Food design

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INTORNO AL

FOOD DESIGN LA TRASVERSALITA’ DEL PENSIERO PROGETTUALE NELLA CULTURA ALIMENTARE

Andrea Lupacchini


Introduzione 1. Itinerari alimentari tra tradizione e industrializzazione 1.1 Che cos’è il Food Design? 1.1.1 Prodotti generati con il cibo 1.1.2 Prodotti generati per il cibo 1.2 Mangiare nel mondo: macrodistinzioni gastronomiche fra passato e presente 1.2.1 Le cucine del continente asiatico 1.2.2 Le cucine del continente africano 1.2.3 Le cucine del continente americano 1.2.4 Il mangiare nell’Europa del passato 1.2.5 Il mangiare europeo contemporaneo 1.2.5.1 La Dieta Mediterranea 1.3 Globalizzazione dell’industria alimentare 1.4 Nanotecnologia alimentare: il futuro del cibo? 1.5 Nascita e sviluppo dell’industria alimentare in Italia 1.6 Mangiare Made in Italy 1.7 Conservazione del cibo 1.7.1 Tecniche e prodotti per la conservazione

2. L’ubiquità del concetto di cibo

2.1 Il cibo nell’arte e nella comunicazione 2.1.1 Il Movimento Futurista 2.1.2 Il caso Spoerri: la «Eat Art» 2.1.3 Cibo e arte moderna 2.1.4 Cibo e performance 2.1.5 Cibo e cinema 2.1.6 Cibo bijoux e musica 2.2 Cibo e pubblicità 2.2.1 Il marketing strategico e sensoriale 2.3 Imballaggio e packaging 2.3.1 Nascita ed evoluzione del packaging 2.3.2 Il packaging ai giorni nostri 2.4 L’Usa & Getta

3. Design della e sulla tavola

3.1 Tavola come supporto 3.1.1 Excursus storico 3.1.2 Tavola e tipologie di ambiente 3.1.3 La tavola contemporanea 3.2 Progettazione sulla tavola 3.2.1 Excursus storico 3.2.2 Stoviglie nella storia e nel mondo 3.2.2.1 Stoviglie nel design contemporaneo 3.2.3 Le posate nel mondo 3.2.3.1 Posate occidentali ed orientali 3.2.3.2 Posateria contemporanea 3.2.4 La progettazione nei bicchieri 3.2.4.1 Accessori dell’enodesign 3.2.5 Il design delle bottiglie e delle caraffe 3.3 Il party: aspetti ed oggetti.


4. Cibi e Design

4.1. La pasta 4.1.1 Un po’ di storia 4.1.2 I processi industriali 4.1.3 Nuovi tipi di pasta industriale 4.1.4 La geometria della pasta: i formati 4.1.5 L’Industrial Design incontra la pasta 4.2 Il caffè 4.2.1 Caffetterie e produzione industriale 4.2.2 Un vero e proprio prodotto industriale 4.2.3 Il caffè nel design 4.3 Il thè 4.3.1 Considerazioni sociologiche 4.3.2 Il thè nel design 4.4 Cioccolata e biscotti 4.4.1 Il cioccolato 4.4.2 I biscotti 4.4.3 L’unione di cioccolato e biscotti 4.5 Gelati 4.6. Il pane

5. Evoluzione delle prassi gastronomiche 5.1 Le modalità alimentari cambiano 5.1.1 Mangiare nel futuro 5.2 Metodi di cottura 5.2.1 Forni 5.3 Convenience food 5.3.1 Tipi di packaging utilizzati 5.4 Finger Food

6. I luoghi del mangiare

6.1 La cucina 6.1.1 Cenni storici sulla cucina 6.1.2 Analisi, tipologie e stili della cucina 6.1.3 Esempi moderni di design della cucina 6.1.4 La cucina contemporanea tra ecologia e design for all 6.2 Food Design nei luoghi mobili 6.2.1 Aereo 6.2.2 Treno 6.2.3 Automobile 6.2.4 Barca 6.2.5 Camper 6.3 Il ristorante 6.4 Il bar 6.4.1 Cenni storici 6.4.2 Il bar attuale 6.4.3 Organizzazione distributiva degli spazi 6.4.4 Unità funzionali 6.4.5 Bar in franchising 6.4.6 Design bar

