gennaio è un mese di promesse che forse non manterremo, di buoni propositi che continuiamo a procrastinare Questo è il mese dei buoni propositi che non iniziano proprio col piede giusto, ed ecco qui il mio: il primo numero di Postcards from nowhere del 2022 tradisce l’intento iniziale di portarvi ogni mese tre racconti e ve ne consegna invece solo due. Mi perdonerete per questo – spero – ma si sa che le vacanze di Natale sono un po’ come un buco nero, che risucchia tutta l’energia e la creatività e restituisce solo un po’ di riposo e tanto, troppo cibo.

Perché l’horror paura è padroneggiare la paura stessa. Questo l’ho imparato leggendo molto Stephen King a partire da It, il primo libro del Maestro dell’horror che ho letto a circa 14 anni. Sono seguiti poi tanti altri titoli e tuttora sto leggendo due libri di King, anche se in linea di massima posso dire che quelli più corposi sono anche quelli che ho preferito (It, The Dome, The Stand).

Anche sul versante dei fumetti, The Walking Dead è stato uno dei primi che ho letto, e poi Outcast (sempre di Kirkman) fino ad arrivare a uno dei miei preferiti in assoluto, Gideon Falls, che non è propriamente solo horror, ma che nell’horror sicuramente ci sguazza bene.

Dopo questa parentesi su come l’horror influenzi molto ciò che scrivo, utilizzo di nuovo questo piccolo spazio per ringraziare chiunque stia leggendo queste mie raccolte e chiunque mi abbia dato un feedback: vi ringrazio di cuore perché non avete idea di quanto siano preziosi i

feedback per me!

Per chi volesse darmi un suo parere su Postcards from nowhere, vi ricordo che potete scrivermi come sempre in DM su Instagram (@izzeesa) o via e-mail (isabella.aquino.info@ gmail.com).

Buona lettura ~ Isa

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Paradossalmente, scelgo di parlarvi del genere horror proprio in questo numero di Postcards from nowhere che di horror non contiene proprio nulla in nessun racconto. In ogni caso, ho deciso così, e così sia.

L’horror è il genere che più ha influenza nella mia vita, dal cinema al fumetto alla letteratura. È anche il mio genere preferito, quello che ormai il mio subconscio sceglie praticamente da solo, che sia tra i film di un catalogo online o tra i nuovi fumetti da iniziare.

Il mio primo incontro con il genere horror fu quando avevo circa 7 anni: mio padre mi fece vedere Il villaggio dei dannati, il remake di Carpenter del 1995. Rimasi abbastanza inquietata da quel film, ma soprattutto affascinata: mi domandavo come potesse non aver paura chi quel film l’aveva realizzato.

Nella mia ingenuità, un po’ avevo ragione, e lo avrei scoperto alcuni anni dopo: il segreto per non aver

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contents p. 5

La Morte Gentile / THE KIND DEATH

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I Nottambuli / the nighthawks

la morte gentile The Kind Death written by Isabella Aquino

Parte prima ANDANTE Tossisce. Non è intelligente camminare sotto la pioggia senza un ombrello, ma è molto interessante. È come se il tempo rallentasse, mentre forse sono solo gli altri ad andare più veloce per non bagnarsi.

A Mia non importa il motivo, perché non si fa molte domande, in genere. Si limita a guardare le cose, a vederle passare. Neanche prova a cambiarle, quando non le vanno troppo bene. È così lontana dalle cose che tengono gli altri impegnati, così menefreghista nei per questo che Mia passeggia sotto la pioggia senza un ombrello, con il cappuccio del parka tirato sulla testa e ormai zuppo

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confronti di quelle cose che gli altri reputano imprescindibili. È

di tutta la pioggia che è caduta giù nell’ultima mezz’ora. Se si bagna, che cosa importa? Perché gli altri ne fanno una questione di vita o di morte?

Svolta l’angolo e raggiunge una stradina deserta – anche più deserta del solito, ora che le gocce d’acqua bagnano la città. I pochi piccoli negozi presenti hanno le saracinesche abbassate, sono le

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13:20 e sono tutti in pausa pranzo. Mia, invece, ha buttato giù un panino preparato controvoglia ed è scesa in strada, a vedere la città svuotarsi, vuoi per la pioggia, vuoi per l’orario. Percorre la stradina con le mani in tasca e sbuca dove la sua vista si meraviglia ogni volta: la spiaggia dalla sabbia così chiara da sembrare bianca. Lei trova incredibile quell’effetto che ogni volta registrano i suoi occhi: dallo spazio angusto della stradina all’immensità della spiaggia e ancora oltre, all’immensità di quel mare adesso in tempesta.

