Alcune divagazioni semiserie sul tempo.

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Domanda introduttiva: Il mondo che ci circonda, soprattutto quello economico, sembra in continua accellerazione. Gli spostamenti, le attività, persino i processi naturali e le stagioni sembrano accellerare i loro ritmi. Tutto insomma diventa più veloce. Il tempo ci scorre tra le dita come un fluido inafferrabile. E non riusciamo a capire perché. Anche Sant’Agostino si chiedeva cosa fosse il tempo. Nelle Confessioni scriveva infatti: “…che cos’ è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me lo chiede, non lo so…” Allora, cos’ è il tempo?

Risposta: Se dessimo retta a Sant’Agostino il tempo potrebbe sembrare quasi un’impressione. Ma a me non piace questo tipo d’impostazione, oserei dire da Bacio Perugina: la frasetta a effetto. Questi sono giochi di parole, senza una vera semantica. Cos’è il tempo ovviamente non ci è dato di sapere, almeno a livello della sua più intima essenza. Ma noi non siamo al mondo per capire l’essenza delle cose, ma per vivere e soprattutto per sopravvivere e quindi ci servono definizioni operative, che ci consentano di agire. Possiamo anche non capire cosa sia il tempo nella sua essenza, ma in una certa misura dobbiamo comprendere come funziona, almeno con un certo livello di approssimazione, se vogliamo, per esempio, far funzionare correttamente i navigatori satellitari.

Un universo in evoluzione... E’ l’unico modo per seguire i fatti che si osservano

Il tempo non è una costruzione dell’uomo ma è insito nella natura Il tempo non è un’impressione personale, ma una realtà obiettiva. L’universo è calato nel tempo e lo sappiamo perché ormai siamo certi che ci sia stato un primo istante, quello del Big Bang, e sappiamo anche che l’universo si è evoluto da quell’istante.


Il filosofo Kant diceva che lo spazio e il tempo sono le forme innate nel nostro cervello attraverso le quali strutturiamo la nostra conoscenza della realtà. In un certo senso è vero. Noi siamo frutto di una lunga evoluzione e i nostri sensi sono stati modellati in un certo modo: abbiamo per esempio una vista tridimensionale molto più raffinata di tantissimi altri animali. Ma non vediamo, per esempio, la luce infrarossa, cosa che riesce invece al serpente a sonagli (con un secondo gruppo di strani occhi). Per rispondere almeno elementarmente a questa domanda dobbiamo fare un piccolo viaggio intellettuale; un viaggio un po’ singolare, perché ribalta molte delle nostre convinzioni. E’ vero, come dice Kant, che il tempo e lo spazio sono le forme con le quali afferriamo la realtà, ma c’è qualcosa di molto più profondo che va compreso ed è sorprendente che nessuno, a parte Galileo, avesse lontanamente intuito cosa sia questo qualcosa. E’ la natura del rapporto che esiste tra osservatore e osservato. E’ uno dei cardini assoluti non solo della fisica, ma della stessa conoscenza umana e bastava pensarci sopra con grande attenzione. A dirla banalmente ci potevano arrivare anche Platone o Aristotele, se solo avessero avuto una maggiore sensibilità intellettuale e una maggiore cultura di base. Quello che Einstein ha fatto è assolutamente prodigioso ed è secondo me una delle massime, se non la massima conquista intellettuale dell’uomo. Si può andare a dormire e al buio si può fantasticare e ragionare, e in questo stato di assoluta solitudine, nel quale l’anima veramente sola con se stessa e, se vogliamo, con Dio, allora il ragionamento si può dipanare quasi come fosse una melodia. Siamo soli e pensiamo: cosa ci piace dell’universo? Cosa cattura la nostra anima: il bello! Ma già volgeva il mio disio e il velle sì come rota ch’igualmente è mossa… Dante, divino conoscitore l’aveva capito bene. La bellezza è nella simmetria, la rota ch’igualmente è mossa. Ed Einstein, dietro di, lui torna al supremo principio di funzionamento dell’universo: la simmetria. Che rapporto ci deve essere tra osservatore e osservato? Un rapporto di simmetria. Si possono scambiare i ruoli, ma quello che vedono deve restare coerente. Altrimenti l’universo non sarebbe conoscibile. E proprio Einstein in vecchiaia avrebbe detto che la cosa che maggiormente lo aveva stupito nella sua vita era il fatto che l’universo non solo fosse comprensibile, ma che parte del suo funzionamento fosse traducibile in leggi sorprendentemente semplici. Anche Wittgenstein diceva: “di un universo illogico non sapremmo che farne”. Di tanto in tanto Dio ci fa vedere una delle carte che ha in mano, come se giocasse con noi. E’ una forma di misticismo di una sorprendente profondità, che veramente avvicina Einstein a Dante, che a sua volta è figlio intellettuale del razionale Tommaso d’Aquino e non del passionale Agostino. Ma tutto questo che ha a che fare col tempo? La risposta non è immediata, ma non è nemmeno tanto difficile da comprendere. Non servono neppure delle formule. Se vale un principio di simmetria, e di simmetrie ce ne sono tante e alcune molto complesse, di questo ci dobbiamo accorgere anche nella vita di tutti i giorni. Pensiamo a una strana simmetria alla quale facciamo poco caso pur accorgendocene. Siamo seduti in treno in una stazione e distrattamente guardiamo fuori dal vetro. Il treno accanto a noi sembra muoversi, piano. Ma così? Per un attimo, quasi sempre, ci domandiamo se siamo noi a muoverci o se non sia l’altro treno.


