La crisi economica ci travogerà ?

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E anche in Europa, pur senza citare cifre che sono ampiamente documentate, le cose non sono state poi tanto diverse. Negli anni a venire nel mondo finanziario saranno certamente necessari manager quanto mai competenti per prendere decisioni su scelte operative molto complesse, quali quelle che l’odierna finanza richiede. L’eventuale presenza dello Stato nel mondo finanziario, oggi necessaria per dare liquidità in una strategia che va ben al di là del modello di Keynes, non dovrà perseguire una generica moralizzazione attuata con tetti retributivi in contrasto con una logica di mercato ma piuttosto dovrà essere molto attenta ai veri meriti professionali dei manager, e ai loro effettivi risultati. La sobrietà che viene chiesta alle classi medie, che costituiscono la spina dorsale delle nazioni occidentali, dovrà essere accompagnata da una profonda revisione del modello capitalistico, e quindi da innovazioni non solo tecnologiche ma anche etiche, perchè soprattutto queste ultime possono ridare vitalità a una società. L’uomo stesso, e quindi anche i grandi manager, deve credere in qualche cosa e la diffusa ingiustizia sociale non può che deprimerne la creatività e lo spirito di collaborazione. Nell’Inghilterra dell’Ottocento, di fronte alle sofferenze e alle miserie generate dal passaggio dal capitale fondiaro a quello industriale sia Charles Dickens sia Karl Marx, in modo apparentemente diverso, avevano condotto un’impressionante analisi del primo capitalismo. Dickens aveva soprattutto esaminato il mondo dei bambini, mentre Marx si era concentrato su quello dei lavoratori. Ambedue cercavano una qualche giustizia e in un certo senso ambedue erano confluiti in una forma di messianesimo utopista. Resta il fatto che le loro analisi restano per molti aspetti inoppugnabili: una parte della società umana non può disinvoltamente sfruttarne un’altra. La congestione sociale dell’attuale modello economico si è dimostrata fallimentare e occorre quindi una revisione del modello stesso, revisione per la quale occorreranno tempi adeguati. Ma come potrebbe essere attuata una simile revisione? Il ruolo dello Stato John Maynard Keynes aveva probabilmente ragione quando sosteneva che l’economia sarebbe stata sana se fosse stato possibile mantenere una piena occupazione e un sistema montario internazionale ben coordinato. Entrambe queste condizioni erano possibili con l’ausilio diretto degli Stati. Keynes aveva però in mente una visione dell’economia costituita da una somma di economie nazionali con capitali investiti a livello nazionale. Oggi invece l’economia è trainata soprattutto da organizzazioni multinazionali in grado di riallocare investimenti e posti di lavoro nelle nazioni più attraenti. La visione di Keynes è tuttavia ancora valida, almeno in parte, perchè come l’attuale crisi sta dimostrando lo Stato può ancora intervenire per sostenere consumi e occupazione attraverso propri investimenti. Ma ciò può avvenire solo nell’ambito di una strategia a lungo termine. Secondo Keynes lo Stato dovrebbe intervenire sulle leve fiscali e monetarie lasciando poi che l’economia di consumo si stabilizzi da sola e liberamente. Il punto è che un mercato totalmente libero e sottoposto solo agli equilibri della competitività è per sua natura imperfetto e come tale esposto al predominio degli oligopoli. Questi ultimi in un’economia globalizzata finiscono col dominare i mercati riallocando gli impieghi dove più vantaggioso, e trasferendo profitti in paradisi fiscali al di fuori del controllo degli Stati. Keynes inoltre non aveva una visione dell’economia come di un’attività complessiva che si evolveva attraverso cicli successivi, sia strutturali sia soprattutto tecnologici. Già Marx, come 18


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