Ma ogni volta che Mia ha cercato di spiegare a qualcuno quella sensazione, è sempre stata liquidata con occhiate stranite o false frasi di circostanza o ancora piccoli sorrisi incerti. Per questo – e per un’altra serie di ragioni – Mia ha smesso di spiegare le cose alle persone.

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Affonda con i suoi anfibi scuri nella sabbia bagnata e fanghigliosa e procede verso il bagnasciuga. Non le sono sfuggite le due sagome

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inerti sulla riva, ma riesce davvero a identificarle solo avvicinandosi un po’ di più al mare. Girando lo sguardo verso sinistra, le guarda di sfuggita: c’è un giovane uomo dai capelli così biondi che potrebbe quasi dire siano bianchi e, accanto a lui, un anziano seduto su una vecchia sedia a sdraio di plastica. Si scambiano parole che Mia non riesce a sentire. Ma riesce a vedere bene una cosa, e su quella si fissa: mentre il vecchio è bagnato fradicio – come lei, del resto –, il giovane è completamente asciutto, la pioggia sembra non toccarlo affatto. Mia distoglie per un attimo lo sguardo e lo rivolge alla punta delle sue scarpe, bagnate sia dalla pioggia sia dalle onde del mare che si trascinano lente fino a lei. Non resiste a lungo, però, e torna a guardare i due che sono alla sua sinistra, non troppo lontani da lei. Si sta ancora chiedendo come sia possibile che il giovane resti completamente asciutto, che ecco che lo stesso aiuta il vecchio ad alzarsi dalla sdraio e lo accompagna verso il mare. Poi gli lascia le mani che gli teneva strette e il vecchio avanza da solo verso il mare, passo dopo passo. È molto lento, ma sembra inarrestabile.

L’acqua agitata sale minacciosa lungo il suo corpo e a volte gli arriva alla pancia e a volte scende ai polpacci. Il giovane resta a angoscia. Il vecchio si sta suicidando? Se sì, perché? E perché l’altro

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guardare impassibile mentre Mia viene pervasa da un forte senso di

resta a guardare?

La testa del vecchio sta per scomparire sott’acqua quando Mia si lancia verso le acque nere del mare in tempesta. Tenta di nuotare con tutte le sue forze, ma le onde la spingono nella direzione opposta e fatica a tenersi a galla. Con bracciate più poderose raggiunge il punto dove ha visto scomparire il vecchio e lo cerca, lo cerca

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disperatamente. Ma lui non c’è. Il mare deve averlo risucchiato via. Sconfitta e amareggiata, con lo sguardo attonito e le forze che la abbandonano, Mia torna indietro verso la spiaggia. Stavolta il tragitto è più facile, le onde potenti la spingono con prepotenza verso la sabbia bianca, dove crolla sfinita. Cerca di riprendere fiato e aspetta, seduta sulla spiaggia, guardando verso il mare che ha inghiottito il vecchio sconosciuto. Vede tante stelline davanti ai suoi occhi, a causa dello sforzo estremo e sciagurato che ha compiuto, ma dopo pochi minuti riacquista abbastanza energia da voltarsi indietro, verso il giovane dai capelli chiarissimi. Un lampo di rabbia le attraversa gli occhi non appena questi si scontrano con il volto del giovane, anch’egli intento a fissare il mare. Lui non si accorge di lei, e con eleganza gira su sé stesso e fa per allontanarsi.

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«Perché non l’hai aiutato?» grida Mia, con tutto il fiato che le resta.

Vede di nuovo le stelline argentate danzare davanti ai suoi occhi, ma

decide di ignorarle. Il giovane uomo si ferma e sembra impiegare un’eternità prima di voltarsi verso Mia. La pioggia continua a non bagnarlo, ma quando si gira i suoi occhi di ghiaccio sono leggermente più sgranati e si fissano in quelli scuri di Mia. Lei si sente a disagio e vorrebbe distogliere lo sguardo, ma non lo fa. È come se una mano fredda le avesse appena toccato la pelle bollente.