Il principio di relatività Quale treno si muove?

Ecco: da simili domande ha preso forma lo straordinario ragionamento di Einstein. Deve valere un profondo principio di simmetria: un viaggiatore seduto nell’altro treno (potrebbe essere un nostro gemello) deve provare esattamente le stesse nostre sensazioni. Questo è uno dei due cardini della prima formulazione (1905) della teoria della relatività. Il principio di relatività ci dice che osservatori differenti e in moto uniforme l’uno rispetto all’altro devono vedere il mondo “più o meno” nello stesso modo. Il punto è pero che quel “più o meno” è un po’ più complicato di quanto non appaia immediatamente. E piano piano, proseguendo per questa strada, arriveremo a comprendere meglio la natura del tempo.

Domanda: Ma c’è qualcosa di assoluto nell’universo o vale sempre questo principio di relatività?

Risposta: Si, c’è qualcosa di assoluto: la luce. Sembra di ripercorrere la Genesi. E Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu. Dio vide che la luce era buona e separò la luce dalle tenebre. Ricorda quasi la descrizione del Big Bang. Comunque sia la luce, ossia il complesso di fenomeni elettromagnetici che ne sono il fondamento, è un’entità del tutto particolare. Ed è proprio cercando di comprenderne la natura profonda che Einstein arrivò a formulare la teoria del 1905, che non a caso portava il titolo “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento” e non “La relatività ristretta”, coma la chiamiamo oggi. C’è tutta un’anedottica dietro alla formulazione della teoria della luce di Einstein. La sua formulazione matematica non solo non è particolarmente complessa, ma è persino inessenziale in un ragionamento semplificato come il nostro. Ed è proprio l’anedottica che ci aiuta. Innanzitutto per secoli e secoli si era creduto che la velocità della luce fosse infinita e che quindi i raggi di luce si propagassero istantaneamente da un punto a un altro. Ma poi, già a partire dal Settecento, con osservazioni astronomiche sempre più attente (per esempio dei satelliti di Giove) si comprese che la velocità era finita, anche se elevatissima.