APPENDICE Bibliografia


Introduzione Il Food Design è una realtà relativamente recente nell’esteso e sfaccettato panorama della progettazione industriale contemporanea. In tale ambito di ricerca, il cibo e tutto ciò che ad esso può essere riferito diventa argomento di trattazione per metodologie progettuali. Food Design, però, è anche un’espressione nuova per designare una dimensione umana in verità assai antica. Del resto ciò è già accaduto per altre discipline, come per esempio l’ergonomia: se essa venne battezzata con tal nome solo nel 1949, è pur vero che le soluzioni ‘ergonomiche’ alle problematiche inerenti il lavoro umano, inteso nelle sue più ampie accezioni, sono sempre state proposte ed attuate, anche prima dell’invenzione della ruota. Certo, le risposte del passato dovevano fare i conti con i mezzi disponibili e, perciò, era eventualità rara che i fini potessero fare a meno di adattarsi a strumenti e saperi molto meno numerosi di quelli che abbiamo noi oggi. Ciononostante non possiamo in alcun modo negare la presenza di consapevolezza delle difficoltà da parte dell’uomo antico che si interroga, libero di pensare con la propria intelligenza, sulle possibilità di migliorare le proprie condizioni, lavorative in particolare ed esistenziali in generale. Analogamente, i quesiti relativi all’alimentazione umana e al suo effettivo svolgersi, hanno senza dubbio interessato e coinvolto gli utenti del passato. E’ ovvio che, tra l’uso, per esempio, di un calderone in ghisa per cucinare e l’invenzione del vetro Pyrex, la distanza è enorme. Il tempo fluisce ed il mondo cambia e, fra il fluire ed il cambiare, le dinamiche socioculturali trasmutano e si metamorfizzano sotto l’influenza e l’ingerenza delle costanti innovazioni suggerite dall’attuale era della tecnica. Tutto ciò ha condotto oggi all’attribuzione, giustificata e necessaria, di una denominazione inedita che, da una parte attesta una compiuta presa di coscienza di tematiche contemporanee e, parallelamente, certifica l’avvenuta nascita di un nuovo corpus di conoscenze stabili, nonché di orientamenti condivisi che, al contempo, sono aperti alla sperimentazione. I mezzi concettuali e strumentali delle metodiche di lavoro facenti capo alle attività di progettazione, vengono dunque trasferiti nell’ambito alimentare ed acquisiscono vita autonoma. In queste condizioni, ogni argomento ed ogni risvolto relativi al mangiare, possono ricadere vantaggiosamente sotto la lente del Food Design: dalla composizione del cibo alla forma da fargli assumere, dall’imballaggio di un prodotto alle manovre pubblicitarie per promuoverlo, dagli utensili necessari di cui servirsi ai luoghi dove consumarlo, ecc. Non è casuale che il Design abbia, in un certo senso, inaugurato un’altra sua provincia, in un momento della storia in cui, da una parte, si assiste ad un’accelerazione delle dinamiche globalizzanti e, dall’altra, ad implementa4


zioni tecnologiche raffinatissime nell’ambito della produzione alimentare su scala industriale. Comunque sia, che il Design possa, oggigiorno, mettere sé stesso alla prova nell’ambito dell’alimentazione umana, è semplicemente consequenziale all’evidente constatazione che i prodotti alimentari presentano, a tutti gli effetti, quelle caratteristiche tipiche di ogni consumo di massa e, come tali, sono suscettibili di progettazione in ogni loro fase. Esistono tre ineludibili aspetti riguardanti il concetto di cibo, che sono: i fattori della convivialità, dell’identità culturale e della salute. Sebbene quest’ultimo fattore possieda un valore assoluto, ciascuno di noi nella vita di tutti i giorni, più o meno consapevolmente, ordina per importanza la gerarchia di queste componenti. Il concetto del mangiare è sempre stato connesso ad una serie di azioni che hanno trasceso la specifica funzione del nutrirsi, funzione certamente primaria e di assoluto significato fisiologico. Nel senso che il mangiare non è solamente assunzione di cibo: esso spontaneamente travalica nell’ambito culturale e si lega a filo doppio con il concetto di convivialità. Il legame tra cibo e sostentamento resta immutato, essendo indispensabile, ma tale unione si arricchisce di contenuti direttamente riferibili alla sfera socioculturale in cui ogni essere umano vive. Fatta eccezione per anacoreti e cenobiti - per i quali, comunque, il rapporto che l’individuo stabilisce con il cibo racchiude innegabilmente un orizzonte di senso - l’elemento conviviale connotante il pasto è antico, se non addirittura primordiale. La condivisione del cibo ha accompagnato l’evoluzione della specie umana e, con tutta probabilità, ha fatto da testimone allo stesso sviluppo del linguaggio. Questo fattore è un minimo comune denominatore che non è mai stato sacrificato e che il trascorrere del tempo ha lasciato intatto anche ai giorni nostri. Pur cambiando forme e ritualità, non vi è alcuna sostanziale differenza tra la condivisione della preda in una grotta ed una cena a casa con gli amici o al ristorante con i colleghi di lavoro: mettere in comune il proprio cibo e mangiarlo insieme significa voler rendere gli altri commensali compartecipi delle proprie esperienze, ovviamente non solo gastronomiche. In altre parole, stare insieme mentre si mangia significa comunicare, consolidare legami o instaurarne di nuovi. Il secondo aspetto che funge da orientamento nelle argomentazioni che fanno del cibo un elemento intrinseco, è quello riguardante l’identità culturale. Ogni cultura gastronomica, infatti, ha contribuito in maniera massiccia a definire, nel corso del tempo, il senso stesso dell’identità di un popolo e, conseguentemente, il suo stile di vita. Culture distanti e discordi hanno dato vita a gastronomie policrome punteggiate da consuetudini alimentari che, se in Introduzione