Il silenzio che segue le sue parole sembra interminabile.

«Tu puoi vedermi?» domanda lui.

Mia si stranisce, è confusa e ancora arrabbiata.

«Che razza di domanda è?»

L’uomo si avvicina appena e si accovaccia accanto alla ragazza, che resta seduta sulla sabbia a riprendere fiato. Lui la guarda, mentre la pioggia cade sul suo corpo senza veramente bagnarlo.

«Hai rischiato la morte, oppure sei una medium» dice. «Quale di queste due cose è vera?»

Mia sente la rabbia ribollire dentro e ne ha abbastanza di quel tizio strano dallo sguardo che trafigge. Si rimette in piedi e dopo di lei anche lui fa lo stesso.

«Io non so tu che problemi hai» gli dice. «Ma non è bello quello che Il giovane resta per un po’ a fissarla prima di rispondere.

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hai fatto. Stare a guardare, intendo. Non è giusto.»

«Tu non sai cos’è giusto» ribatte.

Mia scuote la testa, non riesce a capirlo.

«Sei uno stronzo» aggiunge solamente, scansandolo e continuando a camminare per tornare indietro.

Sta pensando di chiamare qualcuno, forse la polizia o la guardia costiera che è lì vicino al porto. Sente i passi del giovane dietro di

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sé, ma quando si volta per dirgli di lasciarla in pace, di lui non c’è più traccia.

Al suo posto, un gatto nero sembra essere spuntato dal nulla e la fissa con i suoi occhi gialli profondi.

«E tu da dove salti fuori?» domanda Mia, accovacciandosi verso il gatto per accarezzarlo.

Il micio tira indietro le orecchie e mostra i denti, ma è solo una diffidenza iniziale, perché subito dopo cede alle carezze della ragazza.

Mia si guarda intorno, ma non sembra esserci nessuno a cercare quel gatto. Non ha neanche un collarino con una medaglietta.

«Vieni, ti porto a casa con me.»

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Parte seconda ALLEGRETTO Mia è semi-sdraiata sul divano, lo sguardo vuoto e pensieroso e la sigaretta stretta tra le dita. Accanto a lei, la sua migliore amica Nora siede con lei sul divano, con le ginocchia strette al petto, mentre Konrad fuma affacciato al piccolissimo balcone di casa. Il gatto nero che Mia ha raccolto per strada e portato con sé siede appollaiato su una sedia di paglia e sembra fissare tutti e tre con curiosità attraverso i suoi occhi felini.

«Comunque non me lo spiego» dice Mia, dal nulla.

Il fumo che la inebria e riempie la stanza inizia a darle alla testa, i suoi discorsi sono un po’ sconnessi e i suoi pensieri non seguono più un filo logico.

«Che cosa?» chiede Nora, ma forse non sta davvero ascoltando, la sua risposta è meccanica e assente.

«C’era questo tizio sulla spiaggia. Ha visto un vecchio che annegava e non l’ha aiutato, è rimasto lì a guardare. La pioggia non lo bagnava.» eccessivamente teatrale.

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Nora percepisce solo l’ultima frase e la reazione sul suo volto è

«In che senso che la pioggia non lo bagnava?» chiede.

«Nel senso che la pioggia non lo bagnava» ripete Mia, gesticolando per aria come se potesse immaginarsi di nuovo la scena davanti ai suoi occhi. «Così, la pioggia scendeva, cadeva anche su di lui, ma lui era sempre asciutto. Capelli, vestiti, tutto. Sempre asciutto.»

«Wao» riesce a dire solo Nora, ma forse è così confusa dal fumo che

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non ha davvero capito.

«Poi ho trovato il gatto e me lo sono portato a casa.» «È un bel gatto» commenta Konrad, girandosi verso l’interno della casa.

Tutti e tre fissano il gatto. Ha qualcosa che non li convince.

Parte terza SOSTENUTO Mia apre la porta di casa e si trova di fronte il giovane dai capelli chiarissimi che ha visto sulla spiaggia. Non si aspettava di vederlo mai più, men che meno si aspettava che lui bussasse alla sua porta.