C’era però qualcosa di molto più sottile che andava scoperto. Si può fare un elementare ragionamento. Se mi trovo su di un treno e cammino lungo un vagone, per qualcuno che mi osserva stando fermo lungo la ferrovia la mia velocità è la somma della velocità del treno e di quella del mio camminare. Ma per la luce le cose non vanno così. Se al posto di me che cammino metto un raggio di luce la velocità di quest’ultimo per chi è lungo la ferrovia è sempre la stessa, qualunque sia la velocità del treno. La velocità della luce è assoluta, ed è la stessa per qualunque osservatore, quale che sia lo stato di moto di quest’ultimo. Già questo fatto è fortemente controintuitivo rispetto al nostro modo di ragionare e ci mette in difficoltà. Einstein comprese che se le cose stavano così (e un celebre esperimento lo confermò inequivocabilmente) probabilmente il problema non risiedeva nella natura della velocità della luce, ma nelle grandezze che la determinavano, ossia lo spazio e il tempo. La velocità è lo spazio diviso il tempo. Qualcosa non deve funzionare come crediamo in questo rapporto tra spazio e tempo. E allora torniamo all’anedottica. Einstein a Berna, racconta il mito, prendeva il tram e guardava il grande orologio della torre, il famoso Zytglogge medioevale, e diceva a se stesso: “Segna le sei di pomeriggio; ma se io fossi a cavallo di un raggio di luce continuerebbe a segnare le sei, mentre il mio orologio da polso andrebbe avanti. Ma come è possibile? Due tempi diversi?”

Le prime intuizioni di Einstein

A un cavallo di un raggio di luce che ne è del tempo? Mito a parte, che straordinario intuito fisico! Se Platone avesse avuto un orologio da polso e si fosse potuto muovere ad Atene su di un tram ci poteva arrivare anche lui, 2400 anni prima… Ma come è possibile che i due orologi segnino tempi diversi? Il tempo non è un’entità assoluta? No! Non è un’entità assoluta. Basta un piccolo ragionamento operativo per capire che il tempo dipende da come lo si misura. Se osserviamo la figura che segue possiamo immaginare due orologi, un po’ strani, ma funzionanti, posti su due carrelli sopra i quali abbiamo costruito un lungo cilindro.


Il primo carrello è fermo e parte un raggio di luce, che si espande circolarmente con la stessa velocità in tutte le direzioni. La luce per sua natura è un fenomeno tridimensionale, ma qui per semplicità l’abbiamo fatta bidimensionale. Quando la luce raggiunge la parte alta del cilindro è passato un certo intervallo di tempo. Se però osserviamo il carrello di destra, che si muove, vediamo che lo stesso raggio di luce che ha raggiunto la vetta nel primo carrello nel secondo arriva a metà. Questo vuol dire che secondo l’osservatore fermo sul primo carrello il tempo misurato dal secondo carrello è minore, ossia quell’orologio va più piano. Non ci vuole alcuna formula matematica per capire questo straordinario fenomeno della relatività temporale. Da qui, con ragionamenti successivi, nemmeno tanto complicati, si arriva al famoso paradosso dei gemelli. Se un gemello parte dalla Terra ad alta velocità e vi ritorna dopo qualche anno, sarà più giovane biologicamente del gemello rimasto a Terra. (E non c’è simmetria, perché sarà solo quello che lascia la Terra a sentire un’accelerazione).

Il tempo di un orologio in moto rallenta

Questo fenomeno spiega, per esempio, perché certe particelle elementari che vivono poco hanno una vita più lunga se si muovono ad alta velocità, come avviene negli acceleratori di particelle. Ma tutto questo non ha a che fare con la prima domanda. Ossia, perché ci sembra che oggi il mondo vada più velocemente? Quello che Einstein ci dice è che il tempo non è un’entità assoluta, ma relativa. E di passo in passo il ragionamento porterà a delle scoperte sensazionali. Per di più in gran parte comprensibili senza ricorrere a formule più o meno complesse.

Domanda: Ma se il tempo è relativo all’osservatore, lo è forse anche lo spazio?

Risposta: Sì. E a questo punto è quasi banale mostrare perché. Basta riprendere la stessa immagine di prima e fare un altro tipo di ragionamento. Qui ancora una volta entra in gioco il principio di relatività, ossia il fenomeno deve essere visto in modo simile da entrambi gli osservatori.


Che vuol dire? Il raggio di luce parte dal basso, ma non è costituito da un’unica linea (ossia da un solo fotone), bensì avrà una certa ampiezza crescente che è quella di un arco di cerchio (ossia più fotoni che vanno in direzioni divergenti ma quasi parallele). Quando la luce tocca la parte alta del cilindro gli estremi del cilindro devono essere toccati nello stesso momento, come si vede facilmente. Lo stesso raggio però nel cilindro in moto tocca in maniera diversa le due pareti, e le deve toccare contemporaneamente perché il fenomeno deve essere uguale per i due osservatori. Se osserviamo la figura vediamo che c’è una sola possibilità per rispettare questa fenomenologia: il cilindro in moto si deve stringere rispetto a quello fermo!!!