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un luogo vengono considerate una prelibatezza, in un altro possono provocare avversione e ribrezzo (pensiamo a come in alcuni paesi orientali cibarsi della carne di cani, gatti ed insetti sia del tutto normale). Ma non solo: nella complessità e nella mutevolezza dei panorami gastronomici, anche all’interno di una stessa area antropizzata unita dalla stessa tradizione culturale, si riscontrano comunemente usanze culinarie molto diverse (e qui basta porre mente all’eterogeneità delle cucine regionali presenti nella nostra penisola). Un terzo aspetto è quello della salute, connesso con il cibo in linea diretta. Rispetto al passato, non è più così semplice, oggi, imbattersi in prodotti genuini. Si può azzardare una generalizzazione dicendo che la consapevolezza nei confronti di ciò che mangiamo stia aumentando o, quanto meno, l’interesse verso le tematiche salutistiche coinvolgenti l’alimentazione si stia diffondendo a macchia d’olio. Di fatto, è senz’altro vero che in passato l’industria alimentare è stata assai più spregiudicata di quanto non lo sia ora; basti pensare al fenomeno della ‘mucca pazza’: una problematica gravissima causata dalla pratica, diffusa in moltissimi allevamenti di bestiame, di dare ai bovini cibi innaturali di provenienza animale (sostanzialmente, gli animali venivano forzati alla cannibalizzazione). Allo stesso modo, l’ampio utilizzo di conservanti e di coloranti, di sostanze chimiche di sintesi il cui effetto sull’uomo è ancora sconosciuto, se non già addirittura nocivo, hanno contribuito pesantemente ad accrescere in ognuno di noi la diffidenza o, almeno, l’attitudine critica verso il cibo di derivazione industriale. Ovviamente, non possiamo purtroppo dire che la scoperta di questi episodi e le contromisure attuate per prevenire il loro ripetersi abbiano, una volta per tutte, messo al riparo la comunità dei consumatori, nella quale tutti noi rientriamo. Ciclicamente, infatti, la cronaca riporta notizie di sofisticazioni alimentari per niente rassicuranti. A fronte di tali incontestabili fatti, tuttavia, occorre dire che la catena alimentare è da considerarsi sicura: dei milioni di prodotti acquistati nei supermercati annualmente, solo una frazione infinitesimale provoca dei problemi. E la storia non ci fornisce esempi di sicurezza maggiori di quelli attuali. Ciò che mangiamo contribuisce a tutti gli effetti alla costituzione dell’organismo e al mantenimento dei suoi delicati e complessi equilibri. Ma se, da una parte, sembra che stiamo assimilando sempre meglio la celebre asserzione del filosofo Ludwig Andreas Feuerbach (1804-1872), secondo cui «noi siamo ciò che mangiamo», non si può ancora affermare di aver fatto del tutto nostro l’antico, ma forse più legittimo oggi che ieri, monito di Ippocrate, considerato il padre della medicina occidentale: «Se il cibo non sarà il tuo farmaco, il farmaco sarà il tuo cibo». L’alimentazione è assolutamente basilare per il benessere psicofisico e, fattore altrettanto essenziale, è la salda presa di 6

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coscienza di tale verità. L’aspetto comunque positivo da sottolineare è, in tal contesto, la diffusione e l’affinamento di una sensibilità crescente nei riguardi della qualità del cibo che si consuma. Ad emblema di tale sensibilità c’è la stima di cui gode la cosiddetta agricoltura biologica che garantisce l’acquisto di alimenti naturali prodotti senza l’impiego di pesticidi o di fertilizzanti chimici di sintesi. Un approccio all’agricoltura che si focalizza su due, strettamente interdipendenti, orientamenti: la salvaguardia della salute umana e la tutela nei confronti dell’ambiente. L’industria del cibo, anche in questo caso, non è rimasta indifferente e si sta adoperando per venire incontro agli utenti, in maniera sempre più funzionale, a quel segmento di utenza, avveduto e critico, che rappresenta per essa un ulteriore target. Il cibo ha un’intrinseca valenza simbolica per l’essere umano. Tale verità si può cogliere facilmente tenendo presente come i disordini e le trasgressioni alimentari, purtroppo oggi assai diffuse nell’occidente opulento, abbiano quasi sempre una spiegazione emotiva. Sono spesso l’ansia, infatti, così come la rabbia e l’insoddisfazione, a dar luogo ad un approccio al cibo tale da far trovare in esso la compensazione di altri tipi di ‘fame’ psicologica. Nel momento in cui la nostra vita tende a ‘perdere gusto’, quando si vive in preda all’insicurezza e alla disistima, si ricorre al cibo che diventa, a tutti gli effetti, una ‘droga’ di facile impiego e dagli effetti sicuri, sebbene temporanei ed illusori. L’organizzazione del contenuto del presente testo si snoda in sei capitoli. Nel primo, Food Design, si inquadrerà il discorso guardandolo da un’ottica generale e da una prospettiva storico-geografica e ci si soffermerà su alcune considerazioni riguardanti il tema della globalizzazione e sulle frontiere del cibo industriale; nel secondo, Ubiquità del concetto di cibo, tratteremo dell’importanza della rappresentazione del cibo e come essa rivesta nel nostro immaginario un ruolo fondamentale; inoltre parleremo del ruolo della pubblicità come efficace strumento di sollecitazione del consumismo. Il terzo, Design in tavola, sarà invece dedicato alle considerazioni riguardanti gli specifici accessori di cui ci serviamo per nutrirci. Alcune focalizzazioni su particolari alimenti saranno l’argomento centrale del quarto capitolo, Cibi e design; il quinto, Evoluzione delle prassi gastronomiche, ci si soffermerà sullo sviluppo delle modalità alimentari e su come esse cambino in funzione delle innovazioni tecnologiche; mentre, in ultimo, nel sesto capitolo, I luoghi del mangiare, si parlerà dei luoghi destinati o adattati al consumo del cibo. Alla disamina dei tratti storico-culturali, relativi ai diversi temi trattati, fa seguito la presentazione esemplificativa di prodotti, più o meno contemporanei, che è possibile rubricare nella categoria del Food Design. L’analisi di quest’ultimi permetterà di rintracciare le idee guida che li hanno ispirati e Introduzione