«Posso entrare?» chiede.

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«No» risponde lei. «Se hai qualcosa da dirmi, fallo da qui.»

L’uomo ci pensa un po’ su.

«Tu sei una medium?» domanda.

«Tu sei pazzo» conclude rapidamente Mia, facendo per richiudere la porta.

Lui porta in avanti la mano e impedisce alla porta di chiudersi, ma non lo fa con prepotenza. È sempre molto gentile in tutto quello che fa, anche in come sembra guardare il mondo.

Mia lo osserva. Non lo trova ostile o malvagio. Lo trova estremamente delicato e interessato ad avere una risposta. Per qualche strana ragione non ha paura di quello sconosciuto che vuole parlare con lei. Sembra così rassicurante.

«Entra» gli dice alla fine, spalancando la porta.

Ora sono seduti al tavolo, si fronteggiano come in una partita a scacchi. Si fissano per un po’. Lui ha sempre quello sguardo gentile, quasi innocente.

«Sei una medium?»

«No. Non esistono i medium.»

«Esistono» ribatte lui. «Sono pochissimi al mondo.»

«E va bene, ma non sono una medium.»

«Allora una volta hai rischiato di morire.»

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L’uomo assimila la risposta.

Mia è sorpresa.

«Che vuoi dire?»

Lui allunga la mano verso la sua fronte, ma Mia si tira indietro e scatta in piedi. Si sta chiudendo a riccio.

«Lasciami fare, poi ti spiegherò.»

La voce di lui è così calma che sembra cullare come le onde del

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mare. Un mare tranquillo su cui adagiarsi.

«Non aver paura.»

E lei non ne ha più, perché assurdamente sa che lui non le farà del male. Allora si siede di nuovo e lascia che lui le tocchi la fronte. Il suo tocco è freddo, ma delicato. È come guardarsi dentro, è come rileggere i propri ricordi ma in maniera molto più nitida, come riviverli di nuovo.

Mia si rivede a sei anni, nella vasca da bagno, con sua madre che le accarezza i capelli bagnati e con una spugna la insapona. Non la ricordava più così, sua madre, con le guance scavate e dei cerchi neri attorno agli occhi.

«Tu sei la mia bambina» dice, lo ripete un po’ come una cantilena.

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La piccola Mia ride mentre guarda le stelline di plastica galleggiare sulla superficie dell’acqua tiepida. Erano le sue preferite, quelle

stelline, quando faceva il bagno. Anche più del piccolo battello rosso, molto di più.

«La mia bambina» continua a cantilenare sua madre, lo sguardo che lentamente si svuota.

Lei ricorda quel momento, perché aveva smesso di guardare le stelline per guardare lei. Gli occhi vuoti di sua madre, sempre più vuoti, poi sempre più neri, come due profondi pozzi senza fine.

Le sue mani – prima delicate – iniziano a scorrere con maggior pressione sulla sua pelle. Raggiungono il suo piccolo e fragile collo e poi, in un attimo, gli si stringono intorno, spingendo il corpo della bambina giù, sotto il pelo dell’acqua. Mia non ha il tempo di rendersi conto di quello che sta succedendo, ma adesso che si guarda da fuori capisce e rivive quella sensazione sulla pelle come se le stesse accadendo di nuovo. La piccola Mia è trascinata giù e quella vasca da bagno ora le sembra immensa, come un lago o un mare. Non riesce a salire in superficie, per quanto scalci. Non riesce a sfuggire alla presa di sua madre, per quanto provi a graffiarle le mani che le stringono il collo.

Poi perde i sensi, e quello che succede dopo può vederlo solo ora, – è spettatrice dei suoi ricordi.

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ad anni di distanza, solo adesso che – per qualche assurda ragione

Suo padre urla e con forza allontana sua madre dalla vasca da bagno, tirandola indietro e staccando le sue mani dal collo della piccola Mia. La madre non protesta, semplicemente lascia andare la presa debolmente e si siede sulle piastrelle del bagno, a piangere e stringersi la testa tra le mani.

«L’hai uccisa, l’hai uccisa!» ripete l’uomo, con gli occhi lucidi, mentre

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tira fuori dall’acqua il corpo di sua figlia e lo adagia sul pavimento del bagno. Le preme contro i polmoni, le fa la respirazione bocca a bocca, poi, all’improvviso, Mia sputa fuori tutta l’acqua che aveva nei polmoni e torna a respirare. Il padre la stringe forte a sé, mentre la madre continua a piangere in un angolo del bagno.

