Pochi versi per dipingere una condizione di rottura e sospensione derivata da un mutamento di uno stato d'essere, poche righe per definire che l'abbandono è qualcosa che non crea più, che non possiede la vita. Quasi è incredibile come queste stringhe così ermetiche si portino dietro una cultura, un immaginario così facile da connettere alle nostre discipline del progetto che trovano un riscontro concreto in molte esperienze di riuso delle latenze contemporanee nazionali ed internazionali [1]. Potremmo anche attribuire questa condizione di assenza, ad una emotività immateriale come ad un fisico conglomerato di edifici, ma conoscendo l'autore, mi sembra più opportuno stendere questi versi ad una scala differente, alla dimensione di un territorio specifico, quello della regione veneto.