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alla cui base sussiste senza dubbio una creativa capacità di problematizzare ex novo dati ed elementi erroneamente considerati già compiuti e, per questo, troppo presto, consegnati alla storia. Il Food Design può, dunque, ripercorrere la storia del cibo e riscriverla per farle prendere nuovi ed inediti corsi. Esso è operativo nell’alveo frastagliato di due territori adiacenti: quello della tradizione da una parte e quello dell’innovazione dall’altra. Tale alveo è, ovviamente, lo spazio della cultura il quale, pur rappresentando l’archivio dei saperi, delle tecniche e dei valori tramandati nel tempo da generazione in generazione, ci ricorda anche (o ci dovrebbe ricordare) la necessità di prendere coscienza del fatto che tali retaggi procurano cambiamenti della posizione dell’uomo nell’ambiente in cui vive. A questi cambiamenti occorre, perciò, rispondere con realtà maggiormente attuali e funzionali, nel senso di metterci in grado di recuperare equilibri perduti oppure, in alternativa, di attingerne di nuovi. Cultura, dunque, da intendersi come interfaccia tra tradizione ed innovazione, tra ciò che si conosce e ciò che ancora si deve sperimentare. Del resto, la lezione ultima che l’esperienza ci fornisce non è forse proprio quella di evitare di fare assoluto e completo affidamento su di essa? Bruno Munari, il grande maestro che invitava, tra l’altro, a studiare i prodotti della natura come se fossero oggetti di design, forse asseriva la stessa cosa affermando che: “La cultura popolare è un continuo manifestarsi di fantasia, di creatività e di invenzione. I valori oggettivi di queste attività vengono accumulati in quello che si chiama tradizione, tecnica o artistica o come si vuole. E, di continuo, questi valori vengono verificati da altri atti di fantasia e di creatività, e quindi sostituiti quando si dimostrano superati. Cosi, la tradizione è la somma in continua mutazione dei valori oggettivi utili alla gente. Ripetere pedestremente un valore, senza fantasia, vuol dire non continuare la tradizione ma fermarla e farla morire. La tradizione è la somma dei valori oggettivi della collettività e la collettività deve continuamente rinnovarsi se non vuole deperire”1.

1 . Bruno Munari, Fantasia. Invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive, Laterza, Roma-Bari 1977, p. 37.

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#1 Itinerari alimentari tra tradizione e industrializzazione


Ogni contesto comunitario ha una sua propria weltanshauung, termine tedesco che letteralmente significa ‘visione del mondo’ e che fa riferimento al complesso di conoscenze, credenze, orientamenti ecc. che un popolo, in un determinato frangente spazio-temporale, possiede ed esprime. Va osservato come tale parola metta l’accento sul canale sensoriale della vista, del resto il senso più sviluppato dall’essere umano attuale. Interessante, però, notare come ci siano culture che hanno sviluppato, per così dire, una ‘degustazione’ e non una visione del mondo. Gli Hausas, una etnia della Nigeria settentrionale, e che conta più di venti milioni di persone, giudica per esempio gli individui proprio con il metro del gusto: un bambino è un essere ‘senza sale’, mentre un uomo adulto maturo deve essere ‘caldo’ e ‘speziato’; i cibi caldi è aromatici possiedono virtù erotiche come è ‘aromatica’ una giovane donna vergine. Ancora: le giovani donne sono ‘zuccherate’, cioè piene di desiderio e le giovani spose prima di essere sagge devono maturare in ‘dolcezza’. In questa etnia la metafora gustativa misura anche la dimensione morale: un uomo bugiardo, per esempio, viene definito come uno che non mangia sale. In molte culture le relazioni tra i membri appartenenti a gruppi diversi vengono frequentemente espresse utilizzando termini culinari. L’altro è ridotto a stereotipo di ciò che si mangia e quasi sempre in termini peggiorativi. La cucina della cultura altra viene spesso presa di mira connotandola negativamente se gli esponenti ci sono nemici: se loro sono nostri avversari allora pure la loro cucina è cattiva; anzi è proprio la loro cucina che li ha resi tali. Sostanzialmente, il contenuto e le forme del mangiare rappresentano delle efficaci marche identitarie favorendo la stigmatizzazione dell’altro. Per fare solo alcuni degli esempi possibili: “esquimese”, per definire gli Inuits nella lingua amerinda dei loro vicini, vuol dire “mangiatore di carne cruda”. Gli inglesi e gli americani chiamano i francesi “mangiatori di rane (froggies)”. I francesi, invece, rispondono loro con il termine di “rosbif”, tra l’altro riferendosi agli italiani con la parola “macaronis”, mentre i belgi sarebbero mangiatori di “frites”. Per gli americani, infine, i “krauts” sarebbero i tedeschi. Detto questo pensiamo sia utile riportare quello che secondo Felipe FernàndezArmesto, storico britannico di origine galiziana, è stato il percorso evolutivo dell’alimentazione umana. Tale percorso può essere schematizzato in otto ‘rivoluzioni’ che non si sono susseguite linearmente ma si sono sovrapposte reciprocamente in modo del tutto non sistematico1. - La prima rivoluzione fu l’invenzione della cucina che rappresentò un fenomeno di auto-differenziazione dell’uomo dalla natura che suggella anche un’avvenuta trasformazione sociale. - La seconda rivoluzione è stata la valorizzazione del cibo inteso come elemento che va ben al di là del mero sostentamento. . Felipe Fernàndes- Armesto, Storia del cibo, Macmillan, 2001, p. 3.

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- La terza rivoluzione avviene con la pastorizia e l’allevamento: l’addomesticazione e la selezione di specie animali commestibili. - La quarta rivoluzione è rappresentata dall’agricoltura. - La quinta rivoluzione vede la considerazione del cibo come strumento e come indicatore di differenziazione sociale. - La sesta rivoluzione è invece relativa al commercio a lungo raggio che trasformò ulteriormente il ruolo e le funzioni del cibo negli scambi socio-culturali. - La settima rivoluzione è l’ecologia o, come viene generalmente chiamata, scambio colombiano. - L’ottava rivoluzione è, infine, quella apportata dalle ondate di industrializzazione del XIX e XX secolo. In questo capitolo cercheremo di inquadrare subito le tematiche proprie del Food Design per poi tratteggiare lo sfondo storico e socio-culturale dal quale tale disciplina è venuta emergendo. Ci soffermeremo, inoltre, sulle tradizioni alimentari tipiche di altri popoli e sul problema, ineludibile per l’alimentazione umana in generale, della conservazione del cibo, una difficoltà che, nell’ambito dell’industrializzazione degli alimenti, diventa istanza da cui non ci si può sottrarre.