Mia scatta in piedi improvvisamente, rovesciando la sedia. Una sensazione di oppressione le attanaglia la gola mentre il giovane uomo resta immobile a guardarla e quasi sembra chiederle scusa con il suo sguardo. Forse è proprio così.

«Cos’hai fatto?» chiede agitata.

«Mi dispiace, questo era l’unico modo per sapere.»

«Sapere cosa?» grida lei.

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«Perché puoi vedermi.»

L’uomo dallo sguardo gentile e gli occhi di ghiaccio si chiama Ezekiel e dice di essere un Angelo della Morte.

«Che significa che sei un Angelo della Morte?» domanda Mia. Sente che potrebbe credere a qualunque cosa, adesso.

«Siamo alcune centinaia, credo, noi Angeli della Morte.

Accompagniamo verso la morte le anime delle persone per cui è arrivata la fine.» «È un compito triste» riesce solo a commentare Mia. «No, non lo è. Un’anima abbandona un corpo per rinascere in un altro. Una fine è sempre un nuovo inizio.» «È questo, quindi, il senso della vita?»

«Non so quale sia il senso della vita. Però so per certo che questo è il senso della Morte.»

Mia resta un po’ in silenzio, ad assimilare le informazioni che ha ricevuto e a pensare alle domande da fargli. La sua mente è così affamata di risposte eppure così affollata che riesce solo a chiedergli qualcosa.

«Tu puoi stabilire quanto vive una persona?»

«No, non posso. Tecnicamente, potrei. Ma non lo faccio.»

Ezekiel resta in silenzio a lungo, tanto che Mia crede che non le

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«Perché?»

risponderà più.

«Ogni cosa, nell’Universo, è in equilibrio. La Vita e la Morte sono l’equilibrio massimo dell’Universo. Senza la Morte, non può esistere la Vita, e viceversa. Se un’anima non muore, non può vivere di nuovo.»

Mia sente la testa esploderle, è tutto così complicato. Sta entrando

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in un territorio a cui non ha mai neanche pensato.

«Quando mio padre mi ha salvato, da piccola, mi ha strappata via dalla morte?»

«No» risponde Ezekiel. «Semplicemente non era arrivato il tuo momento di morire. Nessun essere umano può sottrarne un altro dalla morte.»

«Ma gli Angeli della Morte possono, vero?»

Ezekiel annuisce.

«Quindi prima, sulla spiaggia, avresti potuto salvare quel vecchio e invece lo hai accompagnato verso la morte.»

«Te l’ho già detto» risponde lui. «Era arrivato il suo momento. Io ho solo cercato di rendergli la morte più dolce. Non ha sofferto.» «È morto annegato. Non è proprio una morte dolce.»

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«Questo è quello che hai visto tu. In realtà lui non si è mai alzato dalla sedia. Io ho accompagnato la sua anima.»

Mia è stranita, non sa cosa aggiungere ma non riesce a capire.

«Tu hai questo dono di vedere gli Angeli della Morte e le anime nel momento della loro fine» dice Ezekiel, «perché hai sfiorato la morte anche tu.»

«Non ci ho mai fatto caso.»

«Perché non lo sapevi.»

Restano entrambi il silenzio per un po’.

«Quando l’ho incontrato, in prossimità della sua morte, l’uomo mi ha chiesto di morire di fronte al mare, guardandolo. Io ho esaudito la sua ultima richiesta. Cerco di essere sempre il più gentile possibile con le anime che lasciano questo mondo, perché hanno paura.»

Il miagolio del gatto interrompe la loro conversazione. L’animale entra nella stanza con eleganza, fissando entrambi con i suoi occhi gialli dalle iridi strettissime. Poi si ferma ai piedi di Ezekiel, attorcigliando la coda intorno alle sue zampe.

«L’hai preso tu, quindi» dice Ezekiel.

«Perché, è tuo questo gatto?» domanda Mia. «Lui è me, in un certo senso. Si chiama Guten.»