La dimensione di un oggetto in moto si accorcia

Il tempo rallenta e lo spazio si contra e… Ecco gli stradorinari effetti previsti dalla teoria del 1905. Ma siamo ben lontani dai veri fuochi d’artificio che Einstein produrrà coi suoi lenti ma insesorabili ragionamenti. Il tempo ha ben altre sorprese in serbo. In effetti Einstein produsse il suo articolo sull’elettrodinamica dei corpi in movimento nel giugno del 1905. Durante l’estate continuò a pensarci sopra, e a settembre presentò un altro articolo, di sole due pagine e mezzo, che avrebbero però cambiato la storia. Ancora una volta non c’è bisogno di formule, anche se una poi la vedremo perché celeberrima.

Domanda: E cosa dice questa formula? Risposta: La luce porta energia, non c’è dubbio. Ma anche un corpo in movimento ha energia: quella cinetica che dipende non solo dalla velocità ma anche dalla massa del corpo stesso. Sta di fatto che in tutte le formule della dinamica ci sono sempre almeno tre entità in gioco: lo spazio, il tempo e la massa.


“Che ne è della massa in tutti questi ragionamenti?”, si deve ovviamente essere chiesto Einstein. Per caso anch’essa è relativa all’osservatore? Che mente straordinaria! Ragionandoci sopra e con pochi calcoli Einstein arrivò a una formula terribile: 2 E=mc Terribile perché in soli 5 simboli elementari (E, =, m, c, 2) si nascondeva la potenzialità di produrre armi di distruzione di massa. Hiroshima misurò sul proprio corpo martoriato la verità nascosta nella formula.

L’equivalenza tra massa ed energia: E=mc2

La luce porta energia? Allora ha massa!!! Ma ben altro si nascondeva. Passavano gli anni e Einstein continuava a pensare. Faceva esperimenti nella sua testa, i suoi famosi Gedanken Experimente. Se la luce ha energia, la luce ha massa, e se ha massa la luce deve cadere come ogni corpo cade. E cadde, come corpo morto cade.

Domanda: Ma che vuol dire che la luce cade? Risposta: Vuol dire un’infinità di cose, tra cui persino l’esistenza dei buchi neri. Ma ci vorranno tanti altri decenni per capirlo. Però alcune cose si stavano svelando. Dio ci faceva vedere qualche altra carta. Osserviamo la figura che segue. Se la luce piega la sua traiettoria, vicino a una grande massa che la fa cadere, i raggi del fascio si piegheranno in modo lievemente diverso. La luce difficilmente è costituita di un solo raggio. Il fascio più interno finisce con l’essere un po’ più corto di quello più esterno. Ma come è possibile questo se la velocità della luce è assoluta ed è sempre comunque la stessa?


Se la luce ha massa, cade vicino a un corpo?

Ancora una volta, deve aver pensato Einstein, c’è qualcosa che non funziona nella nostra percezione del tempo. Ed ecco la sua nuova straordinaria intuizione: il tempo vicino alla massa rallenta. Il percorso è più breve, il tempo è minore, la velocità resta costante. Ma come fa a scorrere più lentamente? Perché si deforma. E qui naturalmente le cose, se le si vogliono vedere matematicamente, diventano ben più complesse. Einstein dovette lottare per anni con un formalismo matematico che non conosceva e per il quale ricevette un aiuto determinante dal suo grande amico, il matematico Marcel Grossman. Il tempo e lo spazio costituiscono un’unica infrastruttura che noi non riusciamo a percepire correttamente perché il nostro cervello e i nostri sensi non sono progettati per lavorare a 4 dimensioni. Ma, volendo, possiamo pensare che lo spazio-tempo sia come una spugna che noi possiamo deformare come vogliamo. In realtà chi lo deforma sono le masse, che qua e là sono disposte nell’universo. Dove non c’è massa tutto è perfettamente lineare, come su di una retta. Ma dove c’è una massa il tempo si piega e sembra diventare come un arco di cerchio. E’ ovvio che questa descrizione è puramente intuitiva e del tutto approssimativa.