1.1 Che cos’è il Food Design? “Designers cannot get closer to people than to make a design that becomes part of the body” Marije Vogelzang La metodologia e gli strumenti di lavoro propri del disegno industriale vengono, oggi, applicati in molti settori produttivi: per indicarne solo alcuni citiamo quello della grafica e della comunicazione visiva (graphic design), quello delle automobili (car design) e, ancora, nell’abbigliamento (fashion design) e nella nautica (yacht design). Recentemente, in questo mondo così variegato, legato a filo doppio con la produzione industriale, è comparsa anche la disciplina del Food Design. Food in inglese significa letteralmente cibo, cosa da mangiare, mentre Design deriva dal latino designare, cioè notare con segni, disegnare, progettare in un determinato campo di attività. In questo caso l’ambito è, dunque, quello alimentare. Abbinando questi termini si è voluto, perciò, indicare innanzitutto una corrente di pensiero innovativo, nel quale vanno a confluire, interagendo tra loro, differenti aree d’intervento specifiche di figure professionali come i designer, gli chef, i chimici, gli psicologi ecc. In tal modo, la ricognizione e l’esplorazione di tutto ciò che può essere riferito al cibo raggiunge livelli di esaustività mai conosciuti prima; dal packaging del prodotto ai luoghi del consumo alimentare, dalla pubblicità all’accessoristica che 12

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01. Patatine Pringles . 02. I diversi aspetti del food design applicati alla tavola.

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utilizziamo quotidianamente a tavola: ogni cosa viene studiata e fatto oggetto di progettazione. In altre parole, il design viene traslato nel campo della alimentazione muovendosi all’interno di un orizzonte progettuale dal quale nulla che sia possibile relazionare al cibo viene escluso. L’alimento diventa il fulcro di ricerca del Food Design, e non solo dal punto di vista estetico ma, pure, dal punto di vista ergonomico. Niente viene lasciato al caso. Le patatine Pringles, per esempio, ricordano la forma di una lingua che, di per sé, può procurare una sensazione di piacere più forte e gustosa. Per essere più precisi dal punto di vista delle definizioni possiamo dire specificatamente che il Food Design è la progettazione degli atti alimentari, ai quali fa allusione, in lingua inglese, l’espressione Food facts. Si ha quindi a che fare con l’elaborazione di quei processi tesi a contestualizzare, nel modo più efficace ed efficiente, l’assunzione di una sostanza commestibile in un determinato ambiente e in particolari circostanze di consumo. Il Food Design studia le motivazioni agenti dietro al comportamento relativo al cibo e che sollecitano l’atto alimentare con lo scopo, dichiarato, di comprendere le migliori modalità di progettare tali atti. Da questi assunti dovrebbe, perciò, già apparire di per sé evidente come tale branca del design sia, da una parte, indissolubilmente legato alla conoscenza del corpo e della psiché e, dall’altra, come si trovi ad essere in stretta connessione con le ricerche socio-economiche ed antropologico-culturali. Gli Atti Alimentari costituiscono sostanzialmente un paradigma attraverso cui un contenuto edibile deve passare per essere, dall’uomo, riconosciuto come cibo. Il tragitto che la sostanza compie all’interno di tale paradigma svolge la funzione di fondare l’identità stessa di colui che mangia (il consumatore) e di investire di significati simbolici ciò che viene ingerito. Tale paradigma presenta tre momenti essenziali: appunto, un ‘mangiato’, un ‘consumatore’ ed una ‘cornice argomentativa’; quest’ultima costituita da un ambiente che è contemporaneamente sociale, culturale, fisico ed economico e nel quale la comunità esprime valori ed aspirazioni. I costumi, le credenze, i rituali, le tecniche, le forme ed i sapori concernenti il ‘mangiato’, forniscono un’espressione concreta a quei valori e a quelle aspirazioni. Gli Atti Alimentari sono, perciò, il luogo in cui si attualizzano le qualità fondamentali di un periodo storico al punto che, tramite la loro analisi, si è in grado di delineare le caratteristiche di una cultura, mentre non è possibile effettuare il processo inverso. Se diamo ragione a Stephen Bayley 2, progettazione e cucina sono argomenti molto vicini tra loro in quanto la cucina implica la concezione e l’esecuzione di . Stephen Paul Bayley nato a Cardiff (Galles) nel 1951, è un critico del design e, in generale, della cultura contemporanea. Autore, consulente e curatore di mostre, abita da 25 anni nella stessa casa che a suo dire non è ancora finita: “Costruire una casa è come per il cibo ed il sesso: non bisogna mai avere fretta”. http://en.wikipedia.org/wiki/Stephen_Bayley al 11/11/2012.