Mia li guarda entrambi senza capire, quindi il giovane uomo si «Io posso essere sia in questo corpo in forma umana, sia nel corpo

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spiega.

di Guten. Spesso mi fa comodo entrare nel suo corpo, posso agire in maniera indisturbata e spostarmi senza essere notato dagli umani.»

«Quindi lo riporterai con te?»

«Se non ti dispiace.»

Mia scuote la testa e capisce che non aveva davvero un’alternativa.

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Ezekiel è solo stato molto gentile. Come sempre.

Parte quarta VIVACE «Aspetta. Posso venire con te?» domanda Mia, lanciandosi fuori dalla porta dopo un ripensamento dell’ultimo minuto.

Ezekiel si volta con una lentezza che la disarma. Ci pensa su e resta in silenzio a lungo, uno di quei suoi silenzi infiniti, vuoti eppure pieni.

«Va bene» conclude, mentre Guten serpeggia tra le sue scarpe e si porta avanti nel tragitto.

Parte quinta

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ADAGIO

Il mare si abbatte triste contro la sabbia chiara. Si ritrovano lì dove tutto ha avuto inizio, perché quando un uomo chiede di morire nel mare che lo ha visto nascere, Ezekiel accontenta il suo ultimo desiderio. La barca su cui sono lui, Mia e il vecchio pescatore ondeggia con il favore del mare calmo. Mia si regge ai bordi di legno della barca, non riesce a stare in piedi a lungo. Ezekiel invece sì, e come la pioggia che non lo bagna, anche quell’ondeggiare incerto non lo scalfisce. Il vecchio pescatore lo guarda e non ha paura.

«Quindi è così che me ne vado?» gli chiede, strascicando le parole.

Ezekiel annuisce. Il pescatore abbassa lo sguardo.

«Mia moglie mi piangerà, credo.»

«Lo farà» ribatte Ezekiel. «Tra poco arriverà una tempesta.»

Il pescatore scruta l’orizzonte, ma non vede nuvole grigie. «È assurdo» dice. «Un vecchio lupo di mare come me che muore perché non è riuscito a prevedere una tempesta.»

«Succede» commenta Ezekiel.

Il vecchio lo guarda negli occhi.

«Soffrirò?» chiede.

«Per niente.»

Ezekiel allunga la mano verso di lui, ma prima che possa entrare

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«Allora fallo.»

in contatto con la sua fronte, Mia lo blocca. Ezekiel la guarda. I suoi occhi sono di ghiaccio, lo sguardo è terribile e Mia ha paura. Non lo ha mai visto così temibilmente impietoso. Quegli occhi su di lei sono come la lama di un coltello. Mia molla la presa e permette ad Ezekiel di fare il suo dovere.

Lui si volta di nuovo verso il pescatore e gli tocca la fronte. L’uomo

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scivola in un sonno eterno ed è come se si addormentasse dolcemente, con un debole sorriso sul volto. «È stato terribile vederlo morire» dice Mia, stringendo la tazza di tè fumante tra le mani.

«Non lo è stato. Ci sono morti peggiori.»

Mia conviene che è così.

«Non devi provare a fermarmi. Non puoi» aggiunge Ezekiel dopo un lungo silenzio.

«Allora di cosa hai paura?»

Ezekiel la guarda senza capire fino in fondo.

«Sono stanca» dice subito Mia. «Non voglio più seguirti.»

Guten balza sulle ginocchia di Ezekiel, che distrattamente inizia ad

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accarezzargli il pelo scuro. «È una tua scelta» le dice. «La rispetterò.»

Di nuovo da sola per strada, di nuovo sotto una pioggia scrosciante, Mia affonda le mani nelle tasche del suo parka e torna a girovagare per la città, stavolta con lo stomaco chiuso in un groviglio. Ora che sa come funziona la morte, ogni cosa che vede attraverso i suoi occhi sembra avere una luce diversa. Se già prima gli affanni del resto del mondo le sembravano insignificanti, adesso è anche peggio.

Sta pensando a quanto le mancheranno Ezekiel e Guten quando attraversa la strada senza guardare.

Parte sesta MODERATO Ezekiel sa che non può farlo, eppure decide di farlo. Sa che non è giusto, ma dentro di sé prova un’agitazione che non ha mai provato.