Lintuizione più straordinaria di Einstein

Lo spazio-tempo curvo


Domanda: Ma perchè la luce cade vicino a una massa? O anche, perché cadono i corpi? Newton diceva che esiste la gravitazione universale. La Terra attrae a sé i corpi, e questi cadono, per di più di moto accelerato essendo sottoposti a una forza. E’ così? Risposta: Nein! Einstein parlava tedesco. Si è sempre rifiutato di parlare in inglese, ma questo lo sanno in pochi. La famosa frase “Dio non gioca a dadi” fu detta da lui in tedesco e non in inglese, come del resto l’altra famosa frase: Dio è sottile, ma non malizioso. "Raffiniert ist der Herr Gott, aber boshaft ist Er nicht." I corpi cadono perchè vicino alla Terra il tempo s’incurva. Basta ancora una volta guardare le due figure.

Perché sulla terra i corpi cadono?

Nella prima vediamo un corpo a sè stante nel vuoto cosmico. Immaginiamo che l’universo abbia solo 2 dimensioni, una spaziale e una temporale. Il corpo è fermo e il tempo scorre. Il corpo è come se si muovesse nel tempo, restando fermo nello spazio unidimensionale. Ma ora mettiamo una grande massa, la Terra per esempio. Che succede? Il tempo si piega.

Perché sulla terra i corpi cadono?


Il corpo apparentemente è fermo nello spazio, ma si muove nel tempo, che però è curvo. Il corpo si sposta nel tempo, ma guardando con attenzione si vede che si sposta anche nell’unica dimensione spaziale. Dove? Verso la Terra, e muovendosi uniformente nel tempo, poichè il tempo è curvo, nello spazio si muove di moto accelerato, Ad archi di cerchio uguali si vede che corrispondono via via tratti di spazio più lunghi, mano a mano che ci si avvcina alla Terra. E’ il tempo incurvato che fa cadere i corpi e la luce. Sbalorditivo! Domanda: Ma è vero??? Risposta Certo che è vero. Ma ce ne voleva per dimostrarlo. Occorreva tanta matematica e occorreva qualche esperimento molto raffinato. Einstein presentò la sua teoria nel 1915 a Gottinga in sei lezioni. Era talmente elegante che il più grande matematico allora vivente, David Hilbert, che Einstein aveva incontrato più volte per parlargliene l’aveva garantita con tutta la sua autorità, tanto da presentare egli stesso all’Accademia delle Scienze di Gottinga una teoria simile; ma riconoscendo signorilmente la priorità di Einstein. La rivista Annalen der Physik pubblicò l’articolo di Einstein nel marzo del 1916. Un astrofisico di straordinario ingegno che era sul fronte russo, e chi lì sarebbe morto a maggio del 1916, Karl Schwarzschild, la lesse quasi subito e immediatamente dette una prima elegante soluzione delle famose equazioni di Einstein. Nessuno poteva immaginare allora che in quella soluzione si nascondesse l’incredibile teoria dei buchi neri. Ci sarebbero voluti decenni, e soprattutto le esperienze delle bombe termonucleari, per arrivare a una piena formulazione della teoria dei buchi neri. Ma i grandi dell’epoca compresero che qualcosa si poteva fare per misurare gli effetti della teoria. Non ci voleva molto a capire che almeno un esperimento chiave era fattibilissimo. Il sole ha un’enorme massa e deve per forza piegare i raggi di luce che vengono dalle stelle lontane. Ma come è possibile vedere questi spostamenti se la luce del sole assorbe completamente la poca luce delle stelle che possiamo vedere solo di notte? Se però c’è una eclissi totale di sole le stelle si vedono come di notte; ma il Sole è tra la Terra e le stelle e quindi la posizione di queste ultime deve essere diversa. Basterebbe prendere delle fotografie durante un’eclissi totale di sole e confrontarle con le foto della stessa zona di cielo fotografata di notte.

Allora la luce delle stelle gira intorno al sole!