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un’idea, l’assemblaggio di componenti funzionali in un insieme piacevole così come fa, appunto, il design. Del resto, nel suo significato più classico di disegno industriale, il design può occuparsi, a pieno titolo, di cibo ed alimentazione: attualmente, infatti, nella civiltà opulenta occidentale, i prodotti alimentari hanno tutte le caratteristiche per essere rubricate tra i consumi di massa. E, dunque, essi richiedono un’attenta progettazione per quanto riguarda il loro ciclo di vita, dalla ricerca e sviluppo fino all’ingegnerizzazione e al marketing. Man mano, anzi, che le tecnologie legate alla produzione alimentare diventano sempre più sofisticate, più il design diventa attinente a questo settore. Quando il cibo viene fatto oggetto di progettualità entra prepotentemente in gioco la cura per le caratteristiche esteriori. E’ facile, in questo caso, ritrovare il concetto di interfaccia. Un’interfaccia sensoriale, fatta di forme e colori, a loro volta rapportate con la percezione dei sapori, degli odori e di altre funzionalità aggiuntive che, molto spesso, vengono determinate dalle ‘nuove’ modalità di consumo dei pasti. Non è, tuttavia, solamente il cibo ad interessare il Food Design: pur essendo fondamentale l’impiego del cibo, inteso anche come materiale per creare un oggetto, è altrettanto importante la progettazione di oggetti precipui da usare nell’ambito gastronomico. E, così, il ghiaccio può assumere la funzione del vetro, il pane quello di ceramica (piatto) o di acciaio (posate), e gli stessi oggetti possono avere forme e funzioni a seconda del contesto in cui vengono impiegati: pensiamo alle posate per bimbi o al piatto da aperitivo. Un altro aspetto da sottolineare è la derivazione di questa disciplina dalle arti visive strettamente legate con il concetto di multisensorialità che va a caratterizzare tutte le componenti essenziali: dal product design alla mise en place, dall’ambiente previsto per il consumo al contenuto del piatto. Il Salone Internazionale del Mobile di Milano nel 2004 è stato, in qualche modo, il trampolino di lancio per il Food Design che da allora ha avuto un afflato sempre più internazionale. All’interno di questo evento, infatti, fu allestita la mostra «Dining Design». In seguito, una serie di avvenimenti - con l’intervento di grandi chef nel campo della progettazione e con le creazioni provocatorie di alcuni designer - hanno favorito l’introduzione di questa materia all’interno della vita quotidiana del consumatore. Va citata l’associazione italiana Food Design Studio sorta dalla convergenza delle idee di un designer, Paolo Barrichella, e di uno chef, Roberto Carcangiu. Nello statuto dell’associazione viene perseguito l’obiettivo principale di diffondere la cultura del progetto nell’ambito enogastronomico e agroalimentare. Uno scopo che, attualmente, viene ricercato anche da famosi stilisti, importanti università, ricercatori ed aziende, accomunati anche dall’investimento di notevoli risorse nel futuro di questa nuova disciplina. Itinerari alimentari tra tradizione e industrializzazione

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Soffermiamoci su alcuni punti tratti dal sito ufficiale italiano del Food Design che ci aiutano a comprendere come esso si occupi di un vasto campo di applicazioni ed abbia alle spalle forti correnti di pensiero: “L’obiettivo degli studi di progetto e della ricerca di Food Design è di creare prodotti che soddisfino il più possibile le esigenze del pubblico sotto tutti i punti di vista. Per fare ciò è necessario che i designer si occupino della parte riguardante la forma e la funzione (rapporti visivo/tattili, composizione ed ergonomia) in stretto rapporto con gli chef che si occupano di definire quella relativa all’olfatto ed al gusto. Trattandosi di materia alimentare, un contributo fondamentale è quello portato da esperti chimici e scienziati, che si occupano di tecnologia, nutrizione, salute e sicurezza. In Food Design si uniscono gli studi di Bauhaus e movimenti artistici come Futurismo, Espressionismo e Pop Art con quelli di nouvelle cuisine e gastronomia molecolare3. È possibile operare una suddivisione tra due tipologie di oggetti: quelli creati con il cibo e quelli creati per il cibo. Richiamiamoci a degli esempi concreti.

1.1.1 Prodotti generati con il cibo Gli Spoonachos: cucchiaini commestibili nati dalla sintesi della posata con dei nachos4. Confezionati uno sull’altro costituiscono degli originali stuzzichini. Altra idea innovativa è la Konopizza: idea di Rossano Boscolo, maestro di arte culinaria. Nuova versione dal design particolare della pizza d’asporto. Sebbene in Italia ci siano moltissimi punti vendita per la pizza, è all’estero, soprattutto in Giappone, che questa innovazione ha raggiunto una certa fama. Il popolo nipponico è, infatti, molto attento al cibo ed sempre stato incredibilmente accorto ai modi di presentarlo. Il Toblerone, famosa tavoletta di cioccolato ideata da Jean Tobler nel 1867, esemplifica in modo ammirevole quanto il packaging possa convergere con la funzionalità. La forma a piramide, infatti, è stata concepita per disporre di una barretta di cioccolato che si può agevolmente sporzionare in parti uguali5. Solero Shots, la granita in pallini della “Algida”, modifica la consistenza della tradizionale granita sostituendola con l’impiego di piccole sfere di ghiaccio disposte a cumulo. Con Icydrink, prodotto made in Italy della “Invent srl”, si capovolge il consueto modo di bere, il che suscita subito curiosità: il ghiaccio è fuori, mentre il drink si trova all’interno. Il bicchiere di ghiaccio, montato su un supporto in . Cfr. http://www.fooddesign.it/old_website/food-design/mission.htm. . I nachos sono dei piccoli triangoli composti di farina di mais. Si ricavano dalla divisione a spicchi delle tortillas. Dopo essere stati fritti, cosparsi con del peperoncino fresco e con formaggio tagliato ‘alla julienne’, vengono, per far fondere quest’ultimo, riscaldati al forno o al microonde. 5 . Cfr. 4.4.1 3 4

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03. Spoonachos, nachos a forma di cucchiaio. 04. Rossano Boscolo, Konopizza, la pizza per il Giappone. 05. Toblerone, barretta di cioccolato prodotta dalla Kraft Foods in Svizzera. 06. Solero Shots, prodotti nel 1999.