La notizia l’ha sconvolto, del suo solito sangue freddo ormai non c’è più traccia. L’equilibrio dell’Universo è più importante, lo sa e se lo ripete nella testa continuamente, come un mantra, mentre con Guten raggiunge il luogo dell’impatto correndo. la testa. Sente la sua energia vitale farsi sempre più flebile fino a

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Mia è lì, sdraiata a terra, in strada, con una pozza di sangue dietro

scivolare via. Si inginocchia davanti a lei, che comunque ha gli occhi chiusi e non può vederlo.

La fine è solo un nuovo inizio.

Lui lo sa, eppure non è pronto. E pensa che neanche lei sia pronta. È assurdo, perché sa come funzionano le cose. È assurdo perché sa che la sua anima rinascerà, che occuperà un nuovo corpo. Ma

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allora perché ha così tanta paura? Perché non vuole dirle addio, che è un addio momentaneo, finché lei non ritornerà in vita, in un’altra vita?

Non è pronto a dirle addio, ma è pronto a sconvolgere l’Universo affinché lei continui la sua vita in quella forma.

Che pretesa assurda, se ne rende conto: piegare l’Universo ai suoi capricci, alla sua volontà. È una cosa più grande di lui, forse non può permetterselo.

Ezekiel piange, per la prima volta nella sua lunghissima vita.

Neanche credeva di essere in grado di farlo, in verità. Non ne trovava l’utilità. Invece adesso delle calde lacrime scorrono lungo le sue guance e non riesce a fermarle. Non vuole che lei vada via, così come l’ha conosciuta. Non vuole che affronti una nuova vita in cui

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forse soffrirà di più.

Devi lasciarla andare, gli suggerisce la sua testa, e ha ragione.

Deve lasciarla andare. Può accompagnare la sua anima, ma non può fare di più.

Trova che tutto questo sia ingiusto, anche se la sua testa gli dice che è sempre stato così e che sarà così per sempre, e che lui non è nessuno per giudicare come funziona l’equilibrio dell’Universo.

Guten miagola e lo riporta alla realtà. È un miagolio sofferente, come soffre la sua anima in quel momento. La vita ha abbandonato quasi del tutto il corpo di Mia. Ne resta solo un brandello, che pure sta scivolando via lentamente.

Ezekiel chiude gli occhi e prende la sua decisione.

Sono in piedi di fronte al mare, guardando le onde. C’è tristezza negli occhi di Ezekiel, mentre Mia sorride dolcemente.

«Non hai paura?» le chiede.

«Paura di cosa?»

«Della vita che ti aspetta. Sarà tutto diverso.»

Mia allarga il sorriso.

«No, non ho paura. Non so perché, ma non ne ho.»

Cala il silenzio, per un po’, interrotto solo dal rumore delle onde «Mi dispiace, ma non ci sono riuscito» dice Ezekiel. «Non sono

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del mare.

riuscito a tenerti in vita. Non ho avuto il coraggio di farlo.»

«Non dovevi, infatti. È giusto così. Prima non capivo, ma adesso sì.

Ora è tutto così chiaro.»

Mia gli prende la mano ed Ezekiel la guarda.

«Tu sei la persona più gentile che io abbia mai conosciuto» gli dice, sorridendo. «Ti chiedo solo di continuare ad esserlo mentre mi

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accompagni verso la fine.»

«Certo» dice subito lui, come se fosse una cosa ovvia. «È l’unica cosa che posso fare per te e lo farò.»

«Allora va bene così. Sono felice così.»

Ezekiel sente gli occhi pizzicare di nuovo. Per quanto non voglia piangere, le lacrime rotolano di nuovo giù lungo le sue guance.

Vede il mare di fronte a sé come attraverso uno spesso vetro.

«Sono pronta» dice Mia. Lui no, non lo è, ma glielo deve. Glielo ha promesso.

Ezekiel le prende entrambe le mani e la aiuta a sdraiarsi sulla sabbia bagnata.

«Ciao, Mia» dice, nonostante il groppo gigante che ha alla gola.

Lei sorride e chiude gli occhi.

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«Ciao, Ezekiel. Sono sicura che ci rivedremo.»

Poi la sua anima scivola via e il vento la porta con sé. Ezekiel resta

da solo, a fissare il punto esatto in cui lei era fino a qualche istante prima.