Lo spostamento dovrebbe esser significativo. Appena terminò la prima guerra mondiale, nel 1919 ci fu la grande occasione. Furono scattate diverse fotografie durante un’eclisse totale di sole in Brasile e all’isola Principe. Il grande astrofisico Eddington tornò con risultati inequivocabili. Il New York Times e il Times di Londra annunciarono al mondo la sensazionale scoperta. Un giornalista chiese a Eddington: professore sembra che siate solo in tre a comprendere questa teoria. Il mito dice che Eddington abbia scherzosamente risposto: “Mi chiedo chi sia il terzo”, tra le risate generali. Ma tutto questo a noi, stamattina, a che serve? Non dovevamo parlare di tempo, di accelerazione dell’economia, di disagio individuale? Si, ma per muoverci usiamo, per esempio, sempre più spesso i navigatori satellitari regolati da impulsi elettromagnetici che viaggiano tra un satellite artificiale ad alta quota e la grande massa della Terra. È certo che siamo lì dove crediamo di essere, e non tre isolati più a destra? Se non ci fossero le correzioni relativistiche alle misure del tempo negli strumenti usati i navigatori satellitari sarebbero tutt’altro che precisi. Quindi la teoria relativistica del tempo è assolutamente operativa. Adesso cominciamo a capire meglio l’infrastruttura dell’universo e poco alla volta, dalle tante simmetrie più o meno nascoste, cominciamo anche a capire meglio il suo funzionamento. Certo che per ogni porta che apriamo, come diceva Einstein, si apre un corridoio con tante altre porte chiuse. Domanda: Sì, ma resta ancora pendente la domanda: perché sembra che tutto oggi vada più in fretta? Manca forse qualcosa in questi ragionamenti? Risposta: Sì manca qualcosa di molto importante e che ci fa vedere un altro aspetto del tempo che da quanto detto finora non appare. Ed è la freccia del tempo. Nello spazio sembra che ci si possa muovere in qualunque verso. Nel tempo invece sembra si possa andare solo in una direzione. E noi invecchiamo. E il tempo sembra scorrere più rapidamente. Cosa manca per concludere la nostra chiacchierata? Manca il convitato di pietra: l’entropia! Questa non fa parte della relatività, ma a lei non si sfugge. Vediamo perché e capiremo forse ancora meglio cosa sia il tempo. Un aspetto molto importante dell’universo è che i fenomeni più elementari sembrano reversibili rispetto al tempo. Prendiamo, per esempio, una breve fase di una partita a biliardo e filmiamola. Se osserviamo il film dei successivi urti di alcune palle sul tavolo non possiamo dire con certezza se il film stesso viene proiettato in avanti o all’indietro.