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07. Icydrink, il bicchiere di ghiaccio. 08. Paolo Ulian, Nutella Finger Biscuits, il ditale da dolce. 09. Ferran Adrià e Lavazza, Èspesso, il caffè solido.

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10. Enrique Luis Sardi, Cookie Cup, la tazza che si mangia 11. Barrique, la ‘’botticella’’ di cioccolato 12. Nendo, matite da temperare e gustare 13. Sebastiano Oddi, la Borsa Toast Itinerari alimentari tra tradizione e industrializzazione

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14. Cioccolego. 15. Cool jewels.

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plastica, al contatto con le labbra, è morbido e piacevole. L’impatto sensoriale sul consumatore è sicuramente efficace e, inoltre, offre una grande versatilità nella gestione del prodotto: con Icydrink si può servire qualsiasi tipo di cocktail e di drink, aperitivi, caffè espresso caldo, sorbetti, cocktail di scampi e amari. Paolo Ulian, giovane talento del design italiano, ha progettato Nutella Finger Biscuits, un prodotto non ancora in produzione. Riflettendo sulla diffusa abitudine di infilare le dita nel barattolo di Nutella, ha ideato un ditale di biscotto da indossare per evitare di sporcarsi le mani. Èspesso, prodotta da “Lavazza” nel 2009 con il contributo ideativo dello chef catalano Adrià Ferran, beneficia del titolo di essere il primo caffè solido nella storia della caffetteria. Un’ulteriore applicazione della ricerca al Food Design è Cookie Cup, tazzina commestibile ideata dal designer Enrique Luis Sardi, nel senso che, dopo aver bevuto il caffè, la si può letteralmente mangiare, in quanto realizzata in pasta frolla internamente coperta da una glassa particolare in grado di avere un effetto isolante ed impermeabile. Da un’idea nata dal concorso «CioccolaTò.3DS» ci viene offerta la possibilità, con Barrique, di unire i gusti del vino con quello di cioccolato fondente. CioccoLEGO, invece, è un progetto che intende far giocare con la gustosa sostanza: i mattoncini di colore diverso, a seconda della percentuale di cacao, possono, infatti, essere liberamente assemblati dal consumatore che, con ciò, probabilmente subisce anche una piacevole regressione all’infanzia. La Bag è del tutto composta da pane tostato. Sebastiano Oddi, designer inglese di origini italiane, ha proposto un portapranzo che, dal manico fino al fondo, può essere usato come cibo. Ecocompatibile al cento per cento, è disponibile in otto sapori. Gli stampi Cool Jewels di Liz Dubois e Christina Sciullo, sono stati progettati per servire, nei bicchieri dei commensali, ghiaccioli con una forma che ricorda quella delle gemme preziose, con la garanzia di dare un tocco fashion alla tavola. Il gruppo di designer giapponesi, “Nendo”, in collaborazione con la pasticceria Tsujiguchi Hironobu, ha elaborato delle matite costituite per intero da cioccolato che possono anche essere presentate in vassoi provvisti di appositi temperini con cui grattugiarle sopra ai dessert.

1.1.2 Prodotti generati per il cibo Per quanto riguarda, invece, quei prodotti ideati come strumenti ed accessori di cui servirsi in ambito conviviale annoveriamo, in questa sede, le seguenti creazioni. Matteo Bertanelli e Michele Di Monte, per progettare K-Wine, hanno preso spunto dalle osservazioni che si possono fare in occasione di eventi in cui la gestione del piatto e delle posate potrebbe non essere del tutto semplice. Si tratta di un piatto-vassoio dotato di una fessura in cui è possibile introdurre il calice Itinerari alimentari tra tradizione e industrializzazione

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allorché si vuole iniziare la degustazione della pietanza. K-Wine, diversamente dai piatti tradizionali che comportano lo spostamento laterale del bicchiere, vincola l’inserimento del bicchiere al centro dove si trova anche l’impugnatura; il risultato è quello di una migliore stabilità e di un’ergonomia più efficace6. Analogamente, con Puzzleboard, progetto dello studio olandese “OOOMS”, si è intervenuti sulla morfologia del ripiano. Si tratta infatti di un piatto-tagliere in legno, sagomato come il tassello di un puzzle; il che consente un certo grado di modularità personalizzabile a seconda dell’occorrenza. Durante un aperitivo è possibile liberare la mano dal calice usufruendo della concavità presente sul lato. On Off Mug, prodotta dall’azienda “Charles & Marie”, è una tazza nera e bianca nel contempo: rivestita, infatti, di un materiale che reagisce al calore della beva colore. A temperatura ambiente mostra la scritta off che si trasforma in on quando ci si versa dentro un liquido caldo. “MOD Design”, sempre restando nel campo della ceramica, propone Ctrl-Alt-Del Soft Reboot Cup Set. Il kit allude ai tre pulsanti delle tastiere per computer che si premono per riavviarlo. In colorazione nera e bianca, il vassoio richiama lo schema di un circuito elettronico. Andrea Cingoli, Paolo Emilio Bellisario, Cristian Cellini e Francesca Fontana sono designer italiani che, nel «Concorso Dining in 2015», dedicato alla ricerca di soluzioni innovative per il pranzo del futuro, si sono aggiudicati il primo premio. La loro invenzione sono i tappi Din-ink, progettati a partire dalla rivisitazione del tappo caratteristico della celebre penna, la Bic. In materiale ovviamente biodegradabile e atossico, può essere utilizzato come posata, in particolare coltello, forchetta o cucchiaio. Eat with your finger, cioè ‘mangia con le tue dita’, è un concept di Food Design ideato da tre giovani designer: Merry, Kavamura & Ganjavian. E’ un oggetto molto semplice che si infila sulle dita divenendo il loro prolungamento virtuale ed è composto da tre unità, rispettivamente, forchetta, coltello e cucchiaio. L’istintiva attitudine di mangiare con le mani viene in tal modo soddisfatta. Air Fork One ha la struttura di una comune forchetta ma è dotata di un manico avente la forma di un piccolo aeroplano (il nesso scherzoso è con il jet ‘Air Force One’: il nome dell’aereo riservato ai Presidenti degli Stati Uniti). Il materiale è riciclabile e atossico. Specifico per i bambini non viene disdegnato neanche dai grandi. L’oggetto è stato progettato da Sibylle Stoeckli con “ECAL”, nel 2008, e prodotto da “Fred and Friends”. Infine, possiamo citare The New Spoon for Yogurt di Nojae Park. Anche l’idea di questo prodotto è sorta riflettendo sui gesti quotidiani; nel caso specifico il problema è quello relativo all’impulso che abbiamo di pulire per bene il vasetto dello yogurt: poiché in esso, nelle incavature del fondo, ne resta sempre 6