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«Andiamo a casa, Guten.»

i nottambuli The Nighthawks

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written by Isabella Aquino

A quell’ora della notte le strade erano deserte. I marciapiedi cementati erano larghi e sgombri e di tanto in tanto solo qualche foglia secca o stralcio di giornale li attraversava.

Il vento che tirava quella notte era forte, spaccava i timpani e si abbatteva contro i muri delle case. Dentro il Phillies, però, tutto taceva. Era come un mondo a parte, immerso in un silenzio surreale.

Al bancone di quel bar notturno sedevano tre persone.

Ed

e

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invece, del

Jacqueline c’era

locale

Blake.

era

sedevano

vicini.

In

a

mezzo

impegnato

a

lavare

Dall’altro

loro,

il

piatti

lato,

proprietario e

bicchieri.

Ed e Blake fumavano, Jacqueline invece no. Ciascuno era perso nei propri pensieri, così profondamente distanti. Le loro vite, d’altronde, non avrebbero potuto essere più diverse di così.

Ed e Jacqueline si erano conosciuti a un’asta di beneficenza, circa dieci anni prima. Allora era tutto diverso: non c’era la guerra, e non c’erano ancora la solitudine e l’incomprensione a insinuarsi tra loro.

Si erano conosciuti perché i loro sguardi si erano improvvisamente incrociati, mentre entrambi puntavano a mettere le mani su un dipinto di fine Ottocento. Avevano perso tutti e due, alla fine, battuti da una donna molto più anziana di loro e molto più ricca.

Ma avevano perso davvero? Ed era convinto di no, perché quello era stato il loro punto di partenza.

Quella di Ed e Jacqueline era stata una bella storia. Una storia ordinaria. Niente di incredibilmente romantico, ma neanche niente di catastrofico. Una storia normale, a tratti banale, ma mai troppo noiosa.

Questi erano Ed e Jacqueline. Due storie che si erano incontrate tra loro non erano precipitate. Erano mesi che litigavano anche per

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e che avevano deciso di proseguire insieme. Almeno finché le cose

la motivazione più stupida, che si urlavano contro per poi scoprirsi sfiniti, perché non avevano più l’età per quelle litigate.

Seduti al tavolo del Phillies dopo l’ennesimo litigio, Ed e Jacqueline cercavano di capire com’erano arrivati a quel punto.

Jacqueline pensava che forse avrebbe dovuto lasciare Ed: la spaventava quando urlava in quel modo, sembrava che da un

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momento all’altro volesse picchiarla. Ma poi, cosa avrebbe fatto?

Non c’era posto, in quel mondo, per le donne divorziate. E va bene, forse sarebbe rimasta con lui ancora un po’.

Tra un tiro di sigarette e l’altra, Ed pensava a quanto odiasse Jacqueline, quella donna che non riusciva più a vedere con gli stessi occhi di una volta, gli occhi dell’amore. Perché semplicemente non la amava più. La odiava con tutto sé stesso, e forse era per quello che la trattava così male e che finivano sempre per litigare. Ma se l’avesse lasciata, poi, dove avrebbe trovato un’altra donna come lei? Era troppo vecchio per quelle cose. Magari era meglio lasciar perdere.

Blake non aveva più nessuno. Sua moglie era morta, e insieme a lei il

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figlio che portava nel grembo. Da allora aveva iniziato a frequentare sempre più spesso il Phillies: non voleva bere da solo, ma allo stesso

tempo non voleva neanche bere con persone che si facessero gli affari suoi. Il Phillies di notte era perfetto, frequentato sempre da figure che sembravano degli spettri. Nessuno diceva una parola, eppure erano tutti lì. C’erano e non c’erano allo stesso tempo.

Come Blake, chiuso nei suoi ricordi e nei suoi pensieri, quelli che mandava giù con dello scotch quando sentiva le lacrime pizzicargli gli occhi.

Non si parlava, al Phillies, ma se mai lo avesse fatto, Blake avrebbe detto a quell’uomo di tenersi stretto quella donna, perché un giorno avrebbe pianto per la sua assenza. O forse avrebbe detto a lei di tenersi stretto lui, perché non faceva differenza. La mancanza era

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mancanza per tutti, ed era forse l’unico dolore veramente universale.

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