La reversibilità del tempo

In una sequenza di urti successivi la simmetria temporale è perfetta, e per chi osserva il film senza saperne nulla non è possibile dire se il verso di proiezione sia quello giusto. Ma se, viceversa, filmiamo un uovo che cade a terra da un tavolo e va in frantumi non c’è alcuna difficoltà a dire quale sia il verso giusto: nessuno crederà che il verso corretto sia quello del filmato nel quale i frammenti di uovo da terra si risollevano e si ricompongono per ridare forma all’uovo intero. Perché siamo così sicuri di questo fatto? Perché per noi è ovvio che il tempo scorra nella direzione dell’uovo che va in frantumi. Ma perché ci sembra ovvio? E’ una domanda più sottile di quanto non sembri; ed è in questa domanda che si nasconde quella che noi chiamiamo la freccia del tempo. Per restringere il campo delle ipotesi potremmo pensare a una sequenza diversa dalla caduta dell’uovo. Immaginiamo di avere due contenitori comunicanti e nei quali all’inizio si trovino delle palline di due colori, bianche e nere, perfettamente distribuite, con le bianche tuttte in uno dei due contenitori e le nere tutte nell’altro. Cominciamo ad agitare l’insieme dei due contenitori e filmiamo ciò che accade. E’ intuibile che poco alla volta nei due contenitori le palline cominceranno a mescolarsi e dopo un certo tempo saranno distribuite in modo quasi perfetto, tanto che ogni contenitore conterrà un numero pressoché uguale di palline di colore diverso. Se adesso osserviamo il filmato e lo facciamo scorrere una volta in un verso e una volta nel verso opposto siamo in grado di indicare immediatamente quale sia il filmato giusto. Non crederemo certamente che il verso giusto sia quello nel quale le palline, da mescolate che sono, vadano a ridistribuirsi con le nere tutte da una parte e le bianche dall’altra. Ancora una volta il nostro intuito è corretto. Ma perché? Saper rispondere a questa domanda vuol dire, tra l’altro, saper rispondere a una domanda apparentemente diversa: perché il calore fluisce sempre da un corpo caldo a uno freddo e non viceversa? La risposta è che se si vanno a fare i conti ci si accorge che dal punto di vista del gioco delle probabilità esistono molte più possibilità per le palline di distribuirsi tra i due contenitori a colori mescolati piuttosto che tutte nere da una parte e tutte bianche dall’altra. Esiste una sola combinazione che dà luogo a palline nere da una parte e bianche dall’altra. Ma esiste un numero crescente di combinazioni che permette alle palline di distribuirsi un po’ qua e un po’ là. E questo numero cresce al crescere del numero di palline. Se immaginiamo di avere diecimila palline per contenitore possiamo intuire quanto grande sia il numero di combinazioni nelle quali una pallina nera sia o qua o là, scambiandosi di posto con un’altra pallina nera. Noi non distinguiamo le singole palline. Vediamo solo che ce n’è un certo numero da una parte e un certo altro numero dall’altra, e ci sembra che alla lunga la situazione stabile sia quella di un numero equivalente di palline nere e bianche distribuite a destra e a sinistra. Questo perché il numero di possibilità che realizzano questa disposizione è di gran lunga più elevato, ossia più probabile, di quello nel quale tutte le palline dello stesso colore siano da una delle due parti e le altre dall’altra.


Il numero di possibili combinazioni che danno luogo alla situazione più probabile è, più o meno, quello che chiamiamo entropia; e quest’ultima tende ad avere il valore più alto. Quello che ci appare come lo scorrere del tempo è l’andare verso situazioni a più alta entropia ossia a più alta probabilità. Nel nostro corpo costituito di trilioni di atomi forse c’è una combinazione meno probabile che per un brevissimo istante si realizza, e per quel brevissimo istante ringiovaniamo. Ma mediamente invecchiamo perché il nostro corpo segue inesorabilmente la legge della crescente entropia. Ecco allora che possiamo concludere in maniera quasi naturale, anche se solo intuitiva, la nostra lunga chiacchierata sul tempo. Perché ci sembra che il nostro mondo, la nostra società, la nostra economia si evolvano sempre più rapidamente? Perché siamo sempre di più e perché ci sono sempre più interazioni, favorite da comunicazioni e spostamenti sempre più frequenti. La società diventa sempre più complessa così come due contenitori di palline bianche e nere si mescolano sempre più facilmente al crescere del numero di palline e al crescere del numero di scotimenti. Il tempo quindi scorre verso quella direzione e sembra scorrere in maniera più inesorabile e anche più rapida perché gli scotimenti (ossia le interazioni) crescono di numero. Ma tutto ciò ha un prezzo che la natura ha stabilito in maniera inequivocabile: gli scotimenti richiedono energia. Serve sempre più energia e questa ha una sola fonte, al momento, ed è la luce che ci viene o ci è venuta dal sole. O è stata intrappolata milioni di anni fa nei giacimenti fossili, oppure viene catturata adesso, indirettamente attraverso l’acqua che evapora e ricade o attraverso il vento, o ancora direttamente dal sole. Comunque sia sembra non ci siano alternative. La freccia del tempo della nostra società vuole energia e ne vuole sempre di più: e questo sarà il più grande problema della società a venire. Se vorremmo sopravvivere dovremo forse cambiare del tutto il nostro modello economico. Dall’era dell’esuberanza e degli eccessi dovremo passare all’era della calma e dell’equilibrio, all’era di un rapporto meno conflittuale tra le persone e le persone e la natura. Ma ciò richiederà un salto culturale che non sarà immediato e che certamente sarà faticoso, se non addirittura doloroso. Dovremo imparare noi a rallentare. Se però, come spero, questo avverrà il guadagno sarà immenso: sarà la nascita di un uomo nuovo. Un vero Rinascimento dello spirito umano.



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