. Cfr. 5.4

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16. Matteo Bertanelli e Michele Di Monte, K-Wine, il piatto-vassoio da aperitivo. 17. Puzzleboard, tagliere e vassoio insieme, può essere usato per tagliare, servire, mangiare o anche per sorreggere un calice di vino. 18. Charles & Marie, On Off Muf, la tazza che cambia colore. 19. Ctrl-Alt-Del Soft Reboot Cup Set, set di tazze completo di vassoio, ispirato al famoso trio di tasti Ctrl-Alt-Del. 20. Din-Ink, le posate per la Bic.

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una piccola quantità, era necessario disporre di un cucchiaino particolare. Crediamo siano sufficienti i suddetti esempi per esporre il concetto per il quale, il Food Design, anche se non ce ne accorgiamo, perché magari resi disattenti dall’abitudine, è in realtà sotto i nostri occhi per tutto il giorno. Ogni cosa relativa al complesso di azioni che compiamo per nutrirci, può, dunque, essere messo sotto le lenti del design, diventando parte integrante di un progetto il cui obiettivo finale, si può dire, viene raggiunto a tavola.

1.2 Mangiare nel mondo: macrodistinzioni gastronomiche fra passato e presente “Il cibo si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla” Massimo Montanari

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21. Cutlery design, Eat with your fingers. 22. Sibylle Stoeckli, Air Fork One, la forchetta che vola. 23. Il cucchiaino progettato da Nojae Park, che permette di raccogliere tutto lo yogurt nel barattolino.

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In questo paragrafo, senza ovviamente la pretesa di essere esaustivi, data la vastità dell’argomento, faremo, categorizzandolo per continenti, un breve excursus sulle tradizioni culinarie tipiche di alcuni popoli, soprattutto per mostrare come le colonne portanti di ogni sistema alimentare travalichino il concetto di naturalità ed approdino a rappresentazione di processi culturali includenti la trasformazione e la reinterpretazione della natura stessa. Infatti, come icasticamente scrive Massimo Montanari, uno dei massimi storici dell’alimentazione: “Il cibo è cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in Natura (come fanno tutte le altre specie animali) ma ambisce anche a creare il proprio cibo, sovrapponendo l’attività di produzione a quella di predazione. Il cibo è cultura quando si prepara, perché una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e una elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina. Il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo, pur potendo mangiare di tutto, o forse proprio per questo, in realtà non mangia tutto bensì sceglie il proprio cibo, con criteri legati sia alle dimensioni economica e nutrizionale del gesto, sia a valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. Attraverso tali percorsi si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla”7. Esiste e sussiste un rapporto molto intimo tra gli esseri umani ed il cibo. Se il bimbo non avesse il riflesso primario della suzione sarebbe messa a rischio la sua stessa sopravvivenza e, anche nei primi anni dell’infanzia, si serve proprio della bocca come strumento di conoscenza della realtà esterna. Ma ancor prima di essere strumento di conoscenza del mondo, la zona orale, come ci ha spiegato la psicanalisi, è responsabile dell’instaurarsi in noi del rapporto con una dimensione, quella del piacere, da cui non ci separeremo più per tutto il resto della nostra vita. Essa, dunque, è la prima zona erogena del corpo. Mangiare è, quindi, uno degli archetipi più fondamentali che possano esistere, la conditio sine qua non senza la quale non ci sarebbe l’opportunità non solo di sopravvivere, ma anche di vivere nel senso più pieno del termine. Le modalità di nutrirsi sono molto varie, al punto che all’interno di una stessa nazione si possono notare notevoli differenze a seconda del paese in cui ci si trova. Ci sono variabili gastronomiche: la cucina calda e saporita dei paesi latinoamericani, quella dei dolci sofisticati dell’area germanica ed altoatesina, le crudità dei piatti giapponesi e cinesi o, ancora, le ricette ipercaloriche americane. È affascinante scoprire i gusti e le preferenze di popolazioni, lontane l’una dall’altra. Tutto ciò dipende, ovviamente, non solo dalle abitudini culturali delle genti, ma anche da ciò che la natura ed il clima offrono ad un territorio. E’ palese perciò come, anche in questo caso, cultura e natura vengano ad intrecciarsi e ad influenzarsi. . Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari 2010, pp. XI-XII.

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